« There she blows!-there she blows! A hump like a snow-hill! It is Moby Dick! »
« Laggiù soffia! Laggiù soffia! La gobba come una montagna di neve! È Moby Dick! » (Dal capitolo 133, La caccia)
Moby Dick o La balena (Moby-Dick; or, The Whale) è un romanzo del 1851 scritto da Herman Melville.
Il libro, capolavoro della letteratura americana della cosiddetta American Renaissance, fu pubblicato in due versioni differenti nel 1851: in ottobre a Londra - dall’editore Bentley - col titolo The Whale (“La balena”) con modifiche fatte dall’autore e dall’editore per emendare il testo dalle parti considerate oscene, blasfeme e dalle ironie verso la Corona britannica; in novembre a New York - presso l’Editore Harper & Brothers - col titolo definitivo Moby-Dick, or The Whale (“Moby Dick, ossia la balena”), ma soggetta a vari passaggi di mano ed errori di copiatura.
Il romanzo, scritto in un anno e mezzo, fu dedicato all’amico Nathaniel Hawthorne. Fu un fallimento commerciale: alla morte di Melville, nel 1891, l’opera era fuori stampa, e ne erano state vendute circa 3200 copie.. Fu riscoperto solo negli anni Venti del ‘900.
In una lettera a Hawthorne, Melville definiva il suo romanzo come il “libro malvagio” poiché il protagonista del racconto era il male, della natura e degli uomini, che egli però voleva descrivere senza rimanerne sentimentalmente o moralmente coinvolto.
La storia è quella della nave condannata ad essere affondata da una balena gigante: il viaggio della baleniera Pequod, comandata dal capitano Achab, a caccia di balene e capodogli, e in particolare dell’enorme balena bianca - in realtà un capodoglio - che dà il titolo al romanzo, verso la quale Achab nutre una smisurata sete di vendetta. In Moby Dick oltre alle scene di caccia alla balena, si affronta il dilemma dell’ignoto, del senso di speranza, della possibilità di riscattarsi che si può presentare da un momento all’altro. Alla paura e al terrore e alle tenebre, si affiancano lo stupore, la diversità, le emozioni che convivono insieme in questo romanzo di avventure: interiorizzando tutte le questioni, Melville vi profuse riflessioni scientifiche, religiose, filosofiche - il dibattito sui limiti umani, sulla verità e la giustizia - e artistiche del narratore Ismaele, suo alter ego e una delle voci più grandi della letteratura mondiale, che trasforma il viaggio in un’allegoria della condizione della natura umana e al contempo in una parabola avvincente dell’imprudente espansione della giovane repubblica americana.
Sul modello dell’opera settecentesca Tristram Shandy di Laurence Sterne, demistificatore del romanzo, genere letterario più in voga ai suoi tempi, anche l’opera di Melville vuole essere fuori dagli schemi tradizionali narrativi: il contenuto enciclopedico e allo stesso tempo fortemente digressivo richiede che la lettura sia accompagnata dall’interpretazione, in quanto l’autore utilizza un gran numero di citazioni di storie epiche, shakespeariane, bibliche che rendono Melville quasi un precursore del modernismo, come quello in particolare di James Joyce.
Moby Dick fu tradotto in italiano per la prima volta nel 1930 dallo scrittore Cesare Pavese che non riuscì a farlo pubblicare. Solo nel 1932 l’editore Carlo Frassinelli lo fece stampare nella sua neonata casa editrice come primo titolo della collana Biblioteca europea diretta da Franco Antonicelli. Nel 2010, Giuseppe Natali ha pubblicato una traduzione per UTET avvalendosi della Longman Critical Edition (a cura di John Bryant e Haskell Springer), che mette a confronto le due edizioni del 1851. A fine 2015, per Einaudi, è stata pubblicata l’ultima traduzione, opera di Ottavio Fatica. Le versioni italiane hanno cercato di integrare le due differenti edizioni - inglese e americana - che differiscono per centinaia di varianti, più o meno importanti.
Poiché l’edizione inglese mancava dell’Epilogo, che racconta la salvezza di Ishmael, sembrava che la storia fosse raccontata da qualcuno che si supponeva fosse perito. Il fatto fu riconosciuto da molti recensori britannici come una violazione delle regole delle opere di fiction e una seria pecca dell’autore
Tornato a New York nell’autunno del 1844, e determinato ad affermarsi come scrittore, Melville pubblicò due racconti che furono bene accolti: Typee e Omoo, basati sul suo vagabondare sull’Oceano Pacifico che possono considerarsi l’anteprima del romanzo Moby Dick, pubblicato nel 1851, durante il periodo che è stato chiamato il Rinascimento americano, il quale vide la pubblicazione di opere letterarie come La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne (1850), La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe (1852) così come Walden (1854) di Henry David Thoreau e la prima edizione di Foglie d’erba di Walt Whitman (1855).
Due avvenimenti reali costituirono la genesi del racconto di Melville. Il primo è l’affondamento nel 1820 della baleniera Essex di Nantucket, dopo l’urto con un enorme capodoglio a 3200 km dalla costa occidentale del Sud America. Il primo ufficiale Owen Chase, uno degli otto sopravvissuti, riportò l’avvenimento nel suo libro del 1821 Narrazione del naufragio della Baleniera Essex di Nantucket che fu affondata da un grosso capodoglio al largo dell’Oceano Pacifico.
Il secondo evento fu la presunta uccisione, attorno al 1830, del capodoglio albino Mocha Dick nelle acque al largo dell’isola cilena di Mocha. Si raccontava che Mocha Dick avesse venti o più ramponi conficcatigli nel dorso da altri balenieri e che sembrava attaccare le navi con una ferocia premeditata come raccontò l’esploratore Jeremiah N. Reynolds, nel maggio 1839 sul The Knickerbocker.
Il narratore, Ismaele, è un marinaio in procinto di partire da Manhattan. Nonostante «sia oramai piuttosto vecchio del mestiere» per le esperienze vissute nella marina mercantile, questa volta ha deciso che per il suo prossimo viaggio s’imbarcherà su una baleniera. In una notte di dicembre giunge così alla Locanda dello Sfiatatoio, presso New Bedford (Massachusetts), accettando di dividere un letto con uno sconosciuto al momento assente. Quando il suo compagno di branda, un tatuatissimo ramponiere polinesiano chiamato Queequeg, fa ritorno a ora tarda e scopre Ismaele sotto le sue coperte, i due uomini si spaventano reciprocamente. Diventati presto amici, i due decideranno di imbarcarsi assieme dall’isola di Nantucket sulla Pequod un «…bastimento vecchio e inusitato… una nave della vecchia scuola, piuttosto piccola… Stagionata e tinta dalle intemperie di tutti e quattro gli oceani. Un veliero cannibale, che si ornava delle ossa cesellate dei suoi nemici» con le quali è stata adornata. La nave è equipaggiata da 30 marinai di ogni razza e provenienti da ogni angolo del pianeta.
É comandata da un inflessibile capitano quacchero, chiamato Achab, che sembra non essere sulla nave, descritto da uno degli armatori come «un grand’uomo, senza religione, simile a un dio», il quale «è stato all’università e insieme ai cannibali». Poco dopo sul molo i due amici s’imbattono in un misterioso uomo dal nome biblico di Elia che allude a future disgrazie che colpiranno Achab. Il clima di mistero cresce la mattina di Natale quando Ismaele vede delle oscure figure nella nebbia vicine al Pequod, che proprio quel giorno spiega le vele. All’inizio sono gli ufficiali della nave a dirigere la rotta, mentre Achab se ne sta rinchiuso nella sua cabina. Il primo ufficiale è Starbuck, un Quacchero serio e sincero che si dimostra anche un abile comandante; in seconda c’è Stubb, spensierato e allegro, sempre con la sua pipa in bocca; il terzo ufficiale è Flask, tozzo e di bassa statura e del tutto affidabile. Ciascun ufficiale è responsabile di una lancia con il proprio ramponiere.
Una mattina, qualche tempo dopo la partenza, finalmente Achab compare sul cassero della nave. La sua è una figura imponente e impressionante con una gamba che gli manca dal ginocchio in giù, rimpiazzata da una protesi realizzata con la mascella di un capodoglio. Achab svela all’equipaggio che il vero obiettivo della caccia è Moby Dick, un vecchio ed enorme capodoglio, dalla pelle chiazzata e con una gobba pallida come la neve, che lo ha menomato durante il suo ultimo viaggio a caccia di balene. Egli non si fermerà davanti a niente nel suo tentativo di uccidere la balena bianca. Il primo ufficiale Starbuck che vorrebbe invece cacciare le balene e ritornarsene tranquillamente a casa rifuggendo dall’odio e dalla vendetta alla fine obbedirà al suo capitano.
Durante la prima calata della lance per inseguire un gruppo di balene Ismaele riconosce gli uomini intravisti nella foschia prima che il Pequod salpasse. Achab aveva in segreto portato con sé il proprio equipaggio, incluso un ramponiere chiamato Fedallah (a cui si fa anche riferimento come ‘il Parsi’), un enigmatico personaggio che esercita una sinistra influenza su Achab al quale profeterà che la morte li colpirà assieme.
Il romanzo descrive numerosi “gam”, incontri fra due navi in mare aperto durante i quali per Achab c’è un’unica domanda che sempre pone all’equipaggio delle altre navi: «Avete visto la Balena Bianca?»
Quando il Pequod entra nell’Oceano Pacifico Queequeg si ammala mortalmente e chiede al carpentiere della nave che gli venga costruita una bara che non gli servirà poiché alla fine deciderà di continuare a vivere. La bara diviene così la sua cassa portaoggetti che poi verrà calafatata e adattata per rimpiazzare il gavitello del Pequod. Da equipaggi di altre baleniere giungono notizie su Moby Dick. Il capitano Boomer del Samuel Enderby, che ha perso un braccio proprio a causa della balena, si stupisce di fronte al bruciante bisogno di vendetta di Achab. Dalla nave Rachele arriva una richiesta di aiuto per ricercare il figlio più giovane del capitano andato disperso assieme alla sua barca durante un recente scontro con la balena bianca. Ma il Pequod adesso è davvero vicino a Moby Dick e Achab non si fermerà di certo per soccorrerli. Infine viene incrociata la Letizia mentre il suo capitano sta facendo gettare a mare un marinaio ucciso da Moby Dick. Starbuck, sentendo vicino il disastro, implora vanamente Achab per l’ultima volta di riconsiderare la sua sete di vendetta.
Il giorno dopo, il Pequod avvista Moby Dick. Per due giorni l’equipaggio insegue la balena, che infligge loro numerosi danni, compresa la scomparsa in mare del ramponiere Fedallah che al terzo giorno Moby Dick, riemergendo, mostra ormai morto avviluppato dalle corde dei ramponi. Il capodoglio che nuota lontano dal Pequod non cerca la morte dei balenieri mentre Achab vuole la sua vendetta. Starbuck esorta un’ultima volta Achab a desistere, osservando che:
« Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu che insensato cerchi lei! » (Moby Dick, Cap. 135)
Achab ignora per l’ennesima volta la voce della ragione e continua con la sua caccia sventurata. Poiché Moby Dick aveva danneggiato due delle tre lance che erano salpate per cacciarlo, l’imbarcazione di Achab è l’unica rimasta intatta. Achab rampona la balena, ma la corda del rampone si rompe. Moby Dick si scaglia allora contro il Pequod stesso, il quale, danneggiato gravemente, comincia ad affondare. Achab rampona nuovamente la balena ma questa volta il cavo gli si impiglia al collo e viene trascinato negli abissi oceanici dall’immersione di Moby Dick. La lancia viene quindi inghiottita dal vortice generato dall’affondamento della nave, nel quale quasi tutti i membri dell’equipaggio trovano la morte. Soltanto Ismaele riesce a salvarsi, aggrappandosi alla bara-gavitello di Queequeg, e dopo un intero giorno e un’intera notte viene fortunosamente recuperato dalla Rachele.
« Ora, il Pequod era salpato da Nantucket proprio all’inizio della Stagione Equatoriale. Nessuna impresa al mondo avrebbe pertanto consentito al suo capitano di compiere la grande traversata verso sud, di doppiare Capo Horn, e poi, risalendo a nord per sessanta gradi di latitudine, di giungere in tempo nel Pacifico equatoriale per battere le sue acque. Egli avrebbe dunque dovuto attendere la stagione successiva. Nondimeno, la partenza prematura del Pequod forse era stata scelta segretamente da Achab proprio in considerazione di questo insieme di cose. Infatti, egli aveva innanzi a sé un’attesa di trecentosessantacinque giorni e altrettante notti, e invece di passarla a terra soffrendo impaziente, avrebbe impiegato quel lasso di tempo in una caccia mista, nel caso in cui la Balena Bianca, trascorrendo le vacanze in mari molto lontani dai suoi periodici siti di alimentazione, avesse mostrato la sua fronte rugosa al largo del Golfo Persico, o nella Baia del Bengala, o nei Mari della Cina, o nelle altre acque frequentate dalla sua specie. E così i monsoni, i pamperi, i maestrali, gli harmattan, gli alisei, tutti i venti, insomma, tranne il levante e il simun, avrebbero potuto sospingere Moby Dick entro il cerchio tracciato dalla scia del Pequod, nel suo tortuoso zigzagare per il mondo. » (Capitolo 44)
Dunque il capitano Achab non doppia Capo Horn, ma il Capo di Buona Speranza: si dirige dunque a Sud, poi a Est, raggiungendo l’Oceano Pacifico attraverso l’Oceano Indiano.
Per il puritano Melville la lotta epica tra Achab e la balena rappresenta una sfida tra il Bene e il Male. Moby Dick riassume, inoltre, il Male dell’universo e il demoniaco presente nell’animo umano. Achab ha l’idea fissa di vendicarsi della balena che lo ha mutilato e a ciò si unisce una furia autodistruttiva: «La Balena Bianca gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell’intimo….» (trad. di Cesare Pavese).
Ma la balena rappresenta anche l’Assoluto che l’uomo insegue e non può conoscere mai:
« Ma non abbiamo ancora risolto l’incantesimo di questa bianchezza né trovato perché abbia un così potente influsso sull’anima; più strano e molto più portentoso, dato che, come abbiamo veduto, essa è il simbolo più significativo di cose spirituali, il velo stesso, anzi, della Divinità Cristiana, e pure è insieme la causa intensificante nelle cose che più atterriscono l’uomo!….. »
Quanto alla rappresentazione nel romanzo della natura, essa è un’entità tremenda e fascinosa (il mare, gli abissi) e può essere vista come esempio di Sublime romantico: lo spruzzo intermittente della balena è come un soffio potente per cui i marinai «non avrebbero potuto rabbrividire di più, eppure non provavano terrore, ma piuttosto un piacere….»
«È la propaggine di una civiltà americana affascinata dalle proprie potenzialità di crescita e potenza. Dall’osservazione della vita sul Pequod Ismaele trae un’immensa varietà di significati: … le ragioni e i limiti del vivere sociale; la possibilità di una comunione che travalichi le barriere religiose, razziali, sessuali; infine, i processi che determinano l’ascesa di un capo politico.»
Da quanto narrato nel romanzo si desume che Achab è originario di Nantucket, piccola isola del Massachusetts, da giovane ha trovato lavoro su una baleniera e a diciott’anni ha ucciso la sua prima balena (cap. 132, “La sinfonia”). Del resto della sua vita si sa ben poco: probabilmente, nei brevi periodi concessigli dalla sua attività marinaresca, non si è mai allontanato da Nantucket. Il suo nome “fu uno sciocco, ignorante ghiribizzo di quella matta di sua madre, una vedova che morì quando lui aveva soltanto dodici mesi” (cap. 16, “La nave”); nel film di John Huston viene detto che la madre spirò dopo aver pronunciato la parola “Achab”.
Divenuto presto capitano, durante una spedizione una vedetta avvista una balena bianca, un gigantesco capodoglio albino, e Achab fa calare le lance. Nel corso della caccia il capitano intravede il coltello da sagola, un coltello utilizzato quando la balena sta per far partire la sagola o quando bisogna fermare l’ammainata, e prova a colpire Moby Dick con quell’arma, ma la balena ruota su stessa e Achab si ritrova con la gamba appoggiata proprio sulla bocca del gigantesco cetaceo. Mentre il capitano vibra la pugnalata, l’animale gli mozza la gamba tra le fauci e s’immerge nelle profondità del mare. In seguito a quell’incidente che gli è costato quasi la vita, Achab si fa costruire da un falegname una gamba artificiale, utilizzando però una mascella di capodoglio invece del solito legno.
Achab è sposato, ma “la moglie diventò subito vedova” (cap. 132, “La sinfonia”) perché il marito era costantemente per mare (in quarant’anni, non ne era stato tre sulla terraferma). Dopo qualche tempo, “da quella dolce ragazza quel vecchio ha avuto un bimbo” (cap. 16, “La nave”). All’epoca dei fatti narrati in Moby Dick, Achab è il capitano del veliero Pequod.
Dopo diverse cacce alle balene, Achab fa bere dallo stesso calice i guardieri, il falegname Perth, il cuoco e gli altri marinai, mentre i ramponieri bevono dai buchi nel legno del rampone appositamente fabbricato per trafiggere Moby Dick e suggellato con il loro sangue pagano. Per lui è il rituale di giuramento con cui tutto l’equipaggio s’impegna a uccidere la balena bianca. Quindi appende un doblone spagnolo al trinchetto, come ricompensa per il primo che avvisterà la preda a lungo inseguita.
In realtà la balena bianca viene avvistata dallo stesso Achab che cala in mare tre lance per darle la caccia ma, dopo un’ora di attesa, l’enorme cetaceo riemerge improvvisamente e, afferrata tra le fauci spalancate la lancia “ammiraglia” su cui si trova Achab, la fa a pezzi. Il capitano è poi tratto in salvo dalle altre due lance (cap. 133, “La caccia - Prima giornata”).
Moby Dick viene riavvistata il giorno seguente, le scialuppe vengono calate in mare e la caccia riprende. La balena, benché colpita da vari arpioni, distrugge o fa cozzare tra loro tutte le lance impegnate nella sua cattura. Achab ritenta il fato e afferra il coltello da sagola per cercare di annientare il temibile animale, ma alla fine deve desistere dal proprio intento (cap. 134, “La caccia - Seconda giornata”).
Il terzo giorno il capitano del Pequod, convinto di aver superato la balena, fa poggiare la nave per attenderla. In effetti Moby Dick viene avvistata per la terza volta e, nella lotta successiva, solo un’unica lancia rimane integra, quella che porta il capitano Achab. Ora però l’animale attacca direttamente il Pequod e vi apre una falla. È a questo punto che Achab, mentre vede affondare la sua nave, pronuncia il famoso monologo “Volto la schiena al sole” prima di scagliare l’unico rampone rimasto. L’arpione, che non è quello “battezzato” con il sangue dei pagani, colpisce la balena, ma la sagola s’incastra; Achab cerca di disincagliarla ma la corda gli avvolge il collo e lo trascina fuoribordo, tra i flutti (cap. 135, “La caccia - Terza giornata”).
Nonostante sia Ismaele la voce narrante del romanzo, il capitano Achab è il vero protagonista della vicenda e la colonna portante di tutta la storia. In funzione dell’intonazione teatrale che Melville cerca di conferire alla propria opera, Achab presenta tutte le caratteristiche peculiari dell’eroe tragico e, come in un dramma faustiano, trascende la propria condizione deciso a perseguire il suo scopo fino all’estremo, condannando se stesso e i suoi marinai all’annichilimento della ragione e alla morte. La struttura della vicenda si regge interamente sulla sua ossessione per Moby Dick. Pur basata su un semplice nucleo narrativo, la storia ha una fisionomia abissale, simile a quella del biblico Leviatano.
Nel romanzo vi sono parecchi momenti in cui Achab non è presente. Bisogna aspettare un centinaio di pagine perché venga almeno evocato per la prima volta il suo nome e un’altra cinquantina perché faccia la sua prima apparizione, breve e incisiva, in carne ed ossa: in pochi minuti Achab si presenta alla ciurma, e al lettore, con la sua ossessione e la sua inscalfibile determinazione. La seconda volta che appare, poi, è per gettare in mare la pipa, simbolica rinuncia ascetica ai piaceri e alla tranquillità della vita di terra.
Per gran parte del romanzo il capitano rimane chiuso nella sua cabina e non ritorna all’aria aperta se non sporadicamente, ma in un certo senso non scompare mai del tutto. Anche se non lo si vede, i marinai sanno, e soprattutto lo sa il lettore, che lui c’è, è chiuso nella sua cabina e sta pensando a Moby Dick. Questo suo isolarsi all’interno di uno spazio chiuso è carico di significati simbolici. Sono la sua determinazione e la sua ambizione ad allontanarlo dalla condizione di semplice uomo e ad accostarlo invece alla potenza di un fenomeno naturale, tanto da convincerlo di essere in grado di ingaggiare una lotta da pari a pari con una creatura quasi soprannaturale come Moby Dick.
Il capitano Achab è stato interpretato da diversi attori negli adattamenti cinematografici del romanzo:
La band doom metal tedesca Ahab si intitola dal personaggio di Melville. Il loro album The Call of the Wretched Sea è direttamente ispirato a Moby Dick e il capitano Ahab è più volte citato.
Il capitano Achab viene inoltre menzionato dal rapper italiano J-Ax nel suo brano The Pub Song, presente nell’album Il bello d’esser brutti e scritto insieme a Weedo.
« Call me Ishmael. »
« Chiamatemi Ismaele. » (Inizio del libro)
Ismaele è il narratore, ma non il protagonista dell’epico racconto, e così si presenta ai lettori: «Chiamatemi Ismaele» (Call me Ishmael). Il nome ha origine biblica, nella Genesi infatti Ismaele è il figlio di Abramo e della schiava Agar, cacciati nel deserto. Sicché “Chiamatemi Ismaele” è come dire “Chiamatemi esule, vagabondo”. Descrive poco di se stesso: solo che ha le spalle larghe e ch’è newyorkese.
Moby Dick è descritta nel titolo come una balena immaginaria con uno sfiatatoio enorme e i fianchi flagellati da ramponi e «tre buchi alla pinna di tribordo».
Il romanzo di Melville ha notevolmente influenzato gli autori successivi e ha generato innumerevoli citazioni in opere successive.
Moby Dick ha ispirato una tavola dell’artista Tatsuya Morino nella sua interpretazione sui grandi mostri della letteratura gotica. Una serie di illustrazioni in bianco e nero in omaggio ai mostri più conosciuti della letteratura.
Le opere sono riassunte nel libro Kaibutsu Gensō Gashū (怪物幻想画集) pubblicato nel 1999.