Negli ultimi decenni si sono intensificate le ricerche sull’interno della Terra, per meglio comprendere fenomeni quali il vulcanismo, i terremoti e molti altri, che vi si originano. Grazie ai risultati di numerose indagini, dirette e indirette, e soprattutto allo studio delle onde sismiche, gli scienziati hanno proposto per il nostro pianeta un modello a involucri concentrici, detti rispettivamente, procedendo dall’esterno verso l’interno, crosta, mantello e nucleo, tra loro separati da superfici di discontinuità. A questa suddivisione di tipo geochimico se ne è poi sovrapposta un’altra di tipo geofisico, basata sulla maggiore o minore rigidità degli involucri e che distingue, all’interno della crosta e del mantello, la litosfera, l’astenosfera e la mesosfera. Il modello proposto rende conto anche dei risultati ottenuti studiando le variazioni del campo gravitazionale terrestre, del calore interno della Terra e del campo magnetico terrestre, che in passato ha subìto numerose inversioni di polarità, come testimonia il paleomagnetismo.
La conoscenza dell’interno della Terra è indispensabile per comprendere gran parte dei fenomeni che avvengono sul nostro pianeta, in particolare i fenomeni vulcanici e sismici, ma anche la formazione delle catene montuose e molti altri che saranno oggetto dei prossimi capitoli. Per descrivere l’interno della Terra, è necessario disporre di informazioni circa la composizione chimica e la struttura fisica del nostro pianeta (il cui raggio è pari a 6370 km); tuttavia, l’osservazione diretta dell’interno della Terra si limita solo alla parte più superficiale della pianeta: i metodi di indagine diretta possono essere attuati, per esempio, in occasione dello scavo di miniere, delle trivellazioni di pozzi per le ricerche petrolifere (che possono spingersi fino a poco più di 10 km di profondità) o in presenza di magma emesso dai vulcani, proveniente da non più di qualche centinaio di chilometri di profondità. Informazioni sulla struttura delle parti più profonde della Terra si sono invece potute ricavare grazie a metodi di indagine indiretta, che comprendono l’analisi dei sismogrammi, cioè i tracciati delle onde sismiche (che si generano durante i terremoti) e lo studio di alcune caratteristiche fisiche della Terra, quali il campo gravitazionale terrestre, il flusso di calore proveniente dall’interno della Terra e il campo magnetico terrestre. Anche per quanto riguarda la composizione chimica delle parti più profonde della Terra, si è ricorsi a un metodo di indagine indiretta, si è, cioè, ipotizzato che la composizione chimica del pianeta sia una diretta conseguenza della sua origine. Più precisamente, si sono ricavate informazioni dallo studio delle meteoriti cadute sulla Terra, formate da una lega di ferro e nichel e considerate come residui del materiale che costituiva il sistema solare in formazione.
Lo studio delle onde sismiche rappresenta il metodo fondamentale per indagare l’interno della Terra. Durante un terremoto, nell’ipocentro (punto interno alla Terra, da cui ha origine il terremoto) si generano due tipi di onde sismiche, dette onde P (longitudinali) e onde S (trasversali), che si propagano in tutte le direzioni all’interno della Terra e possono essere registrate da strumenti detti sismografi. Le onde sismiche interagiscono con i materiali che attraversano durante la loro propagazione e forniscono così informazioni sulla natura delle zone attraversate. Lo studio della propagazione delle onde sismiche avviene attraverso l’analisi dei sismogrammi, grafici che registrano le onde sismiche e la cui lettura indica le interazioni fra queste e i materiali attraversati. Se, durante la loro propagazione all’interno della Terra, le onde sismiche attraversano strati di natura diversa, possono essere rifratte, cioè deviate dalla loro precedente direzione di propagazione, riflesse o subire una variazione di velocità. Queste modificazioni dipendono dalle caratteristiche dei materiali attraversati, quali la densità, la temperatura, lo stato fisico e la composizione chimica: in particolare, la velocità di propagazione delle onde sismiche è direttamente proporzionale alla densità dei materiali (inoltre, le onde S non si propagano nei materiali allo stato liquido). Dall’analisi dei sismogrammi di un gran numero di terremoti, anche di quelli artificiali prodotti attraverso esplosioni atomiche sotterranee, si è potuto stabilire che l’interno della Terra non è omogeneo e che, a diverse profondità, esistono delle superfici di discontinuità, cioè superfici che separano strati con diverse caratteristiche. Tenendo conto di ciò, e anche dei risultati degli altri metodi d’indagine prima elencati, gli scienziati hanno proposto un modello dell’interno della Terra che potremmo definire a involucri concentrici.
Si pensa che la Terra, come gli altri pianeti del sistema solare, abbia avuto origine a partire da un sottile disco formato da minuscole particelle solide, immerse in una sorta di “ciambella” gassosa che circondava il Sole nel momento in cui quest’ultimo andava formandosi (all’incirca 4,6 miliardi di anni fa) da una nube interstellare di polvere e gas (probabili resti di una supernova). Nelle zone più vicine al Sole, più o meno dove si sarebbe formata la Terra, vi erano corpuscoli formati da elementi metallici e da composti chimici, tra cui silicati e acqua (sotto forma di ghiaccio). La progressiva aggregazione di tali corpuscoli portò alla formazione di numerosi corpi maggiori, con raggio medio probabilmente di qualche chilometro: i planetesimi. Questi ultimi, con il tempo, andarono incorporando altri corpi più piccoli, che incontravano lungo il tragitto, continuando ad accrescersi. A un certo punto, i planetesimi cominciarono a incontrarsi fra loro, a volte frantumandosi, a volte aggregandosi per formare corpi di dimensioni ancora maggiori. Alla fine, comunque, tutti i frammenti si concentrarono in alcuni corpi più grandi: i pianeti, fra cui la Terra. Durante la sua formazione (intorno a 4,5 miliardi di anni fa), la Terra si scaldò moderatamente, in parte in seguito alla trasformazione in calore dell’energia gravitazionale dei frammenti che via via si aggregavano, in parte in seguito all’energia emessa da elementi radioattivi presenti nel materiale originario. Il conseguente aumento di temperatura provocò la fusione del materiale planetario: la parte più densa, formata in prevalenza da metalli come ferro e nichel, si raccolse al centro; i materiali con densità intermedia, come il basalto, si disposero in uno strato soprastante; infine, i materiali meno densi, come i silicati, si distribuirono sulla superficie. La massa allo stato fuso della Terra (con una temperatura superficiale di circa 800 °C) era avvolta da un’atmosfera pesante e venefica, formata dai gas provenienti dalla superficie. La temperatura diminuì rapidamente e cominciarono a formarsi i primi tratti di crosta solida, sempre più spessa, fino alla nascita dei continenti; contemporaneamente, l’atmosfera primitiva fu sostituita da una nuova coltre gassosa, ricca di metano, ammoniaca e vapor d’acqua: quest’ultimo, condensando, produsse piogge abbondanti, che si raccolsero nelle concavità della crosta terrestre dando origine agli oceani.
Lo studio delle onde sismiche è un metodo d’indagine indiretta che ha permesso di ricavare importanti informazioni sulla struttura interna del nostro pianeta. L’esplorazione indiretta del sottosuolo è basata sulla misurazione dei tempi impiegati da parte di onde elastiche, prodotte artificialmente tramite esplosioni, vibrazioni o da masse battenti, a percorrere distanze note. Appositi sismografi, detti geofoni, posti a distanze prestabilite gli uni dagli altri e a una distanza nota dal punto in cui si è sviluppata l’onda elastica, ne registrano su nastri magnetici l’arrivo. Quando le onde sismiche, che sono onde elastiche, attraversano mezzi diversi oppure due zone dello stesso mezzo, ma a diversa densità, esse vengono scisse in due componenti: un’onda riflessa, che torna indietro, e un’onda rifratta, che prosegue oltre la superficie di discontinuità, ma con traiettoria deviata rispetto all’originaria. Viaggiando verso l’interno della Terra, le onde sismiche cambiano di velocità: questa aumenta quando la densità del mezzo aumenta e viceversa. I cambiamenti di velocità e direzione più significativi delle onde sismiche avvengono a profondità ben definite, che corrispondono a superfici dette discontinuità sismiche: esse indicano cambiamenti netti di proprietà fisiche e chimiche del nostro pianeta e hanno permesso di suddividere l’interno della Terra in tre involucri concentrici: crosta, mantello e nucleo. La discontinuità di Mohorovicˇic´, o Moho, separa la crosta terrestre dal cosiddetto mantello litosferico: in sua corrispondenza la velocità delle onde sismiche cambia bruscamente, indicando un aumento della densità; essa si trova a una profondità media di 35-40 km sotto i continenti e di 8-10 km sotto gli oceani. A circa 2900 km di profondità si trova la discontinuità di Gutenberg, che divide il mantello dal nucleo. All’interno del nucleo, alla profondità di circa 5000 km, si trova infine la discontinuità di Lehmann, che separa il nucleo esterno “fuso” dal nucleo interno “solido”. La presenza di questa discontinuità è dimostrata dall’esistenza di una zona d’ombra, cioè un’ampia fascia che si estende sulla superficie del globo, comprendendo tutti i luoghi che distano da 103° a 142° dall’ipocentro, nella quale arriva solo una piccola parte dell’energia delle onde P e dove non si registrano le onde S. Questi risultati si possono spiegare ammettendo l’esistenza di un nucleo formato, almeno nella parte esterna, da materiali allo stato fuso, in cui le onde P perdono velocità e le onde S non possono propagarsi.
Un modello dell’interno della Terra a involucri concentrici di differente composizione fu proposto, nel 1885, dal geologo austriaco E. Suess (1831-1914), che ipotizzò l’esistenza di tre strati, detti Sial, Sima e Nife, così chiamati dalle iniziali degli elementi chimici in essi prevalenti. Il Sial (da si-licio e al-luminio) è lo strato esterno, di densità pari a 2,7 g/cm3,formato in prevalenza da silicati di alluminio. All’involucro sialico corrispondono le rocce acide eruttive. Il Sima (da si-licio e ma-gnesio) è lo strato intermedio, di densità pari a 3,4 g/cm3, ricco di silicati di ferro e magnesio. La parte superiore corrisponderebbe ai tipi più basici delle rocce magmatiche. Il Nife (da ni-chel e fe-rro) è il nucleo centrale, formato da un ammasso di ferro e nichel. A questo modello, a cui si riconosce un valore storico, se ne è sostituito oggi un altro, molto più circostanziato, che, grazie allo studio della propagazione delle onde sismiche, ha permesso di stabilire che la Terra è effettivamente costituita da tre involucri fondamentali, diversi per spessore, composizione e densità, ai quali si dà il nome di crosta, mantello e nucleo.
La crosta terrestre è lo strato più esterno: costituisce un involucro rigido e sottile, delimitato verso il basso dalla discontinuità di Mohorovicic, dal nome del suo scopritore, il geofisico jugoslavo A. Mohorovic ˇic ´ (1857-1936), detta anche più semplicemente Moho. La crosta terrestre viene distinta in crosta continentale, quella che costituisce i continenti, e crosta oceanica, che forma i fondali oceanici; esse differiscono per spessore, densità e composizione. La crosta continentale ha uno spessore medio di 35-40 km, ma può arrivare fino a più di 70 km in corrispondenza delle più alte catene montuose. Ha una densità intorno a 2,8 g/cm 3 ed è composta essenzialmente da rocce granitiche, via via più basiche procedendo dalla superficie verso la Moho. Inoltre, le rocce che la costituiscono possono avere diverse età, fino a circa 4 miliardi di anni. La crosta oceanica, più sottile rispetto alla crosta continentale, ha uno spessore medio di circa 8-10 km e una densità media di 3 g/cm 3 ed è costituita da rocce basaltiche ricche di alluminio, silicio, ferro. La crosta oceanica risulta ovunque tripartita: in superficie essa è coperta da uno spesso strato di rocce sedimentarie, soprattutto fanghi silicei e calcarei (strato 1), al di sotto si ritrova ovunque un grosso strato di rocce eruttive basaltiche (strato 2), che in profondità passa a gabbro (strato 3). L’età delle rocce che costituiscono la crosta oceanica non supera i 200 milioni di anni.
Al di sotto della discontinuità di Moho comincia il mantello, che si estende fino alla discontinuità di Gutenberg, alla profondità di circa 2900 km. La densità passa da circa 3 g/cm3 in prossimità della Moho sino a 5,6 g/cm3 nelle parti più profonde; in esso la temperatura aumenta da poche centinaia di gradi, vicino alla Moho, fino a più di 300 °C presso la discontinuità di Gutenberg; anche la pressione aumenta con la profondità, da 9 kbar a circa 1400 kbar (1 kbar = 1000 bar, circa mille volte il valore della pressione atmosferica a livello della superficie terrestre). Il mantello è composto da rocce dense e pesanti, relativamente povere di silicio ma ricche di ferro e magnesio, dette ultrabasiche. Rocce di questo tipo, le peridotiti, affiorano solo in alcune zone della superficie terrestre e sono composte principalmente da minerali come i pirosseni e le olivine.
Al di sotto della discontinuità di Gutenberg si trova il nucleo, un grosso nocciolo il cui raggio misura circa 3470 km, più di metà del raggio terrestre. La densità è di circa 10 g/cm3 a livello della discontinuità di Gutenberg e aumenta progressivamente fino a circa 13,5 g/cm3, il che depone a favore dell’idea di un brusco cambiamento della composizione chimica; la temperatura sale da 3000 °C in prossimità del mantello fino a oltre 4000 °C al centro della Terra; anche la pressione aumenta da 1400 kbar fino a oltre 3600 kbar. Lo studio delle onde sismiche ha inoltre permesso di distinguere nel nucleo due strati: il nucleo esterno, liquido, in cui le onde sismiche di tipo S non si propagano, separato dalla discontinuità di Lehmann dal nucleo interno, solido. In merito alla composizione chimica del nucleo, si possono fare solo delle ipotesi: attualmente si tende a credere che esso sia composto da una lega di elementi come il ferro e il nichel, forse con l’aggiunta di altri elementi più leggeri, come lo zolfo e il silicio. Il nucleo è responsabile di una delle caratteristiche peculiari della Terra, la presenza di un campo magnetico terrestre. Questo può essere registrato da strumenti come la bussola e anche dalle rocce al momento della loro formazione e nel tempo può subire variazioni tanto forti da portare allo scambio di posizione dei poli stessi.
Negli ultimi decenni, i geologi hanno intensificato le ricerche sull’interno della Terra allo scopo di meglio comprendere fenomeni che in esso hanno origine, quali il vulcanismo, i sismi e l’orogenesi (dal greco óros, monte, e génesis, nascita). Per questo motivo, alla suddivisione prima proposta, di tipo geochimico, da alcuni decenni gli scienziati sovrappongono una suddivisione di tipo geofisico, basata sulla maggiore o minore rigidità degli strati che costituiscono la Terra; alla divisione tra crosta e mantello si sovrappone, perciò, la distinzione in litosfera, astenosfera e mesosfera.
La distinzione fra crosta terrestre e mantello, segnata dalla Moho, non è ritenuta di primaria importanza per comprendere la dinamica dei fenomeni geologici della superficie terrestre. La Moho, infatti, corrisponde a una discontinuità soprattutto chimica fra crosta e mantello, ma dal punto di vista fisico la parte del mantello che sta subito al di sotto di questa discontinuità è collegata in modo rigido alla crosta sovrastante: in altre parole, la crosta terrestre e la parte superiore del mantello costituiscono un’unica struttura rigida, indicata con il nome di litosfera (dal greco lithos, pietra), il cui spessore varia da circa 70 km, sotto i bacini oceanici, a circa 100 km sotto i continenti, ma può raggiungere spessori di 300 km sotto le aree continentali più antiche. Se sottoposta a tensioni, la litosfera si comporta in modo prevalentemente rigido ed è suddivisa in un certo numero di placche, in movimento relativo tra loro, galleggianti sopra l’astenosfera.
Sotto la litosfera si estende l’astenosfera (dal greco asthenés, debole), uno strato composto da rocce a comportamento quasi plastico, che sotto tensione si deformano senza fratturarsi. Essa comprende la parte restante del mantello superiore e in essa si originano i magmi che alimentano l’attività eruttiva dei vulcani. L’astenosfera corrisponde allo strato in cui la velocità delle onde sismiche diminuisce bruscamente rispetto al mantello litosferico: essa termina a una profondità di circa 200-300 km quando, con l’inizio della mesosfera (o astenosfera intermedia), le rocce ritornano allo stato solido e tali rimangono per tutto il mantello fino alla discontinuità di Gutenberg.
La mesosfera comprende il mantello intermedio e il mantello inferiore e si spinge fino a circa 2900 km di profondità, in corrispondenza della discontinuità di Gutenberg, che segna il confine con il nucleo. Nella mesosfera la densità delle rocce, che sono solide, aumenta gradualmente con la profondità. Testimonianza della presenza di rocce solide, in questa che viene chiamata anche astenosfera intermedia, è il leggero aumento della velocità delle onde sismiche rispetto all’astenosfera. Al di sotto dell’astenosfera intermedia vi è l’astenosfera profonda, che ha inizio a circa 400 km, con caratteristiche simili alla precedente, ma con una maggiore velocità delle onde sismiche.
Le porzioni in cui è suddivisa la litosfera galleggiano sull’astenosfera plastica secondo modalità descritte dal principio dell’isostasia (dal greco ísos, uguale, e stásis, stato); in base a questo principio, la crosta terrestre tende a raggiungere una condizione di equilibrio attraverso spostamenti verticali e orizzontali delle masse superficiali e profonde. Le terre emerse sono più rilevate dei fondali oceanici, sia perché sono costituite da rocce più leggere, sia perché formate da una litosfera più spessa. Le rocce più comuni dei continenti sono a composizione granitica e risultano generalmente più leggere di quelle basaltiche, tipiche dei fondali oceanici. La diversità di peso fra graniti e basalti non basta, però, da sola a spiegare, per esempio, il forte dislivello tra la catena himalayana, che supera gli 8000 m di altitudine, e il fondo dell’oceano indiano, che raggiunge profondità superiori ai 10000 m. Si ipotizza, dunque, che i continenti siano più rilevati dei fondali oceanici circostanti, perché costituiti da una litosfera molto più spessa. Da calcoli eseguiti risulta, infatti, che la litosfera continentale è spessa in media 100 km, contro i 70 km della litosfera oceanica. La situazione è analoga a quella di un tronco e di un ramoscello che galleggiano su uno specchio d’acqua: il tronco ha una parte emersa più rilevata sul pelo dell’acqua rispetto al ramoscello, ma ha anche una parte immersa molto più in profondità. Secondo il principio dell’isostasia, le zolle in cui la litosfera è fratturata galleggiano, per la loro relativa leggerezza, sull’astenosfera, che si comporta come un fluido particolarmente denso e pesante. Il principio dell’isostasia prevede anche che, se una certa porzione di crosta aumenta di peso, essa reagisce sprofondando e si solleva se accade il contrario oppure se l’aumento di peso non è accompagnato da un aumento di volume tale da rovesciarne gli effetti. Tutta la crosta terrestre tenderebbe a un riequilibrio isostatico per compensare gli effetti della dinamica profonda, che porta continuamente a ispessimenti di crosta, e quelli dell’erosione, che porta ad alleggerimenti. In base a considerazioni geofisiche, si pensa che questi spostamenti avvengano a profondità non molto elevata e che esista una superficie, detta di compensazione isostatica, situata a 60-100 km di profondità, al di sotto della quale cessano le variazioni di densità e si realizza uno stato permanente di equilibrio. L’osservazione di quanto avviene lungo la costa scandinava conferma le precedenti considerazioni. Circa 20.000 anni fa, la Scandinavia era ricoperta da un inlandisis, calotta glaciale spessa da 2.000 a 3.000 m. Sotto il suo peso, il continente è sprofondato per più di un centinaio di metri; quando il ghiaccio ha iniziato a fondere, il continente si è risollevato, ma a causa della viscosità del mantello il sollevamento è in ritardo rispetto all’alleggerimento post-glaciale ed è tuttora in atto, con velocità di circa 1 m al secolo.
Semplici considerazioni sul volume e sulla massa della Terra ci permettono di concludere che il suo interno non è omogeneo. Si consideri, in prima approssimazione, la Terra come una sfera di raggio pari a 6370 km: ricordando la formula del volume della sfera, da ciò si può ricavare che il volume della Terra (V) è pari a 1,08 · 1021 m3 . Dalle leggi della fisica sull’attrazione gravitazionale tra i corpi nell’universo, si ricava inoltre la misura della massa terrestre (m), che è pari a 5,98 · 1024 kg. Da questi due dati si può risalire alla densità media (d = m/V) della Terra, che vale 5,54 g/cm3. Poiché le rocce che costituiscono la crosta terrestre, accessibili all’osservazione diretta, hanno una densità media tra 2,7 e 3 g/cm3, si può dedurre che i materiali che si trovano a maggiori profondità hanno una densità più elevata, intorno a 10-13 g/cm3. Variazioni locali che si registrano nel campo gravitazionale terrestre (intendendo per campo gravitazionale una zona di spazio intorno a un corpo dotato di massa, in cui altre masse risentono della sua attrazione) indicano che all’interno della Terra la densità non è distribuita in modo omogeneo. Il valore medio teorico dell’accelerazione di gravità g è pari a 9,81 m/s2. Ma misure di g, effettuate in diversi punti della superficie terrestre attraverso strumenti detti gravimetri, hanno evidenziato che esistono differenze tra il valore teorico medio di g e quello misurato, differenze che si attribuiscono alla disomogenea distribuzione dei materiali all’interno della Terra. Lo studio delle anomalie di gravità, cioè le differenze tra il valore reale misurato e quello teorico medio, è importante per poter rilevare strutture a densità diverse sepolte in profondità. Esso risulta, inoltre, un buon metodo di prospezione del sottosuolo per la ricerca di depositi petroliferi e di rocce ricche di minerali.
La Terra è un corpo caldo in equilibrio dinamico; in altre parole, il suo riscaldamento non aumenta costantemente perché disperde il calore prodotto al suo interno. Come mostrano l’attività vulcanica e il flusso di calore proveniente dagli strati profondi, l’interno della Terra si trova a una temperatura assai elevata. L’origine del calore interno della Terra è legata a due fattori: al raffreddamento dell’originaria massa planetaria e alla produzione di calore per decadimento degli isotopi radioattivi presenti nelle rocce. In base a considerazioni fondate sull’età della Terra, oggi si ritiene che la seconda causa sia preponderante rispetto alla prima. L’aumento della temperatura in funzione della profondità è detto gradiente geotermico. Esso può essere misurato direttamente, durante perforazioni della superficie terrestre, solo per i primi chilometri della litosfera, per i quali si è potuto osservare che la temperatura aumenta mediamente di circa 1 °C ogni 33 m. Tuttavia, se il gradiente geotermico si mantenesse costante anche a maggiori profondità, dovremmo ipotizzare temperature di circa 30.000 °C già a profondità di 1.000 km, tali cioè da mantenere allo stato fuso gran parte dell’interno della Terra. Dallo studio delle onde sismiche, sappiamo però che solo il nucleo esterno è liquido, mentre gli altri strati della Terra sono costituiti da materiali allo stato solido: queste considerazioni portano dunque a ipotizzare che il gradiente geotermico diminuisca all’aumentare della profondità. Si ammette per il mantello un gradiente geotermico che ne porterebbe la temperatura a circa 1.500-2.000 °C; per il nucleo si ipotizzano temperature comprese tra 2.000 e 6.000 °C. Oltre alla componente verticale del gradiente geotermico, esiste anche una componente orizzontale, probabilmente legata a imponenti moti convettivi nel mantello: al di sotto della litosfera si formano delle correnti ascendenti calde e discendenti fredde, che si muovono molto lentamente; a questi movimenti si attribuisce l’origine dei fenomeni orogenetici e sismici profondi.
Già nel 1600, si sosteneva che “tutta la Terra fosse un grosso magnete”, che genera un campo magnetico che fa sentire i suoi effetti sul piccolo magnete dell’ago della bussola, così da allinearlo secondo l’asse nord-sud. Oggi la maggioranza degli studiosi crede che il campo magnetico terrestre possa essere paragonato a quello di una sfera uniformemente magnetizzata, caratterizzata da due poli magnetici, che non coincidono, però, con i due poli Nord e Sud geografici. La struttura del campo magnetico terrestre mostra che esso può considerarsi generato prevalentemente da un dipolo magnetico, situato nel centro della Terra e inclinato di 11°30’ rispetto all’asse terrestre. I punti in cui l’asse del dipolo incontra la superficie terrestre sono detti poli geomagnetici. Il polo geomagnetico situato nell’emisfero boreale si indica convenzionalmente con B e si trova a 78°30’ N, 69° W; il polo geomagnetico situato nell’emisfero australe si indica convenzionalmente con A e si trova a 78°30’ S, 111° E. In realtà, l’origine del campo magnetico non è ancora del tutto chiarita e attualmente si ipotizza che esso possa essere generato dal movimento di cariche elettriche (ipotesi della dinamo ad autoeccitazione). Si può applicare alla Terra il modello della dinamo, immaginando: 1) la presenza iniziale di un debole campo magnetico non uniforme; 2) la presenza di un nucleo fuso, buon conduttore; 3) la possibilità di movimenti nel nucleo stesso. I movimenti nel nucleo fuso inducono una corrente che produce un campo magnetico nuovo, che a sua volta induce una nuova corrente nel nucleo, che da parte sua provoca un nuovo campo magnetico e così via. Date queste caratteristiche, il modello è stato chiamato della “dinamo ad autoeccitazione”. Si pensa che le sorgenti di energia più probabili per mantenere il movimento all’interno del nucleo siano dei movimenti di calore all’interno del nucleo, paragonabili a quelli che si sviluppano in un liquido messo a bollire (moti convettivi).
Studi compiuti negli anni Cinquanta evidenziarono che in passato si sono verificate variazioni dell’intensità e anche inversioni di polarità del campo magnetico terrestre. Lo studio di tali cambiamenti prende il nome di paleomagnetismo, o magnetismo fossile, e ha contribuito in modo rilevante alla scoperta dell’espansione dei fondali oceanici e alla formulazione della teoria della tettonica a placche. In particolare, si sono fatte alcune scoperte.
Informazioni riguardo al magnetismo fossile si ottengono dallo studio di molte rocce ignee (lave basaltiche) e sedimentarie (arenarie rosse), contenenti minerali magnetici che registrano fedelmente la direzione del campo magnetico presente al momento della loro formazione. Quando la temperatura di un magma scende al di sotto di un valore detto punto di Curie (diverso a seconda del minerale), i minerali magnetizzabili (per esempio, la magnetite) cristallizzano, magnetizzandosi secondo la direzione del campo magnetico esistente in quel momento. Ciò può avvenire sia quando un magma solidifica in profondità, dando origine a una roccia intrusiva, sia quando una lava effusa si raffredda sulla superficie terrestre. Nel caso di rocce sedimentarie clastiche, quando avviene la deposizione del materiale detritico sul fondo di un bacino sedimentario (per esempio, un lago), le particelle di minerali magnetizzabili presenti si orientano secondo la direzione del campo magnetico presente in quel momento sulla Terra. Dagli studi effettuati, si è potuto stabilire che l’inversione dei poli magnetici sia avvenuta circa ogni 500.000-600.000 anni; tuttavia, non sono ancora state chiarite le cause e le modalità del fenomeno. Alcuni scienziati ipotizzano che l’inversione dei poli magnetici abbia una grande importanza per la sopravvivenza di interi gruppi di organismi. Infatti, nei momenti di inversione la schermatura magnetica, che normalmente protegge la Terra da alcune radiazioni solari, è meno efficace e quindi aumentano d’intensità gli effetti nocivi di alcune radiazioni solari su interi gruppi di organismi viventi. Proprio per ciò, molti studiosi collegano le estinzioni di intere famiglie faunistiche, come i dinosauri o le ammoniti, con momenti di inversione del campo magnetico terrestre.