Delitto e castigo (in russo: Преступление и наказание?, Prestuplénie i nakazànie, /prʲɪstup’lʲɛnɪɪ i nəkʌ’zanɪɪ/) è un romanzo pubblicato nel 1866 dallo scrittore russo Fëdor Dostoevskij e ambientato a San Pietroburgo.
Insieme a Guerra e Pace di Lev Tolstoj, questo libro fa parte dei romanzi russi più famosi e influenti di tutti i tempi. Esso esprime i punti di vista religiosi ed esistenzialisti di Dostoevskij, con una focalizzazione predominante sul tema del conseguimento della salvezza attraverso la sofferenza.
Il titolo Преступление и наказание in italiano significa Il delitto e la pena, e dipende dal trattato Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria, testo conosciuto in Russia grazie alla versione in lingua locale del 1803.Nella prima versione italiana (1889) l’ignoto traduttore diede il titolo Il delitto e il castigo, questo perché lo aveva tradotto dal francese. Nella sua versione del 1884 Victor Derély aveva scelto come titolo Le crime et le châtiment, dove il termine châtiment in italiano può essere tradotto solo con la parola castigo, che non ha valenza giuridica. Tuttavia al termine russo nakazanie del titolo originale, lo stesso Dostoevskij aveva attribuito l’accezione di “pena”. Ciò traspare da una sua lettera al direttore della rivista Russkij Vestnik:
« Nel mio romanzo vi è inoltre un’allusione all’idea che la pena giuridica comminata per il delitto spaventa il criminale molto meno di quanto pensino i legislatori, in parte perché anche lui stesso, moralmente, la richiede. » (Dostoevskij, Pis’ma)
Il titolo originale allude pertanto all’inizio del cammino di Raskòl’nikov, la “pena” in termini di castigo morale, cui seguono il riconoscimento della colpa commessa, il pentimento ed il rinnovamento spirituale. Tuttavia si è mantenuto il titolo (da ritenersi quindi erroneo) Delitto e castigo per una sorta di tradizione traduttiva.
Il romanzo è diviso in sei parti con un epilogo. Ogni parte contiene fra i cinque e gli otto capitoli, mentre l’epilogo ne ha due. L’intero romanzo è scritto in terza persona al passato da una prospettiva non onnisciente, perlopiù dal punto di vista del protagonista, Raskòl’nikov, sebbene si sposti brevemente su altri personaggi, come Dunja, Svidrigajlov e Sonja, durante la narrazione.
Nel 1971, una scena rimasta fino ad allora inedita scritta in prima persona dal punto di vista di Raskòl’nikov fu pubblicata con il manoscritto annotato di Dostoevskij nella serie russa Monumenti letterari. Una traduzione di quella scena è disponibile nella maggior parte delle edizioni moderne del romanzo.
Lo svolgimento dei fatti è quasi tutto a Pietroburgo, nel corso di un’afosa estate. L’epilogo invece si svolge nella prigione-fortezza di una località non espressamente nominata, sulle rive del fiume Irtyš (fiume del bassopiano della Siberia occidentale). Dovrebbe trattarsi di Omsk, dove era presente una struttura per lavori forzati, conosciuta bene da Dostoevskij per avervi scontato egli stesso una condanna.
Il romanzo ha il suo evento chiave in un duplice omicidio dettato dall’ostilità sociale: quello premeditato di un’avida vecchia usuraia e quello imprevisto della sua mite sorella più giovane, per sua sfortuna comparsa sulla scena del delitto appena compiuto. L’autore delle uccisioni è il protagonista del romanzo, un indigente studente pietroburghese chiamato Rodion Romanovič Raskol’nikov, e il romanzo narra la preparazione dell’omicidio, ma soprattutto gli effetti emotivi, mentali e fisici che ne seguono.
Dopo essersi ammalato di febbre cerebrale ed essere stato costretto a letto per giorni, Raskòl’nikov viene sopraffatto da una cupa angoscia, frutto di rimorsi, pentimenti, tormenti intellettuali e soprattutto la tremenda condizione di solitudine in cui l’aveva gettato il segreto del delitto; presto subentra anche la paura di essere scoperto, che logora sempre di più i già provati nervi del giovane: troppo gravoso per lui è sostenere il peso dell’atto scellerato. Fondamentale sarà l’inaspettato incontro con una povera giovane, Sonja, un’anima pura e pervasa di una fede sincera e profonda, costretta però a prostituirsi per mantenere la matrigna tisica e i fratellastri. La giovane offre alla solitudine del nichilismo di Raskòl’nikov la speranza e la carità della fede in Dio. Questo incontro sarà determinante per indurlo a costituirsi e ad accettare la pena. Ma il vero riscatto avverrà per l’amore di Sonja che lo seguirà anche in Siberia.
Il delitto era stato compiuto: non era stata la Siberia il castigo, ma la desolazione emotiva e le sue peripezie per arrivare infine, grazie a Sonja, al pentimento della coscienza morale e alla confessione.
Oltre al destino di Raskòl’nikov, il romanzo, con la sua lunga e varia lista di personaggi, tratta di temi comprendenti la carità, la vita familiare, l’ateismo e l’attività rivoluzionaria, con la pesante critica che Dostoevskij muove contro la società russa coeva. Sebbene rifiutasse il socialismo, il romanzo sembra criticare anche il capitalismo che si stava facendo strada nella Russia di quel tempo.
Raskòl’nikov reputa di essere un “superuomo” e che avrebbe potuto commettere in modo giustificato un’azione spregevole — l’uccisione della vecchia usuraia — se ciò gli avesse portato la capacità di operare dell’altro bene, più grande, con quell’azione. In tutto il libro vi sono esempi di ciò: menziona Napoleone molte volte, pensando che, per tutto il sangue che versava, faceva del bene. Raskòl’nikov pensa di poter trascendere questo limite morale uccidendo l’usuraia, guadagnando i suoi soldi, ed usandoli per fare del bene. Sostiene che se Newton o Keplero avessero dovuto uccidere un uomo, o addirittura un centinaio di uomini, per illuminare l’umanità con le loro leggi e le loro idee, ne sarebbe valsa la pena.
Il vero castigo di Raskòl’nikov non è il campo di lavoro a cui è condannato, ma il tormento che sopporta attraverso tutto il romanzo. Questo tormento si manifesta nella suddetta paranoia, come anche nella sua progressiva convinzione di non essere un “superuomo”, poiché non ha saputo essere all’altezza di ciò che ha fatto.
Rodion Romanovič Raskol’nikov, chiamato anche Rodja e Rod’ka, è il protagonista dalla cui prospettiva, fondamentalmente, la storia è raccontata. Ha ventitré anni, è un ex studente di legge che ha abbandonato gli studi per problemi economici e vive in povertà in un appartamento minuscolo all’ultimo piano nei bassifondi di San Pietroburgo.
È caratterizzato da un forte livore verso ciò che lo circonda, il che lo induce ora ad atti di disperazione, ora a momenti di gaiezza e soddisfazione. Il fulcro del romanzo, in questi termini, si concentra specificamente sull’aspetto psicologico del personaggio.
Commette l’omicidio nella convinzione di essere abbastanza forte per affrontarlo, di essere un Napoleone, ma la sua paranoia e la sua colpa lo inabissano presto. Solo nell’epilogo si realizza il suo castigo formale, dopo che ha deciso di confessare e porre termine alla sua alienazione.
Sof’ja Semënovna Marmeladova, chiamata anche Sonja e Sònečka, è la figlia di un ubriacone, Semën Zachàrovič Marmeladov, che Raskòl’nikov incontra in una bettola all’inizio del romanzo. Alla morte di Semën, Raskòl’nikov manifesta d’impulso generosità verso la sua poverissima famiglia. Sonja quindi lo cerca e lo va a ringraziare e, in quell’occasione, i due personaggi si conoscono per la prima volta. Lei è stata condotta alla prostituzione dalle abitudini di suo padre, ma si mantiene ancora estremamente religiosa e simbolicamente legata al Vangelo.
Raskòl’nikov si ritrova attratto da lei a tal punto che ella diventa la prima persona a cui confessa il suo delitto. Lei lo sostiene anche se una delle due vittime, la merciaia Lizaveta, era sua amica; lo incoraggia a diventare credente e a confessare. Raskòl’nikov lo fa quando ormai il colpevole era stato individuato in altri, e, dopo la sua confessione, Sonja lo segue in Siberia dove vive nella stessa città della prigione. Qui ella si crea un’occupazione come sarta e si rende anche utile ai detenuti che l’amano sinceramente. È anche qui che Raskòl’nikov comincia la sua rinascita spirituale, quando finalmente comprende e accetta di amarla.
Il comportamento di Raskòl’nikov durante tutto il libro si può anche trovare in altre opere di Dostoevskij, come Memorie dal sottosuolo e I fratelli Karamazov (il suo comportamento è assai analogo a quello di Ivan Karamazov ne I fratelli Karamazov). Crea sofferenza per sé stesso uccidendo la prestatrice di denaro e vivendo in modo indigente. Razumichin si trova nella stessa situazione di Raskòl’nikov e vive molto meglio, e quando Razumichin si offre di trovargli un lavoro, Raskol’nikov rifiuta; confessa alla polizia di essere l’assassino, sebbene non ve ne sia evidenza. Cerca costantemente di raggiungere e definire i confini di ciò che può e non può fare (durante tutto il libro misura la sua propria paura, e cerca mentalmente di dissuadersene), e la sua depravazione (con riferimento alla sua irrazionalità e paranoia) è comunemente interpretata come un’affermazione di sé stesso come una coscienza trascendente ed un rifiuto della razionalità e della ragione. Questo è un tema comune nell’esistenzialismo; piuttosto interessante è anche che Friedrich Nietzsche, ne Il crepuscolo degli idoli, elogiò gli scritti di Dostoevskij nonostante il teismo presente in essi: “Dostoevskij, l’unico psicologo, peraltro, da cui ebbi mai qualcosa da imparare; lui è uno degli accidenti più felici della mia vita, persino più della scoperta di Stendhal”. Walter Kaufmann riteneva che le opere di Dostoevskij fossero state l’ispirazione per La metamorfosi di Franz Kafka.
Raskol’nikov crede che solo dopo aver definito la morale e la legge uccidendo qualcuno lui possa essere uno dei migliori, come Napoleone. Nel romanzo infatti le ragioni dell’omicidio sono solo superficialmente economiche. Raskol’nikov lascia la maggior parte dei soldi nella casa della strozzina sua vittima. Le ragioni dell’omicidio vanno dunque ricercate nella morale che giustifica l’affermazione individuale attraverso il diritto sulla vita altrui.
Il romanzo contiene diversi rimandi a storie del Nuovo Testamento, compresa quella di Lazzaro, la cui morte e rinascita sono parallele alla morte e rinascita spirituale di Raskòl’nikov; e dell’Apocalisse, rispecchiata in un sogno che Raskòl’nikov fa su una piaga asiatica che diventa un’epidemia mondiale. Peraltro il Vangelo è espressamente richiamato nel romanzo solamente due volte: una prima volta, quando il protagonista si fa leggere da Sònja il passo della resurrezione di Lazzaro dall’undicesimo capitolo del Vangelo di San Giovanni, e una seconda volta, proprio nelle ultime righe del romanzo, quando Raskol’nikov, ormai in penitenziario, si ritrova il Vangelo di Sònja sotto il cuscino ove lo aveva riposto.
Pier Paolo Pasolini nella sua analisi di quest’opera sostiene che Raskòl’nikov sia vittima di una passione infantile edipica, egli è turbato dall’amore della madre e della sorella, “le cui conseguenze sono quelle ben note: la sessuofobia, la freddezza sessuale e il sadismo”. Nel corso dell’opera Raskol’nikov sembra innamorarsi di una giovane ragazza malata di tifo, brutta e smunta; in quest’amore però non trova mai spazio la sessualità. A tutto ciò si aggiungono gli obblighi che il giovane ha verso la propria famiglia che lo mantiene negli studi nella capitale e per cui compie enormi sacrifici. Raskòl’nikov si trova così imprigionato in un “incubo kafkiano”, l’unica cosa che può fare è trovare delle giustificazioni e elaborare teorie su quel destino da cui non può sottrarsi. Così un giorno dall’esterno, dall’alto, giunge l’idea di uccidere l’usuraia, rappresentazione della madre: entrambe le donne infatti rappresentano gli obblighi umilianti a cui il protagonista è sottoposto. Inoltre nelle sue azioni si riconosce un piano ben delineato, l’assassino giunge di proposito in ritardo nell’appartamento e lascia la porta aperta per poter così uccidere anche la sorella dell’usuraia, soffocando i due lati dell’amore per lui: quello tenero e quello violento. Tuttavia questa uccisione simbolica rappresenta un fallimento, poiché la famiglia del ragazzo giunge nella capitale come in una sorta di resurrezione, è tutto da ricominciare, ma oramai il protagonista si muove per inerzia, in balia degli eventi, ed intraprende la sua “via crucis” verso la fine. In questo cammino egli incontra Sof’ja “a cui confessa per sadismo la propria colpa”. Tuttavia alla fine del romanzo avviene la morte della madre, apparentemente anagrafica, ma che causa nel protagonista una vera e propria conversione: tutto a un tratto Raskol’nikov si accorge di amare la ragazza, e cessa qualsiasi forma di tortura psicologica che usava sulla ragazza per torturare sé stesso. Secondo Pasolini l’autore oltre ad aver aperto la strada a Nietzsche (Articolo del superuomo) e a Kafka (Se eliminata la descrizione dell’assassinio il libro diventa un enorme processo), anticipa anche la futura psicoanalisi di Freud.
Delitto e castigo illustra il tema del conseguimento della salvezza attraverso la sofferenza, una caratteristica comune nell’opera di Dostoevskij. Questa è l’idea (precipuamente cristiana) che l’atto del soffrire ha un effetto purificatore sullo spirito umano, che gli rende accessibile la salvezza in Dio. Un personaggio che personifica questo tema è Sof’ja, che mantiene abbastanza fede per guidare e sostenere Raskòl’nikov nonostante la sua immensa sofferenza. Benché possa sembrare macabra, è un’idea relativamente ottimistica nel regno della morale cristiana. Ad esempio, persino Svidrigajlov, in origine malevolo, riesce a compiere atti di carità seguendo la sofferenza indotta dal completo rigetto di Dunja. Dostoevskij si mantiene fedele all’idea che la salvezza è un’opzione possibile per tutti, persino per coloro che hanno peccato gravemente. È il riconoscimento di questo fatto che porta Raskol’nikov alla confessione. Sebbene Dunja non avrebbe mai potuto amare Svidrigajlov, Sonja ama Raskòl’nikov e esemplifica i tratti dell’ideale perdono cristiano, permettendo a Raskòl’nikov di confrontarsi con il suo delitto e di accettare il suo castigo.
Un’idea centrale dell’esistenzialismo cristiano è la definizione dei limiti morali dell’azione umana entro un mondo governato da Dio. Raskòl’nikov esamina i limiti costituiti e decide che un atto manifestamente immorale è giustificabile a condizione che porti a qualcosa di incredibilmente grandioso. Tuttavia, Dostoevskij si erge contro questo pensiero ambizioso facendo sgretolare e fallire Raskol’nikov nelle conseguenze del suo delitto.
Sono stati effettuati molti adattamenti cinematografici e televisivi del romanzo.
Alcuni dei più famosi sono:
Secondo aneddoto raccontato da George Gamow a Arthur Koestler, un giorno il fisico russo Pëtr Leonidovič Kapica diede la traduzione inglese di Delitto e castigo al fisico Paul Dirac. Quando gli chiese cosa ne pensasse del romanzo egli rispose: «Niente male. Ma in un capitolo l’autore ha fatto uno sbaglio. Ha raccontato che il sole è sorto due volte nello stesso giorno.» Questo fu il suo unico commento.