L’universo è costituito da galassie: una fra le tante è la Via Lattea, di cui fa parte il sistema solare. Le galassie, a loro volta riunite in piccoli gruppi e grandi ammassi, sono sistemi formati da centinaia di miliardi di stelle e da materia cosmica diffusa negli spazi interstellari. La natura e le modalità di formazione di questi giganteschi oggetti celesti sono studiati dalla cosmologia, la scienza che si occupa dell’origine, dell’evoluzione e della struttura dell’universo. Secondo la teoria cosmologica attualmente ritenuta più valida, la teoria del Big Bang, l’universo avrebbe tratto origine in una “grande esplosione” a partire da un punto iniziale in cui erano concentrate la sua materia e la sua energia. La materia, proiettata nello spazio, si sarebbe via via aggregata e separata in nubi di gas in espansione, nuclei delle future galassie. In seguito, all’interno di queste ultime si sarebbero formati, per collasso gravitazionale della materia gassosa, agglomerati di stelle.
Il sistema solare e le stelle visibili nella volta celeste fanno parte di un unico sistema, che costituisce una galassia denominata Via Lattea (il termine galassia deriva dal greco gala, latte). Una galassia è un agglomerato di stelle, gas e polveri (nubi di materia oscura interstellare), legati tra loro dalla forza di gravità e orbitanti intorno a un punto centrale. Fino a un centinaio di anni fa, gli astronomi ritenevano che la Via Lattea (o Galassia) fosse l’unica esistente ed esaurisse l’intero universo. Oggi, grazie all’impiego di strumenti di indagine sempre più perfezionati, sappiamo che la Via Lattea, nonostante la sua enorme estensione (circa 100000 anni luce), non è che una fra centinaia di miliardi di altre galassie che popolano l’universo, di cui costituiscono le unità strutturali. Le galassie sono in genere riunite in piccoli gruppi (che ne contengono alcune decine; la Via Lattea è tra queste) o in grandi ammassi (che ne contengono centinaia e anche migliaia); gruppi e ammassi fanno a loro volta parte di assembramenti ancora più vasti, detti superammassi.
La classificazione delle galassie oggi adottata si basa su quella introdotta dall’astronomo americano E. Hubble (1924) e sottoposta a revisione nel 1961 dall’astronomo americano A. Sandage. A seconda della loro forma, le galassie sono suddivise in:
Il nome Via Lattea deriva dal fatto che, nel cielo notturno, essa appare come una fascia biancastra e debolmente luminosa che attraversa il cielo. È una galassia a spirale contenente oltre 100 miliardi di stelle, con sottili bracci di materia ruotanti lentamente attorno a un nucleo centrale rigonfio (con diametro di circa 10.000 anni luce), contornato da un alone di vecchie stelle e di ammassi globulari di stelle. Il diametro massimo della Galassia è di 100000 anni luce e lo spessore medio è di circa 1700 anni luce. Le stelle (di cui appena 6000 visibili a occhio nudo) sono più fitte nel centro e più rade alla periferia dei bracci, immerse in nubi di gas e polveri interstellari, localmente concentrate in nebulose. Gli astronomi classificano le stelle della Via Lattea in due categorie principali (o popolazioni):
Il centro della Via Lattea si trova circa a 28.000 anni luce dal Sole, in direzione della costellazione del Sagittario. Si tratta di una regione nascosta al nostro sguardo da dense nubi di gas e di polveri interstellari oscure, che assorbono quasi completamente la radiazione luminosa; ci giungono, invece, segnali nel campo delle onde radio. All’inizio del XX secolo si credeva ancora che il Sole occupasse il centro della Galassia. Solo nel 1918 l’astronomo americano H. Shapley (1885-1972) stabilì la collocazione periferica del Sole e del sistema solare. Cercando di misurare la posizione e la distanza degli ammassi globulari, egli aveva osservato che la maggior parte era concentrata in una zona di cielo piuttosto lontana dal Sole, e precisamente in direzione della costellazione del Sagittario. Gli ammassi globulari stavano infatti muovendosi intorno al centro della Galassia, il quale certamente non coincideva con il sistema solare. Shapley riuscì a determinare in modo esatto e indiscusso la posizione del Sole nella Via Lattea: in uno dei bracci a spirale, a circa 28.000 anni luce dal centro.
La Via Lattea fa parte del Gruppo Locale, formato da una ventina di galassie di cui tre, più grandi, a spirale (la Via Lattea stessa, la galassia di Andromeda, visibile a occhio nudo, e la galassia del Triangolo) e le altre molto più piccole, del tipo ellittico o irregolare (come la Piccola e la Grande Nube di Magellano, entrambe visibili a occhio nudo dall’emisfero sud). La galassia a spirale di Andromeda, distante circa 2 milioni di anni luce da noi, può essere considerata la gemella della Via Lattea; è anch’essa molto luminosa (circa 300 miliardi di volte più del Sole). La galassia a spirale del Triangolo, distante circa 2 milioni di anni luce, è molto più piccola della nebulosa di Andromeda e della Via Lattea. La Grande Nube di Magellano è quattro volte meno luminosa della Via Lattea, ha un diametro di 25 000 anni luce ed è distante dalla Terra circa 150.000 anni luce. La Piccola Nube di Magellano, invece, ha una luminosità pari a un ventesimo di quella della Via Lattea, ed è più distante, circa 200.000 anni luce. Le Nubi di Magellano, interagendo gravitazionalmente con la Via Lattea, ne modificano il profilo periferico, mentre la nostra Galassia strappa alle Nubi un flusso di gas prevalentemente costituito da idrogeno. Questo fenomeno è denominato corrente magellanica e forma una sorta di ponte di materia sullo spazio che separa i suddetti ammassi stellari.
Un quasar (contrazione di QUASi-stellAR radio source, cioè “radiosorgente quasi stellare”) è un nucleo galattico attivo estremamente luminoso e generalmente molto distante dalla Terra (dell’ordine dei miliardi di anni luce). Il nome deriva dal fatto che questi oggetti, la cui natura è stata controversa fino ai primi anni ottanta, furono inizialmente scoperti come potenti sorgenti radio, la cui controparte ottica risultava puntiforme come una stella. Il grande spostamento verso il rosso che caratterizza i quasar, in accordo con la legge di Hubble, implica che siano oggetti molto distanti e che quindi debbano emettere energia equivalente a centinaia di normali galassie. Si ritiene comunemente che tale grande luminosità sia originata dall’attrito causato da gas e polveri che cadono in un buco nero supermassiccio; essi formano un disco di accrescimento, che converte circa la metà della massa di un oggetto in energia. Il termine QUASAR è stato coniato nel 1964 dall’astrofisico Hong-Yee Chiu.
La cosmologia è la scienza che si occupa dello studio dell’origine e dell’evoluzione dell’universo e della possibile esistenza di molti universi, problemi di cui gli uomini si sono sempre occupati, dalle prime civiltà fino a oggi, trovando risposte diverse nel corso dei secoli, basate sulle conoscenze dell’epoca.
Per ricostruire il passato dell’universo, è utile partire dalle conoscenze attuali, immaginando un percorso a ritroso nel tempo. Nel 1929 le misurazioni eseguite dall’astronomo americano E.P. Hubble (1889-1953), indicarono uno spostamento verso il rosso (redshift) delle righe spettrali delle galassie: questo fenomeno indica che tutte le galassie si stanno allontanando e, dunque, che l’universo è in espansione; Hubble dimostrò anche che la velocità di allontanamento delle galassie è proporzionale alla loro distanza dalla Via Lattea. Pensando al passato, si deve immaginare un universo sempre più piccolo, fino a un momento lontanissimo in cui esso era enormemente contratto e tutta l’energia e la massa dell’universo erano “condensate” in una piccolissima massa di densità enorme (atomo primordiale), ipotesi formulata per la prima volta nel 1927 dall’astronomo belga G.H. Lamaitre (1894-1966). Fu il fisico russo G. Gamow (1904-1968) che nel 1946 usò per primo il termine Big Bang per indicare la “grande esplosione dell’atomo primordiale”, le cui conseguenze sono ancora oggi evidenti attraverso l’espansione dell’universo (teoria del big-bang, o dell’universo in espansione). Secondo Gamow, l’universo primitivo era non soltanto denso, ma anche molto caldo e le reazioni nucleari nei primissimi istanti dell’evoluzione avrebbero potuto produrre tutti gli elementi chimici. L’espansione successiva ne ha provocato il raffreddamento. Le leggi della termodinamica, inoltre, ci permettono di dedurre che in passato l’universo era più concentrato e più caldo rispetto a oggi (“palla di fuoco”); solo dopo un milione di anni dal big bang si sono formati i primi atomi, che, a causa della forza gravitazionale, si sono aggregati in materia. Una prova dell’iniziale grande esplosione (che secondo alcune stime sarebbe avvenuta circa 15 miliardi di anni fa), si ebbe nel 1965, quando due fisici americani, A. A. Penzias (1933) e R. Woodrow Wilson (1936), studiando le radio onde di provenienza cosmica, riuscirono a captare una debole radiazione (radiazione cosmica di fondo, o radiazione fossile), proveniente con la stessa intensità da tutte le direzioni dello spazio, che essi interpretarono come l’eco attuale del Big Bang.
A causa della “spinta” iniziale ricevuta dal big bang, l’universo è in espansione; esso, tuttavia, è soggetto anche alla forza di gravità, che ne causa la decelerazione, il cui valore dipende sia dalla quantità di materia presente nell’universo, sia dall’impulso ricevuto dalla grande esplosione iniziale. Non essendo attualmente nota l’entità di questi due fattori, gli astronomi ipotizzano per l’evoluzione futura dell’universo due diverse teorie (o modelli). Secondo la teoria dell’universo chiuso, dopo un periodo di espansione, l’universo dovrebbe nuovamente contrarsi, fino a ridursi alla massa piccolissima di densità elevata presente al momento del Big Bang (Big Crunch). Secondo la teoria dell’universo aperto, l’universo dovrebbe continuare a espandersi indefinitamente (Big Rip). Le due teorie sono oggi ugualmente attendibili, poiché non si dispone ancora di dati sperimentali a sostegno dell’una o dell’altra. Infatti, rimangono tuttora irrisolti alcuni problemi, che vogliamo qui solo ricordare, senza entrare in analisi particolareggiate, specifico campo d’indagine della fisica:
L’effetto Doppler, comune a tutte le onde, fu scoperto per la prima volta dal fisico tedesco C. Doppler (1803-1853) per le onde sonore. Esso consiste in un cambiamento della frequenza (numero di oscillazioni al secondo) di un’onda, rilevato quando la sorgente dell’onda e un osservatore sono in movimento l’una rispetto all’altro. La frequenza aumenta quando c’è avvicinamento (in quanto si osservano più onde nell’unità di tempo), mentre diminuisce nel caso di allontanamento (si osservano meno onde): per questo il fischio del treno è più acuto quando il mezzo si avvicina all’osservatore. L’effetto Doppler si manifesta per qualsiasi fenomeno ondulatorio e anche per la luce, provocando in questo caso variazioni di colore. La luce di una stella che si avvicina a noi ha una frequenza più elevata e si osserva quindi uno spostamento verso il violetto dello spettro luminoso (blue shift); la luce di una stella in allontanamento ha una frequenza minore e a essa corrisponde uno spostamento verso il rosso dello spettro (redshift). La luce delle galassie è costituita da un insieme di lunghezze d’onda (tipiche degli elementi più abbondanti che le costituiscono), che si presentano all’analisi mediante spettroscopio come una successione disordinata di “righe” luminose separate fra loro, di colori diversi, dette spettri. Gli spettri delle galassie manifestano una proprietà particolare: le righe appaiono spostate rispetto alla posizione che avrebbero gli stessi elementi considerati in laboratorio; lo spostamento è sempre verso la regione rossa dello spettro (segno che le galassie si stanno allontanando, in accordo con l’effetto Doppler) ed è tanto maggiore quanto più piccola e lontana è la galassia. Misurando le distanze, si trova che lo spostamento verso il rosso è proporzionale alla distanza. Tutte le galassie si allontanano da noi, con velocità tanto più alta quanto più sono lontane (legge di Hubble).