Gran parte della superficie terrestre è ricoperta da rocce sedimentarie, un gruppo molto eterogeneo di rocce che deriva dalla sedimentazione di materiali di varia natura. In base all’origine dei componenti, le rocce sedimentarie possono essere classificate in quattro gruppi: clastiche, chimiche, organogene e piroclastiche. Esse si formano a partire da rocce preesistenti attraverso il processo sedimentario, che comprende varie fasi: la degradazione meteorica delle rocce, il trasporto e il deposito dei sedimenti e la diagenesi, durante la quale avviene la compattazione e la cementazione dei sedimenti.
Pur ricoprendo circa il 75% della superficie della Terra, le rocce sedimentarie rappresentano solo una piccola parte della crosta terrestre, poiché formano uno strato molto sottile sopra i continenti e sui fondali oceanici. Esse si originano per sedimentazione di materiali solidi di varia natura, in diversi ambienti sedimentari e vengono classificate in base all’origine dei sedimenti in rocce clastiche, di deposito chimico, organogene e piroclastiche.
Le rocce clastiche (dal greco klázo, rompo), dette anche detritiche, si formano per sedimentazione di clasti, cioè frammenti di varie grandezze che derivano dalla degradazione meteorica di rocce affioranti sulla superficie terrestre, poi trasportati dalle acque, dai ghiacci, dal vento o dalla forza di gravità, e depositati in luoghi anche molto distanti da quello di origine. In una roccia sedimentaria, i clasti sono immersi in una sostanza cementante che prende il nome di matrice o cemento. Dall’analisi dei clasti, si possono ricavare molte informazioni circa l’ambiente di formazione e l’età della roccia stessa; dalla forma e dalle dimensioni dei clasti si può dedurre se questi frammenti hanno subìto un notevole trasporto, oppure se si sono depositati a breve distanza dal luogo di origine (le particelle arrotondate indicano un lungo trasporto, a differenza di quelle che presentano spigoli vivi) e si può anche risalire all’agente di trasporto (un ciottolo di forma sferica è rotolato lungo il corso di un fiume; se appiattito, probabilmente è stato modellato dall’azione delle onde del mare). In base alla loro granulometria, cioè alle dimensioni dei clasti che le costituiscono, le rocce clastiche sono suddivise in quattro gruppi: i conglomerati, le arenarie, le siltiti e le argilliti. I conglomerati si formano in seguito all’accumulo di detriti grossolani, di dimensioni maggiori di 2 mm, detti anche ghiaie, e si distinguono in puddinghe, se i ciottoli sono arrotondati, e in brecce, se i frammenti presentano spigoli vivi. È inoltre possibile procedere a un’ulteriore suddivisione dei conglomerati. In base alla natura delle rocce originarie dei clasti, i conglomerati si suddividono inoltre in monogenici, se la roccia è costituita da frammenti della stessa natura, oppure poligenici, se i clasti costituenti provengono da almeno due tipi di rocce. Le arenarie sono rocce sedimentarie originate per sedimentazione di frammenti con dimensioni comprese fra 2 e 1⁄16 mm, detti sabbie; questi sedimenti sono estremamente comuni in ambienti sia marini, sia continentali. La composizione mineralogica delle sabbie non dipende solo dalla roccia originaria, ma anche dall’intensità dei fenomeni erosivi subiti. Siltiti e argilliti sono composte da particelle a grana molto fine, rispettivamente il silt (dimensioni comprese tra 1⁄16 e 1⁄256 mm) e l’argilla (dimensioni inferiori a 1⁄256 mm), che sedimentano in mare aperto, sul fondo dei laghi, negli ambienti palustri e lagunari. Essendo facilmente trasportabili, questi sedimenti possono quindi trovarsi anche a notevoli distanze dal luogo di formazione. Le siltiti e le argilliti sono usate nell’industria dei laterizi, delle terrecotte e nell’industria chimica.
Le rocce chimiche derivano dalla sedimentazione di sostanze presenti in soluzione nelle acque marine o lacustri, che poi precipitano a causa del mutare delle condizioni chimico-fisiche della soluzione: ciò accade quando, per evaporazione del solvente, la soluzione diventa satura. Esse comprendono i calcari, le dolomie, le evaporiti e le selci. Calcari e dolomie derivano, rispettivamente, dalla precipitazione del carbonato di calcio, CaCO3, e del carbonato doppio di calcio e magnesio, CaMg(CO3)2, nelle acque di mari poco profondi e caldi, in seguito a evaporazione molto intensa. I calcari possono formarsi anche in ambiente continentale, come avviene nel caso del travertino, roccia chimica formata da carbonato di calcio precipitato per saturazione di acque sorgive. Affiorando, l’acqua delle sorgenti si trova in condizioni di minore pressione e maggiore temperatura: il cambiamento fisico improvviso determina una precipitazione di parte del carbonato di calcio presente in soluzione, che va a incrostare i resti di vegetali che crescono abbondanti in vicinanza delle sorgenti. Col tempo, la sostanza organica vegetale si decompone e la roccia risulta quindi ricca di pori, che la rendono leggera e molto caratteristica. Il travertino fu una delle rocce più ampiamente usate dagli ingegneri di Roma antica. Anche le evaporiti derivano dalla precipitazione di sali contenuti in acque marine rese sature per l’intensa evaporazione. L’ordine di precipitazione dei sali dipende dalla loro solubilità: precipitano per primi i sali meno solubili – la calcite, CaCO3, e la dolomite, CaMg(CO3)2 – e poi via via gli altri, terminando con quelli più solubili (nell’ordine, il gesso, CaSO4 · 2H2O, l’anidrite, CaSO4 e il salgemma, NaCl). Le selci si formano per precipitazione della silice, SiO2, che risulta in un deposito di cristalli microscopici di quarzo. Le selci sono rocce durissime, sovente costituite da noduli di quarzo globosi del diametro da qualche centimetro a qualche decimetro, utilizzate in frammenti dall’uomo nell’età della pietra per costruirsi utensili. Un particolare deposito di silice in ambiente continentale, per precipitazione di SiO2 da acque calde di origine vulcanica, forma la geyserite.
Sedimento | Dimensioni (mm) | Roccia clastica |
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ghiaia | > 2 | conglomerato (puddinga o breccia) |
sabbia | 1/16 ÷ 2 | arenaria |
silt | 1/256 ÷ 1/16 | siltite |
argilla | < 1/256 | argillite |
Le rocce sedimentarie organogene possono derivare dalla sedimentazione di resti di organismi viventi che, soprattutto in ambiente marino, estraggono sostanze disciolte nell’acqua (in genere carbonato di calcio o silice) e se ne servono per costruire gusci o scheletri, oppure da biocostruzioni, cioè impalcature rigide costruite da alcuni organismi (scogliere coralline). Gli organismi che contribuiscono alla formazione di rocce organogene sono soprattutto molluschi, spugne, coralli, alghe unicellulari ecc., i cui gusci e scheletri, dopo la loro morte, si accumulano sui fondali marini in quantità cospicue, dando origine alle rocce organogene, tra cui ricordiamo i calcari, le dolomie e le selci. Anche i carboni fanno parte delle rocce organogene, poiché formati da resti di origine organica, ma la loro genesi presenta aspetti peculiari rispetto alle precedenti. I calcari organogeni hanno la stessa composizione di quelli chimici, con la differenza che il carbonato di calcio costituente deriva da resti di organismi. Le dolomie organogene sono composte da carbonato doppio di calcio e magnesio e si formano attraverso un processo detto dolomitizzazione, a carico di rocce calcaree, in cui parte del calcio viene sostituito dal magnesio presente in soluzione nelle acque (sostituzione metasomatica). Queste rocce hanno dato il nome al gruppo montuoso delle Dolomiti, in cui sono molto diffuse. Le selci organogene sono composte da silice, proveniente dai gusci di diatomee (alghe unicellulari) e radiolari (protozoi), oppure dalle spicole silicee di alcune spugne.
I depositi di carbone attualmente presenti sulla Terra risalgono in gran parte al periodo Carbonifero, che ebbe inizio circa 345 milioni di anni fa e fu caratterizzato da un clima caldo e umido, che favorì la crescita di sterminate foreste in ambienti paludosi. Per centinaia di migliaia di anni, i resti delle piante si andarono accumulando in strati imponenti, che via via furono seppelliti da sedimenti (sabbie e fanghi). I resti vegetali sepolti, al di fuori del contatto con l’ossigeno atmosferico e sottoposti all’azione combinata di alte pressioni, temperature elevate e batteri anaerobi (capaci di vivere in assenza di ossigeno), subirono una serie di modificazioni nella loro composizione chimica: progressivamente si ridusse la quantità di idrogeno, ossigeno e azoto presenti nella materia organica vegetale e, di pari passo, aumentò la quantità di carbonio. Come risultato di questo processo, detto carbonizzazione, la materia organica originaria fu alla fine trasformata in carbone. In base al contenuto via via crescente in carbonio, che è anche indice della loro età, i carboni vengono distinti in torbe, ligniti, litantraci e antraciti.
Tipo | Caratteristiche |
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torbe | depositi vegetali d’incipiente carbonizzazione: sono pessimi combustibili, ma discreti correttivi acidi di terreni |
ligniti | sono i carboni fossili geologicamente più recenti; hanno già perso, nei processi di trasformazione, una notevole quantità di acqua e anidride carbonica, ma sono ancora ricchi di anidride solforosa e quindi inquinanti |
litantraci | sono prodotti di carbonizzazione spinta; buoni combustibili a struttura compatta, nero-opachi o lucenti, trovano i maggiori impieghi pratici. Vengono suddivisi in 4 categorie in base al potere calorifico e al tipo di coke che si produce nella combustione |
antraciti | carboni quasi puri, per perdita spinta di zolfo e azoto (oltre che di tutto l’ossigeno) dai tessuti vegetali d’origine; ottimi combustibili, ma poco coerenti (friabili) |
Per quanto eterogenee, tutte le rocce sedimentarie si formano a partire da materiali preesistenti attraverso una serie di trasformazioni che, nel loro insieme, costituiscono il processo sedimentario, comprendente: la degradazione meteorica delle rocce; il trasporto e il deposito dei sedimenti in diversi ambienti; la diagenesi, cioè il passaggio da sedimenti incoerenti alla roccia attraverso la compattazione e la cementazione dei singoli frammenti.
Tutte le rocce sulla superficie terrestre sono soggette a cambiamenti che ne modificano le caratteristiche e ciò avviene quando esse si trovano in condizioni chimico-fisiche radicalmente diverse da quelle in cui si sono originate. Le rocce affioranti subiscono una degradazione meteorica, che consiste in processi di disgregazione fisica e di alterazione chimica a opera dell’atmosfera e dell’idrosfera e il cui risultato è la formazione di clasti di varie dimensioni. La disgregazione fisica e l’alterazione chimica avvengono contemporaneamente; tuttavia, in ambienti aridi prevale l’azione fisica, in quelli umidi l’azione chimica. Tra i processi di disgregazione fisica ricordiamo: il crioclastismo, (dovuto alla solidificazione dell’acqua nelle fratture delle rocce); il termoclastismo (dovuto all’escursione termica); l’idroclastismo (dovuto alla proprietà di alcune rocce di imbibirsi d’acqua). I processi di alterazione chimica delle rocce includono: l’ossidazione (dovuta all’ossigeno atmosferico); l’idratazione (che comporta l’assunzione di acqua da parte di alcuni minerali e la loro trasformazione in altri minerali); la carbonatazione (dovuta alla presenza di anidride carbonica nelle acque che vengono a contatto con rocce carbonatiche); l’idrolisi (una complessa reazione chimica di alterazione dei silicati a opera dell’acqua). Anche gli organismi viventi possono partecipare alla degradazione delle rocce.
I frammenti di diverse dimensioni in cui vengono disgregate le rocce per degradazione meteorica possono depositarsi sul posto o, come più spesso accade, essere trasportati altrove da diversi agenti di trasporto, quali le piogge, i ghiacciai, i fiumi, i mari, il vento e anche la forza di gravità, che operano, ciascuno, secondo modalità proprie. Le zone della superficie terrestre in cui si accumulano i sedimenti, dette ambienti di sedimentazione, sono numerose e possono essere raggruppate in ambienti continentali, di transizione e marini. Ciascuno di questi ambienti è caratterizzato da particolari tipi di sedimenti o,come meglio si dice, da particolari facies (dal latino facies, aspetto esteriore), che indicano il complesso dei caratteri litologici e paleontologici (presenza di fossili) di una roccia.
Anche gli organismi viventi partecipano alla degradazione delle rocce, svolgendo azioni di tipo sia meccanico, sia chimico. Fra le prime va ricordata la capacità di penetrazione delle radici nelle fessure delle rocce, in particolare delle piante di specie pioniere, cioè che per prime si insediano sulle rocce (per esempio, driadi, sassifraghe ecc.). Anche i licheni sono in grado, con i loro rizoidi (piccole strutture simili alle radici per funzione), di ancorarsi a superfici lisce e di penetrarle per la profondità di qualche millimetro (l’azione delle radici, oltre che meccanica, è in parte anche chimica, data la loro capacità di produrre anidride carbonica e, a volte, altri acidi particolarmente corrosivi). Gli effetti dell’azione chimica possono essere diretti e indiretti. I primi sono propri degli organismi viventi che producono sostanze acide in grado di corrodere vari minerali delle rocce; è il caso dei litodomi, molluschi marini che secernono acido cloridrico, con il quale scavano nei calcari teche che servono loro da dimora. Azioni simili sono compiute da diversi microrganismi (batteri, alghe ecc.): particolarmente vistosi sono gli alveoli di corrosione biochimica alla base di pareti calcaree a contatto con il suolo umido. Tali nicchie, di dimensione millimetrica, possono unirsi fra loro e dare origine a veri e propri solchi continui e ben visibili. Gli effetti indiretti sono indotti da prodotti organici derivanti da processi di decomposizione, o, più in generale, catabolici (includenti la respirazione, che comporta l’emissione di anidride carbonica e l’escrezione di rifiuti). L’azione chimica indiretta è alla base della pedogenesi, l’insieme dei processi fisico-chimici che nel tempo portano alla formazione dei suoli a partire da una roccia madre inalterata.
L’accumularsi di frammenti di diverse dimensioni in vari ambienti porta alla formazione di sedimenti sciolti, incoerenti; la trasformazione di questi in rocce compatte, coerenti, avviene per mezzo della diagenesi, fenomeno molto complesso, che si compie in un arco di tempo lunghissimo e che dipende da molti fattori, tra i quali la natura dei sedimenti, l’ambiente di sedimentazione, la pressione degli strati sovrastanti, la temperatura e la profondità degli strati. Durante la diagenesi avvengono la compattazione e la cementazione dei sedimenti. La compattazione consiste in una diminuzione del volume occupato dai sedimenti, dovuta alla pressione esercitata dai sedimenti soprastanti, che intanto continuano ad accumularsi. Il risultato di questa azione è un costipamento dei sedimenti e una riduzione degli spazi tra i singoli clasti, che nel frattempo si liberano dell’aria e dell’acqua prima trattenute. La cementazione consiste nell’introduzione nei pori tra i sedimenti di nuovo materiale minerale, costituito da sali, soprattutto carbonato di calcio, e da silice, che si formano per precipitazione dalle acque circolanti nei sedimenti e che, legando i sedimenti incoerenti, li trasformano in roccia coerente.
Alcuni fra i più caratteristici ambienti continentali, numerosi e tra loro molto differenziati, sono: quello lacustre, quello alluvionale, quello glaciale e quello desertico. Due sono i meccanismi che possono causare il deposito dei sedimenti sui continenti: l’esistenza di una depressione (bacini lacustri), oppure la cessazione dell’azione di trasporto (per opera di corsi d’acqua, di ghiacciai o del vento).
Sono gli ambienti più estesi e anche quelli che presentano una maggiore varietà. In funzione della profondità, l’ambiente marino può essere suddiviso in ambiente litorale, ambiente neritico, ambiente batiale e ambiente abissale.