La filosofia può essere definita come la scienza del tutto, di tutto l’essere e di tutta l’esistenza, mentre le scienze particolari studiano settori circoscritti e determinati della realtà. Dal punto di vista metodologico, la filosofia utilizza procedimenti razionali e rigorosi, fondati su evidenze logico-concettuali, laddove le scienze della natura, quelle logico-matematiche e quelle dell’uomo, oltre a questi metodi, ricorrono all’esperimento. Se le discipline scientifiche hanno, sostanzialmente, obiettivi pratico-conoscitivi, la filosofia ricerca un sapere che abbia un senso per l’uomo e per la sua vita.
Anche la religione si pone il problema del senso della vita dell’uomo, ma la risposta viene cercata ed elaborata sulla base di credenze o verità accettate per fede e non raggiunte o dimostrate razionalmente. 1.1.3 Scienza e Saggezza Platone, che per primo sottolinea il duplice aspetto della ricerca filosofica (un sapere che vuol essere scienza, ma a un tempo anche saggezza), precisa il carattere più propriamente scientifico della filosofia, affermando che il filosofo aspira “all’intero e alla totalità sia nella sfera del divino che dell’umano”. .
La filosofia come ricerca di un senso universale dell’essere, del fondamento e quindi, in ultima istanza, come scienza del divino attraversa largamente tutta la storia del pensiero occidentale, trovando il suo apice nell’idealismo romantico.
Nella filosofia moderna, in coincidenza con la nascita della scienza, si trova anche un’altra interpretazione del ruolo e della funzione della filosofia, che a partire da F. Bacone, passa nel positivismo e poi nel neoempirismo: la filosofia come “madre di tutte le scienze”, con il compito di unificare e vagliare gli esiti e i metodi delle scienze particolari.
Non lontano da questa prospettiva si pone quella interpretazione che da J. Locke, attraverso D. Hume, giunge a I. Kant, della filosofia come dottrina generale della conoscenza, come indagine critica dei limiti e delle possibilità del sapere umano.
Ma al di là delle diverse interpretazioni, è possibile rintracciare alcune problematiche fondamentali, di cui la filosofia si è sempre occupata: il problema metafisico, il problema morale, il problema politico, il problema scientifico, il problema religioso, il problema artistico.
Il termine metafisica, coniato da Andronico di Rodi nel sec. I d.C. per indicare nell’edizione delle opere aristoteliche gli scritti posti dopo la Fisica e aventi per oggetto le realtà sovrasensibili, è passato per analogia a indicare quella disciplina che ha per tema esplicitamente l’ente in quanto ente, studiandone le caratteristiche e i significati fondamentali.
Nella storia della filosofia la metafisica è stata interpretata come teologia razionale, come ontologia e come gnoseologia.
Platone è artefice della prima netta distinzione fra realtà fisica, caratterizzata da una mescolanza di essere e non essere, e realtà soprasensibile, costituita dalla purezza d’essere.
Aristotele è invece il primo filosofo che fa dell’essere in quanto essere l’oggetto di una disciplina precisa: la “filosofia prima” con la duplice valenza di ontologia, che indaga i caratteri fondamentali dell’essere e ne distingue gli attributi necessari da quelli contingenti, e di teologia razionale, che studia l’essere eterno, incorruttibile e trascendente, il Motore immobile, o Dio.
I filosofi medievali intendono la metafisica sostanzialmente come teologia razionale, cioè come riflessione razionale su Dio, sui suoi attributi e sui rapporti tra il mondo fisico e il mondo metafisico.
La filosofia moderna, oltre al tentativo di affrontare il sapere metafisico a partire dallo statuto epistemologico delle “scienze esatte”, diffonde la convinzione che l’essere reale è di là dal pensare e dunque inconoscibile nella sua immediatezza.
Kant, in particolare, “dimostra” l’impossibilità di oltrepassare il mondo dei fenomeni e anche della metafisica, poiché essa è la scienza dell’essere in quanto essere, e la riduce a gnoseologia con il compito di indagare le caratteristiche e i limiti della conoscenza umana.
Una metafisica in senso teologico venne elaborata da G.W.F. Hegel, che le attribuisce come oggetto proprio l’infinito (cioè Dio), che si esplica nella storia come necessità dialettica totalizzante.
Nel ‘900 particolarmente interessante è la riflessione ontologico-fenomenologica di M. Heidegger, per la sua insistita proclamazione dell’”oltrepassamento” della metafisica, in nome di un pensiero “meditativo” e “poetante”.
Il dibattito contemporaneo sulla metafisica è diventato un dibattito tendenzialmente epistemologico, anziché ontologico. Ci si interroga, cioè, non su che cosa sia l’essere ma su come dirlo.
Il problema della condotta umana,dei valori e delle motivazioni a cui si ispira, ha da sempre interessato la riflessione filosofica, che ne ha fatto oggetto di una vera e propria disciplina, l’etica, o filosofia morale, che si differenzia dalla morale, che è invece l’insieme dei valori e delle regole condivise da un gruppo sociale in una determinata epoca storica.
L’etica, o filosofia morale è quindi la dottrina filosofica che ha per oggetto queste regole storicamente condivise e unisce alla loro descrizione (aspetto descrittivo) una trattazione di tipo normativo (aspetto normativo) che indica i valori e i criteri ideali che devono essere seguiti.
Le teorie etiche sono numerose, ma nel corso della storia della filosofia si posso- no rintracciare due modelli fondamentali: uno di tipo teleologico (cioè fondato sul “fine”: télos in greco) e uno di tipo deontologico (cioè fondato sul “dovere”: déon in greco).
L’etica teleologica può essere definita come la scienza dei fini a cui deve conformarsi l’agire dell’uomo e dei mezzi da utilizzare per conseguirli. Sia i fini, sia i mezzi vengono dedotti dalla natura o essenza dell’uomo, che rappresenta l’ideale a cui tende la condotta umana. Il bene è concepito come una realtà perfetta e realmente esistente e come piena e necessaria realizzazione della natura umana. L’etica di Aristotele è l’esempio più famoso di questa impostazione.
L’etica deontologica parte dal presupposto che la natura umana e il fine della sua condotta siano inconoscibili ma, al tempo stesso, non vuole rinunciare a costruire un’universalità delle regole, o norme di comportamento, il cui fondamento è posto nel soggetto. L’etica, di fatto, diviene la scienza dei moventi della condotta umana e il bene è la regola o il motivo della condotta di fatto. L’esempio più illustre è la dottrina morale di I. Kant.
Nel dibattito contemporaneo si assiste al confronto fra etiche speciali, cioè applicate a specifici problemi, e approcci di natura più “fondativa”. In entrambi i settori è spesso presente l’intenzione di considerare l’etica come l’ambito in cui la filosofia possa finalmente realizzare quell’accordo tra gli uomini che le teorie intorno al senso della totalità dell’essere non riescono più a conseguire.
Il termine politica fin dalle origini ha indicato propriamente quel tipo di potere che si esercita su uomini liberi e uguali, si fonda sul loro consenso e ha per fine il bene dei governanti e dei governati.
o artificiale dell’uomo La problematica politica è stata considerata da alcuni filosofi – come, per esempio, Aristotele e Tommaso d’Aquino – una dimensione naturale dell’uomo; da altri – per esempio, T. Hobbes – una costruzione artificiale dell’uomo.
La politica intreccia un aspetto teorico, che studia criticamente le forme di governo e le regole su cui di fatto si esercita il potere, a un aspetto pratico, che sulla base dell’analisi teorica punta al conseguimento e al cambiamento del potere politico.
La filosofia politica, invece, concerne la convivenza sociale e l’arte di governare tale convivenza, sottoponendo a indagine critica razionale le istituzioni e le pratiche sociali esistenti.
La filosofia politica contemporanea ha messo in luce la complessità del fenomeno politico, la cui comprensione critica richiede il collegamento con altri ambiti dell’esperienza umana.
La convivenza sociale e politica è caratterizzata anche da un altro importante fenomeno: il diritto cioè quell’insieme di regole, relative al comportamento intersoggettivo, con lo scopo di rendere possibile la coesistenza degli uomini.
Il termine scienza, sebbene nel linguaggio attuale sia diventato sinonimo di scienza sperimentale, può essere intenso in senso lato come un insieme di conoscenze che includono in sé una garanzia della propria validità. In questa accezione la qualifica di scienza è stata rivendicata da sempre dalla filosofia.
Con Galilei e Newton si apre un dibattito metodologico che porta alla nascita della scienza moderna e alla sua differenziazione dalla filosofia sulla base dei grandi successi ottenuti dalla ricerca sperimentale e dei presupposti antimetafisici della filosofia moderna.
È solo dall’800 che si è costituita una disciplina specialistica autonoma, la filosofia della scienza, o epistemologia, che studia lo statuto delle teorie scientifiche. Come campo disciplinare autonomo essa nasce intorno al 1920-30 per opera del neopositivismo.
Il primo grande dibattito si scatena intorno al processo di liberalizzazione dell’empirismo, che negli anni ‘30 segna il passaggio dalla fase del positivismo logico a quella dell’empirismo logico e l’affermazione del principio di verificazione empirica quale criterio di verità delle teorie scientifiche.
Un indirizzo parzialmente diverso è il falsificazionismo di Popper, la cui tesi centrale è che ogni teoria è accettabile soltanto fino a che un asserto di base implicato da quella ipotesi sarà stato smentito dall’osservazione.
Un indirizzo parallelo al falsificazionismo è l’epistemologia storica francese, che si concentra sulla trasformazione dei concetti nella storia delle scienze.
Il saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn (1962) apre una prospettiva relativistica, estremizzata dall’anarchismo metodologico di Feyerabend.
La compatibilità con altre teorie accettate, la semplicità e la qualità estetica sono i criteri per scegliere la migliore fra due teorie diverse che rendono conto degli stessi fenomeni.
Sia per gli empiristi logici (verificazionisti), sia per Popper (falsificazionista) la spiegazione scientifica consiste nel ricondurre enunciati particolari sotto enunciati generali in una catena deduttiva, in cui l’enunciato di base è deducibile da una legge generale. Questo modello della spiegazione viene messo in crisi dall’emergere di nuove prospettive, come l’olismo di Feyerabend, il modello della rete di Hesse, il nocciolo metafisico di asserti non direttamente falsificabili di Lakatos.
Per religione si intende un insieme di credenze e di atti di culto che esprimono il rapporto dell’uomo con il divino. Nella sfera religiosa è possibile distinguere due atteggiamenti: * atteggiamento interiore o privato relativo alla credenza della salvezza, di cui la religione offre una garanzia soprannaturale (religione naturale) * atteggiamento pubblico e istituzionalizzato: la religione indica anche le tecniche per poter raggiungere la salvezza, che coincidono con gli atti e le pratiche di culto, oggettive e pubbliche (religione positiva)
La filosofia ha sempre affrontato il problema del significato e del valore di verità della religione. Le diverse interpretazioni filosofiche sono state elaborate sulla questione dell’origine e della funzione della religione.
In senso generale per teologia si intende il complesso delle conoscenze che ha per oggetto la divinità o gli dei, la religione, il culto e i miti.
Nella Grecia classica la teologia si contrappone alla filosofia perché designa lo stadio mitologico precedente il sapere scientifico.
Per Aristotele, invece, la teologia coincide con la “scienza prima”, cioè con la metafisica, perché si occupa dell’essere in quanto essere e delle sostanze immobili ed eterne, cioè di Dio.
In ambito cristiano è Clemente Alessandrino a inaugurare l’uso del termine come “dottrina della fede”, contrapposta alla mitologia, ma né i Padri della Chiesa né i primi filosofi medievali stabiliscono una netta distinzione fra teologia e filosofia.
Solo in epoca medievale la teologia vuole essere una riflessione scientifica sulla fede cristiana: la teologia scolastica rivendica per sé un carattere sistematico, uno statuto scientifico e un ruolo egemone nello scenario delle scienze.
La teologia della pura fede di Lutero, con il conseguente primato delle Scritture sulla speculazione teologica, sono tra i fattori principali che concorrono a sancire la fine della sintesi teologica medioevale e a produrre la separazione di filosofia e teologia. In ambito cattolico, dopo il concilio di Trento, si sviluppa una t teologia controversistica di tipo positivo, finalizzata a stabilire la vera dottrina rivelata indipendentemente dall’aspetto speculativo e razionale.
Nel ‘700 e nell’800 si assiste da un lato alla critica illuministica, materialistica e immanentistica del fenomeno religioso, ma dall’altro alla sua rivalutazione da parte del romanticismo e dello storicismo, mentre in ambito teologico si impone la complessa questione di superare la frattura fra cristianesimo e cultura (F.D.E. Schleiermacher, H.J. Newman, A. Rosmini, il protestantesimo liberale, il modernismo), sulla base della centralità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo.
Nel ‘900 oltre alla c contestazione filosofica del fenomeno religioso (K. Marx, F. Nietzsche e S. Freud) si assiste alla sua riabilitazione in virtù del ruolo fondamentale svolto nella costruzione sociale (E. Durkheim, M. Mauss, R. Girard, la scuola di Francoforte)
L’esperienza artistica è stata oggetto, fin dalle origini, della riflessione filosofica, inglobata, però, in ambiti e in trattazioni diverse: solo nel ‘700, infatti, nasce l’estetica come disciplina filosofica autonoma che ha per oggetto il bello e l’arte.
Nell’antichità il concetto di arte era strettamente correlato con la pratica e la fattualità, era tutt’uno con la tecnica.
A partire dal sec. I d.C. si chiamano arti liberali sette discipline, distinte da Marciano Capella in trivium (grammatica, retorica, logica) e quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia, musica), che strutturano per più di un millennio il curriculum di studi. Il termine ars continua a indicare non solo le arti liberali, ma anche i mestieri che noi oggi definiamo “artigianali”.
Nell’800 e nel ‘900 si è consolidato il riferimento dell’arte alla bellezza, riservando i termini di artigianato, mestiere, tecnica per gli altri significati.
Solo a partire dal sec. XVIII la riflessione sulla bellezza è stata sistematicamente collegata con l’estetica.
Nell’antica Grecia viene elaborata una dottrina della bellezza, che però non è connessa organicamente con l’esperienza artistica. I pitagorici identificano il bello con la simmetria e la proporzione. Platone collega la bellezza all’eros quale forza in grado di portare l’uomo all’idea di bene e di manifestare sensibilmente l’assoluto. Per Plotino la bellezza è l’unica idea “visibile”, capace di guidare l’anima nel suo “metafisico cammino di ritorno” all’Uno, “fonte di ogni bellezza”.
Il Medioevo ha in generale una concezione del bello ancora più unilateralmente oggettivistica dell’antichità. Il Rinascimento identifica il bello in una caratteristica obiettiva, ottenibile artisticamente e conoscibile criticamente.
La ribellione contro le regole formali in nome della percezione del soggetto porta nel sec. XVIII alla fondazione dell’estetica come disciplina autonoma e alla connessione sistematica di bellezza e arte.
Il bello viene identificato dapprima con la perfezione sensibile della rappresentazione artistica (A.G. Baumgarten) e successivamente con il piacere da essa suscitato (E. Burke). I. Kant lega la bellezza al piacere estetico, inserendola in un ambito autonomo e distinto dai valori morali e conoscitivi: la facoltà del sentimento.
L’estetica romantica identifica definitivamente l’arte con il bello, interpretandolo come manifestazione di verità. In generale, dopo Hegel si giunge a un rovesciamento fondamentale: l’estetica da “scienza del bello” diventa prevalentemente “scienza dell’arte”, nella quale il bello non occupa più un posto centrale.
Nell’estetica contemporanea è stata rimarcata la distinzione fra la bellezza come sinonimo di valore estetico in generale e la bellezza come un valore fra altri.
Il termine estetica indica sia la riflessione filosofica sull’esperienza del sentire, sia la riflessione filosofica sulle opere d’arte e sul fare artistico (fondatore dell’estetica come disciplina filosofica specifica è A.G. Baumgarten).
Nel sec. XVIII l’ambito dell’estetica da quello vasto di “scienza della conoscenza sensitiva” si sposta a quello più limitato di “filosofia dell’arte”. Per Kant l’estetica si presenta, da un lato, come teoria delle condizioni a priori della conoscenza sensibile e dall’altro come teoria del sentimento, del gusto, della bellezza, del genio.
È il movimento romantico e quindi l’idealismo a intendere l’estetica come filosofia dell’arte, che però all’inizio dell’800 non si configura ancora come disciplina autonoma.
Nel ‘900 l’estetica tenta di conquistare la sua autonomia. B. Croce e G. Gentile considerano l’estetica come filosofia dell’arte ma la riducono a momento di un più ampio sistema. La scuola di Francoforte conserva l’autonomia della dimensione estetica soltanto a livello di ideale regolativo o di riscatto utopico dall’alienazione borghese. M. Dessoir distingue i campi dell’estetico e dell’artistico per poi coglierne le intersezioni.
Un’impostazione particolare dell’estetica è elaborata da M. Heidegger, che interpreta l’arte come “la messa in opera della verità”, perché è in essa che si manifesta il senso del rapporto dell’uomo con il mondo.
La filosofia contemporanea tende a cogliere nell’interpretazione delle opere d’arte un luogo privilegiato per la riflessione sul senso del mondo e dell’esistenza umana.