Di tutte le acque presenti sulla Terra, solo una piccola parte è presente sulle terre emerse, costituendo le acque continentali, dette anche acque dolci per il minor contenuto di sali disciolti rispetto alle acque dei mari. Per azione dell’energia solare e della forza di gravità, le acque continentali passano continuamente dallo stato liquido a quello aeriforme nell’atmosfera e nuovamente ritornano sulla Terra, attraverso le precipitazioni, allo stato liquido (pioggia) o solido (neve): l’insieme di queste trasformazioni costituisce il ciclo dell’acqua. I “serbatoi” in cui sono contenute le acque continentali sono i fiumi, corsi d’acqua con deflusso permanente che scorrono in alvei naturali; i laghi, masse d’acqua dolce raccolte in conche naturali o artificiali della superficie terrestre; i ghiacciai, masse di acqua allo stato solido originate dalla progressiva trasformazione della neve in ghiaccio. Nel loro insieme, fiumi, laghi e ghiacciai costituiscono le acque superficiali. Le falde acquifere che scorrono nel sottosuolo rappresentano, invece, le acque sotterranee, che possono affiorare in superficie e dare origine alle sorgenti.
L’insieme di tutte le acque del pianeta, nei diversi stati di aggregazione (solido, liquido e gassoso), costituisce l’idrosfera. Si stima che la quantità totale d’acqua sulla Terra sia pari a 1,5 miliardi di km 3 : gli oceani e i mari contengono il 97% delle risorse idriche della Terra; il resto è rappresentato dalle acque dolci, così chiamate per il minore contenuto di sali (circa 0,5%) rispetto a quello presente nelle acque marine (circa 3,5%), dette anche acque continentali essendo presenti sulle terre emerse. La maggior parte delle acque dolci è “intrappolata” in ghiacciai, racchiusa in falde sotterranee e presente nell’atmosfera come vapore acqueo. Solo una piccola frazione è presente nei fiumi, nei laghi e negli organismi viventi. Tra questi diversi “serbatoi” avviene una continua circolazione di acqua: l’insieme dei processi che consente all’acqua di trasferirsi dagli oceani all’atmosfera, di raggiungere le terre emerse per poi tornare di nuovo agli oceani costituisce il ciclo dell’acqua. Tale ciclo si realizza mediante variazioni dello stato fisico dell’acqua ed è costantemente alimentato dall’energia del Sole e dalla forza di gravità. Negli oceani l’acqua si trova allo stato liquido: il riscaldamento solare provoca l’evaporazione di una porzione dell’acqua superficiale che, trasformatasi in vapore, entra nell’atmosfera e può essere trasportata dai venti. Se una massa d’aria già satura d’umidità riceve altro vapore acqueo, o se la sua temperatura diminuisce, ha luogo la condensazione del vapore acqueo: in conseguenza di questo processo, possono poi verificarsi le precipitazioni, con le quali l’acqua allo stato liquido o solido raggiunge in parte i continenti e in parte ritorna direttamente agli oceani. L’acqua che cade sulle terre emerse deve effettuare un percorso spesso lungo e tortuoso, prima di tornare nuovamente agli oceani per azione della forza di gravità e chiudere così il ciclo. Una porzione di quest’acqua penetra nel suolo per infiltrazione e in buona parte va ad alimentare le falde sotterranee; quest’acqua resta per un periodo più o meno lungo nel sottosuolo, dove dà origine al cosiddetto deflusso profondo, finché riaffiora nei fiumi o nelle sorgenti. Un’altra porzione dell’acqua di precipitazione che scorre sulla superficie terrestre e che, prima di tornare agli oceani, si concentra nei fiumi dà luogo, invece, a un deflusso superficiale. Una certa parte dell’acqua presente nel suolo torna direttamente nell’atmosfera mediante l’evaporazione; un’altra parte viene assorbita dalle radici delle piante e trasportata fino alle foglie per essere di nuovo liberata nell’atmosfera tramite la traspirazione che ha luogo attraverso le foglie: nel loro insieme, questi due processi prendono il nome di evapotraspirazione. La quantità di acqua che ogni anno cade sul pianeta con le precipitazioni e quella che ritorna nell’atmosfera attraverso l’evaporazione e l’evapotraspirazione costituiscono il bilancio idrologico: a livello planetario esso è in pareggio, cioè la quantità di acqua che cade sulla Terra è uguale a quella che ritorna nell’atmosfera; tuttavia, può presentare squilibri a livello regionale, in funzione del clima della zona: esistono, infatti, regioni a clima arido, in cui l’acqua che ritorna nell’atmosfera è maggiore di quella che cade attraverso le precipitazioni, e regioni in cui, invece, è maggiore la quantità di acqua ricevuta con le precipitazioni rispetto a quella persa con l’evaporazione e l’evapotraspirazione. Di seguito descriviamo le caratteristiche dei diversi “serbatoi” in cui è presente l’acqua sulla Terra, iniziando dalle acque superficiali.
Le acque superficiali comprendono i fiumi, di cui ci occupiamo in questo paragrafo, e i laghi, trattati nel prossimo. L’acqua allo stato liquido, proveniente dalle precipitazioni e che giunge sulla superficie terrestre, può scorrere in superficie dando origine a “rivoletti” disordinati: essi costituiscono le cosiddette acque dilavanti, che a poco a poco si incanalano e confluiscono, formando corsi d’acqua di dimensioni via via maggiori detti nell’ordine ruscelli, torrenti e fiumi. I torrenti contengono acqua solo in alcuni periodi dell’anno e sono invece in secca (assenza di acqua) in altri momenti. I fiumi sono corsi d’acqua che scorrono entro alvei naturali con una modesta pendenza media e con deflusso d’acqua permanente. I fiumi possono essere alimentati dalle acque sotterranee, dalle precipitazioni e dallo scioglimento dei ghiacciai e, soprattutto a causa di questi ultimi due, durante l’anno possono avere periodi di piena (abbondanza d’acqua) o periodi di magra (scarsità d’acqua). Nello sviluppo di un fiume si individuano tre parti distinte: il corso superiore, il corso medio e il corso inferiore:
Il termine “alveo”, o “letto”, indica la sede entro cui scorrono le acque di un fiume e che esso stesso si scava grazie all’azione erosiva della corrente. In esso si distinguono le seguenti parti:
il letto d’inondazione: (o alveo maggiore) è la fascia potenzialmente inondabile dal fiume durante le piene storiche. Spesso, il prelievo di materiali (per esempio, sabbie e ghiaie) da un corso d’acqua da parte dell’uomo ha abbassato il piano di scorrimento della corrente, che fluisce incassata profondamente tra le sponde, in modo che l’esondazione delle acque risulta frenata. Gli interventi umani sono comunque recenti e i loro effetti non hanno ancora cancellato le forme naturali. Il profilo trasversale del letto d’inondazione ha una forma leggermente convessa il letto ordinario: (o alveo di piena) è il solco occupato dalla corrente durante le piene ordinarie, quelle che si ripetono a ogni autunno e primavera. È delimitato ai lati da due scarpate quasi verticali ben evidenti, che lo collegano con il piano più rilevato del letto d’inondazione. È formato da materiali grossolani, sedimentati dall’energia della corrente, maggiore nei momenti di grande portata. In genere, è poco colonizzato da vegetazione arborea, la cui crescita è impedita dalla ricorrenza delle alluvioni. La superficie del letto ordinario è irregolare, rimodellata dal continuo variare della dinamica del corso d’acqua il letto di magra: (o canale di scorrimento) è la fascia più profonda, occupata dalla corrente durante i periodi di magra. Non ha limiti ben netti verso il letto ordinario, nel quale divaga, talora concentrandosi in un solo canale, talora dividendosi in più bracci, intercalati da isolotti effimeri, rimaneggiati a ogni piena.
I caratteri utili per descrivere un fiume sono numerosi. La lunghezza: è la distanza in km dalla sorgente alla foce; può essere misurata o in linea d’aria o tenendo conto delle sinuosità del corso La larghezza: è la distanza media tra le due rive; si misura in metri La pendenza: è data dal rapporto fra il dislivello misurato tra la sorgente e la foce e la lunghezza del fiume. Essa è elevata nel corso superiore del fiume e va diminuendo man mano che si passa dal corso medio a quello inferiore. Dalla pendenza di un fiume dipendono la velocità dell’acqua, il suo potere erosivo e la capacità di trasporto dei materiali erosi. In corrispondenza di bruschi dislivelli di pendenza si hanno le cascate, mentre in presenza di forti inclinazioni si originano le rapide. La velocità: viene espressa in metri percorsi nell’unità di tempo dalle acque di un fiume. Analogamente alla pendenza, essa varia lungo uno stesso fiume da pochi decimetri a qualche metro al secondo. È maggiore nel corso superiore del fiume e, per uno stesso tratto, diminuisce, in prossimità del fondo, a causa dell’attrito con le rocce sul fondo dell’alveo in superficie per l’attrito con l’aria e, lateralmente, per l’attrito con le sponde. La velocità massima si rileva al centro del fiume. L’andamento della velocità è importante, perché influenza le dimensioni delle particelle che l’acqua può trascinare con sé nel suo movimento verso valle. La portata: rappresenta il volume di acqua che passa attraverso una sezione verticale del letto del fiume nell’unità di tempo, misurata in m3/sec. Essa può variare lungo il corso del fiume in base alle dimensioni della sezione; varia inoltre nel corso dell’anno in funzione delle precipitazioni e dello scioglimento dei ghiacciai. Il regime: indica le variazioni di portata nel corso dell’anno e dipende dal tipo di alimentazione del fiume, dalla distribuzione delle precipitazioni nell’arco dell’anno e dalla struttura geologica del terreno. Un fiume può avere regime regolare, cioè con una portata pressoché costante, se le piogge sono uniformemente distribuite durante l’anno, o regime torrentizio se, invece, si verificano notevoli variazioni nella portata a causa di una distribuzione non uniforme delle precipitazioni. Il bacino idrografico: è costituito dall’area che convoglia le acque dilavanti in uno stesso corso d’acqua. Bacini idrografici contigui vengono separati da una linea spartiacque, passante lungo le massime culminazioni topografiche. Tale delimitazione può non essere sempre esauriente, in quanto può intervenire anche la struttura geologica del sottosuolo a complicare la situazione. L’insieme di un fiume e dei suoi affluenti costituisce il reticolo idrografico. La concentrazione di ossigeno e di anidride carbonica: è legata ai processi fotosintetici e respiratori degli organismi disciolti nel fiume. In prossimità della sorgente, il contenuto di ossigeno è elevato, mentre tende a diminuire in prossimità della foce, dove intervengono processi di decomposizione della sostanza organica.
Lungo il suo percorso, un fiume svolge un’azione erosiva delle rocce e il materiale eroso può essere trasportato dalla corrente in vari modi, di seguito descritti.
Per bacino idrografico di un fiume, detto anche bacino fluviale o bacino imbrifero, s’intende tutto il territorio che viene drenato da quel fiume e dalla rete dei suoi affluenti (esso, cioè, raccoglie tutte le acque dilavanti che confluiscono in quel fiume); il perimetro del bacino idrografico è segnato dalla linea spartiacque, la linea immaginaria che generalmente corre lungo il crinale dei rilievi montuosi. Una porzione di territorio le cui acque, a causa della distribuzione delle pendenze, scorrono verso il mare è detta zona esoreica. Esistono, però, anche zone endoreiche e areiche. Nelle zone endoreiche le acque superficiali terminano in lagune o laghi interni non collegati al sistema oceanico, o scompaiono sottoterra. Esempio di tali zone sono i grandi bacini interni nordamericani o centro-asiatici (il sistema del Mar Caspio, del Lago d’Aral in Asia, del Giordano-Mar Morto in Israele, di molti dei laghi tettonici dell’Africa sudorientale) e i sistemi carsici (Carso triestino, Piani del Gran Sasso, Murge pugliesi e lucane), dove le acque superficiali pércolano nel sottosuolo ove alimentano un reticolo idrografico ipogeo (cioè sotterraneo). Nelle zone areiche, invece, non esiste un reticolo idrografico; lo scorrimento in superficie è assente, eccetto che nei rari momenti di precipitazione (ne sono esempio i deserti). I bacini idrografici possono avere dimensioni assai diverse: si passa dai 7 milioni di km2 del Rio delle Amazzoni ai 75.000 del Po ai pochi ettari di certi corsi della Liguria; anche la lunghezza dei fiumi cambia notevolmente: il Nilo è lungo 6700 km, il Po 650 km, alcuni fiumi di risorgiva del Veneto poche decine di km.
La foce di un fiume, cioè la zona in cui esso confluisce in mare, può assumere forme diverse a seconda della deposizione dei materiali che davanti a essa il fiume stesso ha eroso e trasportato e anche in funzione del moto ondoso, delle correnti marine e dell’entità delle maree, che invece contribuiscono ad allontanare i sedimenti, ridistribuendoli sulla piattaforma continentale (il primo tratto del fondale marino più vicino alla costa). Dove le correnti e l’escursione di marea (differenza di livello tra l’alta marea e la bassa marea) sono forti, i materiali trasportati dal fiume vengono trascinati al largo e la foce assume una forma a imbuto, detta estuario: ciò si verifica soprattutto per i fiumi che sfociano in mari aperti o in oceani. Dove l’escursione di marea o le correnti marine sono deboli, i materiali trasportati si depositano davanti alla foce, ostacolando il deflusso delle acque in mare: col tempo, i materiali sedimentati possono affiorare e formare sottili lembi di terra, che costringono il fiume a dividersi in più bracci prima di defluire in mare: questo tipo di foce prende il nome di delta ed è tipico dei fiumi che sfociano in mari chiusi.
I laghi sono masse d’acqua dolce (più raramente acque salmastre o salate) situate in conche o in depressioni naturali della superficie terrestre, che non comunicano direttamente con il mare; essi sono in genere in relazione con un fiume, detto immissario, se entra nel lago ed emissario, se esce dal lago. Vi sono anche laghi che hanno un immissario ma mancano di un emissario: in tal caso l’eccesso di acqua si disperde per evaporazione e perdite sotterranee; altri laghi ancora hanno l’emissario ma sono sprovvisti di un immissario e sono dunque alimentati da piogge e da sorgenti sotterranee. La scienza che studia gli ambienti lacustri e la loro evoluzione nel tempo viene detta limnologia. Tra le principali proprietà fisico-chimiche delle acque lacustri si ricordano le seguenti:
la trasparenza: minore di quella delle acque marine per una maggior quantità di materiali presenti in sospensione la temperatura: che dipende da molti fattori, tra cui latitudine, profondità, clima locale; nelle regioni temperate e tropicali, la presenza di un lago molto grande e profondo può esercitare localmente un effetto mitigatore sul clima: ne sono un esempio i laghi prealpini (Maggiore, di Como, d’Iseo e di Garda) in Italia la salinità: in genere inferiore a quella dei mari, è tuttavia una proprietà variabile, legata a molte cause, quali l’origine del lago, i materiali apportati dagli immissari e l’intensità dell’evaporazione.
In base all’origine della conca che li accoglie, i laghi possono essere distinti in:
laghi glaciali: occupano conche scavate dall’azione erosiva dei ghiacciai; tra essi i più diffusi sono i laghi di circo, che occupano il fondo di un antico circo glaciale, la parte iniziale del bacino collettore di un ghiacciaio laghi vallivi: occupano la parte terminale di valli formatesi per escavazione glaciale (grandi laghi prealpini italiani) laghi vulcanici: che occupano crateri o caldere di vulcani spenti; tra essi ricordiamo i laghi di Bolsena, Bracciano, Albano, Nemi e Vico, nel Lazio laghi carsici: di piccole dimensioni e spesso temporanei, che si formano in una dolina (conca che si origina in una regione carsica per dissoluzione operata dall’acqua piovana sulle rocce calcaree),il cui fondo si impermeabilizza per l’accumularsi di depositi argillosi laghi di origine tettonica: che occupano il fondo di una fossa tettonica o di una sinclinale ; tra essi ricordiamo i grandi laghi dell’Africa orientale (Alberto, Tanganica e Niassa) laghi di sbarramento: che occupano una conca che si è formata per sbarramento di una valle in seguito all’accumulo di materiale di vario tipo: può trattarsi di morene, depositi di origine glaciale (laghi morenici), di cordoni sabbiosi litoranei (laghi costieri), di frane (laghi di frana) o di sbarramenti artificiali, quali le dighe, che impediscono alle acque di defluire liberamente.
I laghi sono una formazione idrologica temporanea della superficie terrestre e sono destinati a estinguersi in tempi geologici relativamente brevi. Si distinguono quattro fasi dell’evoluzione di un lago.
{< figure src="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/7b/Aralship2.jpg/1024px-Aralship2.jpg" title="Lago Aral" >}} |
La maggior parte delle acque continentali si trova allo stato solido nei ghiacciai, enormi distese di ghiaccio che si formano per trasformazione e compressione di accumuli di neve. I ghiacciai occupano circa 1⁄11 della superficie terrestre, pari a 15 x 106 km2 , e comprendono gli enormi ghiacciai dell’Antartide e della Groenlandia e quelli presenti sulle maggiori catene montuose. Questi sono i ghiacciai veri e propri, detti anche ghiacciai continentali; i ghiacci che ricoprono i mari circumpolari e formano la cosiddetta “banchisa”, sono diversi per origine e per caratteristiche rispetto a quelli continentali.
L’acqua che precipita a quote o a latitudini elevate sotto forma di neve origina i ghiacciai nelle zone in cui, a causa della bassa temperatura, lo scioglimento della neve in estate non è in grado di bilanciare l’apporto di neve durante l’inverno. Il ghiaccio che costituisce i ghiacciai continentali si forma per progressiva trasformazione dei fiocchi di neve, che sono costituiti da cristalli di ghiaccio che racchiudono aria per il 90% circa in volume. Quando cadono a terra, fondono dopo una permanenza al suolo più o meno lunga. Ma, ad altitudini o a latitudini elevate, non tutta la neve si scioglie durante l’anno: la neve si accumula, il peso degli strati sovrastanti la fa continuamente fondere e la temperatura bassa la fa riconsolidare, finché tutta l’aria inizialmente presente viene eliminata e si formano masse di ghiaccio cristallizzato. La trasformazione della neve in ghiaccio avviene nel giro di qualche anno e in modo discontinuo, poiché nel corso dell’anno si verificano diverse nevicate, intervallate da innalzamenti e abbassamenti della temperatura.
Il limite delle nevi persistenti è la quota oltre la quale è maggiore la quantità di neve che cade rispetto a quella che si allontana per discioglimento: la quota a cui si trova il limite delle nevi persistenti è legata a molti fattori, quali l’esposizione, le caratteristiche del rilievo e la latitudine (essa aumenta progressivamente al diminuire della latitudine: varia dal livello del mare nelle regioni polari a 5500 metri nelle regioni tropicali). Il limite delle nevi persistenti separa in un ghiacciaio il bacino collettore, detto anche circo glaciale, cioè la zona di alimentazione del ghiacciaio in cui la neve si accumula e si trasforma in ghiaccio, dal bacino ablatore, cioè la zona di fusione del ghiaccio, interessata dalla lenta discesa delle colate di ghiaccio, a cui si dà il nome di lingue glaciali; queste ultime possono spingersi molto in basso (anche 2000 m al di sotto del limite delle nevi persistenti) prima di fondere completamente e inoltre, durante il loro movimento, erodono le rocce su cui scorrono e trascinano con sé il materiale roccioso frantumato, che forma le morene. Il circo glaciale appare come una depressione scavata a forma di scodella, ha pareti scoscese su tre lati ed è aperto verso valle (soglia del circo). In genere, quando il ghiacciaio scompare, l’avvallamento del circo da esso abbandonato diventa un laghetto, che persiste finché il suo emissario non ne erode la soglia. L’accumulo di neve e ghiaccio nel bacino collettore esercita una spinta che innesca la trazione per gravità verso il basso della massa glaciale. Il ghiaccio manifesta un comportamento ora plastico ora viscoso, per cui il movimento dei ghiacciai non è uniforme e presenta, contemporaneamente, caratteri di scorrimento continuo e di scivolamento in blocchi. In corrispondenza di cambiamenti di pendenza del fondo roccioso, il ghiacciaio tende a formare profonde fratture (crepacci) trasversali nella parte superficiale, dovute alla tensione prodotta dal moto differenziale e dall’attrito, mentre ai lati, dove le pareti rallentano lo scorrimento della massa glaciale, i crepacci tendono a essere longitudinali. Là dove il substrato si curva repentinamente in un rapido gradino, la massa glaciale, per l’aumentata pendenza, accelera il suo movimento. Si originano numerose fratture trasversali e longitudinali, che si intersecano e isolano giganteschi blocchi irregolari e alti anche parecchi metri, detti seracchi. Secondo le più recenti interpretazioni, il movimento dei ghiacciai (la cui velocità varia da frazioni di metro al giorno per i ghiacciai alpini fino a 20 m al giorno per quelli groenlandesi) sarebbe dovuto sia a un “colamento plastico”, regolato dallo spessore della massa interessata, sia a un “colamento per scivolamento”, indotto dalla presenza di tasche d’acqua dovute alla fusione del ghiaccio sul fondo per effetto di elevate pressioni e per il flusso di calore proveniente dall’interno della Terra. Le acque di fusione del ghiaccio tendono a confluire in profondità, formando un vero e proprio torrente subglaciale che sfocia all’esterno attraverso una bocca, più o meno ampia, posta nella parte terminale del ghiacciaio, detta fronte del ghiacciaio.
Il modello di ghiacciaio prima descritto corrisponde al ghiacciaio di tipo alpino; tuttavia, dal punto di vista morfogenetico, si possono distinguere diversi tipi di ghiacciaio, riuniti in ghiacciai continentali, o inlandsis, che costituiscono la quasi totalità delle aree occupate dai ghiacciai, e ghiacciai montani, che comprendono ghiacciai di tipo alpino, himalayano, alaskano, scandinavo e pirenaico.
Il ghiacciaio è un corpo dinamico, che nel tempo varia di dimensioni. Di tali cambiamenti è possibile effettuare un bilancio rapportando le entrate, o alimentazione (l’accumulo di neve), e le uscite, o ablazione (la fusione del ghiaccio). Se l’alimentazione supera l’ablazione il ghiacciaio si espande; se è invece l’ablazione a prevalere, il ghiacciaio si riduce di dimensioni e di volume. Dato che la massa di ghiaccio ha una notevole inerzia, che cresce con l’aumentare della massa, perché le modificazioni risultino visibili occorre che per parecchi anni la tendenza sia costante. Per registrare anche le piccole variazioni, occorre procedere al bilancio di massa, effettuato anno per anno mediante misurazioni dirette sul corpo glaciale. Le principali misure riguardano:
Mettendo in relazione tutte queste misurazioni, è possibile stabilire in quali aree nell’anno è prevalsa l’ablazione e dove invece è l’alimentazione a dominare (la misurazione del bilancio di massa è un’operazione complessa e lunga, che richiede molto tempo e mezzi cospicui). Un altro tipo di bilancio, più parziale e approssimativo, che tuttavia ha un notevole significato statistico, è quello effettuato tramite la misurazione della variazione delle lingue glaciali. In Italia ogni anno sono tenuti sotto controllo circa 200 ghiacciai durante la Campagna Glaciologica organizzata dal Comitato Glaciologico Italiano.
Tipo | Localizzazione | Caratteristiche particolari |
---|---|---|
polare o inlandsis | Antartide, Groenlandia | ghiacciai grandiosi, che ricoprono estese superfici di terre emerse con uno spessore che supera i 4000 m, con fronti che si immergono nel mare (con 50-60 m di spessore per la parte emersa e oltre 300 m per la parte sommersa) |
alpino | Alpi (soprattutto) | ghiacciai nei quali è bene evidente la distinzione fra il bacino collettore (esteso ed elevato) e il bacino ablatore, al disotto del limite delle nevi persistenti |
himalayano | Himalaya, Karakoram, Pamir, Tibet | ghiacciai con le stesse caratteristiche di quelli alpini, ma più imponenti e derivanti da più bacini collettori, che confluiscono in un’unica grande lingua glaciale |
alascano | Alaska (in particolare) | ghiacciai costituiti da diverse “lingue” che percorrono valli glaciali parallele, che a un certo punto si riuniscono per formare, ai piedi del monte, un’unica fascia di ghiaccio di enormi dimensioni |
scandinavo | Islanda, Alpi norvegesi, Montagne Rocciose | ghiacciai formati da un unico grande bacino collettore, da cui scendono numerose “lingue” che divergono a raggiera (in parte) |
pirenaico | Pirenei (in particolare) | ghiacciai di modeste dimensioni, localizzati al di sopra del limite delle nevi persistenti, fatti quasi |
A differenza dei ghiacciai continentali, quelli circumpolari si formano per solidificazione delle acque di mare: essi ricoprono più o meno permanentemente la superficie dei mari circumpolari formando la banchisa, detta anche pack, lastrone di ghiaccio dello spessore di 2-3 m la cui estensione varia seguendo le variazioni stagionali della temperatura: la maggiore estensione si ha durante la lunga notte polare, periodo in cui, nelle zone polari, il Sole si mantiene sotto l’orizzonte. Dato il suo contenuto in sali (tra 32 e 34‰), perché l’acqua dei mari circumpolari cominci a solidificare, la temperatura deve scendere al di sotto di 0 °C, solitamente sotto –2 °C: il ghiaccio così formatosi, per la sua minore densità rispetto all’acqua, galleggia su di essa. Il ghiaccio è costituito da acqua pura; i sali rimangono invece disciolti nell’acqua circostante, aumentandone la salinità e la densità: perché si formi altro ghiaccio è dunque necessario un ulteriore abbassamento della temperatura. Non esiste quindi un preciso punto di solidificazione dell’acqua di mare, ma esso varia al variare della salinità. Durante il disgelo, la banchisa può frantumarsi in porzioni che possono allontanarsi dalla banchisa stessa e sciogliersi rapidamente, perché di spessore limitato. Nelle zone circumpolari adiacenti alle aree continentali, è possibile che le lingue glaciali dei ghiacciai continentali raggiungano il mare e si frantumino formando gli iceberg, masse di ghiaccio galleggianti di notevole spessore, maggiore rispetto alla banchisa.
Le acque che giungono sulla superficie terrestre con le precipitazioni possono infiltrarsi nel sottosuolo e costituire le acque sotterranee; esse possono poi ritornare in superficie, o per mezzo di pozzi scavati dall’uomo o spontaneamente attraverso le sorgenti. La velocità di percolazione e la quantità di acqua che si può accumulare nel sottosuolo dipendono dal grado di permeabilità delle rocce che lo formano, cioè dalla capacità di lasciarsi attraversare dalle acque, che a sua volta dipende dalla porosità delle rocce, dovuta alla presenza di interstizi tra i granuli costituenti la roccia. Rocce incoerenti, come le ghiaie e le sabbie, e rocce fessurate, quali calcari e dolomie fessurate, sono tra le più permeabili. I depositi sciolti più fini e le rocce compatte non fessurate (per esempio, i calcari compatti e in generale le rocce metamorfiche e quelle ignee) sono invece impermeabili. Dello studio delle acque che scorrono sottoterra si occupa l’idrogeologia.
Penetrate nel suolo per effetto della forza di gravità, le acque occupano pian piano tutte le cavità del terreno, riempiendo i microscopici spazi presenti tra granulo e granulo di rocce, che per questo motivo sono dette rocce-serbatoio o rocce acquifere: esse impregnano il sottosuolo finché non raggiungono uno strato di rocce impermeabili che ne ostacola l’ulteriore discesa e, accumulandosi negli interstizi, formano una falda acquifera, detta anche falda freatica. La superficie superiore della falda è detta superficie freatica: essa subisce delle oscillazioni stagionali, legate alla distribuzione delle precipitazioni nel corso dell’anno. Quando l’acqua che si infiltra supera la quantità di acqua rimossa dalle radici delle piante e dall’evaporazione, il livello della superficie freatica di solito sale, riempiendo tutti i pori delle rocce. Nei periodi secchi, la superficie freatica si abbassa e si riduce lo spessore della falda freatica. La zona al di sopra della falda freatica, cioè quella in cui il suolo e i sedimenti non sono saturi di acqua, ma occupati da aria, viene detta zona di aerazione. Se la falda è compresa fra due strati impermeabili si ha una falda artesiana, confinata entro uno spazio limitato e nella quale l’acqua si trova in pressione. Mentre per le falde freatiche l’alimentazione proviene, praticamente, dall’intera superficie topografica che le sovrasta, a condizione che il terreno sia permeabile, per quelle artesiane le aree di alimentazione sono poste ai margini degli strati impermeabili sedimentari. Il sottosuolo non ospita in genere una sola falda, ma contiene più falde sovrapposte. Se si scava un pozzo che raggiunge una falda freatica, l’acqua rimane a livello della superficie della falda stessa e non emerge spontaneamente. Se invece il pozzo raggiunge una falda artesiana, dato che l’acqua è compressa fra due strati impermeabili, essa zampilla da sola in superficie e si parla di pozzo artesiano.
Il punto del terreno in cui la superficie libera di una falda viene a contatto con la superficie del terreno e l’acqua sotterranea sgorga spontaneamente in superficie si chiama sorgente. A seconda delle modalità di affioramento, le sorgenti vengono classificate in: