Attraverso i tentativi fatti dall’uomo, nel corso di millenni, di raffigurare su un piano in misura ridotta porzioni più o meno ampie della superficie terrestre, si è sviluppata la cartografia, la scienza che fornisce le tecniche di rilevamento e gli strumenti matematici (proiezioni geometriche) per elaborare carte geografiche. Poiché non è possibile trasporre una superficie sferica su un piano senza deformarla, una carta geografica è sempre una rappresentazione approssimata della superficie terrestre. Le aree e le distanze vengono ridotte secondo un criterio di proporzionalità, detto scala. Tra i compiti attuali della cartografia vi è quello di rappresentare non solo le forme naturali del territorio (carte generali e carte speciali), ma anche la distribuzione di alcuni aspetti, per esempio, di tipo economico o ecologico, attraverso le carte tematiche, che permettono di riconoscere le situazioni esistenti e di controllare le trasformazioni in atto.
I documenti cartografici più antichi pervenuti fino a noi risalgono all’antico Egitto e alle civiltà mesopotamiche e riguardano piani di città o mappe di limitate regioni minerarie. Con l’ampliarsi dell’interesse scientifico, parallelamente al progresso della matematica e dell’astronomia, si pervenne già da parte degli Egizi alla costruzione di carte dell’intera Terra, di cui gli esempi più antichi giunti fino a noi risalgono al greco Anassimandro di Mileto (VI secolo a.C.). La speculazione filosofica greca portò ben presto a postulare la sfericità della Terra, intuizione che consentì, con l’ausilio delle rilevazioni astronomiche, di tentare i primi calcoli delle dimensioni del pianeta (Eratostene di Cirene, 276-296 a.C.), e di cui la cartografia tenne conto, sviluppando la scienza delle proiezioni geografiche e perfezionando la rappresentazione del mondo allora conosciuto. La più famosa di tali carte è quella di Claudio Tolomeo (II secolo d.C.), che per la prima volta nella storia della cartografia applicò un sistema geometrico alla costruzione del suo planisfero. In età romana si sviluppò la cartografia cosiddetta itineraria, perché destinata a soddisfare le esigenze dei viaggiatori, illustrando itinerari e distanze. Nel Medioevo si rifiutò la nozione della sfericità della Terra e anche la cartografia subì l’influsso delle interpretazioni dettate dai teologi e basate sul contenuto delle Sacre Scritture. Le semplici interpretazioni cosmografiche si traducevano nei planisferi a “T”, in cui l’ecumene (dal greco oikouméne, terra abitata), divisa nelle tre parti fondamentali, Europa, Asia e Africa, era circondata dalle acque oceaniche. Fu proprio nel tardo Medioevo che le città marinare del Mediterraneo produssero le prime carte nautiche (dette portolani), nelle quali la forma delle terre appare di una sorprendente verosimiglianza. L’uso della bussola aveva infatti permesso la fedele riproduzione dell’andamento delle coste, ma il reticolato geografico era costituito dalle rette tracciate nelle varie direzioni delle rose dei venti. Nel Rinascimento, il nuovo interesse per la cultura classica suscitato dagli umanisti riportò alla luce le opere cosmografiche dei Greci e, fra esse, quelle di Tolomeo, il cui atlante fu ripreso e integrato con carte moderne sempre più numerose. Nel frattempo, la riacquisita nozione della sfericità della Terra promuoveva lo studio dei migliori sistemi di proiezione, mentre l’ampliarsi delle conoscenze geografiche in concomitanza con l’epoca delle grandi scoperte consentiva di raffigurare le reali dimensioni del pianeta. Il XVI secolo, a partire dal quale la cartografia progredisce di pari passo con le conoscenze geografiche, è il periodo più ricco di realizzazioni, a opera specialmente di cartografi italiani, tra cui si segnala G. Gastaldi (1500-1556), e olandesi, tra cui G. Kremer (1512-1594), detto Mercatore, ideatore della nota proiezione cartografica che da lui prende il nome, e il suo discepolo Ortelio (A. Oertel, 1527-1598), che realizzò il primo atlante moderno, il Theatrum Orbis Terrarum. Agli inizi del XVII secolo, l’olandese W. Snellius (1580-1626) misurò per primo una base geodetica e applicò la triangolazione per la determinazione delle distanze e delle altezze. La prima carta topografica rigorosamente geometrica è quella del territorio francese per opera di C.F. Cassini (1677-1756), pubblicata nel 1746. Nel XIX secolo fu completato l’allestimento da parte di vari Stati delle cartografie nazionali topografiche e derivate. In Italia, questo compito fu affidato, a partire dal 1861 (anno dell’Unità), all’Ufficio Tecnico del Corpo di Stato Maggiore, divenuto in seguito (1872) Istituto Topografico Militare e più tardi (e fino a oggi) Istituto Geografico Militare. Nel XX secolo, un notevole progresso tecnico è rappresentato dall’aerofotogrammetria e dal rilevamento da satellite.
Una carta geografica può essere definita come una raffigurazione su un piano di una parte o di tutta la superficie terrestre; la scienza depositaria delle conoscenze e delle tecniche che permettono l’elaborazione di carte geografiche è la cartografia. Il tipo di rappresentazione fornito da una carta geografica ha le seguenti caratteristiche di base: è approssimata, ridotta e simbolica. Una carta è approssimata perché non è possibile trasferire una superficie sferica (come quella terrestre) su un piano senza modificarla; infatti, le varie parti che costituiscono una superficie sferica, durante il loro trasferimento su un piano subiscono inevitabilmente delle deformazioni, che saranno tanto maggiori quanto più estesa è la porzione di sfera interessata; il grado di approssimazione delle carte geografiche tende perciò ad aumentare con l’estendersi della zona che si vuole raffigurare. Per contenere le deformazioni entro limiti accettabili, si ricorre a tecniche di proiezione geometrica. Una carta deve essere, ovviamente, una rappresentazione ridotta della realtà, secondo un certo fattore che rappresenta la scala di riduzione, o semplicemente scala. La scala (che può essere numerica o grafica) definisce il rapporto tra la distanza fra due punti misurata sulla carta e la distanza reale fra gli stessi due punti, cioè misurata sul terreno. La scala numerica viene espressa con una frazione, in cui il numeratore è l’unità e il denominatore è un numero che indica quante volte va moltiplicata una distanza misurata sulla carta per ottenere la distanza reale sulla superficie terrestre. Per esempio, una scala 1⁄25.000, o 1 : 25.000 (si legge “uno a venticinquemila”) significa che 1 cm sulla carta corrisponde a 25 000 cm nella realtà (cioè 250 m). Per conoscere la scala di una carta che ne è priva, si può misurare la distanza tra due paralleli, tenendo conto che la distanza reale lineare di 1° di meridiano (compreso tra due paralleli intervallati di 1°) è di 111,121 km, cioè 11 112 100 cm. Se la distanza misurata sulla carta è, per esempio, 2 cm, la scala sarà (2⁄2) : (11 112 100⁄2), cioè 1 : 5 556 050. Se sulla carta non sono segnati i meridiani e i paralleli, si potrà prendere in considerazione, per esempio, una distanza reale nota, in linea d’aria, tra due località ed eseguire la stessa operazione. La scala grafica, già usata nella cartografia antica, è rappresentata da un segmento suddiviso in parti uguali che corrispondono a un’unità di misura lineare, segnata sui segmenti stessi. La scala grafica è di uso più immediato rispetto a quella numerica, poiché, senza fare calcoli, ci si può rendere conto della distanza reale: con una riga si misura la distanza tra due punti sulla carta, si appoggia la riga sulla scala grafica e si verifica a quale distanza reale corrisponde la distanza letta prima sulla carta. Inoltre, la scala grafica è preferibile alla numerica quando l’originale di una carta deve essere stampato in formato ridotto: in questo caso, infatti, la scala grafica (cioè il segmento) subisce l’identica riduzione dell’originale, mentre la scala numerica rimane identica nella stampa in formato ridotto. Una carta è simbolica perché tutti gli elementi di un territorio vi vengono rappresentati mediante simboli convenzionali, che vengono distinti in altimetrici (relativi all’andamento del rilievo) e planimetrici (che rappresentano elementi naturali del paesaggio, quali scarpate, fiumi, boschi ecc., e artificiali, quali centri abitati, ferrovie, strade, confini ecc.).
Per la rappresentazione del rilievo, si può ricorrere a diverse tecniche. Una di queste fa uso delle isoipse, o curve di livello, linee chiuse che uniscono tutti i punti del territorio rappresentato che si trovano a una stessa quota e permettono una rappresentazione geometrica esatta delle forme del terreno (le curve di livello che rappresentano l’andamento dei fondali marini o lacustri sono delle isobate: esse uniscono punti che si trovano alla stessa profondità). Il loro valore viene decifrato tenendo conto che alcune di esse, le direttrici, sono disegnate con un maggior spessore e che l’equidistanza, cioè la differenza di quota tra due isolinee successive, deve rimanere costante (per esempio, 50 m, leggibile in genere sulla carta in basso a sinistra). Il sistema delle curve di livello permette di visualizzare le forme del rilievo e la distanza tra le varie isoipse ci aiuta a comprendere la pendenza del luogo in esame: isoipse ravvicinate indicano che il pendio è ripido; una zona pianeggiante è caratterizzata, invece, da isoipse distanziate. Il metodo delle curve di livello può diventare insufficiente quando si rappresentano territori con forti pendenze, poiché le isoipse diventano tanto ravvicinate da essere indistinguibili l’una dall’altra. Si utilizzano allora altre tecniche, quali il tratteggio e le tinte altimetriche. Nel caso del tratteggio, si immagina di illuminare con un fascio luminoso proveniente da nord-ovest, il rilievo da rappresentare, che in questo modo risulterà più o meno illuminato (nella realtà lo vedremmo più assolato o in ombra); si disegnano trattini più ravvicinati dove la pendenza è maggiore (meno illuminata dal fascio luminoso) e trattini più radi dove la pendenza è minore (quindi più illuminata). Questo metodo fornisce solo un’idea delle forme del rilievo, ma non indica le altitudini. Nel caso delle tinte altimetriche, le variazioni di quota (o di profondità) vengono indicate mediante varie colorazioni convenzionali, ognuna delle quali corrisponde a diverse fasce altimetriche, individuabili nella legenda riportata sulla carta.
Numerosi sono i simboli planimetrici contenuti nelle carte geografiche: si tratta di simboli convenzionali, concordati a livello internazionale, la cui spiegazione è contenuta nelle legende che corredano le carte. I simboli convenzionali in cartografia sono raggruppati in tre categorie: puntiformi, lineari, areali. I simboli puntiformi sono utilizzati quando si voglia localizzare un oggetto, o un fenomeno, considerandolo come un punto (per esempio, la vetta di un monte). I simboli lineari servono per rappresentare strade, corsi d’acqua, confini (infatti il loro aspetto ricorda una linea). I simboli areali raffigurano fenomeni caratterizzati dalla loro estensione geografica (una coltura o la diffusione di un dialetto). Anche la scrittura della toponomastica, cioè la maniera di riportare i nomi di luoghi sulla carta, rientra fra i simboli cartografici. Se l’elemento è puntiforme, i nomi vanno sempre posti a destra; per le rappresentazioni lineari la scrittura va collocata parallelamente all’andamento dell’elemento di riferimento, mentre per le rappresentazioni areali i nomi vanno inseriti all’interno della superficie stessa. Le diversità nei caratteri e nelle loro dimensioni differenziano gli oggetti in funzione della loro importanza.
Le carte geografiche possono essere classificate in base alla scala di riduzione o in base al loro contenuto. In termini generali si distinguono:
In base al loro contenuto, le carte possono essere classificate in generali (per esempio, carte fisiche e politiche), speciali, costruite per uno scopo specifico (per esempio, le carte nautiche e le carte geologiche) e tematiche, che descrivono la distribuzione di un particolare fenomeno sul territorio e su alcune delle quali ci soffermeremo di seguito.
Un particolare tipo di carta climatica è la carta meteorologica, che documenta la variazione del tempo. È una carta dinamica, che deve essere aggiornata ora per ora, soprattutto quando è impiegata per la navigazione aerea o marittima.
Tipi di carte | Funzione | |
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carte generali | fisiche | rappresentano solo i lineamenti naturali della superficie terrestre (mari, monti, pianure, corsi d’acqua ecc.) |
politiche | rappresentano soprattutto gli aspetti umani (confini politici e amministrativi, città, vie di comunicazione) | |
fisico-politiche | rappresentano ambedue gli elementi | |
carte idrografiche | sono rappresentati sorgenti, corsi d’acqua, bacini, mari e coste | |
carte nautiche | servono per la navigazione marittima | |
carte aeronautiche | servono per la navigazione aerea | |
carte turistiche | vi sono segnate le vie di comunicazione, nonché luoghi di particolare interesse naturale, artistico, culturale ecc. | |
carte geologiche | per mezzo di colori e di simboli, indicano i diversi tipi di rocce e la loro età, i giacimenti minerari ecc. | |
carte tematiche | carte geomorfologiche | rappresentano le forme del terreno e la loro natura |
carte climatiche | visualizzano la distribuzione dei diversi tipi climatici (includono le carte meteorologiche) | |
carte della vegetazione | delimitano le aree occupate dalle formazioni vegetali e indicano le specie più diffuse | |
carte zoologiche | danno indicazioni sui popolamenti animali e sui loro spostamenti | |
carte pedologiche | rappresentano i vari tipi di suolo | |
carte economiche | rappresentano la distribuzione e i caratteri dei fattori economici (materie prime, industrie, produzioni agricole, vie di comunicazione, commerci ecc.) | |
carte storiche | individuano l’assetto politico del territorio nei vari periodi del passato | |
carte demografiche | forniscono indicazioni sulla distribuzione e sulla variazione della popolazione |
Le carte geologiche mettono in evidenza i tipi di roccia che affiorano nella regione considerata. Una carta geologica è costruita a partire da una normale base topografica, con le varie parti colorate in modo diverso a seconda delle rocce presenti in superficie e, sovrapposti, particolari simboli geologici, segni convenzionali che aiutano a rappresentare la struttura geologica della regione cartografata. Alcuni dei simboli geologici usati possono essere corte frecce con varie barre, che rappresentano la giacitura degli strati superficiali; linee più o meno continue e di vari spessori, che rappresentano le fratture osservabili o ipotizzate tenendo conto della stratigrafia. Le rocce spesso compaiono in affioramenti troppo limitati per poter essere cartografati singolarmente; così si uniscono diverse rocce, con caratteri fisici, età, storia geologica simili, in unità geologiche ben cartografabili, a cui si assegna un determinato colore. Esiste sempre una legenda, in cui, per ogni colore, vengono descritte le caratteristiche tipiche della roccia considerata. Per facilitare la comprensione dell’andamento degli strati in profondità, molte carte hanno a margine sezioni geologiche che mostrano direttamente le strutture profonde in zone significative o dalla struttura geologica molto complicata. Esse rappresentano ciò che si vedrebbe operando un taglio verticale lungo la traccia della sezione (riportata nella carta geologica) e osservando il piano di taglio.
I vari sistemi, matematici o geometrici, utilizzati per riportare sul piano il reticolato geografico (che rappresenta la base per la costruzione di una carta), prendono il nome di proiezioni geografiche. Esse vengono classificate in vere, modificate e convenzionali.
Le proiezioni vere: sono ottenute mediante il trasporto del reticolato geografico, eseguito con metodi geometrici, su una superficie ausiliaria, applicando i soli principi geometrici. Se questa superficie è un piano, si hanno le proiezioni prospettiche; se questa superficie corrisponde a quella di un cilindro o di un cono, cioè di un solido sviluppabile su un piano, si hanno le proiezioni per sviluppo. Le proiezioni modificate: sono ottenute dalle precedenti apportando correzioni, attraverso l’applicazione di formule matematiche, così da diminuire inevitabili deformazioni. Le proiezioni convenzionali: dette più propriamente rappresentazioni, richiedono, per la loro costruzione, il ricorso non alla geometria proiettiva, come nelle due precedenti, ma a relazioni matematiche con le quali si desidera ottenere particolari risultati. Qualunque sia il tipo di proiezione utilizzato per costruirla, una carta geografica si può considerare “esatta” se mantiene alcune caratteristiche:
Nessuna carta, però, può avere nello stesso tempo le tre caratteristiche. Per questo, nella realizzazione di una carta, si sceglie la caratteristica più adatta all’uso a cui la carta è destinata. Per le carte geografiche comunemente usate si sceglie di norma la proiezione equivalente, nella quale vengono rispettate le proporzioni tra le varie parti della superficie terrestre. Per le carte nautiche si preferisce la proiezione isogonica, che mantiene immutate le forme delle terre e gli angoli formati dall’intersezione delle linee di rotta con i meridiani e i paralleli. Per le carte degli atlanti si usano spesso le proiezioni equidistanti.
Si ottengono immaginando di proiettare un emisfero, o una sua parte, su un piano tangente o secante il globo terrestre. A seconda del punto di tangenza del piano, la proiezione viene detta polare (piano tangente a uno dei due poli), equatoriale (piano tangente a un punto dell’equatore) od obliqua (tangente a un altro punto qualsiasi della superficie terrestre). Considerando, invece, la posizione del punto di vista, cioè il punto da cui si immagina che fuoriescano le visuali, le proiezioni possono essere definite centrografiche, stereografiche oppure ortografiche. Nelle proiezioni centrografiche il punto di vista si trova al centro della Terra; il difetto di una carta costruita con questo metodo è che la proporzionalità fra distanze reali e cartografate diminuisce con l’aumentare della distanza di un punto della superficie terrestre dal punto di tangenza. Nelle proiezioni stereografiche il punto di vista è situato sulla superficie terrestre e opposto rispetto a quello di tangenza del piano. Le distanze fra i paralleli non sono proporzionali a quelle reali, ma l’errore è meno accentuato rispetto alla proiezione precedente. Nelle proiezioni ortografiche il punto di vista è situato all’infinito e i raggi di proiezione sono paralleli. I paralleli risultano tanto più ravvicinati quanto più ci si allontana dal punto di tangenza.
Si ottengono sviluppando in un piano la superficie curva (cilindro o cono) su cui in precedenza si è immaginato di proiettare la superficie della Terra. Queste proiezioni, dette cilindriche o coniche, possono essere distinte in tangenti o secanti (a seconda che la superficie cilindrica o conica sia tangente o secante la superficie terrestre), dirette (se l’asse del cilindro o del cono coincide con quello terrestre), inverse (se l’asse del cilindro o del cono coincide con il piano dell’equatore) od oblique (se l’asse del cilindro o del cono è in una posizione diversa dalle precedenti). A titolo di esempio, si descrivono le proiezioni di sviluppo tangenti dirette. Nella proiezione cilindrica la superficie laterale del cilindro è tangente all’equatore. I meridiani sono rappresentati da linee parallele, equidistanti e perpendicolari all’equatore, mentre i paralleli sono rappresentati da rette uguali e parallele all’equatore, che si avvicinano progressivamente in direzione dei poli (a causa della curvatura della Terra). La proiezione, sviluppata sulla superficie ausiliaria, si presenta come un reticolato composto da maglie rettangolari di dimensioni variabili con la latitudine, cioè sempre più piccole via via che ci si avvicina ai poli. Tale proiezione è equivalente ed equidistante solo lungo l’equatore. La deformazione è minima per le regioni equatoriali, lungo la linea di tangenza, e aumenta invece per le regioni polari: i due poli, che sulla Terra sono due punti, sulla carta sono rappresentati da linee lunghe tanto quanto l’equatore. Nella proiezione conica il cono, all’interno del quale si deve supporre di collocare la sfera terrestre, è tangente lungo un parallelo. Dopo lo sviluppo in piano, il reticolato è composto da meridiani rettilinei e divergenti a ventaglio dal polo e dai paralleli, rappresentati da archi di circonferenze concentriche. È la zona a cavallo del parallelo di tangenza a essere rappresentata con maggiore precisione. La proiezione è equidistante solo lungo la linea di tangenza.
La più nota è la proiezione isogona di Mercatore, nome italianizzato di Gerhardus Kremer (1512-1594), matematico, geografo e cartografo fiammingo, ottenuta da una proiezione cilindrica tangente all’equatore, in modo da ottenere una carta isogonica, equivalente lungo l’equatore e in cui le deformazioni sono elevate alle alte latitudini. I meridiani e i paralleli sono rappresentati da due fasci di rette parallele tra loro ortogonali, ma, mentre i meridiani si mantengono tra loro equidistanti, i paralleli si distanziano sempre più andando dall’equatore verso i poli. Su di essa è possibile tracciare la linea lossodromica (linea congiungente due punti, che taglia tutti i meridiani secondo uno stesso angolo) come una linea retta, mentre nella realtà essa è rappresentata da una linea curva, data la sfericità terrestre. Questa proiezione è utile per la costruzione di carte nautiche, in quanto gli angoli di intersezione tra i meridiani e la linea lossodromica si mantengono costanti per tutta la rotta.
Possono essere suddivise in pseudocilindriche e pseudoconiche, che presentano analogie con le proiezioni cilindriche e coniche, e discontinue, dette anche interrotte, nelle quali si ricorre contemporaneamente a proiezioni diverse per rappresentare varie parti della superficie terrestre. Tra le proiezioni pseudocilindriche, la più nota è la proiezione trasversa di Mercatore; le proiezioni pseudoconiche comprendono, invece, le policoniche e le policentriche, per la cui realizzazione si utilizzano più superfici di proiezione.
La proiezione cilindrica trasversa di Mercatore, nota anche come proiezione conforme di Gauss, è alla base del sistema UTM (Universale Trasversa di Mercatore), adottato oggi a livello internazionale e utilizzato attualmente dall’Istituto Geografico Militare di Firenze per la costruzione della Carta Topografica d’Italia. È una proiezione convenzionale pseudocilindrica, costruita immaginando di avvolgere l’ellissoide terrestre con la superficie laterale di un cilindro, tangente non lungo l’equatore, ma lungo un meridiano (meridiano centrale) della parte di superficie che deve essere rappresentata. Per esempio, per la cartografia italiana si fa riferimento al meridiano di Monte Mario, che passa per la città di Roma, situato a est del meridiano di Greenwich, meridiano fondamentale a livello internazionale, di longitudine 0°. Sviluppando la superficie cilindrica su un piano, l’equatore e il meridiano di tangenza sono rappresentati da linee rette fra loro ortogonali; gli altri paralleli e meridiani appaiono come linee curve, simmetriche rispettivamente al meridiano centrale e all’equatore. Questo tipo di rappresentazione è equidistante lungo il meridiano di tangenza ed elimina il problema della deformazione alle alte latitudini; tuttavia, forti sono le deformazioni allontanandosi dal meridiano centrale (il massimo di longitudine accettabile, oltre il quale le deformazioni non sono più tollerabili, è 6°, cioè 3° a est e 3° a ovest del meridiano centrale). Il sistema cartografico UTM considera la Terra divisa in 60 fusi, ampi 6° di longitudine ciascuno, numerati da 1 a 60 a partire dall’antimeridiano di Greenwich e procedendo verso est. La superficie terrestre è stata anche suddivisa in 20 fasce di 8° di latitudine da 80° Nord a 80° Sud, contraddistinte da lettere maiuscole dell’alfabeto inglese (escludendo le lettere I e O, che avrebbero potuto generare ambiguità con i numeri 1 e 0). Dall’intersezione dei fusi e delle fasce si generano 1200 zone, a loro volta suddivise in quadrati di 100 km di lato, contrassegnati da due lettere maiuscole. L’Italia è compresa nelle zone 32T, 33T, 34T, 32S, 33S, 34S.
La costruzione di una carta geografica è un’operazione assai delicata, che comprende due diverse fasi: la triangolazione e il rilevamento topografico.
Con questa operazione si stabilisce precisamente la posizione di alcuni punti sul terreno, non allineati tra loro, e ciò si ottiene utilizzando la nota proprietà geometrica secondo la quale, conoscendo un lato e due angoli di un triangolo, possono venire determinati tutti gli altri parametri. Si fissa sul terreno un certo numero di punti (per esempio, cima di un monte o di un campanile), visibili tra loro a tre a tre e se ne stabiliscono altitudine e coordinate geografiche; quindi si misura la distanza fra due di questi punti (posti al massimo a qualche chilometro di distanza), distanza che viene poi riportata in scala sulla carta: questo segmento costituisce la base geodetica, a partire dalla quale si costruisce un reticolo di maglie triangolari, detto rete di triangolazione, o geodetica.
Fatta la triangolazione, il rilevamento del terreno, detto anche topografico, ha lo scopo di stabilire la posizione, l’altitudine e le distanze del maggior numero di punti contenuti nei triangoli tracciati in precedenza; inoltre, si descrivono le caratteristiche del terreno e la posizione dei principali elementi topografici naturali (per esempio, fiumi) e artificiali (ponti, strade, edifici ecc.). Questa operazione, che fino ad alcuni decenni fa si svolgeva sul suolo, è oggi sostituita dall’aerofotogrammetria e dal telerilevamento, metodi assai più rapidi ed efficienti. L’aerofotogrammetria è basata sulla ripresa di foto da parte di velivoli. Durante il volo, a intervalli di tempo ravvicinati (da punti di vista non molto distanti), vengono scattate fotografie orizzontali del terreno. La strisciata fotografica produce una serie di fotografie sovrapponibili: tramite uno strumento, lo stereoscopio, si fondono a due a due, dando origine a una visione tridimensionale della zona fotografata, e si giunge così a un disegno preliminare della carta. Il telerilevamento utilizza strumenti montati a bordo di satelliti artificiali, che ruotano a centinaia di chilometri dal suolo. Il rilevamento della superficie terrestre viene effettuato attraverso l’analisi di radiazioni infrarosse, visibili o ultraviolette, emesse da oggetti al suolo, raccolte dal satellite, codificate e in seguito trasmesse via radio a stazioni di ricezione a terra, dove sono elaborate e trasformate in immagini al calcolatore o in vere e proprie fotografie. Questo metodo presenta rispetto agli altri una serie di vantaggi: