17. La storia della Terra

La Terra, dalla sua origine risalente a circa 4,6 miliardi di anni fa sino a oggi, passando attraverso l’epoca in cui è comparsa la vita (circa 3,5 miliardi di anni fa) ha subito continue modificazioni. Per stabilire l’età della Terra e ricostruirne la storia, gli scienziati si sono avvalsi di speciali documenti: le rocce e i fossili, cioè i resti di organismi animali e vegetali vissuti nel passato e giunti fino a noi all’interno delle rocce sedimentarie. Utilizzando metodi di datazione relativa, si è potuta stabilire la sequenza degli eventi che hanno caratterizzato la storia della Terra; con metodi di datazione assoluta, soprattutto con la radiometria, si è potuto invece stabilire l’età della Terra e datare precisamente gli eventi. La storia della Terra è stata quindi suddivisa in cinque ere geologiche, cioè lunghissimi periodi di tempo, ciascuno dei quali è stato caratterizzato da particolari fenomeni geologici ed eventi biologici.

Il tempo geologico

La ricostruzione della storia della Terra implica la possibilità di stabilire la sequenza degli eventi succedutisi attraverso l’interpretazione di documenti. Fino a due secoli fa, per ricostruire la storia della Terra i naturalisti si basavano per lo più sull’interpretazione letterale della Bibbia e attribuivano così alla Terra un’età di poche migliaia di anni. La misura del tempo geologico, cioè dell’età della Terra, con l’attribuzione di date relativamente precise, è una conquista recente e si basa sullo studio di particolari documenti: le rocce e i fossili contenuti in alcune di esse. Attualmente, l’età della Terra è valutata in 4,6 miliardi di anni e, dalla sua origine, essa ha subito e continuamente subisce l’azione di forze endogene (che si originano all’interno della Terra, quali vulcanismo e sismi) ed esogene (che si originano all’esterno della Terra, cioè tutti i fenomeni atmosferici), che ne modificano l’aspetto; inoltre, caso unico tra i pianeti del sistema solare, circa 3,5 miliardi di anni fa su di essa ha avuto origine e si è poi evoluta la vita. I numerosi metodi di datazione oggi utilizzati possono essere distinti in metodi di datazione relativa, che permettono solo di stabilire la sequenza degli eventi, cioè l’ordine col quale si sono succeduti, e metodi di datazione assoluta, che consentono invece di datare esattamente un evento, indicando quando si è verificato e la sua durata.

I fossili

I fossili sono reperti molto importanti, che permettono non solo di ricostruire la storia della Terra, ma anche la storia della vita che si è evoluta sulla Terra. Infatti, già il naturalista francese G.Cuvier (1769-1832), considerato il fondatore della scienza che si occupa dello studio dei fossili, la paleontologia (dal greco palaiós, antico e óntos, essere), osservò che i fossili degli organismi rinvenuti nelle rocce erano assai dissimili dagli organismi viventi, deducendone che gli organismi si evolvono con il passare del tempo. Il termine fossile (dal latino fodere, scavare) indica qualsiasi resto di organismo animale o vegetale (fossile diretto) o di sue tracce (fossile indiretto), vissuto in epoche passate, giunto fino a noi grazie a processi detti di fossilizzazione e conservatosi all’interno delle rocce sedimentarie. In condizioni normali, dopo la loro morte gli organismi sono soggetti alla decomposizione a opera di microrganismi detti decompositori, che trasformano le sostanze organiche complesse di cui sono composti in sostanze inorganiche semplici (che vengono restituite all’ambiente). Il processo di trasformazione di un organismo in fossile, o fossilizzazione, presuppone condizioni particolari, che facciano sì che l’organismo, dopo la morte, sia rapidamente seppellito da sedimenti e isolato dall’ambiente aereo o acquatico, in modo da sottrarlo all’opera di agenti (fisici, chimici e biologici) che ne provocherebbero la decomposizione. La fossilizzazione, secondo le modalità con cui avviene, permette la conservazione diretta di alcune parti dell’organismo, la conservazione indiretta di sue tracce o la conservazione integrale dell’organismo.

Fossile di Eudimorphodon ranzii

Conservazione diretta

Può avvenire attraverso processi di mineralizzazione o di carbonizzazione. Nel processo di mineralizzazione, i sali minerali originariamente presenti nell’organismo vengono arricchiti o sostituiti con altri sali minerali chimicamente più stabili, disciolti nelle acque circolanti nei sedimenti dove è sepolto l’organismo. I fossili mineralizzati sono costituiti generalmente dai minerali calcite, silice o fosfato di calcio. La carbonizzazione è il processo di fossilizzazione più comune per i vegetali, dovuto all’azione di batteri anaerobi (cioè che vivono fuori dal contatto con l’aria), i quali progressivamente eliminano dai tessuti vegetali azoto, idrogeno e ossigeno e li arricchiscono in carbonio. La carbonizzazione ha permesso la conservazione di strutture anche molto delicate, come le foglie, di cui si può osservare l’impronta scura carboniosa rimasta in alcune rocce sedimentarie.

Conservazione indiretta

In questo caso non sono visibili direttamente parti degli organismi, ma se ne riconoscono impronte, calchi o tracce della loro attività. Per esempio, se una conchiglia di bivalve, un tipo di mollusco, viene sepolta da materiale sedimentario fine, può accadere che il guscio si disciolga e lasci nel materiale sedimentario la sua impronta. La cavità rimasta all’interno dell’impronta può essere a sua volta riempita da altro materiale fine e costituire il calco, che riproduce le caratteristiche esterne dell’organismo. Le tracce di un organismo sono rappresentate da ogni tipo di reperto che ne indichi la presenza o l’attività (orme, gallerie, coproliti); esse forniscono utili informazioni sulle associazioni faunistiche, sull’ecologia e sulle dimensioni degli organismi.

Sezione di un'ammonite fossile. È visibile la struttura interna della conchiglia, con la parte concamerata (fragmocono). Le camere del fragmocono sono in parte riempite di cristalli di calcite

Conservazione integrale

Può raramente accadere che si conservi tutto l’organismo, inglobato, per esempio, all’interno dell’ambra o del permafrost o in seguito a mummificazione naturale. Piccoli organismi animali invertebrati, soprattutto insetti, si conservano perfettamente integri per inclusione in ambra, resina fossile solidificata prodotta da antiche conifere. Alcuni mammut sono stati rinvenuti in Siberia con le carni ancora intatte e con il loro folto mantello peloso, inclusi nel permafrost, strato di suolo permanentemente ghiacciato presente in alcune zone della Terra ad alte latitudini. La mummificazione naturale si verifica quando i tessuti e le parti molli dell’organismo si disseccano e si conservano senza degradarsi completamente: questo processo può avvenire in luoghi asciutti e chiusi o con climi semiaridi. Sono così potuti pervenire a noi resti mummificati di uomini preistorici.

Formica inglobata in ambra fossile

Metodi di datazione relativa

I metodi di datazione relativa delle rocce e dei fossili consentono di stabilire la successione reciproca con la quale si sono verificati eventi, geologici o biologici, ma non di assegnarne una data. Tre sono i criteri seguiti: il criterio stratigrafico, il criterio paleontologico e il criterio litologico. Il criterio stratigrafico si basa sull’osservazione che, in generale, in una successione di strati sedimentari, quelli che si trovano più in basso sono più antichi degli strati superiori , per cui anche la sequenza degli eventi geologici che li ha originati segue lo stesso ordine cronologico. Tuttavia, bisogna tener presente che non sempre questo criterio è applicabile, poiché, a causa dei movimenti tettonici della litosfera, a volte gli strati sedimentari possono presentarsi in posizioni diverse da quelle originarie, (per esempio, gli strati possono essere verticali o addirittura rovesciati) e in tal caso è necessario utilizzare altri criteri di datazione. Il criterio paleontologico si basa sull’uso dei fossili per datare gli strati rocciosi in cui essi si trovano, poiché in genere tali strati possiedono la loro stessa età. Ammettendo che la vita si sia evoluta più o meno omogeneamente su tutta la Terra, la presenza di determinati fossili permette di stabilire se una roccia che li contiene sia più antica o più recente rispetto a un’altra. Tuttavia, non tutti i fossili sono utili per questo tipo di datazione, ma solo alcuni, detti fossili guida, appartenenti a specie animali e vegetali che hanno avuto una rapida evoluzione (e quindi sono vissuti in un periodo di tempo relativamente breve) e un’ampia diffusione geografica. Si tratta soprattutto di fossili di organismi marini inclusi in rocce sedimentarie (quali le ammoniti, molluschi cefalopodi con la conchiglia a spirale, fossili guida dell’era Mesozoica) o le diverse specie dei nummuliti, (foraminiferi di grandi dimensioni, fossili guida per il Paleogene, la prima parte dell’era Cenozoica). Medesimi fossili guida permettono anche di correlare tra loro strati rocciosi di aree geografiche differenti. Infine, bisogna tener presente che talvolta nelle rocce sedimentarie clastiche si trovano i cosiddetti fossili rimaneggiati, relativi cioè a organismi vissuti in luoghi e in tempi diversi da quelli in cui si è formato il sedimento e che erano contenuti in altre rocce sedimentarie dalla cui degradazione derivano i clasti stessi: (i fossili rimaneggiati non sono perciò utili per datare lo strato roccioso in cui si trovano). Il criterio litologico, applicabile ad aree limitate, si basa sul fatto che rocce uguali hanno la stessa età; esso è valido limitatamente a depositi formatisi all’interno di singoli bacini (per esempio, un bacino lacustre o un mare).

Metodi di datazione assoluta

I metodi di datazione assoluta permettono di attribuire una determinata età alle rocce e a fossili e dunque anche all’evento che li ha originati, specificando la sua durata. Tra i diversi metodi di datazione assoluta rivestono particolare importanza i metodi radiometrici (di seguito trattati), che si basano sulla misura della radioattività residua di rocce e di fossili. La radioattività è una proprietà di alcuni isotopi instabili di certi elementi, che nel tempo si trasformano spontaneamente in isotopi stabili dello stesso elemento o di un elemento differente, attraverso il fenomeno del decadimento radioattivo consistente nell’emissione di raggi (o particelle) alfa, beta o gamma. Ciascun isotopo radioattivo è caratterizzato da un determinato valore del tempo di dimezzamento, che rappresenta il tempo necessario perché una certa massa di un isotopo radioattivo si riduca a metà. Per esempio, l’uranio-238 (238U) si trasforma in piombo-206 (206Pb) con un tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi di anni; ciò significa che se si parte da 1 g di uranio-238, dopo 4,5 miliardi di anni, la metà, 0,5 g, si sarà trasformata in piombo-206; dopo altri 4,5 miliardi di anni, l’uranio si sarà ulteriormente dimezzato a 0,25 g e così via. In base al rapporto tra la quantità di un elemento radioattivo ancora presente in una roccia e la quantità di elemento stabile (risultante dal decadimento del primo), si può, conoscendo il tempo di dimezzamento, risalire, con opportune formule, all’età della roccia o del fossile. Per la datazione di reperti fossili relativamente recenti (di età non superiore a 40.000 anni) si ricorre al metodo del radiocarbonio, con il quale si misura il supporto tra le quantità dei due isotopi del carbonio: il carbonio-14 (14C) radioattivo e il carbonio-12 (12C) stabile. Nell’atmosfera i due isotopi del carbonio sono contenuti in un determinato rapporto, che rimane costante anche negli organismi vegetali, poiché essi fissano il carbonio atmosferico, contenuto nel diossido di carbonio, CO2, attraverso la fotosintesi clorofilliana e negli organismi animali, che assimilano il carbonio attraverso l’alimentazione. Al momento della morte, in un organismo vegetale si interrompe il processo fotosintetico, mentre in un animale cessa l’assimilazione di sostanze contenenti carbonio; l’isotopo 14C, instabile, inizia a decadere, trasformandosi in azoto-14, (14N), con un tempo di dimezzamento pari a 5730 anni, mentre l’isotopo 12C non subisce trasformazioni; in conseguenza di ciò, col passare del tempo, il rapporto 14C/ 12C diminuisce e dalla misura di questo rapporto è possibile risalire all’età dei resti di un organismo o del fossile che da esso si è formato. Questo metodo presenta un inconveniente, legato al fatto che il rapporto fra gli isotopi del carbonio è cambiato nel tempo a causa di mutamenti avvenuti nell’atmosfera. Basandoci sul rapporto 14C/ 12C dell’atmosfera attuale, si rischierebbe di commettere errori, perciò si rende necessaria una calibrazione del metodo mediante l’analisi degli anelli di accrescimento di alberi (dendrocronologia), effettuato su esemplari ancora viventi ed estremamente vecchi, quelli di Pinus aristata, che raggiunge età di circa 5000 anni: si sono così ottenute curve di calibrazione per quasi tutti i materiali organici, applicabili fino a circa 70.000 anni. Circa i materiali di datazione assoluta di rocce e fossili, è opportuno tenere presente che:

  • i minerali con elementi radioattivi sono in genere più abbondanti nelle rocce ignee, rispetto a quelle sedimentarie
  • dalla misurazione radiometrica si ottiene l’età di un elemento contenuto in un minerale, quindi le età radioattive sono riferite all’età dei singoli minerali
  • se in una roccia sono presenti minerali di età diversa, a causa della sua genesi, a seconda del minerale sottoposto ad analisi, si otterranno età diverse.
I radioisotopi più comuni.
Radionuclidi Prodotto finale del decadimento Tempo di dimezzamento (anni) Intervallo di tempo (anni) valido per la datazione
87Rb 87Sr 1,47 · 1010 4,5 · 109 - 108
232Th 208Pb 1,39 · 1010 4,5 · 109 - 107
238U 206Pb 4,5 · 109 109 - 107
235U 207Pb 7,1 · 108 4,5 · 109 - 107
40K 40Ar 1,33 · 109 4,5 · 109 - 104
14C 14N 5,73 · 103 max 40 · 103

Considerati tra le conifere più antiche d’Europa, i larici millenari di S. Geltrude/Ultimo (BZ) sorgono a 1.430 m di quota e hanno certamente più di 2.000 anni. Fanno parte di un antico bosco di larici di cui sono sopravvissuti solo tre esemplari, il più alto dei quali supera i 35 metri

Altri metodi di datazione assoluta

È possibile datare depositi lacustri e stabilire l’età di antiche piante rispettivamente con il metodo delle varve e della dendrocronologia (questi metodi permettono, tuttavia, di risalire al massimo a qualche migliaio di anni fa).

Metodo delle varve

In Scandinavia, Canada ed Europa centrale sono presenti cave di argilla, caratterizzate da stratificazione che indica un particolare ritmo sedimentario. Alternativamente, si osserva uno strato più chiaro, a granulometria grossa (sabbie) e di maggior spessore (1 cm), depositatosi in estate, e uno strato più scuro (per la presenza di materiale organico), a granulometria più fine e di minor spessore (poco più di 1 mm), depositatosi in inverno: l’insieme di questi due strati costituisce una varva. Ogni varva indica un periodo di un anno, dunque il numero complessivo delle varve indica anche il tempo di formazione del deposito. Si tratta di depositi periglaciali, cioè formatisi in laghi situati in vicinanza di ghiacciai e alimentati dalle acque di fusione dei ghiacciai stessi: il loro spessore può arrivare ad alcune decine di metri. Nei mesi estivi, a causa della forte ablazione glaciale, il materiale detritico sabbioso si forma in abbondanza; nei mesi invernali, al contrario, questa fonte di apporto detritico si blocca completamente e si deposita una fanghiglia organica, molto più fine; questi materiali si possono accumulare per migliaia di anni alla fronte dei ghiacciai. La scansione annua dei sedimenti permette di ricostruire la storia del deposito (basta, per esempio, contare il numero di strati scuri estivi per risalire all’età del deposito).

Dendrocronologia

Il termine deriva dal greco déndron, albero e chrónos, tempo e indica un metodo di datazione assoluta basato sullo studio e sul conteggio degli anelli annuali di accrescimento degli alberi, che permettono non solo di risalire all’età dell’albero, ma anche di trarre indicazioni sulle variazioni climatiche avvenute in passato. Lo spessore degli anelli e il diametro dei vasi conduttori in essi presenti dipendono, infatti, dalle condizioni climatiche della stagione in cui essi si formano: un maggior diametro dei vasi conduttori indica abbondante disponibilità di acqua, mentre un diametro minore dei vasi è indice di un clima più arido. Ogni stagione vegetativa determina l’accrescimento del diametro del fusto. Nella sezione trasversale di un tronco si osservano anelli annuali, ciascuno formato da una zona più chiara e larga, corrispondente al legno primaverile, e da una più scura e compatta, corrispondente al legno estivo. Per stabilire l’età di un albero senza abbatterlo, si può effettuare un carotaggio, cioè il prelievo di un sottile tassello di legno, corrispondente al raggio del tronco. Dalla misurazione dello spessore dell’intera serie di anelli si possono correlare più piante di una stessa area e trarre indicazioni sulle variazioni climatiche. Il metodo è molto attendibile e in qualche caso utilissimo, in quanto ha un margine di errore inferiore a un anno, ma non lo si può di fatto utilizzare oltre i 10.000 anni fa (esso non è applicabile alle piante monocotiledoni come le palme, in cui non avviene un accrescimento in diametro del fusto, detto anche accrescimento secondario).

Varve del Pleistocene a Scarboro Bluffs, Ontario. Le varve più larghe sono spesse più di mezzo pollice

Ceppo di pino con in evidenza gli anelli di accrescimento annuale.

Le ere geologiche

Grazie ai metodi di datazione prima esposti, lo studio delle rocce e dei fossili ha permesso di individuare e di ordinare i fenomeni geologici e gli eventi biologici che hanno caratterizzato la storia della Terra, dalla sua origine fino a oggi, e di suddividere i 4,6 miliardi di anni della Terra in lunghi intervalli di tempo. Più precisamente, la storia della Terra è stata suddivisa nelle seguenti categorie temporali, dalla più ampia alla più ristretta: era, periodo, epoca ed età. Le ere, i periodi e le epoche hanno nomi applicabili su scala mondiale; per le età, invece, esistono nomi differenti a seconda delle regioni. La storia del nostro pianeta è stata suddivisa in cinque ere: l’era precambriana (ocriptozoica), l’era primaria(o paleozoica), l’era secondaria (o mesozoica), l’era terziaria (o cenozoica) e l’era quaternaria (o neozoica), dalla più antica alla più recente, che a loro volta sono state suddivise in diversi periodi. Oggi però molti autori considerano l’era quaternaria non più come un’era, ma come un periodo dell’era terziaria.

Le principali Ere, periodi ed epoche.
Milioni di anni fa Ere Periodi (sistemi) Epoche principali (serie)
4500 precambriana (Precambriano), o criptozoica (dal greco criptós, segreto e zôon, animale: della vita nascosta) Priscoano (dal latino priscus, antico, primitivo); Archeano (dal greco arché, principio) Ontariano (da Ontario, lago dell’America Settentrionale); Huroniano (dal Huron, lago dell'America Settentrionale)
2500 Proterozoico (dal greco próteros, anteriore)
590 primaria (Primario) o paleozoica (dal greco palaiòs, antico: della vita antica) Cambriano (da Cambria, nome latino del Galles
500 Ordiviciano (da Ordovices, nome latino di una tribù celtica del Galles)
438 Siluriano (da Siluri, nome latino di una tribù celtica del Galles)
408 Devoniano (da Devon, contea inglese)
360 Carbonifero Mississippiano (da Mississippi, fiume degli USA); Pennsylviano (da Pennsylvania, stato degli USA)
286 Permiano (da Perm, nome di una provincia della Russia, negli Urali)
250 secondario (Secondario), o mesozoica (dal greco mésos, medio: della vita di mezzo) Triassico (dal greco trìas, triade; nel periodo si distinguono, infatti, tre serie)
210 Giurassico (da Giura, catena montuosa tra la Francia e la Svizzera)
135 Cretaceo (dal latino creta, le rocce calcaree bianche tipiche di questo periodo)
65 terziaria (Terziario), o cenozoica (dal greco kainòs, recente: della vita recente) Paleogene o Nummolitico (caratteristica abbondanza di nummoliti, foraminiferi marini) Paleocene (dal greco palaiòs, antico e kainòs, recente: recente antico)
57 Eocene (dal greco eòs, aurora: recente, dell'alba)
36 Oligocene (dal greco olìgos, poco: poco recente)
23 Miocene (dal greco meìon, minore: meno recente)
6 Pliocene (dal greco pléon, più: più recente)
1,8 quaternaria (Quaternaria), o neozoica (dal greco néos, nuovo: della vita nuova) Pleistocene (dal greco pleìstos, più: più recente)
0,01 Olocene (dal greco òlos, tutto: recente del tutto)
Principali eventi nel corso delle epoche geologiche.
Periodo o epoca Fenomeni geologici ed eventi biologici
Precambriano si forma la crosta terrestre; le rocce più antiche sono di tipo basaltico, ricche di elementi leggeri (Si, K, Na, Ca) e come tali in grandi cambiamenti di clima, da caldi intensi a epoche glaciali; atmosfera ricca di anidride carbonica; intensa attività vulcanica; alghe abbondanti, primi organismi animali (protozoi)
Cambriano clima uniforme e terre probabilmente deserte; produzione di ossigeno per opera delle alghe marine; artropodi e altri invertebrati
Ordoviciano clima uniforme, mari caldi, intensa attività vulcanica; l’atmosfera si arricchisce via via di ossigeno; comparsa dei vertebrati (pesci)
Siluriano orogenesi caledoniana: collisione tra Nordamerica ed Europa (formazione della Laurentia); clima sempre caldo e uniforme; minore attività vulcanica; gran parte della terraferma è ancora desertica; vegetali e artropodi terrestri
Devoniano mari caldi; si riduce la superficie degli oceani e si estende quella della terraferma; forte attività vulcanica; anfibi, ammoniti (cefalopodi), pesci
Carbonifero buona parte delle terre emerse si trova nella fascia tra i tropici, dove predominano condizioni climatiche miti e umide; si susseguono abbassamenti e innalzamenti delle aree costiere e si formano e si prosciugano sterminate lagune e paludi; si originano così depositi di sabbia e fanghi, che formano rocce arenacee, e depositi di vegetali, che, coperti da altri strati, carbonizzano; rettili; grandi foreste (dalla cui fossilizzazione ha origine il carbone)
Permiano orogenesi ercinica, che porta al sollevamento di catene montuose (Urali, Appalachi, rilievi dell’Europa centro-occidentale ecc.) in diverse regioni della Terra (dal nome della selva Ercinia, tra il Reno e l’alto Danubio); una grande glaciazione, iniziata nel Carbonifero, ricopre di ghiacci la parte meridionale dell’unico blocco delle terre emerse, un supercontinente chiamato Pangea; nella fascia equatoriale e tropicale il clima è caldo-umido; nella zona settentrionale è piuttosto secco e la temperatura è mite; alla fine del periodo, i ghiacci si ritirano; si estinguono le trilobiti
Triassico primo periodo dell’era mesozoica, con clima caldo e secco; numerose ed estese le zone desertiche, con vaste oasi; il clima diventa più umido verso la fine del periodo; comparsa dei dinosauri e dei primi mammiferi
Giurassico il clima, mediamente, è stabile, moderato e umido; favorisce la diffusione dei vegetali e degli animali erbivori; gran parte dei mari sono caldi e ricchi di vita; cominciano a prendere forma gli attuali continenti: l’Australia, l’Antartide e l’America Meridionale si staccano dall’Africa; tra l’America Settentrionale, l’Europa e l’Africa inizia ad aprirsi l’oceano Atlantico; prime avvisaglie dell’orogenesi alpina: movimenti delle zolle fanno sorgere le Ande e le Montagne Rocciose; l’America Settentrionale e l’Europa sono in parte coperte da mari poco profondi; dinosauri e altri rettili; primi uccelli; piante con fiori (angiosperme)
Cretaceo tutti i continenti attuali finalmente sono separati; l’Atlantico continua ad allargarsi; in tutti i continenti si estendono mari con bassi fondali; numerose anche le zone paludose; appartengono a questo periodo i più antichi sedimenti del fondale oceanico, formati dai resti di alghe ricche di carbonati e di foraminiferi divenuti un calcare bianco, compatto e duro, detto chalk; il clima è mite; vi sono tracce di glaciazioni; è il periodo dell’estinzione dei dinosauri e delle ammoniti
Paleocene periodo molto caldo, con intensa attività vulcanica; l’India è ancora separata dall’Asia; l’Australia è unita all’Antartide; Europa e America Settentrionale sono unite all’estremo nord; notevole diversificazione dei mammiferi, comparsa dei primati
Eocene l’Europa e l’America Settentrionale si separano; l’Australia si separa dall’Antartide, dove si formano ghiacciai al livello del mare; l’orogenesi alpina è in pieno svolgimento: si sollevano le Alpi e le altre catene mediterranee
Oligocene il clima tende a raffreddarsi; la glaciazione sottrae acqua agli oceani e il livello del mare raggiunge un minimo assoluto; si apre il Mar Rosso e si formano le fosse tettoniche africane; l’India si congiunge con l’Asia e la collisione dà il via alla fase principale della formazione delle catene himalayane; affermazione di mammiferi e uccelli
Miocene il ghiaccio antartico continua ad aumentare ed entrambe le calotte polari sono più estese di quelle attuali; inizia la formazione delle Alpi; prosciugamento del Mediterraneo, apertura dello stretto di Gibilterra
Pliocene il clima va raffreddandosi, e si preparano le alternanze caldo-freddo che daranno origine alle glaciazioni e alle deglaciazioni; continua il sollevamento delle Alpi; sviluppo degli Ominidi
Pleistocene ha inizio il periodo delle grandi glaciazioni, con avanzate delle calotte polari verso latitudini più basse e successivi periodi interglaciali; durante le glaciazioni, il livello dei mari si abbassa ed emergono parecchie zone, come il collegamento tra Asia Orientale e America Settentrionale; comparsa del genere Homo (H. abilis, H. erectus, H. neanderthalensis, H. sapiens); industrie umane e paleolitiche
Olocene l’epoca ha inizio con l’ultimo arretramento dei ghiacci verso le regioni polari; è l’epoca in cui viviamo; industrie umane mesolitiche e neolitiche

L’origine della vita sulla Terra

Secondo le ipotesi oggi più accreditate, la vita avrebbe avuto origine a partire da semplici composti chimici (origine abiotica della vita), che si sarebbero aggregati in forme via via più complesse. Le prime testimonianze fossili di forme viventi risalgono a circa 3,4 miliardi di anni fa, ma si ritiene probabile che la vita sia comparsa sulla Terra circa 3,6 miliardi di anni fa, quando le condizioni del pianeta erano molto diverse da quelle attuali: la Terra era ancora in via di consolidamento e di raffreddamento, la temperatura in superficie era molto elevata e l’atmosfera priva di ossigeno. Una prima ipotesi sulla formazione di molecole organiche fu avanzata, negli anni Venti, dal chimico russo A.I. Oparin (1894-1980) e dal biologo inglese J.B.S. Haldane (1892-1964). Essi ipotizzarono che l’atmosfera primitiva fosse composta da metano, ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo: sottoposti all’azione di scariche elettriche atmosferiche e alle radiazioni solari, i gas dell’atmosfera primordiale avrebbero originato le prime biomolecole all’interno di raccolte d’acqua ad alta temperatura, che costituivano il cosiddetto brodo primordiale. Queste prime biomolecole si sarebbero successivamente aggregate spontaneamente in forme più complesse, chiamate coacervati. L’ipotesi formulata da Oparin e Aldane trovò una conferma sperimentale 30 anni più tardi a opera dello statunitense S. Miller (1930), che ideò un’apparecchiatura nella quale i gas presenti nell’atmosfera primordiale venivano sottoposti a scariche elettriche in assenza di ossigeno: nell’apparecchiatura si formarono diverse molecole organiche, tra le quali alcuni amminoacidi. Secondo alcuni scienziati, probabilmente l’aggregazione degli amminoacidi a formare catene simili alle proteine fu facilitata dalle superfici argillose della Terra, ancora in via di raffreddamento. Altri esperimenti condotti negli anni Cinquanta da S. Fox e altri biologi statunitensi, permisero di comprendere come, dai primi amminoacidi si sia potuta evolvere una struttura simile a una cellula, per composizione e per funzioni. In particolare, riscaldando gli amminoacidi in assenza di ossigeno, si formano spontaneamente dei polipeptidi, una breve catena proteica, che, messi in acqua, danno origine a piccole vescicole; queste manifestano una debole attività enzimatica e sono in grado di accumulare certe sostanze dalla soluzione circostante, dando luogo, in alcuni casi, alla formazione sulla propria superficie di una pellicola di lipidi e proteine, dotata di proprietà tipiche delle membrane cellulari. Resta tuttavia da chiarire come da queste strutture “simili a cellule” si siano potute evolvere le cellule che noi oggi conosciamo, capaci di autoreplicarsi, in particolare come abbiano potuto formarsi DNA e RNA (le molecole che dirigono la riproduzione cellulare e che si formano solo da molecole analoghe, che funzionano da stampo). Pare comunque accertato che le prime cellule fossero procariote eterotrofe, che si nutrivano di sostanze organiche già presenti nell’ambiente e ricavavano l’energia necessaria al loro mantenimento grazie a processi di fermentazione. Da queste prime forme, riconducibili agli attuali batteri, si sarebbero poi evolute le cellule eucariote.

Era precambriana (Precambriano)

L’era precambriana, o criptozoica, ha una durata, circa 4 miliardi di anni, superiore a quella di tutte le altre ere geologiche. Essa comprende tre periodi il Priscoano, il più antico, l’Archeano e il Proterozoico. Dopo la formazione della crosta terrestre, nel corso dell’era precambriana si verificarono cicli orogenetici, le cui tracce sono visibili solo in alcuni settori della crosta terrestre (scudo canadese, scudo baltico e scudo siberiano), che non hanno subìto sensibili deformazioni nei periodi successivi, mentre in altre zone i corrugamenti risalenti a quest’era sono stati cancellati e mascherati dall’erosione e da successive orogenesi (ai cicli orogenetici avvenuti in quest’era è stato dato il nome di orogenesi huroniana, dal nome del lago Huron, nell’America Settentrionale). Dal punto di vista climatico, l’era precambriana fu caratterizzata da notevoli oscillazioni della temperatura: sono stati infatti ritrovati sia depositi tipici di climi caldi, sia depositi glaciali, testimonianza di glaciazioni (periodi geologici caratterizzati da freddo intenso e notevole espansione dei ghiacciai). In particolare, nella regione dei Grandi Laghi dell’America settentrionale, del Canada, della Cina, della Groenlandia, dell’Australia e dell’Africa meridionale, sono state ritrovate antiche morene (depositi glaciali), le tilliti, formate da conglomerati a blocchi striati immersi in una ganga argillosa, che testimonierebbero dunque la presenza di estesi ghiacciai. Inoltre, in quest’era, circa 3,5 miliardi di anni fa, ebbe origine la vita, come testimonierebbero reperti fossili (soprattutto di organismi invertebrati marini) ritrovati in Australia, nel giacimento fossilifero di Ediacara.

Illustrazione dell’età precambriana

Era primaria

L’era primaria, o paleozoica, comprende sei periodi: Cambriano, Ordoviciano, Siluriano, Devoniano, Carbonifero e Permiano. All’inizio dell’era primaria, durante il Cambriano, le aree continentali erano suddivise in due grandi blocchi chiamati Gondwana (comprendente Sudamerica, Africa, Australia, Antartide e India) e Laurasia (comprendente Asia, Europa e Nordamerica), che si riunirono successivamente nel supercontinente chiamato Pangea, destinato poi a fratturarsi nuovamente. L’era primaria si caratterizza per due successivi cicli orogenetici: l’orogenesi caledoniana (da Caledonia, nome anticamente attribuito alla Scozia), avvenuta nel periodo Siluriano, che ha coinvolto l’Inghilterra del nord, la Norvegia, la Siberia, la Groenlandia e parte dell’Africa e dell’Australia orientale, e l’orogenesi ercinica (da silva ercinia, nome che i romani attribuivano alla zona compresa tra il fiume Reno e l’alto Danubio), avvenuta durante il Carbonifero e il Permiano, che sollevò le catene montuose dell’Inghilterra meridionale, dell’Europa centrale (Vosgi, Ardenne, Massiccio Centrale francese e la Foresta Nera) e, al di fuori dell’Europa, gli Urali, i monti Altai (Asia centrale), la catena dell’Atlante, i monti di Città del Capo (Africa) e i monti Appalachi (America del nord). Ciascuno dei sei periodi in cui è stata suddivisa l’era primaria è caratterizzato da variazioni climatiche e da particolari forme di vita; si sottolineano di seguito alcuni eventi di particolare importanza. Grazie alla comparsa dello strato di ozono nell’atmosfera, e alla protezione da esso esercitata nei confronti di radiazioni solari dannose per gli esseri viventi, a partire dal Siluriano la vita vegetale ebbe un grande sviluppo prima nei mari e poi anche sulla terraferma e raggiunse il massimo sviluppo nel Carbonifero, periodo in cui si formarono lussureggianti foreste, con piante d’alto fusto, di cui rimane traccia negli attuali depositi di carbone. Relativamente agli organismi animali, il Paleozoico può essere considerato l’era dei trilobiti (crostacei con il corpo diviso longitudinalmente in tre lobi, che dominarono soprattutto il Cambriano) e dei graptoliti (piccoli organismi che vivevano in colonie e diffusi in tutti gli oceani, abbondantissimi nell’Ordoviciano), per quanto riguarda gli invertebrati, e l’era dei pesci (la cui grande espansione si ebbe soprattutto nel Devoniano), per quanto riguarda i vertebrati. I primi rettili, comparsi nel Carbonifero, si diversificarono notevolmente nel Permiano, preannunciando il loro grande sviluppo nell’era successiva. Numerose estinzioni di specie animali (trilobiti, alcune specie di molluschi e di altri invertebrati) caratterizzarono l’ultimo periodo dell’era primaria, il Permiano, (tanto che si parla di “grande estinzione permiana”). Si suppone che il clima, per un certo periodo di tempo, sia stato, nell’emisfero boreale, analogo a quello tropicale: ne sono testimonianza i fossili di Pecopteris; a essi si contrappongono fossili di specie vegetali di climi freddi, quali Glossopteris; nel Carbonifero e Permiano si hanno indizi di un clima umido, con frequenti tracce di un’imponente glaciazione.

Illustrazione della fauna e flora paleozoica

Era secondaria

L’era secondaria è detta anche mesozoica, che significa “era di mezzo”, in relazione al fatto che le specie vegetali e animali che la caratterizzano rappresentano una transizione tra quelle più primitive dell’era primaria e quelle dell’era terziaria. L’era secondaria comprende tre periodi: Triassico, Giurassico e Cretaceo. Nel Triassico il continente Pangea comincia a frammentarsi e si forma il nuovo oceano Atlantico (lo smembramento completo della Pangea culminerà nel Cretaceo). Nell’era secondaria l’attività orogenetica in Europa è meno intensa rispetto al Paleozoico; in America si assiste al sollevamento delle Ande e di parte delle Montagne Rocciose. La varietà degli organismi si accresce notevolmente: in particolare, nel Mesozoico si assiste alla diffusione dei grandi rettili, i dinosauri, che conquistano tutti gli ambienti: terrestri (con brontosauri, diplodochi, tirannosauri), marini (con ittiosauri e plesiosauri) e aerei (con Pterodactylus e Archeopterix). Altri organismi esclusivi dell’era secondaria sono le ammoniti e le belemniti (entrambe molluschi cefalopodi), che scompaiono prima della fine dell’era, insieme ai grandi rettili. Compaiono, inoltre, le prime specie di uccelli e di mammiferi. Quanto ai vegetali, nel Triassico le piante erano rappresentate soprattutto da felci arboree, sostituite poi dalle gimnosperme, mentre nel Giurassico compaiono le angiosperme (le piante con fiori), che ebbero grande diffusione nel Cretaceo.

Illustrazione di flora e fauna mesozoica

L’estinzione dei grandi rettili

L’era secondaria, o mesozoica, è anche nota come “era dei grandi rettili”, perché essi vissero numerosi in ogni continente, per 150 milioni di anni, indiscussi dominatori del regno animale: tuttavia, si estinsero 65 milioni di anni fa, alla la fine del Cretaceo, e ancora misteriose rimangono le cause che ne provocarono la scomparsa. Varie discipline, dalla paleontologia all’astrofisica, cercano di spiegare l’estinzione dei grandi rettili avanzando numerose ipotesi: di seguito ne esponiamo alcune tra le più accreditate. Secondo una prima ipotesi, l’estinzione dei grandi rettili sarebbe stata causata dalla caduta sulla Terra di un gigantesco meteorite. A sostegno di questa ipotesi esistono diverse prove, tra cui la presenza insolitamente elevata dell’iridio (elemento raramente rintracciabile nella crosta terrestre, ma abbondante, invece, in meteoriti e asteroidi) in campioni di argille databili a quel periodo e tracce di un gigantesco cratere (circa 190 km di diametro),formatosi per impatto con un meteorite, rinvenute nello Yucatan del nord (Centro America). Circa le conseguenze di questo catastrofico impatto, alcuni studiosi sostengono che esso avrebbe provocato una tempesta di fuoco su tutto il pianeta (in Danimarca e in Nuova Zelanda sono state ritrovate anche elevate quantità di carbonio, prodotto della combustione, in strati rocciosi contenenti notevoli quantità di iridio); altri scienziati affermano che la caduta del meteorite provocò un’onda di maremoto alta 100 m; altri ancora ipotizzano che l’impatto abbia sollevato polveri che avrebbero causato piogge acide torrenziali sufficientemente violente da provocare la morte di molte specie animali e vegetali all’istante; infine, alcuni scienziati ritengono che, in seguito all’esplosione del meteorite, miliardi di chilometri quadrati di basamento roccioso si siano ridotti in polvere: nuvole di polvere alternate a fumo avrebbero poi velato il Sole e lasciato il pianeta nella più fredda oscurità; le piante avrebbero smesso di produrre ossigeno e la vita si sarebbe lentamente arrestata (alla fine del Cretaceo quasi l’80% delle piante si è estinto). Molti paleontologi propendono per un’altra ipotesi. Pur ammettendo che, con tutta probabilità, un meteorite abbia colpito veramente la Terra circa 65 milioni di anni fa, questo evento, tuttavia, non rappresenterebbe la causa dell’estinzione dei grandi rettili, che, anzi, già da 6 milioni di anni sarebbero stati in via di estinzione; inoltre, se il meteorite fosse stato abbastanza grande da uccidere i grandi rettili, avrebbe dovuto sterminare anche tutti gli animali più piccoli. Secondo questi paleontologi, i grandi rettili subirono probabilmente fasi alterne di scomparsa e presenza dalla faccia della Terra durante tutto l’arco di tempo in cui abitarono il pianeta e non solo alla fin dell’era secondaria. L’origine del problema è da ricercare più indietro nel tempo, quando il supercontinente Pangea iniziò a frammentarsi e masse di terra a emergere, con formazione di ponti terrestri che univano i continenti precedentemente isolati: gli animali poterono spostarsi, i grandi rettili migrarono da un continente a un altro, portando con sé malattie epidemiche. Tuttavia, anche questa ipotesi lascia insoluti alcuni dubbi, poiché fatti analoghi si sono verificati più volte nella storia della Terra senza essere accompagnati da estinzioni. Altre considerazioni si aggiungono a quelle fatte finora e complicano ulteriormente il quadro: alcuni paleontologi hanno da sempre ipotizzato che i grandi rettili potessero vivere solo in climi tropicali, ma il ritrovamento di fossili di dinosauri anche in zone fredde cancella questa ipotesi. Si deve quindi escludere che i grandi rettili siano stati disturbati dal raffreddamento del clima conseguente all’impatto con un meteorite, poiché le specie che già vivevano in regioni fredde avrebbero dovuto sopravvivere, cosa che non si verificò. Ben lungi dall’aver completamente chiarito il mistero, l’estinzione dei grandi rettili è probabilmente da attribuire a un insieme di più fattori sfavorevoli, tra i quali l’insorgere di epidemie e lenti mutamenti del clima; una cosa, comunque, appare certa: senza l’estinzione dei grandi rettili la vita sulla Terra avrebbe sicuramente seguito un corso totalmente diverso.

La topografia radar rivela l'ampiezza di 180 chilometri dell'anello del cratere Chicxulub, nella penisola dello Yucatan

Era terziaria

L’era terziaria, o cenozoica, è suddivisa in cinque periodi: Paleocene, Eocene, Oligocene, Miocene e Pliocene. Imponente è l’attività orogenetica, a cui si deve la formazione delle maggiori catene montuose attuali (orogenesi alpino-himalayana), movimenti orogenetici che continueranno anche nell’era successiva. All’inizio dell’era, la distribuzione delle terre emerse e dei mari corrisponde a quella attuale: l’oceano Atlantico si è allargato, l’Africa e l’India si sono spostate verso il margine meridionale dell’Eurasia, provocando il sollevamento della catena alpino-himalayana; il mare Tetide si chiude per il progressivo avvicinarsi dell’Africa all’Europa. Nell’era terziaria si assiste alla comparsa e allo sviluppo di gruppi vegetali e animali che popolano oggi la superficie terrestre. Con la scomparsa dei grandi rettili alla fine dell’era mesozoica, si affermano e si diffondono i mammiferi, tanto che il Cenozoico è considerato “l’era dei mammiferi”; tra i mammiferi si differenziano i primati, che, inizialmente adattati alla vita arboricola, assumono le sembianze simili a quelle delle scimmie attuali. Sempre tra gli organismi animali, è da ricordare la comparsa dei nummuliti, foraminiferi a guscio calcareo grandi come monete che vivevano in mari poco profondi e tanto diffusi da dare il nome alla prima parte dell’era, (periodo Nummolitico, o Paleogene). Il clima cambia gradualmente da tropicale a temperato, con punte temperato-fredde alla fine dell’era.

Illustrazione di flora e fauna cenozoica

Era quaternaria

L’ultima era geologica, quella attuale, è detta quaternaria, o neozoica, cioè “della vita nuova”, poiché flora e fauna sono costituite da piante e animali tuttora viventi. L’era quaternaria viene divisa in due periodi: Pleistocene e Olocene. Nell’era quaternaria continuano, anche se attenuati, i movimenti delle fasi finali dell’orogenesi alpino-himalayana. Ma ciò che soprattutto caratterizza quest’era è l’alternarsi di periodi freddi e di periodi caldi, che causarono l’avvicendarsi di grandi glaciazioni (con estensione delle calotte polari a latitudini più basse) e di periodi interglaciali (periodi in cui si riduce l’estensione dei ghiacciai). Per l’area alpina, sono state individuate cinque grandi glaciazioni, (dette Donau, Günz, Mindel, Risse e Würm, dalla più antica alla più recente), intervallate da quattro periodi interglaciali. Il ritiro dei ghiacciai non fu regolare e continuo, ma caratterizzato da soste e limitati avanzamenti.

Le variazioni della temperatura media del mare negli ultimi cinque milioni di anni in base alle variazioni del rapporto tra gli isotopi 18O / 16O nei sedimenti marini

L’espansione e la contrazione delle calotte glaciali provocò variazioni di livello dei mari: durante le glaciazioni il livello marino si abbassa sensibilmente (regressioni marine), a causa delle enormi quantità d’acqua ammassate sui continenti sotto forma di ghiaccio; al contrario, durante i periodi interglaciali la fusione dei ghiacciai provoca l’innalzamento del livello dei mari (trasgressioni marine). L’alternarsi delle glaciazioni e dei periodi interglaciali ha avuto grande influenza anche sulla distribuzione degli esseri viventi sul pianeta: in particolare, alle nostre latitudini si sono succedute specie proprie di climi tropicali a specie tipiche di zone a clima più freddo. Tra gli eventi biologici che hanno caratterizzato l’era quaternaria si deve segnalare soprattutto la “rapida” evoluzione e diffusione sul pianeta del genere Homo.

Illustrazione della flora e fauna del quaternario