Lo studio dell’anatomia e della fisiologia delle piante e degli animali ha permesso di conoscere come nel corso dell’evoluzione tutti gli organismi si siano adattati a vivere in un particolare ambiente fisico: la vita sulla Terra, tuttavia, è resa possibile da relazioni molto più complesse fra materia inanimata e materia vivente, mantenute in un equilibrio dinamico da cicli continui di energia e materia.
È detta ecologia la scienza che studia i rapporti che gli organismi intrattengono tra loro e con l’ambiente in cui vivono. Il termine ecologia dal greco ôikos = dimora, casa e lógos = discorso) fu coniato nel 1866 dal biologo tedesco E. Haeckel (1834-1919).
L’ecologia è una scienza complessa, che si avvale del contributo di differenti discipline scientifiche. Si distinguono diversi indirizzi:
L’ambiente è l’insieme delle condizioni chimico-fisiche (fattori abiotici) e biologiche (fattori biotici) a cui è soggetto un organismo; l’insieme dei fattori abiotici e biotici definisce i fattori ecologici.
Sulla Terra esistono numerosi differenti ambienti che possono essere ricondotti a due tipi fondamentali: ambiente subaereo e ambiente subacqueo.
L’ambiente subaereo si distingue in ambiente epigeo (superficie delle terre emerse e la parte più bassa dell’atmosfera) e ambiente ipogeo (gli strati superficiali e profondi del terreno, grotte, caverne).
L’ambiente subacqueo, o acquatico, si distingue in ambiente marino, ambiente di acqua dolce e ambiente salmastro (lagune, estuari).
I fattori ecologici (l’insieme dei fattori abiotici e dei fattori biotici) definiscono e regolano ogni ambiente, agendo direttamente sugli esseri viventi in esso ospitati almeno durante una fase del loro ciclo di sviluppo.
I fattori ecologici, tra l’altro:
I fattori abiotici sono i fattori che dipendono dall’ambiente fisico: comprendono fattori fisici (temperatura, forza di gravità, pressione, luce, umidità, vento e correnti; moto ondoso, struttura del suolo, tipo di rocce) e chimici (acqua, salinità, ossigeno, diossido di carbonio, pH).
I fattori biotici sono connessi alla presenza di altri organismi; comprendono la competizione tra specie e all’interno della specie, la predazione, la simbiosi, il parassitismo, vari aspetti del ciclo vitale, la capacità di spostamento e migrazione, il comportamento. La presenza di organismi può influire sui fattori abiotici e spesso li modifica: per esempio, la presenza di vegetazione modifica le condizioni di luce e temperatura per gli animali e le specie vegetali del sottobosco.
Gli organismi viventi possono sopportare solo variazioni limitate di un certo fattore ecologico; i margini di questi limiti possono essere comunque più o meno ampi, in quanto ogni specie è variamente sensibile ai fattori ecologici a seconda della sua valenza ecologica, cioè della capacità di popolare ambienti con caratteristiche differenti in relazione a un determinato fattore ecologico.
Rispetto alla valenza ecologica le specie si distinguono in stenoecie, quando tollerano piccole variazioni di un determinato fattore ecologico, ed euriecie, quando tollerano ampie variazioni dello stesso fattore ecologico. Per esempio, rispetto al fattore rappresentato dalla concentrazione di sali nel substrato (suolo, acqua), si avranno specie stenoaline ed eurialine; in rapporto al fattore temperatura si avranno specie stenoterme ed euriterme.
Altri organismi mostrano repulsione o attrazione rispetto a un fattore specifico e sono indicati, rispettivamente, con i suffissi -fobo e -filo (per esempio, una pianta alofila cresce bene in ambienti salmastri, un organismo fotofobo rifugge la luce).
Si definisce infine fattore limitante quel fattore, chimico-fisico o biotico, che quando è superiore o inferiore a un certo valore impedisce la sopravvivenza di una specie in quell’ambiente.
La legge dei fattori limitanti è una derivazione della legge del minimo, formulata dal chimico tedesco J. von Liebig (1803-1873): “La crescita dei vegetali dipende dall’elemento che è presente nella quantità minima, al di sotto della quale le sintesi non possono avvenire”. I vegetali utilizzano per i propri processi metabolici numerosi elementi del sistema periodico, ma solo alcuni di questi sono indispensabili, alcuni in grandi quantità, altri in quantità minime (microelementi). Secondo la legge del minimo, la crescita non avviene se di un microelemento manca anche solo la quantità minima richiesta.
La legge dei fattori limitanti considera, anziché gli elementi, i fattori ecologici e stabilisce che una specie non può popolare un certo ambiente se in esso si verifica mancanza, scarsa intensità o eccesso di un certo fattore ecologico. Per esempio, se una popolazione di prede (poniamo erbivori) dovesse ridursi per qualche causa al di sotto di una certa soglia, la popolazione di predatori (carnivori) non sarebbe più in grado di sopravvivere in quelle date condizioni.
L’ecosistema è l’unità ecologica fondamentale, formata da una comunità di organismi viventi in una determinata area (biocenosi) e dallo specifico ambiente fisico (biotopo), con il quale gli organismi sono legati da complesse interazioni e scambi di energia e di materia.
Un ecosistema comprende diversi habitat e differenti nicchie ecologiche.
L’habitat è il luogo fisico dove un animale o una pianta vivono normalmente, in genere caratterizzato da una forma vegetale o da un aspetto fisico dominante (per esempio, un corso d’acqua o una foresta).
La nicchia ecologica è il ruolo ecologico, o”funzione”, che ogni specie occupa all’interno di un habitat, cioè è uno spazio che include tutti gli aspetti dell’esistenza di quella
specie. Per esempio, una nicchia ecologica è definita dalle esigenze alimentari, dalle abitudini di vita e dalle interazioni della specie considerata con altre specie, oltre che dalle condizioni climatiche e chimico-fisiche. La nicchia ecologica è unica per ogni specie (per esempio, è noto il caso di cinque specie di uccelli insettivori che si procurano il cibo in differenti zone specifiche di una stessa specie di abete in Nordamerica).
I processi vitali che si svolgono negli ecosistemi sono basati su una rete di trasformazioni chimiche che comprendono:
Per assicurare il mantenimento di queste trasformazioni chimiche, e quindi della vita sulla Terra, l’ecosistema necessita di un flusso continuo di energia dall’esterno: questa viene fornita dal Sole e quindi si può considerare praticamente illimitata.
L’energia solare viene utilizzata dall’ecosistema mediante le piante verdi, in grado di sfruttarla per fabbricare da sé il proprio nutrimento: attraverso la fotosintesi le piante trasformano l’energia luminosa in energia chimica, utilizzandone una parte per i propri bisogni fisiologici e immagazzinando il resto.
Il trasferimento di energia agli altri organismi dell’ecosistema avviene attraverso le catene alimentari che collegano tra di loro i componenti della biocenosi.
Una catena alimentare è data dalla successione con cui alcuni organismi si alimentano di quelli che li precedono e, a loro volta, costituiscono alimento per quelli che li seguono. Secondo il posto occupato nella catena alimentare, gli organismi si collocano a diversi livelli trofici (alimentari): produttori, consumatori e decompositori.
I produttori sono il punto di partenza delle catene alimentari; sono le piante verdi e, più in generale, gli organismi autotrofi (comprendenti alcuni batteri, come i cianobatteri), che catturano l’energia dall’esterno e la rendono disponibile nell’ecosistema;
I consumatori sono distinti in primari, secondari, terziari ecc.
I decompositori sono costituiti da invertebrati, funghi e batteri che si nutrono di altri organismi morti, operandone la decomposizione in composti semplici, che sono rimessi in circolazione.
I consumatori e i decompositori, che devono procurarsi il nutrimento da materia organica preformata, sono eterotrofi.
Le diverse catene alimentari di un ecosistema sono integrate tra loro a formare complesse reti alimentari.
Il passaggio dell’energia attraverso l’ecosistema è unidirezionale, cioè va dai produttori ai consumatori e ai decompositori, e a ogni stadio una parte di energia si degrada, nel senso che viene dissipata sotto forma di calore ed è perduta dall’ecosistema. Nel passaggio da ogni livello trofico a quello successivo, quindi, la quantità di energia o, ciò che è lo stesso, di materia organica resa disponibile si riduce via via. Questa diminuzione di livello in livello viene rappresentata dalla cosiddetta piramide alimentare; in un ecosistema, la piramide alimentare è espressa, per ogni livello, in termini di biomassa, cioè di quantità in peso di materia organica secca (costitutiva degli organismi) per unità di superficie (la piramide alimentare riflette quindi la piramide dell’energia in un ecosistema).
Al flusso di energia si intrecciano i cicli biogeochimici, o cicli dei nutrienti: sono percorsi chiusi attraverso cui nell’ecosistema avviene la circolazione di elementi chimici tra ambiente fisico e organismi viventi.
Gli elementi indispensabili alla vita (come carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto, fosforo), presenti nelle molecole inorganiche che si trovano nell’ambiente fisico (rocce, suolo, aria, acqua), sono continuamente incorporati e trasformati in molecole organiche dagli organismi viventi attraverso le catene alimentari; in seguito, nel corso dei processi metabolici degli organismi in vita e nel corso dei processi di decomposizione dopo la morte, questi elementi sono di nuovo trasferiti in molecole inorganiche e restituiti all’ambiente.
La fonte principale, o serbatoio, di ogni elemento si trova in genere nell’ambiente non vivente. I cicli in cui il serbatoio è rappresentato dall’atmosfera (come quelli del carbonio e dell’azoto) sono detti cicli atmosferici; i cicli in cui il serbatoio è costituito dai sedimenti (come quello del fosforo) sono detti cicli sedimentari. I principali cicli biogeochimici sono il ciclo del carbonio , il ciclo dell’ossigeno, il ciclo dell’azoto, il ciclo del fosforo, dei quali vengono indicati di seguito gli stadi principali.
Il ciclo del carbonio si articola in quattro stadi:
Il ciclo dell’ossigeno comprende i seguenti stadi:
Il ciclo biogeochimico dell’azoto comprende i seguenti stadi:
Il ciclo biogeochimico del fosforo si articola nei seguenti stadi:
Una popolazione può subire nel tempo variazioni delle sue dimensioni (fluttuazioni): può aumentare in seguito all’eccedenza delle nascite rispetto ai decessi o in seguito all’immigrazione di nuovi individui, oppure può diminuire in seguito all’eccedenza dei decessi rispetto alle nascite o in seguito all’emigrazione di una parte degli individui.
I parametri con cui si analizzano le fluttuazioni di una popolazione sono: densità, il numero di individui di una popolazione per unità di spazio; tasso di natalità, il rapporto tra il numero di nuovi nati e il numero totale di individui nell’unità di tempo; tasso di mortalità, il rapporto tra il numero di individui deceduti e il numero totale di individui nell’unità di tempo.
Una popolazione si mantiene stabile se la natalità è bilanciata dalla mortalità. In un ecosistema, le dimensioni di una popolazione tendono a mantenersi stabili grazie a meccanismi di equilibrio demografico, che si instaurano tra il potenziale biotico della popolazione e la resistenza ambientale.
Il potenziale biotico è la capacità di incremento massimo di una popolazione: ogni individuo ha la capacità di lasciare una progenie numerosa, quindi la popolazione tende spontaneamente a crescere in modo costante, o esponenziale secondo il linguaggio statistico, cioè il numero degli individui si moltiplica a ogni generazione. La crescita esponenziale in realtà è solo teorica, in quanto lo sviluppo della popolazione è limitato dall’ambiente: ogni ecosistema possiede infatti una capacità biologica specifica, che esprime
il numero massimo di individui che l’ecosistema può sostenere per un lungo intervallo di tempo. La capacità biologica è determinata dalla quantità delle risorse disponibili, come cibo, spazio, luce, che sono ovviamente sempre limitate.
Per conservarsi stabile, una popolazione deve essere mantenuta al di sotto o a livello della capacità biologica dalla resistenza ambientale, definita come l’insieme di tutti i fattori che si oppongono alla crescita di una popolazione, causandone la riduzione della natalità o l’aumento della mortalità: possono essere fattori fisici, indipendenti dalla densità di popolazione, come le variazioni climatiche, o biotici come le interazioni tra le popolazioni, e quindi dipendenti dalla densità di popolazione.
In un ecosistema, ogni popolazione, oltre a instaurare strette relazioni con l’ambiente fisico (a cui ogni specie deve adattarsi con strategie morfologiche, fisiologiche e comportamentali), stabilisce con le altre popolazioni complesse interazioni, che vanno sotto il nome di competizione, predazione, simbiosi.
La competizione è la concorrenza tra individui della stessa specie (competizione intraspecifica) o di specie differenti (competizione interspecifica) viventi nella stessa area per la conquista di una risorsa (cibo, territorio, luce ecc.). Poiché le risorse di un ecosistema sono limitate, la competizione diventa un fattore fondamentale per mantenere l’equilibrio tra le popolazioni.
La competizione intraspecifica è la più pressante perché gli individui di una stessa specie hanno le stesse esigenze e gli stessi adattamenti e ciò li costringe a mettere in atto diversi comportamenti di competizione: competizione di lotta per la scelta del partner o per il territorio o per stabilire gerarchie di dominanza.
La competizione interspecifica è prevalente quando le diverse specie hanno esigenze simili, cioè quanto più occupano nicchie ecologiche simili, e quanto più aumenta la densità delle popolazioni vicine. Per evitare la competizione interspecifica ogni specie si concentra in una specifica parte dell’habitat e ne utilizza le risorse in modo esclusivo (principio di esclusione di nicchia).
La predazione è la cattura e l’uccisione a scopo alimentare da parte di alcuni animali (predatori) di altri animali (prede) di specie diverse.
La predazione è un fattore di controllo delle popolazioni che dipende dalla densità: infatti con l’aumento della popolazione di prede crescono le possibilità di cattura da parte dei predatori; inoltre, una popolazione di prede che supera la capacità biologica specifica dell’ecosistema è più vulnerabile, perché è indebolita dalla mancanza di cibo o dalla diffusione di parassiti.
Fra predatori e prede si sono instaurate, nel corso dell’evoluzione, spinte selettive reciproche che ne hanno determinato la coevoluzione: di fronte allo sviluppo di strategie di fuga e difesa da parte delle prede, i predatori hanno infatti dovuto sviluppare nuove strategie di attacco.
Le strategie sviluppate da prede e predatori includono:
La simbiosi è l’associazione di due organismi (simbionti) di specie diverse che interagiscono tra loro con vantaggio per entrambi o per uno solo di essi. Si distinguono varie forme di simbiosi, in base al tipo di rapporto tra i due organismi:
La successione ecologica è l’evoluzione di un ecosistema, dovuta all’avvicendamento nella stessa area di diverse comunità in relazione alla modificazione dell’ambiente fisico, causata a sua volta dall’azione degli organismi.
Il processo di successione tende al raggiungimento di un ecosistema stabile, o climax, dove sia massima l’omeostasi, cioè la capacità del sistema di assorbire le perturbazioni esterne (naturali o indotte dall’uomo) mantenendo integra la propria struttura. Nel corso di una successione, si possono osservare alcune tendenze generali. Secondo l’ambiente di partenza, si possono distinguere successioni primarie e secondarie.
La successione primaria ha luogo in aree mai abitate (per esempio, isole vulcaniche di recente formazione, dune sabbiose, colate laviche, superfici rocciose ecc.).
La successione ha inizio con l’insediamento di organismi pionieri (batteri, licheni), in grado di sopravvivere e riprodursi in ambienti poco ospitali e con scarse disponibilità alimentari. Gli organismi pionieri operano modificazioni nell’ambiente, soprattutto perché favoriscono la formazione di humus (produzione di sostanza organica, mobilizzazione di elementi minerali dal terreno, frantumazione del suolo). Tali modificazioni preparano l’insediamento della comunità successiva, con organismi più complessi e con maggiori esigenze ecologiche. Le interazioni di questi ultimi con l’ambiente producono ulteriori variazioni che consentono l’insediamento di altri organismi, e così via fino al raggiungimento della comunità climax.
La formazione di un ecosistema stabile dall’ambiente “nudo” richiede tempi lunghissimi: migliaia o decine di migliaia di anni.
La successione secondaria si instaura in aree già abitate e successivamente distrutte (per esempio, aree incendiate o sepolte da frane, coltivazioni abbandonate ecc.). Fin dagli stadi iniziali si possono insediare comunità più complesse, poiché generalmente l’evento che ha causato la distruzione dell’ambiente precedente non ha comunque impedito la conservazione di alcuni elementi, come semi o spore.
Non sempre la successione secondaria porta all’insediamento della comunità climax caratteristica della zona: spesso intervengono incendi, inondazioni o altri fattori di disturbo che portano alla situazione di massima stabilità consentita in quel caso (climax edafico). Dove vi sono, infine, comunità mantenute stabili dall’azione dell’uomo o degli animali domestici, si parla di disclimax o climax antropogenetico.
VARIABILI | VARIAZIONI |
numero specie | aumenta il numero delle specie, sia di autotrofi sia di eterotrofi |
biomassa | aumenta la biomassa totale |
suolo | aumenta la profondità del suolo e lo strato di humus, il materiale organico in decomposizione |
catene alimentari | le relazioni tra le catene alimentari diventano più complesse |
produttività | all'inizio è maggiore la produttività dell'ecosistema (autotrofia) rispetto alla respirazione (eterotrofia); in seguito la produttività diminuisce e aumenta invece la respirazione |
Le successioni tendono a una comunità finale detta climax, attraverso una serie di comunità di transizione, dette sere o stadi serali. Nel climax, la biomassa totale raggiunge il massimo valore e le specie sono in equilibrio con i propri competitori.
Le comunità climax sono influenzate dal clima e dalla geologia della regione. I biomi, come le foreste, i deserti o le praterie, sono esempi di comunità climax stabilitesi su ampie regioni geografiche, caratterizzate da condizioni ambientali simili e da comunità vegetali tipiche.
La biosfera è l’insieme costituito dagli ambienti fisici della Terra in grado di ospitare forme di vita e da tutti gli organismi che popolano tali ambienti.
Nella biosfera si riconoscono diverse zone geografiche caratterizzate da un clima, una vegetazione e una fauna propri: queste sono definite biomi. L’insieme dei biomi comprende l’intera varietà delle forme di vita della Terra. Le interferenze dell’attività umana a danno della biosfera sono determinate sia dall’immissione di sostanze chimiche che causano inquinamento, sia da perturbazioni fisiche del territorio (in particolare, la deforestazione, l’ampliamento di aree urbane e industriali, l’alterazione degli assetti idrogeologici). Tra le iniziative di tutela degli ambienti naturali si segnala l’istituzione di riserve naturali.
La biosfera è il sistema biologico che comprende tutti gli ecosistemi della Terra e che quindi si può considerare formata dall’insieme degli ambienti fisici del pianeta (terre emerse, o litosfera; acque, o idrosfera; aria, o atmosfera), che possono ospitare forme di vita, e delle comunità di organismi viventi che popolano tali ambienti.
La biosfera può essere immaginata come una sottile pellicola dello spessore di circa 20 km che circonda la superficie terrestre; fino a 10 km di altezza nell’atmosfera è stata rilevata la presenza passiva di polline e di spore, mentre nelle fosse oceaniche, a circa 10 km di profondità, è stata provata l’esistenza di batteri che vivono in assenza di luce e di ossigeno. La fascia della massima attività vitale degli organismi non supera tuttavia i 3000-4000 m negli ambienti montani e i 200 m di profondità negli ambienti marini (limite che corrisponde alla massima penetrazione della luce del Sole).
La biosfera si mantiene in condizioni di equilibrio stazionario; infatti possiede, come tutti i sistemi biologici, una capacità di autoregolazione che le permette di bilanciare le perdite di energia nello spazio con il continuo apporto di energia radiante del Sole, che viene trasformata in materia organica dalla fotosintesi delle piante.
Gli ecosistemi della Terra sono di una varietà straordinaria, tuttavia presentano elementi comuni, che sono da mettere in relazione all’influenza esercitata da alcuni fattori fisico-climatici ambientali, principalmente connessi alla disponibilità relativa di nutrienti, energia, acqua e alla temperatura media. Ciò fa sì che gli ecosistemi siano distribuiti sulla superficie terrestre secondo grandi raggruppamenti, aventi caratteristiche omogenee, detti biomi, e che rappresentino il primo livello di organizzazione della biosfera.
I biomi sono sistemi ambientali complessi, di ampia estensione geografica, costituiti da un insieme di ecosistemi, le cui comunità animali e vegetali hanno raggiunto, in una determinata area della superficie terrestre, una relativa stabilità in relazione alle condizioni ambientali.
Ogni bioma è caratterizzato principalmente dalle condizioni climatiche della regione e da una particolare vegetazione che ospita una tipica fauna (insieme delle specie animali).
Il clima è l’insieme delle condizioni meteorologiche medie di una regione della Terra nel corso dell’anno: le condizioni meteorologiche dipendono dagli elementi del clima, come temperatura, piovosità, che a loro volta dipendono da latitudine, altitudine, distanza dal mare ecc.
Per vegetazione si intende l’associazione di specie che caratterizza una certa regione (per esempio, vegetazione alpina, vegetazione mediterranea) in quanto è dominante rispetto all’insieme delle specie vegetali (che costituiscono la flora).
La distribuzione dei biomi sulla Terra segue quindi a grandi linee la distribuzione delle fasce climatiche, in una successione orizzontale che corrisponde alle diverse latitudini (distanza dall’equatore) e una successione verticale corrispondente alle diverse altitudini.
I biomi sono distinti in:
Si distinguono una tundra artica e una tundra alpina.
La tundra artica occupa circa il 20% delle terre emerse e si estende in una larga fascia tra la calotta polare artica e la foresta boreale ad aghifoglie, a latitudini comprese tra i 75° e il circolo polare (66° 33’ N). La massima estensione di suoli a tundra si trova nella fascia settentrionale della Siberia.
Il clima è caratterizzato da una stagione estiva molto breve (40-50 giorni), con temperature comprese tra 0 e 10 °C; durante il resto dell’anno le temperature sono sempre al disotto dello zero, toccando anche i -70 °C. I venti sono sempre intensi e le precipitazioni molto scarse. D’estate il terreno sgela solo superficialmente, per pochi decimetri; al di sotto di tale limite, il suolo è perennemente gelato (permafrost), perciò l’acqua di fusione dello strato superficiale non può essere assorbita dal terreno sottostante. Non è quindi possibile la crescita di alberi ad alto fusto, ma solo di una vegetazione bassa, costituita per lo più da licheni, muschi, sfagni e salici nani. In estate la tundra si popola di animali provenienti dalle regioni più meridionali (renne, volpi, lepri artiche, ermellini, pernici ecc.). La quota più consistente della fauna è costituita da insetti, che trovano un ambiente favorevole al loro sviluppo nei vasti acquitrini che ricoprono il suolo in estate.
La tundra alpina, molto simile per associazioni vegetali a quella artica, si trova alle alte altitudini, corrisponde al limite della vegetazione, oltre le praterie alpine, fino alle rocce nude o ai ghiacciai perenni.
La foresta è una vasta zona di alberi ad alto fusto.
Si distinguono le foreste decidue, in cui sono dominanti gli alberi che perdono le foglie d’inverno, e le foreste sempreverdi, in cui predominano alberi che mantengono le foglie tutto l’anno. Le foreste miste sono formate sia da alberi decidui sia da alberi sempreverdi.
Le foreste assumono caratteristiche diverse secondo la latitudine e l’altitudine a cui sono situate. Si distinguono le foreste di conifere, le foreste decidue di clima temperato e le foreste tropicali.
La foresta di conifere, detta anche taiga, occupa una fascia di circa 1500-2000 km tra il circolo polare artico, al limite inferiore della tundra, e il 50° parallelo nord, nel continente nordamericano e in Eurasia.
Il clima è caratterizzato da una stagione estiva calda e da una stagione invernale molto fredda.
Come vegetazione vi dominano le gimnosperme sempreverdi (abeti, pini) e decidue (larici), con sottobosco piuttosto rado; gli animali più caratteristici sono l’alce, il lupo, lo scoiattolo e il gallo cedrone.
In montagna, le foreste di conifere crescono oltre i boschi di latifoglie, fino a un’altitudine (variabile secondo le latitudini), detta limite della vegetazione arborea, oltre la quale non crescono piante ad alto fusto.
Le foreste decidue di clima temperato ricoprono parte dell’America nordorientale, l’Europa centrale, parte del Giappone e dell’Australia e la punta meridionale dell’America meridionale.
Il clima è caratterizzato da temperature miti e precipitazioni abbondanti distribuite uniformemente.
La vegetazione dominante è costituita da latifoglie decidue, come faggi, castagni, querce, con sottobosco fitto. Animali caratteristici sono cervi, cinghiali, linci, molte specie di uccelli.
Una volta molto più esteso, soprattutto nell’Europa centrale, è uno dei biomi più alterati dall’azione dell’uomo, che è intervenuto con ampie deforestazioni, sia per sfruttarne il legname, sia per ampliare le aree coltivabili.
In montagna, le foreste decidue occupano altitudini inferiori alle foreste di conifere.
Le foreste tropicali comprendono diverse tipologie di foreste della regione compresa fra i tropici del Cancro e del Capricorno.
Le foreste tropicali più note sono le foreste pluviali, che si estendono ad altitudini non troppo elevate in prossimità dell’Equatore: nell’America meridionale nel bacino del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco; in Africa nei bacini del Congo, del Niger e dello Zambesi; nella regione asiatica in India, Malesia, Borneo e nella Nuova Guinea.
Il clima di queste regioni è caratterizzato da una piovosità che supera i 200 cm di pioggia all’anno, ben distribuita nelle stagioni (spesso con l’alternanza di una o più stagioni secche).
È l’ambiente terrestre che ospita il più gran numero di spe cie diverse (biodiversità), con molte specie animali (soprattutto insetti e uccelli) e vegetali, soprattutto alberi molto alti, a latifoglie sempreverdi; sono caratterizzate da una stratificazione arborea che crea una fitta volta vegetale, per cui solo una minima quantità di luce arriva al suolo e quindi il sottobosco è rado. La foresta pluviale è uno degli ambienti maggiormente minacciati dalla deforestazione.
Comprendono ecosistemi dominati da associazioni di piante erbacee (per lo più graminacee), che formano un tappeto denso e continuo. Si distinguono praterie a erbe alte e
praterie a erbe basse.
Le praterie a erbe alte si estendono nelle zone a clima continentale delle medie latitudini, dove la quantità di acqua caduta con le precipitazioni bilancia quella persa per evaporazione e traspirazione; vi è quindi un accumulo di acqua nel suolo sufficiente solo allo sviluppo di isolati alberi. Ampie praterie di questo tipo si trovano nell’America settentrionale, nelle regioni settentrionali della Cina, in Argentina (pampa) e in Ungheria (puszta). Un particolare tipo di praterie di questo genere sono le savane dell’Africa tropicale, che vedono alternarsi lunghi periodi di siccità a forti piogge.
Le praterie a erbe basse, o steppe, si sviluppano nelle zone con clima più arido (sia caldo sia freddo): sono distribuite in due ampie fasce che si estendono oltre la zona equatoriale, fino alle latitudini di 55° N e 45° S. La steppa è caratterizzata da specie erbacee con una minore crescita in altezza, che tendono a formare raggruppamenti irregolari con ampi spazi di terreno scoperti, e qualche arbusto o albero basso isolati. Tra gli animalisono presenti canidi (volpi, coyote, lupi) e felini (puma, gatto selvatico).
Le praterie o pascoli alpini sono limitate alle regioni di alta quota, al di sopra del limite della vegetazione arborea, con climi molto freddi e ampia disponibilità di acqua nel suolo; vi dominano le graminacee e le ciperacee basse, ma sono presenti anche specie erbacee a fiore, muschi e licheni.
I deserti sono regioni molto aride che ricevono meno di 25 cm di pioggia all’anno (o una quantità superiore ma distribuita irregolarmente). Sono modellati dagli sbalzi di temperatura (l’escursione termica fra giorno e notte è assai forte), che frantumano le rocce, e dal vento, che trasporta i detriti più fini: si formano così deserti roccioso-pietrosi (reg) e deserti sabbiosi (erg), con le caratteristiche dune. Dal punto di vista ecologico si distinguono i deserti caldi e i deserti freddi.
I deserti caldi si trovano in Africa, Arabia, Australia; in queste zone possono affiorare falde acquifere intorno alle quali si sviluppano una vegetazione rigogliosa e insediamenti umani (oasi). I deserti freddi si trovano in Mongolia (deserto del Gobi).
Deserto erg marocchino |
Deserto reg della Mauritania |
Apparentemente privi di vita, i deserti ospitano comunità animali e vegetali con adattamenti particolari. Fra le piante vi sono piante annue, che crescono solo quando vi è una certa umidità; piante succulente come i cactus, che accumulano acqua nei tessuti; arbusti spinosi, che tendono a limitare al massimo la traspirazione; licheni e muschi.
Per sfuggire l’eccessiva calura, gli animali hanno in genere abitudini notturne o si rifugiano in tane o buche; comprendono soprattutto insetti, aracnidi, rettili; tra i mammiferi dei deserti caldi si ricordano gli orici, il topo delle piramidi e il fennec, o volpe del deserto.
I principali fattori ecologici che condizionano la presenza e il mantenimento dell’equilibrio in un ecosistema marino sono:
In mare vivono molte specie di organismi che si sono adattati a tre forme di vita principali: plancton, necton e benton.
Il plancton comprende vegetali (fitoplancton) e animali (zooplancton) che vivono sospesi nell’acqua; di dimensioni per lo più microscopiche, sono in genere dotati di scarsa capacità di movimento, per cui sono trasportati dalle correnti.
Il fitoplancton comprende alghe unicellulari (come le diatomee) e cianobatteri; sono i produttori primari dell’ecosistema marino (la loro produttività è maggiore rispetto alle grandi alghe pluricellulari che vivono sul fondo, o bentoniche).
Lo zooplancton comprende protozoi (foraminiferi e radiolari), meduse e ctenofori, crostacei (come cladoceri e copepodi) e tunicati, che possono costituire grandi colonie galleggianti; fanno parte dello zooplancton anche organismi allo stadio di uova o larva. Lo zooplancton riunisce i consumatori primari.
Il necton comprende gli animali sospesi nell’acqua in grado di nuotare attivamente vincendo la forza delle correnti: sono soprattutto pesci, alcuni molluschi cefalopodi (calamari), rettili come le tartarughe marine, mammiferi come foche e balene, delfini.
Il benton (o benthos) comprende gli animali e i vegetali che vivono sul fondo. Si può distinguere un fitobenton, costituito da alghe e da batteri, e uno zoobenton, composto dagli animali, con rappresentanti di quasi tutti i phyla.
In base alla capacità di spostamento si dicono sessili gli organismi che trascorrono la vita adulta fissati sul fondo, come alghe, poriferi (spugne), celenterati (coralli e madrepore, anemoni di mare), cirripedi incrostanti (balani); sedentari gli animali capaci di piccoli spostamenti sul substrato (come gli echinodermi: per esempio, le stelle di mare); vagile, la fauna capace di movimenti veri e propri sul fondo, come crostacei, molluschi e vermi.
Al benton appartengono anche organismi che si muovono nuotando, ma restano sempre nell’ambito del substrato a cui sono strettamente legati per il nutrimento o la riproduzione o in cui trovano riparo (molti pesci, molluschi e alcuni crostacei). Altri animali vivono all’interno del substrato (endobenton), nella sabbia e nel fango; sono soprattutto organismi scavatori e detritivori (policheti, bivalvi ecc.). Negli strati inferiori del mare vi sono anche i decompositori, in genere batteri che consumano i detriti di origine organica e i corpi morti degli organismi del necton e del plancton che cadono sul fondo: liberano enormi quantità di sostanze minerali arricchendo le acque più profonde.
Secondo la vicinanza alla costa, nell’ambiente marino si distinguono un dominio neritico e un dominio oceanico.
Il dominio neritico è la zona del mare più vicina alla costa; comprende, secondo la profondità:
Il dominio oceanico, o di oceano aperto, comprende, secondo la profondità:
Il dominio oceanico è l’ambiente marino meno produttivo, paragonabile ai deserti sulla terraferma: la bassa concentrazione di sali minerali nell’acqua non permette lo sviluppo di grandi concentrazioni di fitoplancton e di conseguenza delle comunità marine a esso legate. Sono comunque presenti alcune specie di grossi pesci (pesci pelagici, tra cui squali, pesci spada e tonni).
Nelle profondità oceaniche, le aree più pescose sono le zone di risalita, o di risorgenza, dove le correnti verticali riportano i sali nutrienti accumulati sul fondo fino alla zona fotica. Di notevole interesse ecologico sono infine le comunità dei “camini” (black smokers), sorgenti sottomarine che eruttano acqua calda nera di zolfo e sali minerali. Si trovano a notevoli profondità e ospitano inaspettatamente una ricca comunità di solfobatteri chemiosintetici (che sono quindi produttori primari), pesci rosati, piccoli granchi ciechi, mitili, giganteschi anellidi e anemoni di mare.
Gli ambienti di acqua dolce hanno un’estensione relativamente modesta; si dividono in ambienti di acque correnti (a corrente rapida, come i torrenti, e a corrente lenta, come i grandi fiumi e i laghi) e in ambienti di acque stagnanti (come paludi e stagni, in cui l’ossigenazione è scarsa).
I più estesi ambienti di acqua dolce sono i laghi, bacini continentali con stratificazioni nel senso della profondità simili a quelle del mare. Si distinguono infatti:
Anche i laghi contengono plancton, necton e benton; il plancton lacustre è più ricco di individui rispetto a quello marino, ma comprende un minor numero di specie.
Nei laghi delle regioni temperate tende a stabilirsi una stratificazione termica delle acque, dovuta a differenze di temperatura, e quindi di densità, dei diversi strati. Ciò impedisce la libera circolazione delle acque (e quindi dei sali minerali e dell’ossigeno), causando talvolta condizioni di anossia (mancanza di ossigeno) a livello del fondo e bassa concentrazione di sostanze nutritive negli strati superficiali, con rilevanti conseguenze ecologiche.
La biogeografia è la scienza che studia la ripartizione dei biomi sulla Terra, cioè la distribuzione degli esseri viventi sulla superficie terrestre e i fattori che la determinano. A seconda che l’oggetto di studio siano le specie vegetali o le specie animali, si distinguono una fitogeografia e una zoogeografia.
La fitogeografia, detta anche geografia botanica, geobotanica, o biogeografia vegetale, si occupa della distribuzione delle piante sulla Terra.
La distribuzione delle piante è largamente influenzata dal clima, e infatti le zone climatiche coincidono con le zone di distribuzione della vegetazione dominante.
La fitogeografia distingue la Terra in 6 regioni fitogeografiche principali.
REGIONE | FAUNA CARATTERISTICA |
neartica | capra delle nevi, antilocapra, caribù, ondatra |
paleartica | erinaceidi, cinghiale comune, daino comune, capriolo |
indo-malese | tarsidi, macaco, gibbone, orango, elefante indiano, gallo bankiva, pavone crestato |
neotropica | guanaco, vigogna, alpaca, pecari, bradipi, armadilli, formichieri, cavie, vampiri, nandù, tucani e colibrì |
etiopica o paleotropica | gorilla, scimpanzé, elefante africano, rinoceronte bianco, rinoceronte nero, o paleotropica leone, zebra, giraffa, struzzo, serpentario, lemuri (Madagascar) |
australiana | tutti i monotremi (echidna, ornitorinco ecc.), marsupiali (ma assenza dei mammiferi placentati tranne roditori e pipistrelli), emù, casuari, uccelli del paradiso |
La zoogeografia ha per oggetto di studio la distribuzione degli animali sulla Terra in rapporto alla loro storia evolutiva e alle modificazioni della crosta terrestre. La zoogeografia distingue 6 regioni zoogeografiche delle terre emerse, come indicato nella tabella in basso, caratterizzate da una certa omogeneità di popolamenti faunistici (in particolare uccelli e mammiferi), mentre la fauna marina, a causa della grande capacità di dispersione delle sue specie, segue solo in parte questa divisione (si distinguono infatti 4 regioni: tropicale, boreale, antiboreale, polare).
Da migliaia di anni, e in particolare dalla rivoluzione industriale, la specie umana altera più di ogni altra gli equilibri naturali, causando una rilevante riduzione della biodiversità e un peggioramento delle condizioni ambientali.
Si definisce biodiversità il numero totale delle diverse specie (e quindi il totale dei patrimoni genetici) presenti in un ambiente, della cui integrità è indice diretto.
Si stima che sulla Terra esistano da 5 a 30 milioni di specie vegetali e animali differenti, di cui ne sono state descritte solo 1,4 milioni. Le foreste pluviali, benché degradate dalle attività umane mantengono uno dei valori più alti di biodiversità (con più del 50% della biodiversità globale); al contrario, per esempio, un campo coltivato con una sola varietà di cereali ha una biodiversità molto bassa.
La diminuzione della biodiversità è provocata dall’estinzione delle specie dovuta sia a cause naturali (come le grandi estinzioni del passato, probabilmente per competizione e selezione naturale), sia, soprattutto nel ‘900, all’azione dell’uomo: molte specie sono scomparse in seguito alla caccia indiscriminata e più recentemente a causa di alterazioni dell’ambiente naturale e degli inquinamenti.
L’alterazione dell’ambiente da parte dell’uomo porta spesso alla distruzione di molti habitat naturali a causa sia delle diverse forme di inquinamento, sia di altri tipi di perturbazioni, quali la deforestazione e il pascolo eccessivo, che contribuiscono alla desertificazione, la compromissione dell’assetto idrogeologico del territorio, l’espansione degli insediamenti urbani, industriali e agricoli.
Si definisce inquinamento il complesso delle alterazioni arrecate all’ambiente (atmosfera, acque e suolo) da agenti che ne modificano le caratteristiche chimiche, fisiche o biologiche, in genere in senso sfavorevole alla vita. Benché possano verificarsi fenomeni di inquinamento dovuto a cause naturali (per esempio, l’immissione di gas e ceneri di origine vulcanica), il termine si riferisce oggi soprattutto alle alterazioni dannose provocate dall’azione dell’uomo, la specie che più di ogni altra è in grado di modificare l’ambiente.
Le sostanze inquinanti sono nocive all’ambiente sia per la loro intrinseca tossicità, sia perché immesse in dosi eccedenti la naturale capacità di autodepurazione degli ecosistemi.
Le sostanze inquinanti sono residui o sottoprodotti dell’attività industriale (produzione di energia o beni di consumo) e agricola (uso di fertilizzanti e pesticidi, deiezioni di animali) e rifiuti biologici civili.
Le cause dell’inquinamento sono da collegare a vari fattori in relazione tra loro, tra cui la crescita demografica, la progressiva concentrazione urbana e il conseguente aumento dei bisogni e quindi della produzione dei beni di consumo. Gli effetti dell’inquinamento continuo e incontrollato interessano il ritmo di crescita e lo stato di salute delle specie viventi e interferiscono con le catene alimentari; questi effetti, sommandosi alle alterazioni degli habitat, minano l’integrità della biosfera a diversi livelli: atmosfera, acqua e suolo.
I principali inquinanti atmosferici sono i prodotti dei processi di combustione di combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale), a cui si aggiungono gli incendi appiccati a scopo di disboscamento (pratica ancora diffusa nei paesi in via di sviluppo; per esempio, il disastroso incendio delle foreste dell’Indonesia nell’autunno 1997).
Le principali fonti di inquinamento atmosferico sono quindi gli impianti di riscaldamento domestico, i motori degli autoveicoli a combustione interna, gli impianti termici industriali, le centrali termoelettriche e gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi, che liberano nell’atmosfera diossido di carbonio, monossido di carbonio, diossido di zolfo, ossidi di azoto, piombo, particelle sospese, idrocarburi.
Numerosi altri settori industriali (chimico, metallurgico, estrattivo) sono responsabili dell’emissione di polveri e composti organici di varia natura (tra cui i clorofluorocarburi).
Inquinanti atmosferici sono anche i prodotti radioattivi artificiali dovuti, oltre che alle esplosioni atomiche sperimentali, a lavorazioni di sostanze radioattive per l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare, all’impiego di nuclidi radioattivi nella ricerca scientifica, nell’industria e in campo medico (considerando anche le fughe di radioattività da incidenti delle centrali nucleari).
Gli inquinanti possono diffondere negli strati alti dell’atmosfera oppure precipitare al suolo, portati dalle correnti atmosferiche anche a grandi distanze dalla sorgente inquinante, causando diversi effetti.
L’effetto serra è il fenomeno per cui l’energia emessa dalla superficie terrestre verso lo spazio (in prevalenza come radiazione infrarossa), per bilanciare il flusso di energia ricevuta dal Sole, viene parzialmente assorbita da alcuni gas presenti nell’atmosfera (detti gas serra; in particolare, il diossido di carbonio) e da questi irradiata nuovamente verso la Terra, come fanno i vetri di una serra.
Questo fenomeno mantiene sulla superficie terrestre una temperatura media maggiore di quella che ci sarebbe in assenza di atmosfera e permette così la vita. Tuttavia l’aumento dell’emissione da parte delle attività umane dei gas serra (oltre al diossido di carbonio, il metano, il protossido di azoto e i clorofluorocarburi, o CFC) rafforza l’effetto serra e potrebbe portare come conseguenza a un progressivo aumento della temperatura sulla Terra con disastrose modificazioni climatiche e sul regime delle acque).
L’ozono, una forma allotropica dell’ossigeno, è costituito da una molecola triatomica (O3); è un gas tossico, di colore bluastro e dal caratteristico odore acre; si forma dall’ossigeno per azione di scariche elettriche (per esempio, durante i temporali) o per azione dei raggi ultravioletti provenienti dal Sole: quest’ultimo processo avviene nella parte alta dell’atmosfera, la stratosfera, in una fascia compresa tra 15 e 40 km di altezza, particolarmente ricca di ozono (detta ozonosfera). L’ozono stratosferico ha un’importante funzione biologica, perché crea una barriera contro i raggi ultravioletti dannosi per gli esseri viventi. L’integrità dello strato di ozono è minacciata da una serie di contaminanti (tra cui, in particolare, i clorofluorocarburi) originati dall’attività umana.
Nell’atmosfera, le sostanze inquinanti gassose possono subire trasformazioni chimiche e formare prodotti che si sciolgono nelle goccioline di acqua delle nubi e, in seguito, essere trascinate al suolo con le precipitazioni. In particolare, l’acido solforico (H2SO4) e l’acido nitrico (HNO4), che si formano in seguito a reazioni di ossidazione rispettivamente del diossido di zolfo (SO2) e degli ossidi di azoto (NO + , NO2) provenienti dalla combustione di combustibili fossili, determinano l’aumento dell’acidità delle precipitazioni fino a un pH compreso fra 2 e 3 (piogge acide) rispetto ai valori normali (pH 5,6 circa, dovuto alla reazione tra il diossido di carbonio CO2 e l’acqua, con formazione di acido carbonico). Le piogge acide colpiscono soprattutto gli ecosistemi forestali (per esempio, indebolendo le difese delle piante ed esponendole all’attacco di agenti patogeni) e lacustri (l’aumento di acidità può ridurre il numero delle specie acquatiche). Nel suolo le piogge acide possono rendere solubile l’alluminio, che in forma di ioni ha effetto tossico sulle piante; asportare per dilavamento ioni calcio o altri elementi dal terreno. Inoltre sono responsabili di danni al patrimonio artistico e architettonico per l’azione disgregante delle pietre da costruzione calcaree (carbonato di calcio).
Nella bassa atmosfera certi composti chimici possono subire ossidazioni fotochimiche, cioè promosse dalla luce solare, e innescare una catena di reazioni responsabili dello smog fotochimico. Questo è dovuto soprattutto alle emissioni gassose di ossidi d’azoto e idrocarburi connesse al traffico automobilistico ed è favorito da una particolare condizione meteorologica, detta inversione termica: è un fenomeno per cui la temperatura dell’aria aumenta con l’altezza dal suolo; ciò impedisce i processi di rimescolamento dell’atmosfera con conseguente ristagno a bassa quota degli inquinanti in forma concentrata.
Una conseguenza dello smog fotochimico è l’aumento della concentrazione di ozono, tossico, nello strato più basso dell’atmosfera; inoltre i composti organici poco volatili possono condensare, formando una caratteristica nebbia di minuscole goccioline. Lo smog fotochimico produce sull’uomo effetti irritanti a carico degli occhi, della gola e delle vie respiratorie.
INQUINANTE | FONTE ED EFFETTI |
diossido di carbonio (CO2) | fonte: uso di combustibili fossili; combustione di materia organica; incendi a scopo di deforestazione; decomposizione di materia organica effetti sull'ambiente: effetto serra |
monossido di carbonio (CO) | fonte: combustioni incomplete (specialmente nei motori a combustione interna a benzina) effetti sulla salute: tossico, riduce la capacità dell'emoglobina di trasportare l'ossigeno ai tessuti (viene anche limitata l'acutezza visiva e l'attività mentale) |
diossido di zolfo (SO3) | fonte: uso di combustibili fossili (in cui sono presenti composti dello zolfo come impurezze); processi metallurgici effetti sulla salute: danni alle vie respiratorie; presente nello smog invernale effetti sull'ambiente: piogge acide |
ossidi di azoto: monossido di azoto (NO) diossido di azoto (NO2) | fonte: uso di combustibili fossili (specialmente nei motori a combustione interna); materia organica effetti sulla salute: danni alle vie respiratorie effetti sull'ambiente: contribuiscono allo smog fotochimico; piogge acide; diminuzione dello strato di ozono (nella stratosfera) |
protossido di azoto (N2O) | fonte: uso di fertilizzanti azotati; combustione di materia organica effetti sull'ambiente: effetto serra |
metano (CH4) | fonte: decomposizione in condizioni anaerobiche di materia organica (risaie); allevamento di bestiame; perdite durante l'estrazione di combustibili fossili effetti sull'ambiente: effetto serra; diminuzione dell'ozono (nella stratosfera) |
piombo | fonte: motori a combustione interna a benzina (con additivi contenenti piombo); alcuni processi industriali effetti sulla salute: saturnismo |
clorofluorocarburi | fonte: bombolette spray; fluidi frigoriferi; fabbricazione di materie plastiche espanse effetti sull'ambiente: diminuzione dello strato di ozono; effetto serra |
particelle sospese | fonte: processi di combustione; processi industriali effetti sulla salute: danni alle vie respiratorie (contribuiscono allo smog invernale) effetti sull'ambiente: diminuzione della trasparenza dell'aria |
idrocarburi | fonte: combustioni incomplete (specialmente autoveicoli); raffinerie di petrolio; movimentazione di combustibili e di solventi; evaporazione di idrocarburi effetti sull'ambiente: contribuiscono allo smog fotochimico |
Nel suo ciclo idrologico l’acqua è colpita da diverse forme di inquinamento, alcune dovute all’immissione diretta di sostanze contaminanti, altre all’ingresso indiretto nei corpi idrici di inquinanti provenienti dall’atmosfera (piogge acide) e dal suolo.
Le acque naturali possiedono un potere autodepurante che si manifesta nella capacità di decomporre biologicamente (biodegradare) le sostanze organiche di provenienza animale e vegetale e alcune sintetiche, oltre ai sali inorganici del fosforo e dell’azoto e a vari composti inorganici. Questa capacità è dovuta all’azione di microrganismi presenti nelle acque, che sono in grado di ossidare questi materiali, detti biodegradabili, demolendoli in molecole semplici che entrano nei cicli naturali biogeochimici.
I processi di autodepurazione avvengono in presenza di ossigeno, il cui consumo è gradualmente compensato dall’assorbimento di nuovo ossigeno dall’atmosfera. Se la richiesta di ossigeno di un corpo idrico è eccessiva, e quindi supera la capacità di riossigenazione, subentrano fenomeni putrefattivi (dovuti a microrganismi anaerobi) nel corso dei quali vengono liberate sostanze tossiche (solfuro di idro-
geno H2S; fosfina PH3; metano CH4); come conseguenza, si ha una degradazione dell’ecosistema acquatico. I principali inquinanti delle acque derivano da scarichi ur-
bani, industriali e agricoli.
L’eutrofizzazione è dovuta all’eccessivo apporto in un corpo idrico di sostanze nutritive (sali di azoto e di fosforo con-tenuti in fertilizzanti e detersivi), che provocano un’enorme proliferazione della vegetazione sommersa. La successiva decomposizione di questa vegetazione determina un impoverimento dell’ossigeno disciolto nelle acque del fondo e la conseguente morte di organismi e lo sviluppo di gas tossici. In particolari condizioni stagionali le acque di fondo prive
di ossigeno possono mescolarsi a quelle più superficiali, facendo abbassare il contenuto di ossigeno, tanto da non essere più compatibile con la vita e provocare imponenti morie di pesci.
Il petrolio è l’inquinante marino più diffuso a causa della pratica delle petroliere di scaricare in mare le acque di lavaggio delle cisterne, degli incidenti non rari che coinvolgono petroliere e dell’estrazione di petrolio dalle piattaforme marine.
Le acque possono essere inquinate anche dal calore, principalmente a causa del crescente impiego di acqua nei processi di raffreddamento delle industrie e soprattutto delle centrali termoelettriche e nucleari; l’acqua di raffreddamento, riscaldatasi, viene alla fine immessa in corsi d’acqua o bacini lacustri. L’aumento della temperatura dell’acqua ha come primo effetto la diminuzione della solubilità dell’ossigeno; inoltre accelera i processi di sviluppo delle forme di vita acquatica accentuando i processi di eutrofizzazione. Gli effetti più gravi sono dovuti agli improvvisi abbassamenti di temperatura che provocano, negli animali ormai adattati a un ambiente più caldo, i cosiddetti “stress freddi”, che possono anche essere letali.
effluenti urbani | contengono soprattutto sostanze organiche biodegradabili provenienti dal metabolismo umano, accanto a prodotti chimici di varia natura (tra cui solventi organici) derivati da attività artigianali e commerciali e dall'impiego domestico di prodotti, quali i detersivi; hanno elevato contenuto di microrganismi patogeni (colibatteri e streptococchi fecali) |
effluenti industriali | possono contenere una vasta serie di composti chimici inquinanti, inorganici e organici, provenienti dalla produzione di varie attività industriali (principalmente chimica, farmaceutica, petrolchimica, cartaria, tessile, galvanica, conciaria e alimentare); gli inquinanti inorganici comprendono acidi e basi forti, solfuri, cianuri, fluoruri, solfiti, sali metallici e non, metalli tossici (arsenico, cadmio, cromo esavalente, rame, mercurio, nichel, piombo, selenio); gli inquinanti organici includono oli minerali, fenoli, solventi (aromatici, clorurati e azotati) e, per quanto riguarda l'industria alimentare, materiali organici biodegradabili |
effluenti agricoli | provengono dallo smaltimento di deiezioni animali degli allevamenti (in particolare suini) non utilizzate come concimi naturali; a queste si sommano fertilizzanti e antiparassitari, che mediante la pioggia sono in parte trascinati nei corsi d'acqua superficiali e in parte possono penetrare nel terreno fino a raggiungere la falda acquifera, contaminando l'acqua potabile |
Lo smaltimento nelle discariche dei rifiuti solidi urbani comporta il degrado del territorio e il rischio di infiltrazioni nel terreno di sostanze tossiche; l’incenerimento dei rifiuti causa inquinamento atmosferico. È diventata pertanto in dispensabile la raccolta differenziata per effettuare quanto possibile il riciclo delle materie prime (carta, plastica, vetro…).
Altra fonte di inquinamento possono essere i fanghi provenienti dagli impianti di depurazione delle acque luride delle città e delle lavorazioni industriali.
L’uso di antiparassitari e fertilizzanti può causare il bioaccumulo di sostanze tossiche (come arsenico, cadmio, piombo) nella catena alimentare.
La deforestazione impoverisce il suolo, influisce sulla piovosità e causa un probabile aumento dell’effetto serra.
In vaste regioni, soprattutto tropicali, lo sfruttamento eccessivo dei terreni marginali per l’agricoltura o il pascolo porta alla desertificazione.
Cattive pratiche agricole, costruzioni in terreni a rischio, eccessivo sfruttamento dei terreni causano l’erosione del suolo.
Come si è visto, la biosfera è in grado di mantenere un equilibrio globale: l’azione dell’uomo è tuttavia spesso più veloce della capacità di risanamento naturale. Poiché è impensabile impedire gli interventi umani, è opportuno frenarne le conseguenze, con un’accurata gestione del territorio, la protezione delle specie dall’estinzione e la conservazione dei diversi ambienti in cui vivono.
Oltre che all’educazione di ciascuno di noi, la tutela della natura è affidata a organizzazioni internazionali e agli istituti di conservazione del territorio, o riserve naturali.
Le riserve naturali sono territori di ampiezza varia (compreso il sottosuolo o le acque) che per ragioni di interesse generale o scientifico, estetico o educativo sono sottratte al libero intervento dell’uomo e poste sotto il controllo dei poteri pubblici; garantiscono la protezione e la conservazione dei caratteri naturali fondamentali. Comprendono: