18. L'atmosfera

La Terra è avvolta dall’atmosfera, un involucro gassoso costituito da una miscela di gas, tra cui l’azoto, l’ossigeno e il diossido di carbonio, o anidride carbonica; essa svolge importanti funzioni, sia nei confronti dell’ambiente fisico terrestre (contribuendo, per esempio, a modellarlo attraverso i fenomeni meteorologici che in essa si verificano), sia nei confronti degli organismi viventi (l’ossigeno e il diossido di carbonio sono importanti gas respiratori). In origine, l’atmosfera aveva una composizione diversa dall’attuale, che è andata modificandosi nel tempo e ancora oggi subisce cambiamenti, soprattutto a opera dell’attività dell’uomo. In relazione all’andamento della temperatura col variare della quota, l’atmosfera viene suddivisa in cinque fasce: troposfera, stratosfera, mesosfera, termosfera ed esosfera, ciascuna caratterizzata da particolari fenomeni. La temperatura, la pressione e l’umidità, che caratterizzano la troposfera, determinano importanti fenomeni meteorologici, quali i venti e le precipitazioni, e sono all’origine delle perturbazioni atmosferiche.

La composizione chimica dell’atmosfera

La superficie terrestre si trova immersa in una miscela di gas che chiamiamo aria e che avvolge la Terra come un involucro, al quale si dà il nome di atmosfera (dal greco atmós, vapore). L’atmosfera odierna è composta per circa i 45 da azoto (N2) e per circa 15 da ossigeno (O2), accanto a numerosi altri componenti minori, tra cui principalmente argo (Ar), vapore acqueo (H2O) e diossido di carbonio, o anidride carbonica (CO2). I gas vengono trattenuti intorno al pianeta dalla forza di gravità e circa il 99% della loro massa si trova nei primi 40 km di altezza, mentre a quote superiori diventa sempre più rarefatta. Oltre ai gas citati, nell’atmosfera sono presenti anche numerosi tipi di particelle solide finissime, costituite da ceneri vulcaniche, spore di funghi e batteri, granuli di polline, fuliggine (proveniente da processi di combustione), che nel loro insieme costituiscono il pulviscolo atmosferico. Inoltre, la combustione di rilevanti quantità di combustibili fossili libera nell’aria, oltre a diossido di carbonio, anche altre sostanze gassose, quali monossido di carbonio, biossido di zolfo, o anidride solforosa, e ossidi di azoto: la quantità di queste sostanze nell’atmosfera è andata aumentando rapidamente nel corso del ’900, contribuendo ad aggravare il fenomeno dell’inquinamento atmosferico (e a intensificare l’effetto serra ascrivibile al CO2). In relazione alla composizione chimica, l’atmosfera viene suddivisa in due grandi fasce:

  • l’omosfera, o bassa atmosfera, da 0 a 100 km di quota, in cui la composizione chimica dell’aria è relativamente costante, a causa dei continui rimescolamenti a cui è sottoposta
  • l’eterosfera, o alta atmosfera, oltre i 100 km di quota, in cui i gas, molto rarefatti, si dispongono a strati in base alla loro densità (per cui la composizione chimica dell’aria non è uniforme).

Tra le numerose funzioni svolte dall’atmosfera nei confronti della superficie terrestre e degli organismi che su di essa vivono, ne vengono elencate qui alcune. L’atmosfera:

  • contribuisce a regolare la temperatura media terrestre
  • è sede dei fenomeni meteorologici
  • contribuisce al modellamento della superficie terrestre
  • filtra le radiazioni solari
  • fa da scudo contro l’ingresso di meteore
  • permette la vita grazie alla presenza dell’ossigeno e del diossido di carbonio.
Composizione chimica dell'atmosfera terrestre
Gas % in volume
azoto (N2) 78.084
ossigeno (O2) 20.947
argo (Ar) 0.934
vapore acqueo (H2O) 0.33
biossido di carbonio (CO2) 0.032
neon (Ne) 0.001818
elio (He) 0.000524
metano (CH4) 0.0002
idrogeno (H2) 0.00005
cripto (Kr) 0.0000114
xeno (Xe) 0.0000087
ozono (O3) 0.000004
ossidi di azoto:
monossido (NO);
biossido (NO2);
protossido (N2O)
tracce
ammoniaca (NH3) tracce
monossido di carbonio (CO) tracce
diossido di zolfo (SO2) tracce
solfuro di idrogeno (H2S) tracce

Origine ed evoluzione dell’atmosfera

Sembra ormai certo che ai primordi della storia della Terra la composizione dell’atmosfera differisse da quella attuale: in essa abbondavano gas leggeri come l’idrogeno (H2) e l’elio (He), oggi presenti in piccolissime quantità; probabilmente essa contava anche rilevanti quantità di metano (CH4), ammoniaca (NH3) e azoto (N2). La perdita dei gas più leggeri deve essere avvenuta a causa della temperatura presente allora sulla superficie terrestre, che, essendo molto più elevata di quella attuale, poteva conferire a tali componenti un’energia sufficiente a vincere la forza di gravità e potersi così disperdere nello spazio. L’atmosfera primordiale deve poi aver subito dei cambiamenti ed essersi evoluta fino alla composizione attuale, a causa sia di fenomeni geologici, sia di particolari eventi biologici. In particolare, in seguito ai violenti impatti di meteoriti col nostro pianeta e alle eruzioni vulcaniche via via sempre più frequenti, l’atmosfera si sarebbe arricchita di gas liberati dall’interno della Terra. Alcuni componenti dell’atmosfera attuale sarebbero, invece, il prodotto di reazioni chimiche: ciò spiegherebbe la presenza di azoto, diossido di carbonio e vapore acqueo nelle quantità attuali. L’ossigeno, invece, all’inizio potrebbe essersi formato, in piccole quantità, in seguito alla scomposizione del vapore acqueo sotto l’azione di scariche elettriche, oltre che per l’azione della radiazione solare nell’alta atmosfera; dopo la comparsa della vita sul pianeta, l’atmosfera si è arricchita di ossigeno, prodotto dalle piante come conseguenza della fotosintesi clorofilliana. La conversione fotochimica, cioè operata dalla luce, dell’ossigeno diede origine alla formazione dello “strato” di ozono, fondamentale per la protezione delle forme di vita dalle radiazioni solari ultraviolette. Per condensazione del vapore acqueo in acqua piovana, nel corso di milioni di anni, si originarono gli oceani. Ben lungi dall’essere stabile, l’evoluzione dell’atmosfera continua anche oggi e, negli ultimi secoli, la sua composizione ha subìto dei cambiamenti soprattutto a causa di gas prodotti dall’attività umana, che provocano squilibri termici e problemi di inquinamento atmosferico a livello planetario.

Suddivisione dell'atmosfera terrestre

La suddivisione dell’atmosfera

In base all’andamento della temperatura con l’aumentare della quota, lo spessore dell’atmosfera viene suddiviso in cinque strati, che andando dal basso verso l’alto sono: la troposfera, la stratosfera, la mesosfera, la termosfera e l’esosfera; il passaggio da uno strato all’altro avviene attraverso sottili “fasce di transizione”, dette rispettivamente tropopausa, stratopausa, mesopausa e termopausa.

La troposfera

La troposfera (dal greco trópos, rivolgimento, mutamento) è lo strato più basso dell’atmosfera e si estende fino a circa 10-18 km dal suolo (lo spessore varia con la latitudine: è minore ai poli e maggiore all’Equatore). In essa si concentrano i 34 della massa dell’intera atmosfera e quasi tutto il vapore acqueo atmosferico e inoltre hanno sede i fenomeni meteorologici e anche i principali cicli biogeochimici che consentono gli scambi circolari di elementi e composti essenziali alla vita tra l’ambiente fisico e l’insieme degli esseri viventi (biosfera). Le caratteristiche fondamentali della troposfera sono così riassumibili:

  • costanza della composizione chimica, dovuta ai moti orizzontali e verticali dell’aria, che assicurano il continuo rimescolamento dei gas costituenti
  • diminuzione della temperatura con l’altezza, dovuta al fatto che l’atmosfera è riscaldata dal calore emesso dalla superficie terrestre. A livello del suolo la temperatura media annua è di 15 °C; mediamente, la diminuzione di temperatura avviene secondo un gradiente di 6,5 °C/km (gradiente geotermico verticale” title=” diminuzione della pressione atmosferica con l’aumentare dell’altezza, dovuta al fatto che, andando verso l’alto, l’altezza della colonna d’aria sovrastante diventa via via minore (inoltre, negli strati superiori l’atmosfera è sempre più rarefatta” title=” presenza della quasi totalità dell’acqua contenuta nell’atmosfera; il vapore acqueo contenuto nella troposfera proviene dall’evaporazione degli oceani e delle acque continentali, oltre che dalla traspirazione degli organismi viventi, e si concentra nei primi 4 km di altitudine (dove ne sono presenti circa i tre quarti). La fascia di transizione tra troposfera e stratosfera è la tropopausa, caratterizzata dalla presenza di correnti aeree ad alta velocità (200-300 km/h), dette correnti a getto, veri e propri “fiumi d’aria” che si spostano stagionalmente in latitudine e in altezza e che talvolta circondano come un’unica fascia tutto il globo.

La stratosfera

Si estende da 10-18 a 45 km di quota. Nella stratosfera la temperatura resta inizialmente quasi costante a circa –55 °C fino a 20 km di altezza, poi risale lentamente fino a 0 °C al suo limite superiore, dove inizia la stratopausa, che separa la stratosfera dalla mesosfera. Il vapore acqueo è molto scarso, ma non totalmente assente: infatti, talvolta si possono osservare, tra i 20 e i 30 km, nubi sorprendentemente iridescenti, o madreperlacee. L’innalzamento della temperatura nell’alta stratosfera, tra i 17 e i 45 km, è dovuto sostanzialmente alla presenza di ozono, la cui molecola è formata da tre atomi di ossigeno, ossigeno triatomico (O3), e che raggiunge la sua massima concentrazione in uno strato compreso tra 20 e 30 km a cui si dà il nome di ozonosfera. Questo strato è molto importante per tutti gli organismi viventi, in quanto l’ozono assorbe quasi completamente la porzione più pericolosa per gli organismi viventi dei raggi ultravioletti solari. La decomposizione che subisce l’ozono per azione dei raggi ultravioletti è associata a sviluppo di calore e ciò spiega il rapido aumento della temperatura nella stratosfera.

La mesosfera

Si estende da 45 a 95 km di quota ed è caratterizzata da una forte diminuzione di temperatura che, al limite superiore, raggiunge valori compresi tra i –70 e i –90 °C. Nella mesosfera, per attrito, si incendiano le meteoriti provenienti dallo spazio, che formano scie luminose, chiamate popolarmente stelle cadenti. Nella mesosfera inizia una fascia caratterizzata dalla presenza di particelle dotate di cariche elettriche (ioni), detta ionosfera, che si estende tra gli 80 e i 500 km di quota (e che sconfina quindi nella termosfera): gli ioni si formano per azione di radiazioni provenienti dallo spazio (raggi cosmici) sui gas atmosferici. Con la mesopausa, che segna il confine tra mesosfera e termosfera, cessa la diminuzione di temperatura e si ha un’inversione di tendenza molto marcata.

La termosfera

Si estende da 95 a 500 km ed è così chiamata poiché la temperatura riprende ad aumentare, raggiungendo i 1000 °C a 300 km e valori straordinariamente elevati a quote maggiori (i valori di temperatura vanno intesi come misura dell’energia cinetica assai elevata delle poche molecole gassose presenti a quelle quote). I gas sono ionizzati o allo stato atomico; mancano completamente diossido di carbonio, vapore acqueo e ozono. Nella termosfera si verificano importanti fenomeni elettrici e geomagnetici, tra cui le aurore polari: si tratta di fenomeni luminosi, che si manifestano con maggior frequenza nelle zone polari, sotto forma di archi e raggi multicolori che cambiano rapidamente forma e colore e si originano quando elettroni e protoni provenienti dal Sole colpiscono ad alta velocità le particelle ionizzate presenti nell’alta atmosfera terrestre. La termosfera è sede degli strati ionizzati a maggior densità elettronica della ionosfera. Questi strati ionizzati riflettono le onde radio (tra i 60 e gli 80 km vengono riflesse le onde lunghe, tra i 90 e i 120 le onde medie, tra i 200 e i 250 le onde corte, tra i 400 e i 500 le onde cortissime). Lo strato di separazione tra termosfera ed esosfera è chiamato termopausa; in esso termina l’aumento di temperatura.

L’esosfera

È la zona al di sopra dei 500 km, nella quale la temperatura si considera costante. Al di sopra della termosfera, si possono verificare fughe di particelle dell’atmosfera verso lo spazio esterno; essa rappresenta una fascia di transizione in cui si mescolano particelle provenienti dalla Terra con altre di provenienza solare. Fa da confine con il vuoto cosmico e per l’estrema e progressiva rarefazione non è possibile stabilire con precisione un limite superiore. Inoltre, la zona che si estende al di sopra dei 500 km di quota viene anche chiamata magnetosfera: è la zona in cui gli ioni sono così rari da avere scarsissime possibilità di urtarsi, per cui la loro vita media è sufficientemente lunga da risentire gli effetti del campo magnetico terrestre; la magnetosfera interagisce con il vento solare, che la comprime conferendole una caratteristica forma a goccia.

L’ozonosfera e il buco nell’ozono

L’ozono, (O3), è un gas tossico, di colore bluastro e dal caratteristico odore acre, particolarmente concentrato nell’ozonosfera, dove si forma dall’ossigeno biatomico, (O2), per azione dei raggi ultravioletti (UV) provenienti dal Sole, con lunghezza d’onda inferiore a 300 nanometri. L’ozonosfera svolge un’importante funzione protettiva nei confronti della vita sulla Terra, poiché crea un’efficace barriera contro i raggi ultravioletti, che hanno effetto cancerogeno e possono provocare mutazioni. Tuttavia, l’integrità dell’ozonosfera è minacciata da una serie di sostanze provenienti dall’attività umana e il problema della diminuzione dello strato di ozono, comunemente noto come buco nell’ozono, costituisce uno dei più importanti aspetti dell’inquinamento atmosferico su scala planetaria, anche se il fenomeno è più evidente nelle regioni polari. Tra i responsabili della diminuzione di ozono stratosferico, vi sono i clorofluorocarburi (CFC), composti chimici organici contenenti cloro e fluoro, impiegati sia come fluidi refrigeranti nell’industria del freddo, sia come propellenti nelle bombole di aerosol. Il largo utilizzo di queste sostanze, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, ne ha determinato l’accumulo nell’atmosfera e la diffusione verso la stratosfera, dove l’azione della radiazioni UV li scompone e provoca la liberazione del cloro atomico, che, attraverso una complessa serie di reazioni, reagisce con l’ozono trasformandolo in ossigeno; il cloro è molto stabile e un solo atomo può distruggere fino a 100.000 molecole di ozono prima di diventare inattivo. Essendo stata accertata l’influenza dei CFC sulla diminuzione dell’ozono stratosferico, e note le conseguenze di ciò sull’ambiente e sugli esseri viventi, sono stati sottoscritti numerosi accordi internazionali per la messa al bando dei CFC e per l’impiego di sostituti meno dannosi per l’ozono.

La temperatura dell’aria nella troposfera

Lo strato dell’atmosfera in cui si svolgono i fenomeni meteorologici (venti e precipitazioni) e climatici e che influenza più direttamente la vita sulla Terra è la troposfera: per questo motivo verrà preso ora in considerazione questo strato, analizzandone i fattori da cui dipendono i fenomeni prima menzionati. Tali fattori comprendono la temperatura, la pressione e l’umidità. La temperatura dell’aria nella troposfera diminuisce all’aumentare della distanza dal suolo: infatti, la Terra riceve una quantità di onde “corte” provenienti dal Sole, le assorbe, si riscalda ed emette a sua volta radiazioni a lunghezza d’onda maggiore, che vengono indicate come ondelunghe” e sono note anche col nome di raggi infrarossi (IR).Il vapore acqueo e soprattutto il diossido di carbonio contenuti nell’atmosfera assorbono e rimandano solo in parte verso lo spazio tali onde lunghe, che in gran parte vengono invece riflesse verso la superficie terrestre: così, essi svolgono un ruolo decisivo nel mantenere in prossimità del suolo una temperatura mite, sufficiente per l’esistenza degli organismi viventi. Questo fenomeno è il cosiddetto effetto serra. Oltre all’altitudine, molti altri fattori influenzano la temperatura dell’aria nella troposfera, quali la latitudine, la posizione delle terre e dei mari, il tipo di terreno e la vegetazione. La temperatura media diminuisce all’aumentare della latitudine, poiché con essa diminuisce l’inclinazione dei raggi solari sulla superficie terrestre La temperatura delle zone costiere è più fresca in estate e più mite in inverno rispetto a quella di regioni dell’entroterra e ciò dipende dal fatto che l’acqua ha una capacità termica maggiore della terraferma, cioè richiede una maggiore quantità di calore per manifestare lo stesso aumento di temperatura: quindi, durante l’estate, la temperatura dell’acqua cresce meno rapidamente di quella della terraferma e ciò contribuisce a rendere la temperatura più fresca; viceversa, in inverno, il raffreddamento dell’acqua avviene meno rapidamente, contribuendo a mantenere la temperatura più mite rispetto all’entroterra. In base alla sua composizione chimica, il suolo può riflettere una diversa quantità della radiazione solare ricevuta e dunque influenzare la temperatura a livello locale: si chiama albedo la capacità della superficie terrestre di riflettere la luce solare e viene espressa dalla percentuale di luce riflessa sul totale della luce ricevuta. I valori più alti di albedo si hanno per la neve fresca (80-90%), mentre per i suoli coltivati il valore scende a 15-20%. La temperatura diminuisce in presenza di vegetazione, perché essa influisce sul valore dell’albedo, ma anche perché aumenta il contenuto di vapore acqueo nell’atmosfera a causa della traspirazione. Lo strumento per la misura della temperatura atmosferica utilizzato nelle stazioni meteorologiche è il termometro a mercurio. L’unità di misura della temperatura in meteorologia (la scienza che studia il tempo atmosferico) è il grado centigrado, o Celsius (simbolo °C). Il termometro deve essere collocato in modo tale che non venga influenzato da altro calore che non sia quello direttamente fornitogli dall’aria e per tale motivo lo si pone a un’altezza di circa due metri dal suolo; le stazioni meteorologiche sono anche dotate di termometri di massima e di minima (che permettono di leggere, in qualsiasi momento della giornata, le temperature minima e massima registrate) e di termografi, strumenti che registrano su un diagramma le temperature misurate in momenti diversi. Di particolare interesse per i meteorologi sono le temperature minima e massima diurne, che si registrano rispettivamente all’alba e verso le ore 15, le temperature medie (diurna, mensile e annua), l’escursione termica, cioè la differenza tra la temperatura minima e massima registrate nell’arco di una giornata, di un mese o di un anno (escursione termica diurna, mensile e annuale). È possibile rappresentare su una carta geografica la distribuzione della temperatura (giornaliera, mensile o annuale) mediante le isoterme, linee immaginarie che uniscono tutti i punti aventi uguale temperatura media, riferita a livello del mare, in un certo intervallo di tempo (giorno, mese o anno).

Mappa isoterma del mondo del 1910 circa

L’effetto serra

Con il termine “effetto serra” si indica un fenomeno che consiste nel riscaldamento dell’atmosfera terrestre: esso è dovuto al fatto che l’energia emessa dalla superficie terrestre, soprattutto sotto forma di raggi infrarossi (IR), per bilanciare il flusso di energia ricevuta dal Sole, viene parzialmente assorbita da alcuni gas presenti nell’atmosfera, detti gas-serra, soprattutto vapore acqueo e diossido di carbonio (CO2), e da questi nuovamente irradiata verso la Terra. In questo modo la temperatura media sulla superficie terrestre, di circa 15 °C, è maggiore a quella che si avrebbe in assenza di atmosfera (sulla Luna, dove manca l’atmosfera, la temperatura media è di circa –18 °C). Questo fenomeno, del tutto naturale, sta tuttavia intensificandosi a causa dell’attività umana, che immette nell’atmosfera quantità sempre maggiori di gas-serra, che, secondo un’ipotesi non condivisa da tutti gli scienziati, provocherebbero un aumento della temperatura media terrestre. Le società moderne, soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale, per produrre energia sono ricorse alla combustione di combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturali), particolarmente ricchi di carbonio, che nel processo di combustione si combina con l’ossigeno atmosferico formando CO2, la cui concentrazione è aumentata sensibilmente, passando nell’ultimo secolo da 270 parti per milione (ppm) a 366 ppm; l’aumento di CO2, è in parte attribuito anche alla deforestazione, che provoca una riduzione dell’attività fotosintetica delle piante, nella quale si consuma CO2. Altri gas-serra, in gran parte legati all’attività umana, sono il metano, il protossido di azoto e i clorofluorocarburi. Se l’immissione di CO2 nell’atmosfera dovesse proseguire secondo la tendenza degli ultimi 30 anni, si prevede un raddoppio della sua concentrazione, rispetto a quella attuale, tra circa un secolo. Tuttavia, tenendo conto anche dell’azione esercitata dagli altri gas, si ipotizza che possano crearsi condizioni equivalenti a un raddoppio di CO2 con un anticipo di circa mezzo secolo. L’aumento di temperatura conseguente a questo raddoppio viene stimato dell’ordine dei 2 °C a livello globale terrestre. Come conseguenza dell’aumento della temperatura media, si prevede una parziale fusione dei ghiacci polari (che comunque avverrebbe nell’arco di secoli), un graduale innalzamento del livello dei mari e la sommersione dei territori costieri. L’aumento di temperatura, tuttavia, comporterebbe anche un’intensificazione del tasso di evaporazione dell’acqua dalla superficie terrestre e un probabile aumento della nuvolosità, che ridurrebbe la radiazione solare che raggiunge la superficie terrestre, compensando in parte l’effetto serra. Le previsioni, ricavabili mediante modelli matematici, non sono ancora universalmente accettate, in quanto basate su una conoscenza tuttora parziale della dinamica dell’atmosfera terrestre.

Scambio radiativo ed influenza dell'effetto serra atmosferico

La pressione atmosferica

La pressione atmosferica equivale al peso di una colonna d’aria alta quanto l’atmosfera su una superficie di 1 cm2; a livello del mare, a 45° di latitudine e a 0 °C, essa è pari alla pressione che esercita una colonna di mercurio (Hg) alta 760 mm e della sezione di 1 cm2: si dice, perciò, che vale 760 mm Hg. La pressione atmosferica varia in rapporto all’altitudine, alla temperatura e all’umidità dell’aria. La pressione diminuisce all’aumentare dell’altitudine perché in corrispondenza diminuisce sia l’altezza della colonna d’aria sovrastante, sia la densità dell’aria. La pressione diminuisce all’aumentare della temperatura perché, riscaldandosi, l’aria si dilata, diventa meno densa e quindi più leggera. Per questo motivo, le masse d’aria calda hanno una pressione più bassa di quelle d’aria fredda, pertanto le prime tendono a salire, le seconde a scendere verso il basso. La pressione diminuisce all’aumentare dell’umidità atmosferica, cioè del suo contenuto di vapore acqueo, in quanto quest’ultima ha una densità minore dell’ossigeno e dell’azoto, i gas presenti in maggior quantità nell’atmosfera. Pertanto, l’aria umida è più leggera dell’aria secca e tende a salire verso l’alto, mentre la seconda tende a scendere verso il basso. È possibile rappresentare su una carta geografica la distribuzione della pressione atmosferica mediante le isobare, linee concentriche che uniscono tutti i punti caratterizzati da uguale pressione atmosferica, al livello del mare e alla temperatura di 0 °C. Le isobare delimitano aree di pressione più alta da aree di pressione più bassa. Un’area di alta pressione è detta area anticiclonica: in essa l’aria è più densa e tende quindi a spostarsi verso il basso e a dirigersi verso le zone di bassa pressione circostanti. Un’area di bassa pressione è detta area ciclonica: in essa l’aria è meno densa e tende quindi a spostarsi verso l’alto, convergendo verso il centro. La pressione atmosferica è misurata attraverso i barometri. Esistono barometri a mercurio, analoghi al dispositivo ideato nel 1643 da E. Torricelli (1608-1647), costituito da un tubo di vetro alto 1 m e della sezione di 1 cm2, chiuso a un’estremità, riempito di mercurio e capovolto in una vaschetta pure contenente mercurio: all’interno del tubo, la colonna di mercurio si abbassa finché viene raggiunto l’equilibrio tra la sua forza peso e la pressione atmosferica che grava sulla superficie libera del mercurio contenuto nella vaschetta. Si usano anche barometri aneroidi, costituiti da una capsula metallica nella quale è stato praticato il vuoto, contenente una molla. La pressione atmosferica fa deformare la capsula, mentre la molla, solidamente fissata alla capsula, è collegata a un indice scorrevole su un quadrante tarato secondo la scala delle unità di misura richieste. L’unità di misura della pressione del Sistema Internazionale è il pascal (Pa); altre unità sono: l’atmosfera (atm), che corrisponde a 760 mm Hg, il bar e un suo sottomultiplo, il millibar (mb). Il valore medio della pressione a livello del mare è fissato a 1 atm (760 mm Hg), corrispondenti a 1013 mb e a 10,13 Pa.

Ciclone Pam

L’umidità atmosferica

Per umidità atmosferica si intende la quantità di vapore acqueo contenuto nell’aria e che proviene dall’evaporazione dell’acqua dalla superficie terrestre per azione della radiazione solare e anche, in piccole quantità, dalla traspirazione delle piante. Il vapore acqueo ha un ruolo importantissimo nell’atmosfera, perché, come vedremo in seguito, dalla sua condensazione si formano le nubi, la nebbia e hanno origine le precipitazioni. Il vapore acqueo contenuto nell’atmosfera può essere espresso come umidità assoluta e umidità relativa. L’umidità assoluta indica i grammi di vapore acqueo contenuti in 1 metro cubo di aria. L’umidità relativa (UR) rappresenta il rapporto percentuale tra la quantità effettiva di vapore acqueo presente nell’aria e la massima quantità che, alla medesima temperatura, sarebbe necessaria perché l’aria fosse satura di vapore acqueo. Infatti, per ogni valore di temperatura dell’aria, esiste una quantità massima di vapore acqueo che può essere contenuta allo stato aeriforme: superata questa quantità, il resto del vapore acqueo condensa in goccioline di acqua allo stato liquido o, se la temperatura è uguale o minore di 0 °C, sublima in piccoli cristalli di ghiaccio. Quando il vapore acqueo contenuto nell’aria comincia a condensare, si dice che l’aria è satura di vapore acqueo. Un valore di UR pari, per esempio, al 70% significa che l’aria contiene il 70% del vapore acqueo che, a una data temperatura, la renderebbe satura; un valore di UR pari al 100% indica, invece, che l’aria è satura e, se la temperatura si abbassa o se altro vapore si aggiunge, il vapore presente in eccesso condensa. Il valore dell’umidità relativa dipende dalla temperatura dell’aria: all’aumentare della temperatura, aumenta la quantità di vapore acqueo necessaria perché l’aria sia satura; viceversa, se la temperatura è bassa, una minor quantità di vapore acqueo sarà sufficiente per saturare l’aria. Gli strumenti impiegati per la misura dell’umidità dell’aria si chiamano igrometri, di cui esistono diversi tipi: il più diffuso è l’igrometro a capello, il cui funzionamento sfrutta la proprietà dei capelli di allungarsi all’aumentare dell’umidità relativa dell’aria e di accorciarsi al diminuire della medesima. In un igrometro a capello, un fascio di capelli, tesi non tirati, è fissato a un’estremità, mentre l’altra estremità è fissata a un sistema di amplificazione che comanda un indice di riferimento su una scala graduata.

I venti

Le differenze di pressione atmosferica che si registrano tra zone diverse della superficie terrestre sono responsabili della formazione dei venti. I venti sono masse d’aria che si spostano orizzontalmente sulla superficie terrestre, da zone di pressione maggiore verso zone di pressione minore. Quanto più alta è la pressione tanto più pesante è l’aria: in un’area di alta pressione (anticiclonica) le masse d’aria che si trovano al centro, più dense e più pesanti, tendono a dirigersi verso la periferia; mentre in un’area di bassa pressione (ciclonica), l’aria al centro è più leggera e viene sollevata da quella più pesante delle aree vicine. Poiché le zone anticicloniche e cicloniche sono adiacenti, al suolo si verifica uno spostamento di aria dalle aree anticicloniche verso quelle cicloniche. La forza che origina un vento è chiamata forza di gradiente ed è direttamente proporzionale al gradiente barico, cioè al rapporto tra la differenza di pressione fra due punti della Terra e la loro distanza. I venti, come qualsiasi altro corpo che si muove liberamente su una superficie rotante, non si spostano in linea retta, ma subiscono una deviazione, verso destra nell’emisfero boreale e verso sinistra nell’emisfero australe, dovuta alla forza di Coriolis. Caratteri distintivi di un vento sono:

  • la direzione, che è sempre quella di provenienza e viene indicata in gradi sessagesimali partendo dal Nord; sono in uso anche le denominazioni fornite dalla rosa dei venti
  • la velocità, che si esprime in km/h o in nodi (1 nodo = 1,852 km/h); si misura con uno strumento detto anemometro e viene indicata dalla scala di Beaufort, che comprende valori da 0 a 12, con velocità crescenti; la velocità di un vento dipende dal gradiente barico: maggiore è il gradiente barico, maggiore sarà la velocità del vento.

Classificazione dei venti

In base al loro regime, cioè alla presenza o meno di variazioni nella direzione in cui spirano, i venti si classificano in:

  • costanti, quando spirano tutto l’anno sempre nella stessa direzione e nello stesso senso (per esempio, gli alisei” title=” periodici, se periodicamente invertono il senso in cui spirano; possono essere a periodo stagionale (monsoni) o a periodo diurno (brezze” title=” variabili o locali, se soffiano irregolarmente nelle zone temperate tutte le volte che si vengono a formare aree cicloniche o anticicloniche (scirocco, föhn, bora” title=” irregolari o ciclonici, se sono caratterizzati da movimento vorticoso che conferisce loro una violenza distruttiva; prendono nomi diversi a seconda delle località: uragani nelle Antille e sulle coste americane dell’Atlantico, tifoni nel Mar Giallo e nelle Filippine, tornado nelle grandi pianure degli USA e dell’Australia.

La bora a Trieste

La forza di Coriolis

I venti non si spostano in linea retta, compiendo il tragitto più breve, che è quello che taglia perpendicolarmente le isobare, ma, a causa della rotazione terrestre, deviano verso destra nell’emisfero boreale e verso sinistra nell’emisfero australe. Nelle 24 ore (durata del moto di rotazione) un punto che si trova al polo compie una rotazione completa su se stesso di 360°, senza però spostarsi. Un punto all’Equatore, nello stesso periodo compie a sua volta una rotazione di 360°, ma percorre un tragitto di circa 40.000 km (lunghezza dell’Equatore): un punto all’Equatore ha la stessa velocità angolare che al polo, ma ha anche una velocità lineare pari a circa 40.000 km al giorno. Spostandosi dai poli all’Equatore, la velocità lineare dei punti via via presi in considerazione aumenta. Una massa d’aria in movimento da uno dei due poli verso l’Equatore, procedendo verso le latitudini più basse, dove la velocità lineare è più alta, si trova in ritardo rispetto a quella che sarebbe stata la sua posizione se la Terra non ruotasse su se stessa. Viceversa, un vento che spira dall’Equatore verso i poli, quindi da zone a maggior velocità lineare verso altre a velocità minore, “anticipa” il movimento di rotazione della Terra. Il fenomeno determina una deviazione dei venti rispetto al moto rettilineo. Il senso della deviazione, che dipende dal senso della rotazione, cambia a seconda dell’emisfero, ed è espresso dalla legge di Ferrel: un corpo libero di muoversi sulla superficie terrestre devia verso destra nell’emisfero boreale e verso sinistra in quello australe.

Scala Beaufort, velocità del vento a un’altezza standard di 1 m su un terreno piatto.
Grado Velocità’ (km/h) Tipi di vento Caratteri indicativi
0 0-1 calma il fumo ascende verticalmente; il mare è uno “specchio”
1 2-5 bava di vento il vento devia il fumo; increspature dell’acqua
2 6-11 brezza leggera le foglie si muovono, una girandola ordinaria è messa in moto; onde piccole, ma evidenti
3 12-19 brezza foglie e rametti costantemente agitati, il vento dispiega le piccole bandiere; piccole onde, creste che cominciano
4 20-28 brezza vivace il vento solleva polvere, foglie secche, foglietti di carta, i rami sono agitati; piccole onde che divengono più lunghe
5 29-38 brezza tesa gli arbusti con foglie cominciano a oscillare; nelle acque interne si formano piccole onde con creste; onde moderate, allungate
6 39-49 vento fresco grandi rami agitati, i fili telegrafici fanno udire un sibilo; si formano marosi con creste di schiuma bianca, generalmente
7 50-61 vento forte alberi interi agitati, difficoltà a camminare contro vento; il mare è grosso, la schiuma comincia a essere sfilacciata in scie
8 62-74 burrasca moderata rami spezzati, camminare contro vento è impossibile; marosi di altezza media e più allungati, dalle loro creste si distaccano turbini di spruzzi
9 75-88 burrasca forte camini e tegole asportati; grosse ondate, spesse scie di schiuma e di spruzzi sollevate dal vento possono ridurre la visibilità
10 89-102 tempesta rara in terraferma; alberi sradicati, gravi danni alle abitazioni; enormi ondate con lunghe creste a pennacchio
11 103-117 fortunale si verifica raramente; gravissime devastazioni; onde enormi e alte, che talvolta possono nascondere navi di medio tonnellaggio; visibilità ridotta
12 oltre 118 uragano (o ciclone) sulla terraferma distruzione di edifici, manufatti ecc.; in mare l’aria piena di schiuma e di spruzzi porta a visibilità assai ridotta

Le forze di coriolis applicate ad un ciclone

La circolazione generale dell’aria nell’atmosfera

A causa della sfericità terrestre e dell’inclinazione dell’asse di rotazione, le basse latitudini vengono riscaldate più dei poli, poiché, a causa del maggiore angolo di incidenza, i raggi solari si distribuiscono ai poli su una superficie molto più estesa. La differenza di riscaldamento fra i poli e l’Equatore produce una differenza di temperatura, che l’atmosfera tende a riequilibrare attraverso il movimento delle masse d’aria dall’Equatore verso i poli. Supponendo la Terra immobile (non dotata di moto di rotazione intorno al suo asse) e con distribuzione regolare dei continenti e degli oceani, si avrebbe una circolazione dell’aria nella troposfera, limitatamente alla parte esposta ai raggi del Sole e per quanto riguarda l’emisfero nord. Questa circolazione ideale d’aria determina la formazione di una cella nota come cella di Hadley, così chiamata in onore dello scienziato inglese G. Hadley (1685-1768), che nel 1735 tentò di spiegare per la prima volta i fenomeni atmosferici su scala planetaria. A causa del riscaldamento solare, all’Equatore si generano correnti ascendenti di aria calda, che salgono a quote elevate sempre nella troposfera, dove divergono verso il Polo Nord e verso il Polo Sud, seguendo l’andamento dei meridiani.Spostandosi verso i poli, le correnti d’aria si raffreddano sempre più, fino a che chiudono il ciclo della circolazione ritornando verso l’Equatore come correnti fredde. Tuttavia, la rotazione terrestre introduce nella circolazione ideale dell’aria ora descritta una notevole modifica, dovuta anche alla disomogenea distribuzione di continenti e oceani. Sulle regioni equatoriali, a causa di correnti ascendenti verticali che si generano sulla regione maggiormente riscaldata del pianeta, si trova una zona di bassa pressione, nota anche come calma equatoriale, tanto temuta ai tempi della navigazione a vela, poiché la mancanza di venti poteva bloccare per lunghi periodi la navigazione. A nord e a sud di questa zona spirano gli alisei, che si formano a causa del movimento di aria che si sposta dalla zona di alta pressione, presente al di sopra delle fasce subtropicali del 30° parallelo, verso quelle si bassa pressione equatoriali. A causa della forza di Coriolis, nell’emisfero boreale gli alisei deviano verso destra (alisei di nord-est), mentre nell’emisfero australe deviano verso sinistra (alisei di sud-est). Fra le latitudini di 25° e 35° N e 25° e 35° S si trovano zone di alta pressione che, invece di costituire fasce continue, si concentrano in celle anticicloniche poste sugli oceani. Il movimento a spirale dell’aria divergente da queste due zone si dirige sia verso l’Equatore, generando gli alisei, sia verso i poli, generando i venti occidentali (o controalisei): questi spirano tra le latitudini di 35° e 60° N e 35° e 60° S, provenienti prevalentemente da sud-ovest nell’emisfero boreale e da nord-ovest nell’emisfero australe. Mentre nell’emisfero nord le masse continentali causano interruzioni nella fascia dei venti occidentali, nell’emisfero sud la fascia è pressoché ininterrotta e i venti assumono persistenza e vigore. Le zone polari, artica e antartica, sono caratterizzate da venti orientali (perché provenienti da est), detti anche polari, che si spostano dalle zone di alta pressione polare verso le fasce di bassa pressione subpolare. La circolazione dell’aria finora descritta si riferisce alla bassa troposfera. Nell’alta troposfera, mancando l’attrito esercitato da ostacoli presenti sulla superficie terrestre (per esempio, catene montuose),i venti si muovono a maggiore velocità, che tende ad aumentare con l’altezza. Inoltre, la situazione relativa alla pressione è invertita rispetto al suolo (alta pressione sulla zona equatoriale e bassa pressione sulle zone polari): quindi, le masse d’aria si spostano dall’Equatore verso i poli e, deviate a causa della rotazione terrestre, generano delle correnti occidentali, che si spostano verso est seguendo l’andamento dei paralleli. Alle medie latitudini, le correnti occidentali spirano a velocità molto elevate (da 250 a 500 km/h), tanto da essere chiamate correnti a getto. Esse sono paragonabili a “fiumi di aria” molto ampi (fino a 500 km) e poco profondi (alcuni km), che talvolta circondano come un’unica fascia l’intero globo. Si è recentemente scoperto che esistono due correnti a getto in ciascun emisfero: la corrente a getto del fronte polare, che soffia a circa 60° di latitudine, e la corrente a getto subtropicale, a circa 30° di latitudine. Le correnti a getto sembrano rivestire grande importanza nella formazione e nel movimento delle depressioni, cioè delle aree cicloniche, alle medie latitudini.

Circolazione dei venti

Il flusso energetico dal sole alla terra

L’attività alla superficie del “sistema Terra” è regolata dai flussi energetici provenienti dal Sole, che, attraversando l’atmosfera, agiscono sul pianeta. L’energia che arriva alla Terra è trasportata da un ampio spettro di onde elettromagnetiche, in particolare radiazioni infrarosse, luminose e ultraviolette. Entrando in contatto con l’atmosfera, tali radiazioni vengono da questa in parte diffuse, riflesse e assorbite; la frazione che riesce ad attraversare completamente l’atmosfera raggiunge la superficie degli oceani e delle terre emerse (che a loro volta la riflettono parzialmente). La diffusione interessa soprattutto le radiazioni luminose (luce visibile): quando esse urtano contro le particelle di gas dell’aria o del pulviscolo, deviano in tutte le direzioni. Tale fenomeno fa sì che circa il 6% della luce solare ritorni verso lo spazio, mentre il restante 94% raggiunge la Terra. La riflessione determina la deviazione delle radiazioni in direzioni precise ed è causata dalle nubi, dalla superficie degli oceani e delle terre emerse. Le nubi riflettono, in base alle loro caratteristiche, fra il 30% e il 60% della radiazione totale che le colpisce; la superficie dei ghiacciai fino all’85%; le acque fino al 25%; le terre emerse in misura diversa, a seconda che si tratti di foreste, di superfici coltivate, di deserti o di aree urbanizzate (il rapporto percentuale fra l’energia in arrivo e quella riflessa è detto albedo). L’assorbimento, infine, è operato dalle molecole gassose presenti nei diversi strati dell’atmosfera. In totale, alla superficie terrestre arriva il 47% dell’energia solare iniziale, che viene assorbita dall’acqua dell’idrosfera e dalle rocce superficiali della litosfera. Poiché il flusso energetico proveniente dal Sole è continuo e all’inizio costante, la temperatura della Terra dovrebbe aumentare progressivamente. Qualsiasi corpo, però, riscaldandosi emette a sua volta radiazioni, che restituiscono all’ambiente esterno parte dell’energia assorbita. Nel tempo si stabilisce un equilibrio radiativo, per cui la quantità di energia assorbita pareggia quella emessa. Durante questi complessi scambi, l’energia che va a riscaldare le terre emerse e le masse d’acqua oceaniche viene trasmessa poi all’aria. Tali processi attivano i movimenti dei venti e delle correnti marine, il passaggio dell’acqua dall’idrosfera all’atmosfera per evaporazione, la condensazione del vapore acqueo in precipitazioni, cioè tutti i processi che interessano atmosfera e idrosfera.

Tipologie di venti.
Classe Nome Caratteristiche
costanti (venti che soffiano tutto l’anno, sempre nella stessa direzione e nello stesso senso) alisei (dal francese alizé) spirano nelle zone fra l’Equatore e i tropici; da nord-est a sud-ovest nell’emisfero boreale, da sud-est a nord-ovest nell’emisfero australe; si generano nelle zone anticicloniche tropicali e convergono verso le zone equatoriali
venti extratropicali spirano nelle fasce equatoriali dove, per effetto del riscaldamento, si formano masse di aria calda e umida ascendenti
venti occidentali spirano fra i 35° e i 60°, in corrispondenza delle zone temperate: da sud-ovest a nord-est nell’emisfero boreale, da nord-ovest a sud-est nell’emisfero australe; sono i venti regolari delle zone temperate
periodici (venti che invertono periodicamente monsoni (dall’arabo mausim, stagione) sono sistemi di venti caratteristici dell’oceano Indiano e dei mari della Cina; soffiano, durante il semestre estivo (aprile-ottobre), dall’oceano (anticiclone) verso terra (India e Asia nordorientale, aree cicloniche); durante i mesi invernali (novembre-aprile) dall’India verso l’oceano (Africa orientale)
etesi (dal greco étos, anno) spirano, durante l’estate, dal Mare Egeo all’Egitto, e in senso opposto durante l’inverno
brezze venti moderati a periodo diurno; si distinguono in: brezze di mare e di terra: soffiano, durante il dì, dal mare alla costa, durante la notte, dalla costa al mare; brezze di monte e di valle: soffiano, durante il dì, dalla valle alla montagna, durante la notte, dalla montagna alla valle; brezze di lago e di riva: si comportano come le brezze di mare e di terra
variabili o locali scirocco (dall’arabo shulùq, vento di mezzogiorno) vento caldo che nasce nel deserto del Sahara; procedendo da sud-ovest verso nord, si carica di umidità sul Mediterraneo e raggiunge, umido e violento, l’Europa
mistral (dall’antico provenzale maestral) vento assai freddo, che spira dal Massiccio Centrale francese e raggiunge la massima violenza nella vallata del Rodano
föhn, o favonio (dal latino favonius, da favĕre, far crescere) vento caldo e secco, che soffia soprattutto in primavera e in autunno nelle vallate alpine verso l’Austria e la Svizzera e talvolta raggiunge la pianura Padana
ghibli (dall’arabo qiblì, meridionale) vento del deserto, molto caldo e carico di sabbia, che soffia per una trentina di giorni l’anno soprattutto sui territori della Tunisia, della Libia e dell’Egitto
khamsin (dall’arabo khamasin, 50) vento caldo e secco che spira da sud, da aprile a giugno, sul delta del Nilo; dura da 3 a 5 giorni
harmattan (dal vento caldo, secco e molto violento, che spira da nord-est, in inverno e in primavera, nell’Africa occidentale
bora (dal greco vento freddo e violento che spira dai monti Illirici, nell’ex Iugoslavia, verso le coste dell’Istria, della Dalmazia, Trieste, fino alle coste venete, in inverno
austro (dal latino auster, vento da sud, ostro) vento caldo che spira da sud
grecale (dal tardo vento che soffia da nord-est a sud-ovest sul Mediterraneo centrale e meridionale
maestrale (da maestro inteso come principale vento da nord-ovest; è uno dei venti predominanti Mediterraneo
libeccio (da Libycos, vento da ovest o da sud-ovest, violento in tutte le stagioni; soffia sulla Corsica e sull’Italia tirrenica
chinook (dal nome di una tribù pellerossa del vento caldo e asciutto che soffia da nord-ovest, sulle Montagne Rocciose (USA), prevalentemente in primavera e in autunno
pampero (da pampa) vento freddo e umido che spira da ovest, tra luglio
irregolari o ciclonici cicloni vengono così genericamente definiti i venti irregolari, violentissimi e distruttivi, dotati di movimento vorticoso; essi prendono nomi diversi secondo le località: uragani (dall’amerindio huracanes) nelle Antille e sulle coste americane dell’Atlantico; tifoni (dal cinese t’ai fung, vento violento) nel Mar Giallo e nelle Filippine; tornados (dallo spagnolo tornado, derivato da torno, giro, vortice) nelle grandi pianure degli USA e in Australia

Tornado (Illinois)

Le nubi e la nebbia

Quando l’aria è satura di vapore, per abbassamento della temperatura dell’aria o per aggiunta di altro vapore acqueo, il vapore presente in eccesso condensa: si formano così delle goccioline finissime di acqua, che danno origine alle nubi (se la condensazione avviene a una certa quota) o alla nebbia (se la condensazione avviene a livello del suolo).

Le nubi

Le nubi sono masse d’aria satura di vapore acqueo, in cui sono sospese numerose goccioline d’acqua (di dimensioni comprese tra i 20 e i 50 millesimi di millimetro) e spesso anche cristalli di ghiaccio. Il numero e le dimensioni delle goccioline dipendono dalla presenza nella massa d’aria dei cosiddetti nuclei di condensazione, cioè di particelle finissime come quelle che costituiscono il pulviscolo atmosferico, minuti cristalli di sali o sostanze inquinanti: quanto più numerosi sono i nuclei di condensazione, tanto più numerose e di piccole dimensioni sono le goccioline d’acqua che si formano. Alle medie e alle alte latitudini, è possibile che le parti più alte delle nubi si trovino a una temperatura minore di 0 °C, per cui le goccioline solidificano in piccoli cristalli di ghiaccio. Una nube può formarsi per afflusso di vapore acqueo in una massa d’aria oppure per raffreddamento dell’aria fino alla temperatura di condensazione del vapore acqueo, secondo diversi meccanismi:

  • per raffreddamento convettivo, che si determina quando una massa d’aria, riscaldata per contatto con la superficie terrestre, diventa più leggera, sale nella troposfera e, salendo, si raffredda (la temperatura scende di 1 °C ogni 100 m d’altezza”) per raffreddamento sinottico, che avviene quando si incontrano due masse d’aria a diversa temperatura (l’aria più fredda, quindi più densa, tende a collocarsi sotto quella più calda, che invece si solleva e si raffredda) per raffreddamento orografico, che si verifica quando una massa d’aria, spostandosi, incontra un rilievo montuoso ed è costretta a risalirne i pendii e in tal modo si raffredda. Le nubi possono essere classificate in base alla loro altezza e il base al loro aspetto. In base all’altezza a cui si formano, si distinguono: nubi basse (sino a 2 km al di sopra della superficie terrestre), nubi medie (tra 2 e 6 km) e nubi alte (da 6 a 13 km). In base al loro aspetto, si distinguono tre tipi fondamentali:
  • i cumuli, nubi bianche, separate le une dalle altre, dense, con sviluppo verticale, con la base piatta e la parte superiore a forma di cavolfiore
  • gli strati, così chiamati perché formano uno strato grigio uniforme, a frammenti o continuo
  • i cirri, piccole nubi generalmente alte, a strisce e di colore bianco, che contengono spesso cristalli di ghiaccio, data l’altezza a cui si formano. La classificazione più completa delle nubi è quella proposta dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che divide le nubi in 10 generi e numerose specie e varietà.
Tipi di nube.
Tipo Descrizione
nubi alte cirri piccole nubi con forme a banchi o a strisce, di colore bianco; spesso si presentano come filamenti a forma di piumetta
cirrocumuli si dispongono a increspature, strisce e piccoli fiocchi, formando il caratteristico “cielo a pecorelle”
cirrostrati formano un velo bianco trasparente, liscio e uniforme o fibroso, talora con aloni
nubi medie altocumuli la forma è molto variabile; possono essere a banchi oppure continue
altostrati distesa nuvolosa informe e grigia; il Sole vi può penetrare debolmente, ma non si hanno fenomeni ottici particolari
nembostrati tipiche nubi di pioggia, grigie, scure, opache
nubi basse stratocumuli formano una coltre grigia o biancastra con bande scure; si presentano spesso in rotoli, ondulazioni e masse arrotolate
strati formano un caratteristico strato grigio uniforme, a frammenti o continuo; spesso producono pioviggine, prismi di ghiaccio o nevischio
cumuli nubi bianche, separate le une dalle altre, dense, con sviluppo chiaramente verticale; la base è piatta e la parte superiore a forma di cavolfiore
cumulonembi sono l’estremo sviluppo verticale dei cumuli; hanno l’aspetto di una torre, sono scuri alla base e spesso accompagnati da temporali

La nebbia

La nebbia è una massa d’aria satura di vapore acqueo, che si forma vicino al suolo e che, rispetto alle nubi, presenta spessore minore e contiene goccioline d’acqua di dimensioni più piccole. La condensazione del vapore acqueo è dovuta in questo caso alla differenza di temperatura che si instaura tra il suolo e l’aria sovrastante: in base ai meccanismi con i quali ciò avviene, si distinguono nebbie da advezione e nebbie da irraggiamento. Le nebbie da advezione si possono originare quando masse d’aria fredda permangono al di sopra di un suolo o di una massa d’acqua relativamente più caldi, oppure quando i venti portano aria umida e calda sopra a suoli o masse d’acqua più freddi. Le nebbie da irraggiamento si formano al calar del Sole, quando la temperatura del suolo comincia a diminuire in seguito a perdita di calore per irraggiamento; successivamente, anche l’aria sovrastante si raffredda e il vapore acqueo in essa contenuto condensa, originando la nebbia. Il fenomeno è più evidente con cielo sereno (perché maggiore è la perdita di calore per irraggiamento, mancando la copertura nuvolosa che riflette le radiazioni emesse dalla Terra) e in zone ricche di masse d’acqua (laghi, fiumi ecc.), perché maggiore in questo caso è l’evaporazione che rende l’aria più umida.

Le precipitazioni

Sono considerate precipitazioni tutte le forme liquide o solide che assume il vapore acqueo e che cadono al suolo, come pioggia (gocce d’acqua), neve e grandine (cristalli di ghiaccio); vengono considerate precipitazioni anche le forme liquide e solide che si formano al suolo, quali la rugiada e la brina. Perché si formino le precipitazioni, è necessario che le goccioline d’acqua contenute all’interno delle nubi diventino tanto grosse da non poter più essere sostenute da correnti ascensionali presenti nelle nubi stesse, per cui cadono al suolo per effetto della forza di gravità. Le gocce di pioggia (le cui dimensioni variano da qualche decimo di millimetro a qualche millimetro) si formano per coalescenza (dal latino coalescĕre, crescere assieme), cioè per progressiva unione, aggregazione di più goccioline. Lo stesso processo può interessare i cristalli di ghiaccio che si saldano, dando origine ai fiocchi di neve; essi si formano per sublimazione del vapore acqueo, quando la temperatura delle nubi scende al di sotto del punto di congelamento dell’acqua. La grandine è costituita da chicchi di ghiaccio in cui si riconosce una struttura a strati concentrici sovrapposti; essa si forma a causa dei violenti moti convettivi dell’aria all’interno dei turbolenti cumulonembi, (nubi molto alte e strette): le goccioline d’acqua vengono portate verso la parte alta della nube, dove congelano e ricadono, per gravità, verso il basso, rivestendosi di altra acqua; a causa dei moti convettivi nella nube, il ciclo si ripete più volte, finché il chicco di grandine non diventa tanto grande da precipitare al suolo. La rugiada è costituita da goccioline d’acqua formatesi sul terreno durante la notte, quando l’aria a contatto col suolo si raffredda fino a provocare la condensazione del vapore acqueo. Se la temperatura notturna scende al di sotto di 0 °C, il vapore acqueo sublima formando la brina, costituita da minutissimi aghi di ghiaccio. Le precipitazioni vengono misurate in millimetri (come altezza della lama d’acqua al suolo), attraverso strumenti detti pluviometri. La distribuzione geografica delle precipitazioni viene rappresentata sulle carte attraverso le isoiete, linee immaginarie che uniscono tutti i punti caratterizzati da una stessa quantità di precipitazioni nel periodo considerato. La distribuzione delle precipitazioni in una determinata zona in un certo arco di tempo (mese o anno) prende il nome di regime pluviometrico.

Diversi tipi di precipitazioni.

Pioggia

Nevicata

Grandinata

Brina

rugiada su una ragnatela

Pioggia, neve, grandine, rugiada, brina e nebbia

Le perturbazioni atmosferiche

Nel paragrafo precedente si è visto che su determinate aree della Terra ci sono zone di bassa e di alta pressione permanenti; ma, oltre a queste, esistono anche cicloni(aree di bassa pressione) e anticicloni (aree di alta pressione) temporanei, che cambiano di ora in ora la loro posizione e che determinano condizioni meteorologiche instabili. I cicloni, in particolare, generano moti ascendenti di aria che, raffreddandosi, dà luogo a nubi e precipitazioni: per questo motivo essi vengono considerati perturbazioni atmosferiche. Sono dette cicloni extratropicali le perturbazioni che si verificano alle medie latitudini e si estendono per migliaia di chilometri e cicloni tropicali quelle che riguardano le basse latitudini, meno estese ma catastrofiche.

I cicloni extratropicali

I cicloni extratropicali determinano l’andamento del tempo alle medie latitudini e si devono all’incontro di masse d’aria calda e umida, di provenienza tropicale, con masse d’aria fredde e secche di provenienza polare. Per masse d’aria s’intendono grandi volumi d’aria, che presentano caratteri di omogeneità, le cui caratteristiche fisiche più peculiari consistono nella distribuzione orizzontale quasi uniforme di temperatura e di umidità; in base al loro luogo d’origine, esse vengono classificate in masse d’aria polari (fredde) e masse d’aria tropicali (calde); in base alla superficie su cui scorrono, possono inoltre essere distinte in continentali (secche) e marittime (umide). Quando due masse d’aria di diversa provenienza s’incontrano, mantengono inalterate le loro caratteristiche e sono separate da una superficie di discontinuità detta fronte: si distinguono un fronte caldo, un fronte freddo e un fronte occluso. Un fronte caldo si forma quando una massa d’aria calda e umida, di provenienza tropicale, avanza dietro una massa d’aria fredda che si sta spostando; lungo il fronte si ha la formazione di nubi stratificate e precipitazioni deboli e persistenti. Un fronte freddo si forma quando s’incontrano una massa d’aria fredda e secca, proveniente dai poli, con una massa d’aria calda e umida, proveniente dai tropici. In questo tipo di fronte, l’aria fredda, più densa, tende a insinuarsi sotto quella calda, che, sollevata vigorosamente in quota, dà luogo alla formazione di imponenti sistemi nuvolosi cumuliformi (poiché la superficie di contatto tra le due masse d’aria è quasi verticale rispetto alla superficie terrestre) e a precipitazioni di carattere temporalesco, violente ma di breve durata. Un fronte occluso separa due masse d’aria entrambe fredde e si forma quando un fronte freddo, che si sposta più velocemente, raggiunge un fronte caldo; un fronte occluso è caratterizzato da aria calda in quota e aria fredda al suolo e dalla sovrapposizione dei due sistemi nuvolosi, con manifestazione di fenomeni tipici sia del fronte caldo, sia di quello freddo.

Lo stadio d'occlusione (L = minimo di bassa pressione)

I cicloni tropicali

A seconda delle zone in cui si manifestano, i cicloni tropicali sono anche chiamati uragani (oceano Atlantico e Pacifico meridionale), tornado (America Centro-settentrionale), tifoni (oceano Pacifico settentrionale) e willy-willies (Australia nordoccidentale). I cicloni tropicali si originano per forti differenze di pressione, mentre sono minime le differenze di temperatura: perciò, non si generano fronti, come nel caso precedente, ma vortici d’aria, con una zona di pressione molto bassa al centro. Il tipo fondamentale del ciclone tropicale è caratterizzato da una zona non molto estesa, ma profonda, al cui centro la pressione è inferiore a quella normale di 760 mm Hg; attorno al centro, l’aria, calda e ricca di vapore acqueo, si solleva in correnti ascendenti con andamento vorticoso, la cui velocità raggiunge e talora supera i 200 km/h, lasciando un vuoto che viene colmato da masse d’aria provenienti da zone limitrofe a pressione maggiore. Presso il centro del ciclone si trova una zona di calma, detta occhio del ciclone, con poche nubi. Solitamente i cicloni si originano alle basse latitudini e si spostano verso ovest o nord-ovest, con violente piogge e forti venti sui luoghi interessati.

Uragano Irma (2017) che si abbatté sulle coste caraibiche e la Florida

El Niño

Negli ultimi due decenni del secolo XX gli scienziati hanno riconosciuto la straordinaria importanza di un fenomeno atmosferico oggi noto come ENSO (El Niño-Southern Oscillation), che periodicamente produce effetti molto intensi al livello mondiale ma che in precedenza era conosciuto soltanto localmente sulle coste peruviane, dove si manifesta come un aumento della temperatura delle acque del Pacifico associata a una riduzione della pescosità.. Si tratta in pratica di un fenomeno di distruzione periodica dell’equilibrio del sistema atmosfera-oceano, con oscillazioni che nell’ultimo secolo hanno avuto una frequenza compresa tra quattro e sette anni. Le sue cause non sono ancora ben conosciute, ma gli effetti possono essere catastrofici: si manifestano infatti sotto forma di gravi siccità in alcune zone (Australia, Sahel, Estremo oriente) e di piogge torrenziali in altre regioni (California, Indonesia, Africa orientale).

El Niño nel 2015

Le previsioni del tempo

Le previsioni del tempo si basano soprattutto sulla conoscenza del sistema dei fronti caldi e freddi e dei cicloni extratropicali, descritto e analizzato tra il 1920 e il 1930 da Jacob Bjerknes (1897-1975), uno studioso americano di origine norvegese. Per ottenere risultati attendibili, però, occorreva disporre di una rete di strumenti di misura il più possibile numerosi e precisi, cosa che è divenuta possibile solo nella seconda metà del secolo XX. Attualmente le stazioni meteorologiche disseminate in tutto il mondo sono più di 10.000, molte delle quali si trovano in mare a bordo di imbarcazioni appositamente attrezzate, e a intervalli di qualche ora (ma in certi grandi aeroporti anche di 30 minuti) effettuano misurazioni dei sette parametri fondamentali dell’atmosfera in base ai quali si definisce ogni situazione meteorologica: pressione, temperatura, densità, umidità e le tre componenti (direzione, verso e intensità) della velocità del vento. Vi sono poi diverse centinaia di stazioni che eseguono rilevazioni in quota (fino a 20-30 km di altezza) per mezzo di palloni sonda, e altre ancora che fanno uso del radar, installato a terra o montato su aeroplani. Naturalmente le stazioni meteorologiche non sono distribuite in modo uniforme, in parte a causa dell’irregolarità della superficie terrestre, ma anche per il diverso grado di sviluppo delle varie nazioni. A questo stato di incompletezza rimediano in gran parte i satelliti meteorologici, che oggi sono in grado di analizzare l’andamento delle masse d’aria su tutta la superficie del pianeta e di trasmettere i risultati a terra in tempo utile. Tutti i dati così raccolti vengono trasmessi ai vari centri e uffici meteorologici che fanno parte dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM), con sede a Ginevra. Per l’Europa è particolarmente importante il Centro europeo per le previsioni a medio termine (ECMWF) situato a Reading, presso Londra, che si avvale della collaborazione di 18 paesi tra i quali l’Italia. I dati di Reading vengono poi rielaborati dai diversi enti locali con l’aggiunta di altri dati raccolti nelle rispettive zone: in Italia se ne occupa il servizio meteorologico dell’Aeronautica militare che a questo scopo ha istituito nel 1981 il sistema “Afrodite” e poi, nel 1988, il sistema “Argo”, capace di eseguire previsioni particolareggiate per 150 località del nostro paese. In questi centri avviene l’elaborazione dei dati per le previsioni numeriche. Fin dagli albori della meteorologia era stata concepita l’idea che le previsioni del tempo si potessero trattare come un qualsiasi problema risolvibile con le equazioni della fisica, ma all’atto pratico questo non si poteva realizzare perché richiedeva una capacità di calcolo che fino a qualche decennio fa sarebbe stata impensabile. Oggi queste difficoltà si possono considerare in gran parte superate grazie al rapido progresso degli elaboratori elettronici. Presso il centro di Reading vengono eseguite previsioni dei movimenti orizzontali e verticali delle masse d’aria, della pressione e della temperatura in quota e in superficie, alle quali viene attribuita una validità di sei giorni (con indicazioni di massima fino a nove giorni). Per i calcoli viene utilizzato un modello matematico che divide idealmente l’atmosfera in 31 strati, a loro volta suddivisi in un totale di oltre 3 milioni di “cubi” di 55 km di lato, che si estende fino a 30 km di altitudine. Per definire lo stato dell’atmosfera in qualsiasi momento sono necessari 6 milioni di numeri, e per formulare una normale previsione a medio termine occorrono ben 6000 miliardi di operazioni. In teoria i limiti delle previsioni di Reading potrebbero essere estesi fino a due settimane, a patto che vengano eliminati tutti i possibili errori all’interno del modello, e in futuro anche a periodi più lunghi a condizione che siano disponibili dati più numerosi e più precisi. + Grazie a questi sviluppi tecnologici è stato possibile ridurre sempre più l’importanza del fattore umano, e quindi la soggettività delle previsioni. Tuttavia l’intervento dell’uomo rimane ancora indispensabile per l’interpretazione dei dati, e anche per la presentazione delle previsioni al pubblico generico. I servizi meteorologici nazionali e internazionali preparano tra l’altro le carte sinottiche, che presentano la distribuzione dei vari parametri osservata in uno stesso istante, al suolo e in quota, su grandi regioni della Terra. Sono queste le carte che in forma solitamente semplificata vediamo riprodotte sui giornali o presentate in televisione e che, integrate da immagini fotografiche riprese dai satelliti artificiali, illustrano la distribuzione delle masse d’aria e i loro spostamenti nel corso del tempo. Generalmente mostrano l’andamento delle isobare, i fronti caldi e freddi, e spesso anche la direzione del vento.

Esempio di carta meteorologica con una saccatura sull'Italia.