L'inizio del secolo

1900 - 1909

Cronologia

1900

  • In Germania viene introdotto il Codice Civile. Le spese destinate agli armamenti assorbono il 75% del bilancio complessivo. È promulgata la seconda legge navale tedesca.
  • Le elezioni politiche segnano lo spostamento a sinistra dell’Italia. Nello stesso anno Umberto I di Savoia è ucciso a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci; gli succede Vittorio Emanuele III.
  • Rivolta nazionalista dei Boxer in Cina contro le legazioni europee. Ne segue una spedizione internazionale a cui partecipano tutte le maggiori potenze europee, il Giappone e gli Stati Uniti. Le forze giapponesi, unite a reparti europei, conquistano Tientsin.
  • La Russia occupa la Manciuria che diventa una zona di influenza russa.
  • Esposizione universale di Parigi: l’Art nouveau raggiunge l’apice del successo con la partecipazione di artisti provenienti da tutto il mondo.
  • Victor Horta realizza a Bruxelles la Maison du people per il partito socialista.
  • Muore all’età di 46 anni lo scrittore dublinese Oscar Wilde.
  • I fratelli Louis e August Lumière progettano uno schermo gigante per l’Esposizione di Parigi.
  • Esecuzione alla Società nazionale a Parigi dei primi due Notturni di Claude Debussy.
  • Nasce nel quartiere di Storyville a New Orleans il primo jazz che si diffonde spontaneamente in tutta la regione del delta del Mississippi.
  • Muore a Weimar il filosofo Friedrich Wilhelm Nietzsche.
  • Esce L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud; il volume raccoglie i risultati di tre anni di ricerche sulla tecnica delle associazioni libere e sull’analisi dei sogni.
  • Esce Materialismo storico ed economia marxista di Benedetto Croce. Attraverso la critica della teoria marxiana Croce giunge alla determinazione della categoria dell’utile economico, posta accanto a quelle tradizionali del bello, del buono e del vero.
  • Il danese V. Poulsen realizza il primo apparecchio per la registrazione magnetica dei suoni su filo metallico.
  • La società Dunlop produce il primo pneumatico per automobili.
  • Il fisico tedesco Max Planck enuncia la Teoria dei quanti.
  • L’inglese W. Crookes isola l’uranio.
  • A Torino viene fondata la prima Università popolare italiana.
  • In Inghilterra viene fondato il Partito Laburista (Labour representation committee) guidato da Ramsay Macdonald, che ha la sua base nelle Trade Unions.
  • Lenin torna dall’esilio in Siberia e fonda a Monaco il giornale “Iskra” (La scintilla).
  • Primo discorso pubblico di Stalin in occasione del 1 maggio.
  • Escono I fondamenti del XIX secolo di Houston Stewart Chamberlain, che riprende da Gobineau il mito di una “razza ariana”, depositaria delle virtù più nobili, e ne vede l’incarnazione più pura nel popolo tedesco.

1901

  • Si diffonde la guerriglia antibritannica dei Boeri in Sudafrica.
  • In Inghilterra alla morte della regina Vittoria sale al trono Edoardo VII, che regnerà fino al 1910. Nello stesso anno è creato il Commowealth d’Australia con lo statuto di dominio della Corona britannica.
  • In Italia si forma il governo Zanardelli-Giolitti, in carica fino al 1903.
  • Protocollo dei Boxer, siglato dalla Cina e dalle 11 potenze del corpo di spedizione internazionale. Il protocollo, fortemente punitivo, prevede il disarmo del paese, il pagamento di un indennizzo di 450 milioni di tael e il controllo internazionale sulle imposte.
  • Il presidente degli Stati Uniti William McKinley è assassinato da un anarchico di origine polacca; gli succede il vice-presidente Theodore Roosevelt.
  • Nasce l’Ufficio Internazionale delle Repubbliche Americane.
  • Muore Henri de Toulouse-Lautrec, pittore francese, la cui opera anticipa l’espressionismo.
  • Esce il romanzo I Buddenbrook di Thomas Mann. Muore Giuseppe Verdi all’età di 78 anni.
  • Guglielmo Marconi realizza la prima trasmissione radiotelegrafica tra l’Europa e l’America.
  • L’ingegnere inglese Hubert Cecil Booth inventa l’aspirapolvere.
  • Inizia la costruzione a Letchworth in Inghilterra della prima “città giardino”
  • Si costituisce il Partito socialista francese con la direzione di Jean Jaurès.
  • Va al governo in Francia il radicale Combes, che attua una politica anticlericale sopprimendo le scuole, gli ordini, i conventi religiosi e incamerandone i beni.
  • In Belgio ha luogo uno sciopero generale per la conquista del suffragio universale.

1902

  • Accordo tra l’Italia e la Francia per la definizione delle sfere di influenza in Africa nord occidentale: alla Francia il Marocco, all’Italia la Libia.
  • Viene rinnovata la Triplice alleanza tra Germania, Austria-Ungheria e Italia. Quest’ultima strappa un’interpretazione esclusivamente difensiva del trattato.
  • In Germania si revisiona la politica commerciale. Sono introdotte nuove tariffe doganali.
  • I Boeri dell’Orange e del Transvaal accettano la sovranità britannica con la pace di Vereeniging. Nasce l’Unione Sudafricana.
  • Finisce la cosiddetta “lotta per le concessioni” cinesi: la Russia ottiene la cessione in affitto di Port Arthur, la Germania la baia di Chiao-chou, la Gran Bretagna il porto di Wei-hai-wei (di fronte a Port Arthur) e l’intero bacino del fiume Yang-tze, l’Italia il porto di Tientsin.
  • Alleanza anglo-giapponese in funzione antirussa.
  • Inizia il periodo blu di Pablo Picasso.
  • Raimondo D’Aronco realizza i padiglioni dell’Esposizione d’arte decorativa a Torino, diffondendo l’Art nouveau in Italia, dove assumerà la denominazione di liberty.
  • Esce Il libro delle immagini del poeta tedesco Rainer Maria Rilke.
  • Il regista francese George Méliès produce il film fantastico Viaggio nella luna.
  • Claude Debussy compone il poema sinfonico Pelléas et Mélisande.
  • Esce l’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale di Benedetto Croce. Dopo aver definito la filosofia “scienza dello spirito”, Croce distingue tra attività pratica e attività spirituale teoretica, all’interno della quale separa l’attività estetica dall’attività teoretica.
  • Nasce a Vienna, nella sala d’aspetto di Sigmund Freud, la Società psicologica del Mercoledì. Amici e seguaci si riuniscono per discutere le sue teorie sull’inconscio e le rimozioni.
  • Canada e Australia vengono collegati con un cavo sottomarino.
  • Guglielmo Marconi inaugura il servizio radiotelegrafico regolare Europa-America.
  • L’americano Willis H. Carrier crea un prototipo di condizionatore d’aria, utilizzato per la prima volta in una tipografia di New York.

1903

  • Panama si rende indipendente dalla Colombia e viene riconosciuto Stato sovrano dagli USA, che appoggiano l’operazione in funzione della costruzione del canale. Del territorio su cui verrà costruito si assicurano il controllo perpetuo.
  • La Germania inizia la costruzione della ferrovia Berlino-Baghdad, rivelando così le sue mire espansioniste verso i Balcani e l’Asia Minore. Il Partito socialdemocratico tiene il proprio congresso a Dresda nel quale respinge il revisionismo.
  • La Dieta giapponese approva il programma di espansione navale. Si acutizza la rivalità con la Russia per il controllo della Manciuria, che respinge le rivendicazioni giapponesi.
  • Il Venezuela si dichiara inadempiente nei confronti di Germania, Inghilterra e Italia. Le tre potenze decidono per una dimostrazione navale, ma gli Stati Uniti impongono loro il veto, facendole desistere. Da quel momento nessun paese europeo interverrà più nella politica dell’America Latina.
  • Nel congresso di Londra del POSDR (partito operaio socialdemocratico russo) avviene la scissione tra i menscevichi (minoritari) e i bolscevichi (maggioritari) guidati da Lenin.
  • Muore Paul Gauguin, pittore francese che influenzerà le avanguardie di quest’inizio secolo.
  • Muore il pittore francese Camille Pissarro.
  • Antoni Gaudí inizia il Parc Guell a Barcellona, a cui lavorerà fino al 1914.
  • Esce il romanzo Tonio Krõger di Thomas Mann.
  • Esce il popolare romanzo Il richiamo della foresta del narratore americano Jack London.
  • Il pioniere del cinema americano Edwin Stratton Porter realizza L’assalto al treno, film di 250 metri.
  • Il sociologo e storico tedesco Max Weber inizia a dirigere la rivista “Archiv fur Sozialwissenschaft und Politik”.
  • Muore il filosofo inglese Herbert Spencer, tra i maggiori esponenti del positivismo.
  • Benedetto Croce fonda e dirige la rivista di letteratura, filosofia e storia “La critica”.
  • Escono I principi della matematica del matematico e filosofo inglese B. Russell.
  • Nasce la Teoria assiomatica delle probabilità, elaborata dal matematico russo A. N. Kolmogorov.
  • Il russo Ivan Petrovič Pavlov scopre i riflessi condizionati.
  • I fratelli nordamericani Wirbur e Orville Wright costruiscono un aeroplano a motore col quale effettuano il primo volo umano.
  • Gli americani Henry Ford e David Buick fondano le rispettive società automobilistiche.
  • Esce l’articolo di Lenin La questione nazionale, che avrà grande importanza dopo la rivoluzione vittoriosa del 1917.
  • Escono in Russia i Protocolli dei savi anziani di Sion, clamoroso falso, libello antisemita che denuncia un complotto ebraico per impadronirsi del mondo col denaro e la violenza; uscirà anche in Francia due anni dopo.
  • Emmeline Pankhurst fonda a Manchester l’Unione sociale politica e femminile.
  • Muore il pontefice Leone XIII (Gioacchino Pecci); gli succede Giuseppe Sarto col nome di Pio X.

1904

  • Viene stipulata tra Francia e Inghilterra l’Entente Cordiale, che segna il riavvicinamento tra le due potenze europee. La Francia raggiunge un accordo con la Spagna per il controllo del Marocco. In base a l’accordo franco-britannico l’Egitto è riconosciuto zona d’influenza inglese e il Marocco zona d’influenza francese.
  • Scoppia il conflitto russo-giapponese per il controllo di Corea e Manciuria. Nello stesso anno viene assediato e costretto alla resa Port Arthur dai giapponesi. L’ammiraglio giapponese Togo riporta numerose vittorie. Nella battaglia per Liao Yang sono impegnati 800.000 uomini.
  • Intervento statunitense a Santo Domingo. T. Roosevelt enuncia il suo corollario alla dottrina Monroe affermando il diritto degli USA a intervenire come polizia internazionale nelle questioni dell’America Latina (Big stick policy).
  • Inizia il periodo degli arlecchini di Pablo Picasso.
  • Henri Van de Velde è nominato professore alla Scuola d’arti e mestieri di Weimar e inizia a progettare le nuove sedi per l’Accademia di Belle Arti, che sarebbe diventata il “Bauhaus” di Weimar.
  • Héctor Guimard progetta gli ingressi con decorazioni floreali in ferro-vetro del metrò parigino.
  • Esce Il fu Mattia Pascal, romanzo del drammaturgo italiano Luigi Pirandello.
  • Muore Anton Cechov, narratore e drammaturgo russo, all’età di 44 anni.
  • Gabriele D’Annunzio mette in scena al Teatro Lirico di Milano La figlia di Iorio.
  • Congresso dell’Internazionale ad Amsterdam, in cui si fa appello all’unità dei socialisti francesi.
  • Esce Psicopatologia della vita quotidiana di Sigmund Freud.
  • Esce L’etica protestante e lo spirito del capitalismo Max Weber, uno dei fondatori della sociologia moderna.
  • Escono le Ricerche sulle sostanze radioattive di Marie Curie.
  • L’inglese J. A. Fleming brevetta la valvola termoionica (diodo).
  • Viene fondata in Inghilterra la società automobilistica Rolls-Royce.
  • Prima presentazione ufficiale a Parigi della “cité industrielle” di Tony Garnier.
  • Jean Jaurès è direttore politico del giornale “L’Humanité”.
  • Dicembre: Sciopero a Baku in Russia
  • Sciopero generale in Italia per iniziativa dei sindacati rivoluzionari contro gli eccidi di contadini avvenuti nel meridione. Gravi disordini soprattutto a Milano.
  • Pio X abolisce l’Opera dei Congressi e concede ai cattolici di partecipare alla vita politica attiva dello Stato italiano.
  • Muore all’età di 44 anni Theodor Herzl, fondatore del Sionismo.

1905

  • L’imperatore tedesco Guglielmo II sbarca a Tangeri in Marocco e apre la prima crisi marocchina per frenare l’espansionismo francese in quella regione.
  • In Francia si forma la Lega di azione. Il socialista Jean Jaurès fonda la SFIO (Sezione francese dell’Internazionale operaia).
  • In Irlanda viene fondato il Partito radicale Sinn Fein (Noi stessi).
  • La Norvegia si separa dalla Svezia e viene governata dal re Haakon II.
  • Le forze giapponesi invadono la Manciuria. Nella battaglia di Mukden l’esercito russo subisce una gravissima sconfitta. Nella battaglia navale di Tsushima la flotta russa viene distrutta dall’ammiraglio Togo. Si avviano le trattative di pace.
  • La pace di Portsmouth conclude il conflitto russo-giapponese. La Russia cede Port Arthur, il controllo della Manciuria e oltre la metà dell’isola di Sahalin. La Corea diventa un protettorato giapponese. Il Giappone diventa una grande potenza asiatica.
  • Sun Yat-sen fonda a Tokyo la Lega rivoluzionaria unificata cinese, poi chiamata Kuomintang, ed enuncia la dottrina dei “tre princìpi del popolo”.
  • Seconda presidenza di Roosevelt (fino al 1909): legislazione antitrust, limitazione dell’orario di lavoro, assicurazione contro gli infortuni. Dai tempi di Lincoln nessun altro presidente acquista tanta popolarità.
  • Russia: domenica di sangue a Pietroburgo.
  • A Damasco viene fondata la società segreta di Mustafà Kemal.
  • In Francia nasce il movimento dei Fauves (belve). Ne fanno parte Matisse, Derain, Dufy, Braque, Vlaminck.
  • In Germania, a Dresda, nasce il movimento Die Brücke (il ponte). Ne fanno parte Emil Nolde, Kirchner, Hekel, Müller, Egon Schiele, Oskar Kokoschka, Edvard Munch e l’olandese Ensor.
  • Inizia il periodo rosa di Pablo Picasso.
  • Escono i Tre saggi sulla teoria della sessualità di Sigmund Freud.
  • Esce la teoria della relatività ristretta e la spiegazione dei fenomeni fotoelettricidi Albert Einstein.
  • I fratelli Wright volano su un circuito chiuso di 39 km.
  • Avvio della produzione industriale delle lamette e dei rasoi di sicurezza inventati dall’americano King Camp Gillette.
  • Nasce la Section française de l’internationale Ouvrière (SFIO) che regola i rapporti con i sindacati.
  • Lenin inaugura a Londra il III congresso del POSDR (25 aprile).

1906

  • Alla Conferenza internazionale di Algeciras per risolvere il problema marocchino la Germania esce sconfitta e isolata: le potenze riconoscono i preminenti interessi francesi in Marocco.
  • In Francia Dreyfus è riabilitato. Si varano le leggi sociali. Gli scioperi sono repressi con la forza.
  • E’ sciolto il Parlamento ungherese. Il contrasto che oppone i magiari all’imperatore Francesco Giuseppe dura fino al 1910.
  • In Inghilterra nasce il Labour Party.
  • In Russia gli equipaggi della flotta del Baltico si ribellano mentre viene sciolta dallo Zar la prima duma (della speranza popolare) perché considerata troppo democratica.
  • Quarto congresso del POSDR: fusione di menscevichi e bolscevichi.
  • Esce il romanzo dello scrittore austriaco Robert Musil I turbamenti del giovane Tõrless.
  • Giosuè Carducci riceve il premio Nobel per la letteratura.
  • 1 maggio: In Francia sciopero generale. Il governo del radicale Cleménceau mobilita l’esercito.
  • 23 maggio: A 78 anni muore Henrik Ibsen.
  • Inizia una corrispondenza regolare tra Sigmund Freud e Carl Gustav Jung.
  • L’americano L. De Forest inventa il tubo elettronico a vuoto a tre elettrodi che rende possibile la trasmissione radio di suoni e parole.
  • A Torino nasce la società automobilistica di Vincenzo Lancia.
  • In Italia, in maggio, il terzo governo Giolitti attua importanti riforme sociali per i lavoratori (previdenza, assicurazioni, riposo festivo, limitazione dell’orario di lavoro).
  • Fondazione in Italia della Confederazione generale del lavoro
  • Paul Poiret, giovane sarto parigino, inventa l’abito libero, eliminando la scomodità di busti, stecche e sottogonne. Il suo modello agile e disinvolto diventa subito il simbolo dell’emancipazione femminile.

1907

  • L’alleanza anglo-francese si estende alla Russia dando vita alla Triplice Intesa.
  • In Austria è introdotto il suffragio universale maschile. L’elemento slavo è maggioritario in Parlamento.
  • Hitler si stabilisce a Vienna.
  • Alla conferenza per la pace dell’Aja la Germania rifiuta ogni politica di disarmo.
  • Quinto congresso del POSDR a Londra: Lenin ottiene la maggioranza.
  • In Russia è varata la riforma agraria di P. Stolýpin, che permette ai contadini di acquisire la terra. Vengono arrestati i capi socialdemocratici, il governo scioglie la seconda duma (della collera popolare). Viene eletta la terza duma (dei signori, dei popi e dei lacché).
  • A Parigi, al Salon d’Automne, si dedica una grande mostra a Cézanne, che apre la strada al cubismo.
  • Pablo Picasso dipinge Les demoiselles d’Avignon, opera di rottura che introduce il cubismo.
  • Lo scrittore francese Maurice Leblanc crea il popolare personaggio di Arsène Lupin, ladro gentiluomo.
  • Esce la raccolta Nuove poesie di Rainer Maria Rilke.
  • Congresso dell’Internazionale socialista a Stoccarda, che segna l’inizio del processo di allentamento dei legami di fratellanza tra i vari partiti socialisti europei.
  • Esce L’idea di fenomenologia di E. Husserl.
  • Escono Deliri e sogni nella “Gradiva” di Jensen di S. Freud, primo esempio di applicazione del metodo psicoanalitico a un’opera di fantasia.
  • Esce L’evoluzione creatrice del filosofo francese Henri Bergson.
  • Novembre: L’economia mondiale entra in una crisi che, sebbene di natura congiunturale, frena il tasso di crescita della produzione in tutti i maggiori paesi industrializzati.
  • Auguste Lumière avvia la produzione delle prime lastre fotografiche a colori, commercializzate a livello industriale molto più tardi (1936) dalla società Kodak.
  • V Congresso dei POSDR a Londra: Lenin ottiene la maggioranza.
  • A Stoccarda congresso internazionale socialista.
  • Creazione del Centro sionistico palestinese a Giaffa a opera di Chaim Weizmann.
  • Papa Pio X condanna il modernismo con l’enciclica Pascendi Dominici gregis.

1908

  • L’impero austro-ungarico si annette la Bosnia-Erzegovina, aprendo una grave crisi internazionale. Si accentuano le tensioni con la Serbia, con la Russia e con l’Italia.
  • 28 ottobre: scandalo del Daily Telegraph: un’imprudente intervista rilasciata da Guglielmo II sui rapporti anglo-tedeschi scatena le proteste di tutti i partiti.
  • In Inghilterra è varato il governo liberale di H. H. Asquith, che resterà in carica fino al 1916. Fra il 1908 e il 1909 vengono varate delle riforme sociali: sono introdotte le pensioni di vecchiaia. La giornata lavorativa dei minatori è ridotta a otto ore.
  • Nasce il Partito dei Giovani Turchi. Rivolta militare a Salonicco. Inizio della rivoluzione dei giovani turchi, che conquisteranno il potere durante la guerra italo-turca di Tripoli (1911-1912).
  • Il presidente messicano Porfirio Diaz in un’intervista ammette l’opposizione; Francisco Madero organizza un proprio partito e si candida alla presidenza.
  • A Torino Giovanni Pastrone, produttore e regista, fonda la casa di produzione cinematografica Itala film.
  • La Società psicologica del Mercoledì assume la denominazione di Circolo psicoanalitico di Vienna.
  • A Salisburgo ha luogo il primo congresso internazionale di psicoanalisi.
  • Nasce a Detroit la società americana General Motors.
  • Viene fondata a Ivrea, in Italia, la società Olivetti, impegnata nella produzione di macchine da scrivere.
  • La società automobilistica americana Ford avvia la produzione, attraverso l’introduzione della catena di montaggio, della prima utilitaria della storia dell’automobile, la Ford modello T, di cui vengono costruiti 15 milioni di esemplari.
  • Trotzkij pubblica il primo numero del giornale Pravda (Verità).
  • Congresso socialista in Italia, a Firenze. Prevalgono i riformisti di Turati e Bissolati, vengono espulsi i sindacalisti rivoluzionari.

1909

  • Accordo segreto a Racconigi tra Italia e Russia per il mantenimento dello status quo nei Balcani.
  • In Messico Madero lancia lo slogan “suffragio effettivo, non rielezione”.
  • La Russia riconosce l’annessione all’Austria-Ungheria della Bosnia e dell’Erzegovina.
  • Comincia il periodo del cubismo analitico di Pablo Picasso.
  • Filippo Tommaso Marinetti pubblica sul quotidiano parigino “Figaro” il primo Manifesto del futurismo.
  • Esce Materialismo ed empiriocriticismo di Nikolaj J. Lenin in cui attacca i rappresentanti dell’empiriocriticismo riaffermando il valore oggettivo della scienza.
  • Escono Logica come scienza del concetto puro e Filosofia della pratica di Benedetto Croce.
  • Guglielmo Marconi riceve il premio Nobel per la fisica.
  • Prima trasvolata della Manica per opera del pilota francese Louis Blériot.
  • L’italiano Ettore Bugatti fonda l’omonima casa automobilistica.
  • Giuseppe Gilera fonda la società italiana di motociclette che prende il suo nome.
  • In Inghilterra è approvato l’Housing and town Planning Act, prima legge inglese di regolamentazione dello sviluppo urbano.
  • In Italia le elezioni politiche vedono l’ingresso dei “cattolici deputati” in Parlamento con 16 seggi.

Nel Mondo

La conclusione della guerra anglo-boera

Il commando boero

Il secolo si apre con le ultime, sanguinose fasi della guerra anglo-boera, un conflitto le cui cause risalgono quasi ad un secolo prima. I boeri, discendenti degli agricoltori olandesi che nel XVII secolo avevano colonizzato la regione del Capo di Buona Speranza, erano finiti sotto il dominio inglese quando questa zona era passata alla corona britannica, al tempo delle guerre napoleoniche. Molti di loro, non accettando la sottomissione, dopo un esodo di massa, avevano dato vita alle due repubbliche dell’Orange e del Transvaal. La scoperta in queste regioni, nella seconda metà dell’800, di importanti giacimenti di diamanti aveva riacceso l’interesse dell’Inghilterra per i territori boeri. Il governatore inglese della Colonia del Capo, Cecil Rhodes, dapprima aveva tentato di annettersi quei territori, poi aveva attuato una politica di espansione coloniale nell’Africa meridionale, arrivando a circondare completamente le due repubbliche boere. Inoltre, la scoperta di nuovi giacimenti auriferi nel territorio dei boeri aveva attirato un gran numero di immigrati (uitlanders) inglesi, creando ulteriori motivi di tensione e spingendo il governo boero ad attuare una politica discriminatoria nei confronti degli uitlanders. Rhodes allora non aveva perso l’occasione per farsi portavoce delle loro proteste, tanto da spingere il capo del governo boero, Paul Kruger a dichiarare guerra all’Inghilterra, nell’ottobre 1899. Si tratta di una guerra lunga e dolorosa, che i boeri combattono tenacemente, ottenendo all’inizio notevoli successi e suscitando simpatia fra le popolazioni europee. Ma la superiorità militare inglese alla fine ha la meglio e nel 1902 il conflitto si conclude con la conquista del Transvaal e dell’Orange e il loro passaggio sotto la sovranità britannica (pace di Vereeniging), anche se i boeri proseguiranno ancora per molto tempo un’azione di guerriglia repressa nel sangue dalle forze militari britanniche.

Il nuovo colonialismo inglese: le basi del Commonwealth britannico

Curzon e il Maharaja di Gwalior posano con due tigri abbattute

La guerra anglo-boera, pur portando un duro colpo al prestigio e all’immagine della Corona britannica, viene ad inserirsi comunque all’interno del nuovo orientamento dell’imperialismo inglese all’alba del secolo, orientamento propugnato dal ministro delle Colonie, il liberale Joseph Chamberlain.

In una difficile fase di crisi economica interna, e nella transizione dal regno della regina Vittoria – morta nel 1901 – che aveva segnato e contraddistinto un’intera epoca e visto la nascita del potente e vasto impero britannico, a quello del figlio Edoardo VII, la politica estera offre all’Inghilterra la soluzione ai problemi interni.

Chamberlain è convinto che debba instaurarsi un rapporto di mutua dipendenza tra i paesi dell’Impero inglese; per questo istituirà una sorta di protezionismo doganale, abbandonando la politica liberoscambista e gettando le basi di una confederazione fra le colonie “bianche” (Canada, Australia, Nuova Zelanda e, in seguito, anche Unione sudafricana) legate alla Corona inglese dalla lingua e dai privilegi economici. Questi territori dell’Impero britannico assumono lo status di “dominion” (il Canada l’aveva ottenuto nel 1867, l’Australia l’otterrà nel 1901, la Nuova Zelanda nel 1907). Tuttavia la crisi economica non verrà sufficientemente arginata da questa nuova politica di espansione coloniale; anzi, proprio questa politica, eccessivamente lontana dal tradizionale liberismo economico inglese, farà cadere il ministro e favorirà l’affermazione del governo laburista. La politica estera di Chamberlain ha però il merito di aver posto fine allo “splendido isolamento” tipico dell’isola inglese, favorendo la creazione di un sistema di alleanze che verrà ratificato con la nascita della Triplice Intesa e ponendo le basi per la costituzione del futuro Commonwealth britannico.

La lotta per le concessioni e la rivolta dei Boxer

Scena del delitto del barone von Ketteler, che ha segnato l'inizio dei «55 giorni di Pechino». Fotografia scattata intorno al 1902

Terra di dominio delle potenze imperialiste, che si disputano concessioni commerciali sul suo immenso territorio, l’impero cinese nel secolo XIX attraversa una grave crisi politica ed economica. Con la diffusione della cultura europea, l’arretratezza delle strutture sociali entra in crisi e, nella seconda metà dell’800, la critica a tali strutture sfocia spesso in moti rivoluzionari.

Paradossalmente la rivolta dei Boxer (1900-1901), considerata come il primo movimento antimperialista e nazionalista della storia, nasce e si sviluppa invece come un moto di reazione alle riforme interne, ed ha caratteristiche principalmente xenofobe. La setta segreta dell’Ordine letterario dei pugni armoniosi, (detta dei “Boxer”), è infatti caratterizzata da una profonda superstizione: la credenza che gli stranieri siano i portatori dei mali della Cina, le cause delle carestie e delle alluvioni, che le suore cattoliche, negli orfanotrofi, facciano smercio di interiora di bambini. Si tratta di un disperato tentativo di difendere la società tradizionale dalla penetrazione della cultura occidentale e “straniera” in genere.

Senza una direzione centrale, la setta è divisa in tanti piccoli gruppi, ognuno dei quali opera nel suo territorio e rivolge la sua azione in maniera feroce e sanguinosa contro tutti gli stranieri, i missionari e i cinesi convertiti.

A Pechino i Boxer arrivano però ad assediare il quartiere degli stranieri, provocando la reazione delle potenze occidentali che organizzano una spedizione militare internazionale, alla quale partecipano anche Stati Uniti, Giappone (con una forza di 7.200 uomini, sul totale di 18.000 che compongono il contingente) e Italia. Nella repressione della rivolta gli occidentali usano la stessa ferocia dei Boxer. L’ordine del kaiser Guglielmo II di non fare prigionieri, per esempio, viene puntualmente eseguito dal corpo di spedizione tedesco.

Il “protocollo dei Boxer” e il tramonto dell’impero cinese

Esecuzione dei Boxer dopo la fallita ribellione

Una volta sedata la rivolta dei Boxer, la Cina e le potenze vincitrici sottoscrivono l’omonimo protocollo, un trattato fortemente punitivo per il governo cinese, che prevede l’imposizione di dure riparazioni e il disarmo totale e unilaterale. Con esso inoltre le finanze pubbliche del paese vengono sottoposte al controllo da parte delle potenze vincitrici.

Il fallimento della rivolta dei Boxer - che, pur con molti limiti politici e culturali, aveva rappresentato un primo, immaturo tentativo di affrancamento dal dominio straniero - e la vittoria giapponese contro la Russia nella guerra del 1905 - che aumenterà ancora di più la penetrazione e la presenza nipponica sul suolo cinese, sono due dei fattori che determineranno la fine dell’impero Manciù.

Un terzo fondamentale fattore è rappresentato dalla morte, nel 1908, dopo quarant’anni di dominio, dell’imperatrice Tzu Hsi, il cui regno autoritario si era contraddistinto per lo sforzo di mantenere in vita un sistema sociale ormai reso inadeguato dalle trasformazioni economiche imposte dalle potenze europee, sistema che aveva impoverito notevolmente la popolazione cinese. La morte dell’Imperatrice accelera il processo di dissoluzione dell’Impero. A lei succede il piccolo Pu Yi, un imperatore-bambino di appena tre anni di età, destinato ad essere deposto dopo qualche anno, quando lo sfacelo economico del paese e l’endemico stato di rivolta porteranno all’instaurazione della repubblica.

Sun Yat-sen e la nascita della Lega rivoluzionaria unificata cinese

Sun Yat-sen (seduto, a destra) e Chiang Kai-shek

Anche in Cina, come in molti paesi sottoposti alle mire dell’imperialismo occidentale, il risveglio della coscienza nazionale passa attraverso la borghesia, in particolare attraverso quella gioventù venuta presto a contatto con l’occidente.

Il movimento nazionalista - a parte la parentesi della rivolta dei Boxer - non è tanto xenofobo, quanto segnato dall’esigenza di una rottura con il passato, con la vecchia classe dirigente dei burocrati, dei proprietari terrieri, dei “mandarini in vesti di broccato” (i potenti funzionari governativi), che, pur di difendere i propri privilegi, avevano gettato il Paese nelle mani delle potenze imperialiste.

Alla guida del movimento nazionalista cinese si pone il medico Sun Yat-sen, convinto che per potere cacciare gli occidentali fosse necessario prima assimilarne la scienza e la cultura. Nel 1905 egli fonda la Lega rivoluzionaria unificata cinese (il futuro Kuomintang) con l’intento di abbattere la dinastia imperiale e le vecchie strutture sociali seguendo il programma dei “tre princìpi del popolo”: indipendenza nazionale, democrazia, possibilità di vita per tutti. Il suo programma conosce subito un’immediata diffusione ad opera dei cinesi residenti all’estero, degli studenti, delle scuole missionarie.

L’imperialismo nipponico e la guerra russo-giapponese

Una divisione russa in ritirata, dopo la battaglia di Mukden

Entrambe interessate a egemonizzare e controllare il nord-est asiatico, dopo l’inizio della decadenza dell’impero cinese, Russia e Giappone vengono presto a conflitto.

Nel 1903, dopo essersi assicurato con un trattato l’appoggio della Gran Bretagna – a sua volta interessata a tenere impegnato l’impero zarista in estremo Oriente per distoglierne l’attenzione dall’Asia centrale - il Giappone propone alla Russia la spartizione della Manciuria. I russi, però, che già occupavano gran parte della regione e avevano sottovalutato la forza militare giapponese, rifiutano ogni accordo.

Nel 1904, senza nessuna dichiarazione di guerra, la flotta giapponese attacca quella russa e pone sotto assedio la città di Port Arthur, situata sul Mar Giallo a sud della penisola mancese. Dopo quasi un anno di assedio, nel 1905 Port Arthur cade e l’esercito giapponese penetra in Manciuria. Qui si scontra con l’esercito russo nella grande battaglia campale di Mudken, da cui esce vincitore. Anche la flotta russa del Baltico, che raggiunge la zona delle operazioni solo dopo sedici mesi dallo scoppio della guerra, viene sconfitta e distrutta presso l’isola di Tsushima da quella giapponese comandata dall’ammiraglio Togo.

Dopo la capitolazione russa, e con la mediazione del presidente americano Theodore Roosevelt, l’impero zarista e quello nipponico sottoscriveranno la pace di Portsmouth: con essa il Giappone acquista la sovranità su parte dell’isola di Sakhalin e ottiene il protettorato sulla Manciuria meridionale e sulla Corea.

La vittoria del Giappone mette per la prima volta in discussione l’invincibilità delle potenze europee e la supposta supremazia della “razza bianca”; così l’estremo Oriente cessa di essere un campo d’azione incontrastato delle grandi potenze occidentali, mentre appaiono già sulla scena quelle che saranno le due nuove potenze imperialiste che si disputeranno l’egemonia di questa parte dell’Asia: il Giappone e gli Stati Uniti.

La prima rivoluzione russa

Rasputin circondato da un gruppo di visitatori nel suo appartamento di San Pietroburgo. Tra i suoi clienti figuravano notissimi membri del governo e dell'alta società russa. La terza nobildonna in piedi, partendo da sinistra, è Anna Vyrubova, intima amica e confidente della zarina Alessandra.

Le sconfitte militari subite durante la guerra contro il Giappone, esasperano una situazione già critica, a causa della politica autocratica e repressiva di Nicola II e delle condizioni di arretratezza e di povertà estrema in cui versa la popolazione. Anche i settori più moderati della borghesia sono in fermento, mentre i nobili mal sopportano la presenza nell’entourage reale del monaco-taumaturgo (con fama di mago-stregone) Grigori Efimovic Rasputin, che, attraverso l’ascendente che esercita sulla Zarina Alessandra, la quale a sua volta ha grande influenza presso lo Zar, controlla di fatto le decisioni di Nicola II, tanto che viene considerato la “vera eminenza” grigia dell’impero.

Queste ed altre condizioni, come un brusco aumento dei prezzi successivo all’inizio del conflitto fanno sì che la tensione aumenti gradualmente fino a sfociare in una serie di avvenimenti che, fra il gennaio e l’ottobre del 1905 portarono lo Zar a recedere, apparentemente, dalle sue posizioni autocratiche e assolutiste e a concedere per la prima volta l’elezione di una Duma (assemblea) legislativa.

La “domenica di sangue”

Ricostruzione della sparatoria al Palazzo d'Inverno dal film "Il 9 gennaio di Vjačeslav Viskovskij (1925)"

La notizia della caduta di Port Arthur, nel gennaio del 1905, giunge ad esasperare un clima già teso. Nel dicembre del 1904, a Baku, è iniziato uno sciopero ad oltranza che si conclude vittoriosamente per gli operai che ottengono il primo contratto collettivo di lavoro della storia della Russia. Subito dopo, il 3 gennaio del 1905, scoppia un grande sciopero nelle officine Putilov di Pietrogrado a cui aderiscono anche le maestranze di altre aziende. L’enorme partecipazione, 250.000 persone, e il gran numero di imprese coinvolte, lo trasformano presto in uno sciopero generale.

La crescente eccitazione popolare spinge allora il Pope Gapon a promuovere una gigantesca dimostrazione popolare con il duplice scopo, da una parte di evitare una rivolta antizarista, dall’altra di costringere il sovrano a fare alcune concessioni. A quest’ultimo scopo Gapon, insieme ad un gruppo di intellettuali democratici e socialisti, elabora una petizione da presentare allo Zar che raccoglie 135.000 firme; in essa si richiedono, fra l’altro: la libertà e la sicurezza della persona, la libertà di parola e di stampa, la convocazione di un’assemblea costituente, la giornata lavorativa di otto ore, l’amnistia per tutti gli esiliati e i carcerati e la cessazione della guerra.

Il 9 gennaio, una domenica, prendono parte alla manifestazione circa 150.000 persone: operai, donne, ragazzi e anche molti curiosi. I dimostranti, completamente inermi, inalberano ritratti dello Zar, immagini di santi e bandiere di Chiesa. Non appena la pacifica folla giunge davanti al Palazzo d’Inverno, sede dello Zar, il suono di un corno dà il via alla repressione. Sul terreno restano mille morti e duemila feriti, mentre fino a notte si scatena una sanguinosa caccia all’uomo. La “domenica di sangue” giunge così a distruggere le ingenue speranze che il popolo ancora riponeva nello Zar.

L’ammutinamento del Potemkin

La corazzata Potemkin, vista di tre quarti.

Dopo i fatti della “domenica di sangue” a Pietrogrado, scoppiano scioperi e rivolte in tutto il paese. Un episodio emblematico, è quello dell’ammutinamento dell’equipaggio della corazzata Potemkin.

Già nell’estate del 1905 la propaganda rivoluzionaria aveva pensato di servirsi delle notizie catastrofiche sulla guerra, per organizzare una sollevazione tra le truppe di stanza a Sebastopoli. Ma, ad anticipare l’attuazione di tale piano, il 14 giugno 1905 scoppia un ammutinamento sulla corazzata Potemkin, ormeggiata nel porto di Odessa. La scintilla che accende gli animi scoppia quando alla ciurma viene servito come cibo della carne guasta, fatto che scatena una vibrata protesta, che si trasforma in vera e propria rivolta allorché, dopo un violento alterco, un ufficiale uccide un marinaio. I marinai allora gettano a mare gli ufficiali e issano la bandiera rossa. Una volta sbarcati in città, dove è in atto uno sciopero generale, i marinai sono accolti festosamente dalla popolazione. Lo stato maggiore, invia allora tre incrociatori da Sebastopoli, perché sia riportato l’ordine sul Potemkin, ma gli equipaggi delle tre navi, invece, fraternizzano con gli ammutinati. Uno degli incrociatori issa anch’esso la bandiera rossa, mentre gli altri due si ritirano.

Nel frattempo, tuttavia, lo sciopero generale ad Odessa fallisce e le truppe governative riprendono il controllo della città. I marinai dell’incrociatore Pobedonostsev, che si era schierato con gli ammutinati, si fanno convincere dai loro ufficiali a desistere dall’impresa (67 di loro verranno fucilati) e la Potemkin resta così sola. Per una settimana vaga per il Mar Nero sotto il comando del marinaio Matjusenko. Infine, non potendo ottenere rifornimenti, raggiunge il porto romeno di Costanza, dove la ciurma scende a terra e si disperde. Matjusenko, fidando in un decreto di amnistia, nel 1907 torna in Russia, dove verrà impiccato.

Nonostante sia stato represso con estrema durezza, l’ammutinamento del Potemkin, è tuttavia un episodio significativo, perché fa vacillare per la prima volta la fiducia dello Zar nella fedeltà delle forze armate.

La nascita dei soviet, la Costituzione e l’elezione della prima Duma

Un soviet di soldati e operai a San Pietroburgo nel corso di una votazione

Man mano che giungono notizie sull’andamento disastroso della guerra in estremo oriente, si intensificano le agitazioni in tutto il paese. In un clima di semi-anarchia, con i poteri costituiti incapaci di gestire la situazione, nascono e si diffondono in tutto il Paese nuovi organismi rivoluzionari, i soviet, consigli popolari eletti sui luoghi di lavoro, i cui rappresentanti sono continuamente revocabili, secondo il principio della democrazia diretta, ispirata all’esperienza della Comune di Parigi. Il più importante tra questi, il soviet di Pietroburgo, assume la guida del movimento rivoluzionario e in seguito avrà come presidente Lev Trotzskij, esponente di rilievo del partito operaio socialdemocratico russo (POSDR).

Nell’ottobre del 1905 lo zar, preoccupato che il potere dei soviet aumenti fino a portare all’affermazione dell’ala repubblicana degli oppositori, si decide a concedere una costituzione (“Manifesto di ottobre”) e l’elezione di una Duma (assemblea) legislativa.

Ma le concessioni fatte in realtà sono quanto mai limitate: infatti, la Duma viene eletta con un sistema estremamente selettivo a favore dei nobili, e a partire dal 1907 i suoi poteri sono praticamente solo consultivi.

Dal 1906, inoltre, il nuovo capo del governo, Stolýpin, mentre da una parte tenta una politica di riforme agrarie con lo scopo di favorire la nascita di un ceto medio contadino (kulaki), dall’altra reprime energicamente le correnti rivoluzionarie e le minoranze nazionali, mentre l’involuzione in senso conservatore della vita politica, viene benedetta anche dalla Chiesa ortodossa, che appoggia la ripresa dei pogrom antiebraici, e da molti intellettuali attratti dall’ideologia reazionaria. L’autocrazia zarista, comunque, si mostra incapace di trasformarsi in un regime liberale, e affretta sempre più la sua fine.

Il sistema europeo delle alleanze

I fili dell'imperialismo europeo sull'intero continente africano

Agli inizi del XX secolo l’Europa ha ormai raggiunto l’apice del suo predominio sul mondo e tenta di conformare a questo suo ruolo la politica estera del primo decennio. Gli equilibri politici del vecchio continente si reggono ancora sul concetto di “concerto europeo”, scaturito dalla Conferenza di Berlino del lontano 1878. Un concetto che ormai, di fronte all’emergere di nuove e drammatiche contrapposizioni, vacilla ma che riesce ancora a garantire all’Europa un lungo periodo di pace.

Tra le potenze del vecchio continente quella tedesca è venuta acquistando un ruolo sempre più rilevante, grazie alla sua aggressiva condotta diplomatica e all’eccezionale forza persuasiva del suo esercito. La corsa al riarmo, inoltre, alimenta una lotta tra le nazioni europee che si combatte in ogni campo: dall’economia alla cultura. La politica estera vive in questi anni una trasformazione di metodo e di mentalità: le nuove tecnologie comunicative rendono più veloce lo scambio di informazioni, gli interessi economici si intrecciano con quelli degli Stati e dei governi, le popolazioni si interessano maggiormente alle questioni di politica estera. Il vecchio e chiuso mondo della diplomazia ottocentesca deve lasciare il posto a nuovi modelli: una nuova generazione di diplomatici, di estrazione borghese, esperta di economia e di diritto, si fa avanti.

Il controllo dell’opinione pubblica, l’organizzazione di strutture efficienti e capillari, il reclutamento di personale sulla base delle competenze tecniche; tutto ciò permette il rinnovamento della diplomazia che all’inizio del secolo abbandona la sua aurea leggendaria e aristocratica e che, almeno in questo primo decennio, si gioca soprattutto sul cosiddetto “sistema delle alleanze” che contrappongono blocchi di nazioni.

Tuttavia l’affacciarsi sulla scena internazionale, proprio in questi anni, di due nuove potenze extraeuropee, Stati Uniti e Giappone, in grado di contrastare la supremazia imperialista europea, spingerà le nazioni del vecchio continente a fare i conti con un sistema delle relazioni internazionali sempre più basato sulla interdipendenza mondiale.

La Triplice Alleanza, l’Entente Cordiale, la Triplice Intesa

Il cancelliere tedesco Bethmann-Hollweg

La Triplice Alleanza, nata nel 1882, che vede unite la Germania, l’Austria e l’Italia, viene rinnovata nel 1902. In quest’occasione l’Italia propugna e infine sottoscrive un’interpretazione esclusivamente difensiva del trattato, interpretazione che avrà il suo peso al momento dello scoppio del primo conflitto mondiale e dell’entrata in guerra del nostro paese.

Nel 1904 Francia e Inghilterra, mettendo da parte le incomprensioni reciproche e i motivi di conflitto (di origine soprattutto coloniale) che le avevano fino ad allora divise, sottoscrivono una “Entente cordiale” che nel 1907, dopo i primi segnali delle intenzioni aggressive della Germania in Africa e dell’Austria nei Balcani, viene estesa alla Russia, con la quale l’Inghilterra supera i vecchi motivi di conflitto sull’area degli stretti (Bosforo e Dardanelli), per dare vita alla Triplice Intesa.

L’Europa è dunque spezzata in due - Triplice Alleanza e Triplice Intesa - e si consuma in una serie di piccoli conflitti, apparentemente di carattere coloniale, ma che in verità hanno più l’aspetto di vere e proprie esercitazioni militari e diplomatiche nell’Africa e nei Balcani: come per esempio le crisi marocchine, che cementeranno l’“Entente cordiale”, mentre i Balcani saranno il teatro di prove di forza tra varie nazioni.

Il protagonismo tedesco

Il corteo di Guglielmo II (al centro) a Tangeri, il 31 marzo 1905

Agli inizi del ‘900 la Germania, grazie all’opera diplomatica del cancelliere Bismarck e alla forte personalità del Kaiser Guglielmo II, ha ormai raggiunto una posizione egemonica all’interno del “concerto europeo” delle potenze.

Dopo le dimissioni di Bismarck (1890) e la rottura dei rapporti diplomatici da lui intessuti con il conseguente smantellamento del sistema di equilibri di forze, il Kaiser si era impegnato all’esterno in una politica di forza indirizzata da una parte verso i Balcani e l’Asia Minore (che presto avrebbe portato ad un conflitto con la Russia) e dall’altra verso l’Africa (che l’avrebbe contrapposta a Francia e Inghilterra, l’altra grande potenza egemonica e imperiale europea).

I primi anni del secolo in Germania si svolgono all’insegna del “neuer Kurs” (“nuovo corso”) guglielmino, una politica semiautoritaria caratterizzata da una forte ripresa del militarismo, da una parte, ma anche dal progressivo indebolimento della posizione egemonica del paese, dalla perdita di quell’immagine di stabilità e potenza che esso aveva agli occhi del mondo.

All’inizio sembrava che il nuovo corso dovesse consistere essenzialmente in una politica interna più liberale, con l’abolizione delle leggi eccezionali antisocialiste (1890); erano anche state ridotte le tariffe doganali e attenuata la pressione esercitata sulle minoranze nazionali. Tuttavia ben presto i poteri “forti” - aristocrazia agraria prussiana (gli “junker”), grande industria, esercito – incoraggiano Guglielmo II a procedere in un’altra direzione. Su pressione degli junker si ritorna al protezionismo doganale, mentre in politica estera si accentua l’indirizzo imperialistico, in risposta alle esigenze dei settori industriali e militari. Le spese destinate agli armamenti assorbono, a partire dal 1900, il 75% del bilancio complessivo, aumenta l’influenza dell’esercito sul governo, mentre viene intrapresa la costruzione di una grande flotta da guerra (nel 1914 la flotta tedesca sarebbe stata la seconda al mondo, dopo quella inglese). Si avvia anche un processo di forte concentrazione industriale (sviluppo delle acciaierie Krupp), e la Germania acquista presto il primato nei settori di punta della chimica e dell’elettricità (con due grandi aziende, la AEG e la Siemens, che forniscono da sole il 30% della produzione industriale del mondo).

La questione marocchina e la conferenza di Algeciras

I delegati alla conferenza di Algeciras

La Germania del 1904 ha due obiettivi da conseguire: affermare ancora di più la propria centralità nelle relazioni internazionali e rompere un probabile accerchiamento creando motivi di contrasto tra le nazioni nemiche Russia, Inghilterra e Francia.

Sono due le aree di maggiore attrito: i Balcani e l’Africa, in quest’ultima, in particolare, il Marocco che era restato fino ai primi anni del secolo un regno indipendente, diventa teatro di scontro tra Francia e Germania.

Forte dell’“Entente cordiale” del 1904 che le aveva riconosciuto certi diritti sul Marocco, la Francia cerca di ottenere il protettorato sul paese. Ma la Germania, che vuole contrastare il predominio coloniale delle potenze rivali, si oppone.

Si arriva così (1905) alla prima crisi marocchina.

Un primo tentativo francese di occupare il Marocco, viene impedito dal deciso intervento del Kaiser. Guglielmo II in persona, con un colpo ad effetto, sbarca a Tangeri proclamandone il sultano libero sovrano e ottiene il riconoscimento dell’indipendenza del Marocco.

Ma alla successiva conferenza internazionale di Algeciras del 1906, le maggiori potenze europee, eccetto l’Austria, appoggiano il punto di vista francese; la Germania si troverà quindi isolata e dovrà riconoscere alla Francia una “posizione di preminenza” in Marocco.

Il problema marocchino provocherà poi una seconda grave crisi nel 1911, risolta diplomaticamente: la Francia otterrà il protettorato del Marocco, mentre alla Germania verrà concessa parte del Congo francese.

Le due crisi marocchine dimostreranno che la Germania ha ormai raggiunto una posizione centrale nel sistema delle relazioni internazionali, ma solo grazie ad un’eccezionale dimostrazione di forza. Questo fatto, contrariamente alle aspettative tedesche, spingerà le altre nazioni europee a stringere ancora di più i loro rapporti diplomatici nonostante i numerosi motivi di contrasto che le dividono e a fare quadrato contro l’aggressività dell’impero prussiano.

L’affare del “Daily Telegraph”

Bernhard von Bülow

Nel novembre del 1908 il cosiddetto scandalo del “Daily Telegraph”, che vede coinvolto il Kaiser Guglielmo II, diventa l’occasione, all’interno del paese, per regolare i conti con un imperatore considerato da più parti inadeguato al proprio compito, sia per una serie di errori che gli vengono rinfacciati - dalle dimissioni forzate di Bismarck, agli insuccessi in politica estera - sia per i continui interventi personali nell’attività diplomatica e l’eccessiva loquacità.

Tutto ha origine con la pubblicazione sul giornale inglese “Daily Telegraph”, il 28 ottobre 1908, di un’intervista concessa dal Kaiser. In essa Guglielmo II si lamenta dell’ostilità inglese verso la Germania, rivela che all’epoca della guerra boera c’erano stati dei contatti segreti con Francia e Russia per un’azione comune contro l’Inghilterra, e fa alcune affermazioni azzardate riguardo alla politica estera tedesca.

Immediatamente scatta l’indignazione per la rivelazione delle trattative segrete con Francia e Russia, rivelazione che avrebbe potuto compromettere qualsiasi futuro tentativo del genere nell’ambito delle trattative diplomatiche. L’intervista, inoltre, arrecava un grave danno al prestigio e alla credibilità della Germania.

L’attesa smentita non arriva e, quando ci si rende conto che l’intervista è autentica, contro Guglielmo II si scatena l’unanime condanna, qualcuno arriva a proporre l’abdicazione. Gli attacchi più decisi vengono dai grandi industriali, dal capitale commerciale e bancario e da quanti auspicano una politica estera più attiva.

Il 17 novembre 1908, il cancelliere von Bülow dichiara che le reazioni alla pubblicazione dell’intervista indurranno sua Maestà “a mantenere in avvenire, persino nei suoi colloqui privati, quel riserbo che è indispensabile per una politica coerente e per il prestigio della corona”. A questa dichiarazione fa seguito la rinnovata fiducia espressa dall’imperatore al suo cancelliere. Scuse e promesse sembrano sufficienti a calmare le acque, ma destano meraviglia in Europa e rappresentano indubbiamente un’umiliazione che Guglielmo II subisce di fronte all’opinione pubblica internazionale.

L’Italia giolittiana

Giolitti alla camera dei Deputati

Il protagonista della scena politica italiana nel primo decennio del secolo è Giovanni Giolitti, prima come ministro degli Interni del governo Zanardelli (1901-1903) e in seguito, salvo brevi interruzioni, come presidente del consiglio negli anni compresi tra il 1903 e il 1914, periodo di tempo che per questo motivo viene indicato come “età giolittiana”. La continuità politica è assicurata con il ricorso a elezioni manovrate, a pressioni elettorali per l’elezione di candidati fidati che assicurino la maggioranza al governo, e grazie al forte rapporto con i prefetti e le amministrazioni locali.

Giolitti tenta poi di integrare le istanze del movimento socialista nel quadro delle istituzioni politiche liberali, istituendo un rapporto di “collaborazione informale” con la corrente riformista del partito. D’altro canto, sempre con l’intenzione di allargare il consenso al regime liberale - e grazie a un atteggiamento più conciliante della Chiesa - promuove l’inserimento dei cattolici nella vita politica italiana, spesso in funzione conservatrice e anti-socialista: già a partire dalle elezioni del 1904 alcuni candidati cattolici entrano in Parlamento proprio su questa base.

Tra il 1906 e il 1909 attua numerose e fondamentali riforme che avviano un processo di modernizzazione del Paese, garantendo l’efficienza finanziaria e amministrativa dell’apparato statale, mentre un grande impegno viene riservato alla legislazione sociale, già avviata da Zanardelli, con provvedimenti di legislazione del lavoro. Nel 1905 vengono nazionalizzate le ferrovie e nel 1906 arriva la conversione della rendita pubblica, che consente allo Stato un forte risparmio e un’influenza positiva su tutte le attività finanziarie.

In politica estera Giolitti terrà una condotta prudente, mantenendo formalmente fedeltà alla Triplice Alleanza, per poi avvicinarsi gradualmente alle nazioni dell’Intesa.

Sviluppo industriale ed economico

Fiat Tipo 1, primo taxi costruito dalla casa torinese, nel 1908

Superata la crisi di fine secolo per l’Italia si apre una fase di rapido sviluppo economico e industriale. Maturano infatti i frutti della politica di infrastrutture e di ampliamento del mercato avviata dalla classe dirigente liberale.

Un decollo che si inserisce nella favorevole congiuntura mondiale, destinata a declinare con la crisi del 1907, e che, soprattutto, è agevolato da un ruolo più attivo dello Stato nella gestione dell’economia, attraverso il sostegno di settori strategici e una politica di commesse e facilitazioni alle maggiori imprese nazionali; aumenta il numero delle banche di nuovo tipo, legate ai settori produttivi, si assiste al rapido sviluppo dei commerci e dei mezzi di trasporto, dell’industria elettrica, siderurgica e meccanica (Terni, Ilva, Ansaldo, Breda, Fiat, Olivetti, Pirelli, aziende che avrebbero costituito per molti anni l’ossatura dell’industria italiana); le nuove tecnologie prendono sempre più campo, mentre aumentano i consumi.

Tuttavia, nonostante il processo di modernizzazione, l’Italia dei primi anni del secolo mostra ancora forti sperequazioni e i limiti di uno sviluppo legato a doppio filo all’azione dello Stato, concentrato prevalentemente al Nord, con una questione meridionale ancora irrisolta e debolezze strutturali di difficile soluzione.

L’affermazione dei partiti di sinistra e la nascita della Confederazione Generale del Lavoro

Manifesto per lo sciopero generale del 1904

Le trasformazioni portate dal rapido sviluppo economico e industriale, in un’Italia ancora prevalentemente contadina, portarono nuovi bisogni e nuove tensioni sociali. Si aggravarono fenomeni come l’emigrazione, la povertà, la differenza tra ceti e classi sociali, la disuguaglianza tra Nord e Sud del paese; proprio per questi motivi si rafforzarono i movimenti sindacali e il partito socialista che, da soggetti da sempre sostanzialmente esclusi dal potere politico, divennero sempre più capaci di dare vita a importanti agitazioni e di organizzare la società.

Il partito socialista era diviso al suo interno in due correnti: quella riformista, più disponibile al dialogo con la classe politica liberale e con Giolitti, in particolare, che faceva capo a Filippo Turati, e quella rivoluzionaria, il cui maggior esponente era Arturo Labriola, che sosteneva – fra l’altro - l’importanza dello sciopero generale come arma propria della spontaneità proletaria. L’alternanza di riformisti e rivoluzionari alla guida del partito, lo portò ad oscillare fra posizioni di ascolto e cauta collaborazione con il governo e altre di dura contrapposizione; un’incertezza che avrebbe portato, negli anni successivi, e nonostante le ripetute affermazioni elettorali, a numerose scissioni al suo interno, col risultato di disperdere le energie del movimento operaio italiano.

Nonostante le divisioni all’interno del partito socialista, la raccolta delle istanze dei lavoratori era assicurata da una solida ed efficiente organizzazione sindacale, affidata all’inizio soprattutto alle Camere del Lavoro – saldamente radicate nel territorio – e, dal 1906, ad un solo organismo, basata su federazioni nazionali di mestiere, la Confederazione Generale del Lavoro (CGL).

Le prime riforme sociali

Arturo Labriola, fra i sindacalisti rivoluzionari promotori dello sciopero generale del 1904

Giolitti tentò di seguire un suo progetto cautamente riformista, ricercando il consenso di un ampio schieramento di forze, che andavano dalle componenti del socialismo riformista a quegli ambienti cattolici disponibili e aperti al dialogo con i liberali.

Durante gli anni che lo videro alla guida del paese, prima come ministro degli Interni e poi come presidente del consiglio, diede nuovo impulso alla legislazione sociale, anche per evitare di lasciare nelle mani del partito socialista e del movimento sindacale l’iniziativa riformista.

Nel 1906, lo stesso anno che vede la fondazione della Confederazione Generale del Lavoro, vennero introdotti previdenza e assicurazioni per i lavoratori, il riposo festivo, venne ridotto l’orario di lavoro, vennero regolamentate le condizioni di lavoro nelle risaie e nelle industrie nocive alla salute e, in generale, viene approvata una nuova disciplina dei contratti di lavoro.

L’imperialismo statunitense

Vignetta satirica che raffigura gli Stati Uniti come lo "Zio Sam", perfido maestro che bacchetta gli alunni indisciplinati, cioè Cuba, Porto Rico (sic), Hawaii e Filippine. Sullo sfondo si può osservare un nativo americano in punizione.

Tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del Novecento gli Stati Uniti passano da una civiltà rurale a una industriale ed urbana. Compiuta la conquista del Far West e raggiunta la costa del Pacifico, ha termine la mobilità della “frontiera occidentale”, che tanta parte aveva avuto nel determinare le caratteristiche della società americana. Simbolicamente, nel 1909, moriva a Fort Sill, dove viveva ancora come prigioniero di guerra, Geronimo, l’ultimo grande capo degli indiani Apache e uno dei simboli delle guerre indiane che nella seconda metà del secolo precedente avevano caratterizzato l’espansione verso Ovest della “frontiera”. Nel 1890 il territorio degli Stati Uniti era quasi quello che conosciamo oggi, con 48 Stati federali dall’Atlantico al Pacifico.

Quasi parallelamente al raggiungimento di una stabilità economica e territoriale all’interno, l’attiva presenza degli Stati Uniti nelle controversie provocate dalla questione cinese è il segno di un’inversione di tendenza della politica estera americana, avviata sulla strada dell’imperialismo. Il nuovo indirizzo, seppure estraneo alla tradizione democratica statunitense, si accentua dopo la guerra ispano-americana del 1898, e viene sostenuto dai gruppi finanziari interessati ad un controllo diretto sulle piantagioni di zucchero centro-americane (soprattutto cubane), da alcuni intellettuali, da numerosi giornali e da un’opinione pubblica imbevuta di idee scioviniste.

Principale artefice di questo nuovo orientamento è Theodore Roosevelt, presidente dal 1901, a cui si deve la formulazione dei nuovi principi di politica estera, basati sui concetti di forza ed espansione. L’imperialismo degli Stati Uniti si orienta verso il controllo economico-politico sui Paesi sudamericani, interpretato come il normale svolgimento della dottrina Monroe (“L’America agli americani”, 1823), e verso il Pacifico, naturale prolungamento dell’espansione verso Ovest.

Il “Corollario Roosevelt” e l’interventismo USA in America Latina

Vignetta del 1906 rappresentante il "Corollario Roosevelt"

La presenza imperialista USA si fa sentire in tutta l’America latina, specialmente nella parte centrale, senza però giungere a forme di dominio diretto: si sfruttano i mercati e le risorse attraverso il controllo delle forze politiche locali, senza rinunciare, per meglio esercitarlo, ad interventi militari e occupazioni di fatto. Questa particolare forma di dominio, formulata ufficialmente nel 1904, è conosciuta come “Corollario di Roosevelt” (dal nome del presidente americano) alla “dottrina Monroe” e rivendica il diritto degli Stati Uniti ad intervenire in America latina.

Proclamazione della Repubblica Cubana con l'ammainamento della bandiera americana

La presenza nell’area caraibica era già stata estesa a Portorico, a Cuba e a Panama, che gli Stati Uniti avevano spinto a rendersi indipendente dalla Colombia, facendosi poi cedere, nel 1903, una striscia di territorio per completare la costruzione di un canale di congiunzione tra i due oceani, di cui si assicurano l’uso perpetuo.

Nei primi anni del secolo anche il “nuovo mondo”, spinto da una prorompente vitalità, si afferma, dunque, sulla scena mondiale come una grande potenza in espansione oltre i propri confini naturali.

Il tramonto dell’impero ottomano

La piazza Emin-Eunu e il ponte di Costantinopoli

All’inizio del XX secolo l’impero ottomano è ormai in profonda crisi. Molti degli stati che prima ne facevano parte hanno ottenuto l’indipendenza (Grecia, Serbia, Montenegro, Romania e Bulgaria); altri territori sono oggetto delle mire delle potenze europee.

La decadenza dell’impero ottomano, costantemente minacciato da rivolte endemiche, e i problemi derivanti da minoranze e irredentismi, rafforzati da differenze culturali e religiose, fanno del territorio dei Balcani un’area ad alta tensione internazionale. Nella regione, infatti, vi si trovano coinvolte direttamente o indirettamente tutte le principali potenze europee.

Nell’ottobre del 1908, in seguito alla rivoluzione promossa dal partito dei “Giovani Turchi”, che mina e indebolisce dall’interno l’impero l’Austria-Ungheria si annette la Bosnia-Erzegovina, scontrandosi con la Serbia che progettava di creare un regno panslavo sotto la sua egemonia.

Contestualmente la Russia entra in conflitto con l’Inghilterra sulla questione degli stretti (Dardanelli e Bosforo) e, infastidita dall’ingerenza austriaca, si schiera con la Serbia. L’Inghilterra chiede a questo punto una conferenza internazionale che chiarisca la questione bosniaca. Ma l’Austria, temendo decisioni contrarie all’annessione, rifiuta la proposta.

Preoccupata del mantenimento dello status quo nei Balcani è invece l’Italia, che teme un eccessivo accrescimento dell’influenza austriaca e che, nel 1909, stringe per questo un accordo segreto con la Russia. Restano fuori dalla questione balcanica la Francia, ma solo perché non ritiene di essere ancora militarmente pronta e la Germania, legata all’Austria dalle comuni radici culturali, storiche e linguistiche.

Mustafa Kemal e il partito dei Giovani Turchi

Congresso dei Giovani Turchi a Parigi (1 febbraio 1902)

Mentre le sconfitte e le perdite territoriali vedono diminuire il prestigio e la potenza dell’impero ottomano, il governo dispotico di Abdulhamid II, che aveva abolito la Costituzione concessa nel 1876 dal suo predecessore, porterà ad una crisi dell’impero anche sul fronte interno.

Il partito dei Giovani Turchi, sorto dalla fusione di gruppi di ufficiali del Comitato “Unione e Progresso” e con la società segreta fondata nel 1905 da Mustafa Kemal, ha fra i principali obiettivi proprio il ristabilimento della Costituzione del 1876.

La scintilla rivoluzionaria si accende nell’estate del 1908 con lo scoppio di una rivolta militare a Salonicco, capeggiata da Enver Pascià. Ad un primo tentativo di resistenza governativa, risponde un gruppo di ufficiali marciando con le proprie truppe sulla capitale e costringendo il sultano ad abdicare. Il successore, Maometto V, concede la Costituzione e tenta di realizzare, con l’appoggio degli insorti, un’opera di modernizzazione dello Stato, riuscendovi solo in parte e senza tuttavia risolvere il problema dei rapporti con i popoli europei soggetti all’Impero, in perenne rivolta.

La “polveriera balcanica”

Il Reichsrat a Vienna (1910)

L’Austria-Ungheria si presenta agli inizi del secolo come una società ancora molto arretrata, con forti residui feudali, e irrimediabilmente avviata al declino, a causa non solo del notevole ritardo nello sviluppo economico, ma soprattutto dei sempre più forti contrasti fra le diverse nazionalità presenti al suo interno.

Un progetto per una possibile soluzione ai problemi legati all’assetto multietnico dell’Impero, viene proposto da una parte della classe dirigente e da alcuni circoli di corte ed è sostenuto anche dall’arciduca Francesco Ferdinando, l’erede al trono.

Il progetto prevede la trasformazione della monarchia da dualistica in “trialistica”, separando gli slavi del Sud dall’Ungheria e creando un terzo Stato accanto a quelli austriaco e magiaro, questo per assegnare un egual peso alla componente slava accanto a quella magiara e tedesca. Ma il progetto non riesce a frenare il risveglio dei nazionalismi e le spinte centrifughe, scontrandosi con l’opposizione degli ungheresi da una parte e dei nazionalisti serbi e croati dall’altra, che mirano alla formazione di un unico Stato slavo indipendente, appoggiati dalla Serbia e, indirettamente, dalla Russia.

Conflitti e divisioni fra l’imperatore austriaco e l’Ungheria

Cittadini di Sarajevo nel 1908 leggono una locandina con la proclamazione dell'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina nell'Austria-Ungheria

Tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900, l’impero asburgico è caratterizzato da una forte crescita dei movimenti nazionalisti.

Spesso in contrasto gli uni con gli altri, i diversi nazionalismi hanno sempre in comune una forte ostilità verso il potere centrale. Il fenomeno tende progressivamente a radicalizzarsi, passando dalle richieste di autonomia alla rivendicazione di indipendenza. Le maggiori istanze indipendentiste vengono dalle popolazioni slave, le più sacrificate dal compromesso del 1867 che aveva creato il dualismo austro-ungarico. Tra i cechi della Boemia e della Moravia, inclusi nella zona di competenza austriaca, e tra i popoli con più solide tradizioni politiche e culturali della corona asburgica, si sviluppa, il movimento dei giovani cechi che combatte contro la politica di germanizzazione del governo di Vienna. Più radicali le tendenze nazionaliste degli slavi del Sud, serbi e croati che, soggetti al dominio ungherese, sono attratti dal vicino Regno di Serbia. Anche nel gruppo etnico magiaro, il più privilegiato, sorgono spinte verso la totale autonomia dall’Austria anche in termini di tariffe doganali e di esercito.

Costume e Società

La battaglia per i diritti delle classi popolari

Attentato anarchico a Madrid contro Alfonso XIII, il giorno del matrimonio con Vittoria Eugenia

Nonostante la nascita della società di massa e la costruzione di moderni stati nazionali rendano più articolati gli strati sociali della popolazione, ancora all’inizio del nuovo secolo le differenze tra le classi sociali appaiono assai marcate. Nonostante nei paesi più sviluppati dell’Europa occidentale taluni squilibri tendano ad attenuarsi, le classi popolari urbane e rurali continuano a vivere un’esistenza di sacrificio e di sfruttamento.

Ecco perché nella prima decade del secolo, hanno facile gioco nell’affermarsi, nello svilupparsi e nel rafforzarsi tutti quei movimenti e quei partiti che portano avanti la battaglia per migliorare le condizioni di vita delle classi popolari o per acquisire loro nuovi diritti.

Nei primi anni del secolo XX i salari sono ancora molto bassi per tutti e l’orario di lavoro è pesante, mentre le paghe non permettono nessuna spesa superflua.

La Chiesa cattolica svolge un’opera assistenziale nei riguardi della gente più disagiata, ed è favorita, in questa sua attività, dalla classe dirigente, che vede nella sua attività un elemento utile per il mantenimento dell’ordine sociale.

Tuttavia si ha una crescita del livello di istruzione e diminuisce gradualmente l’analfabetismo. Le battaglie sindacali, il movimento socialista, e le numerose associazioni di solidarietà e di mutuo soccorso contribuiscono notevolmente al miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari.

Il riformismo sociale

Anna Kulisciova fotografata da Mario Nunes Vais nel 1908 a Firenze

A cavallo dei due secoli le maggiori nazioni industrializzate varano, sotto la spinta generale del processo di modernizzazione e delle rivendicazioni operaie, una serie di riforme a carattere sociale intese al miglioramento delle condizioni di vita delle classi lavoratrici, secondo lo stadio di sviluppo e le peculiarità politiche specifiche ad ogni singola realtà nazionale.

In Inghilterra, alle riforme già introdotte nel corso degli ultimi decenni dell’Ottocento si aggiungono, in seguito alla vittoria laburista del 1906, nuove importanti leggi, che aprono ad una fase di ulteriore democratizzazione della società, permettendo una partecipazione più diretta delle masse popolari alla vita politica. L’introduzione di una moderna legislazione sociale si rende possibile sulla base di una proficua convergenza tra l’azione sindacale e quella delle forze progressiste al governo del paese.

In Germania i primi passi verso una moderna legislazione sociale erano stati compiuti da Bismarck, prefigurando in questo modo la formazione di uno “Stato sociale” calato dall’alto, secondo un modello autoritario, che non trova riscontro, a differenza del sistema inglese, nella dialettica sociale tra le forze produttive.

In Francia, sotto i governi radicali dei primi anni del secolo, si registrano massicce ondate di agitazioni sindacali che coinvolgono i ferrovieri, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche e i viticultori delle regioni meridionali, senza che i governi progressisti trovino soluzioni legislative adeguate. Il ministro Cleménceau (1906-1909), che amava definirsi “il primo poliziotto di Francia”, adotta metodi repressivi nei confronti degli scioperanti e proibisce la costituzione di sindacati nel pubblico impiego.

In generale, in ogni paese industrializzato si compiono passi in avanti nella tutela degli strati più umili della popolazione, sebbene le riforme coinvolgano ancora solo fasce esigue della società e lo sfruttamento rimanga una costante del mondo produttivo.

Il movimento operaio

Bambina operaia in un cotonificio

Nel corso dei primi decenni del ‘900 il movimento socialista e operaio conosce una stagione di grande sviluppo, assumendo diverse fisionomie a seconda delle caratteristiche politiche e socio-economiche di ogni singolo paese.

Germania, Francia, Italia, Russia e Inghilterra sono le nazioni in cui il movimento assumerà gli aspetti più interessanti, ricchi di temi e motivazioni che saranno alla base dei diversi orientamenti dell’azione di lotta e di rivendicazione: in senso socialista, riformista, rivoluzionario o revisionista.

Un caso particolare, perché denso di implicazioni per le future vicende del movimento operaio, è rappresentato dalla Russia, dove fino al 1905 nessuna forma di vita politica pubblica veniva consentita dal regime zarista.

Dopo la prima rivoluzione, si ha una liberalizzazione ed emerge subito la figura e l’attività rivoluzionaria di Lenin. Grazie al suo originale contributo di riflessione, il movimento socialista russo sarà protagonista dell’evento rivoluzionario più significativo di questo secolo.

I partiti socialisti e socialdemocratici

1900 - cartolina di propaganda del PSI per le elezioni politiche

L’enorme sviluppo del movimento socialista in Europa è guidato dalla socialdemocrazia tedesca, il primo partito di massa della società moderna. L’organizzazione del partito è capillare, costituita da una fitta rete di giornali, associazioni culturali, economiche e ricreative ed è retta da una struttura burocratica efficiente a volte anche più di quella statale. I suoi leader diventano un autorevole punto di riferimento, sotto il profilo dottrinario, per gli altri partiti socialisti europei. La sua azione politica si attiene al “programma di Erfurt”, del 1891, il quale, seppure redatto in conformità con i principi generali del pensiero marxista, indirizza progressivamente il partito verso la battaglia per il conseguimento di riforme immediate, piuttosto che verso il rovesciamento rivoluzionario dell’ordine esistente, attraverso l’implicita accettazione del sistema capitalistico, grazie anche all’influenza delle teorie revisioniste di Eduard Bernstein.

Invece il socialismo francese, si presenta caratterizzato da una forte frantumazione in gruppi e correnti spesso in antagonismo. Solo nel 1905 si costituisce un partito al quale aderiscono le varie frazioni del movimento, che assume il nome di Sezione francese dell’Internazionale operaia (SFIO). Il nuovo partito, caratterizzato da una forte impronta umanitaria e democratica, è subito diviso dai contrasti di corrente fra riformisti e rivoluzionari, che ne faranno una forza politica molto debole.

Anche il Partito socialista italiano risente dei contrasti fra correnti, pur conoscendo nei primi anni del secolo un sensibile aumento di consensi e favorendo la nascita di un solido sistema mutualistico e cooperativistico in molte aree del Paese.

In Inghilterra, invece, le origini del sindacato precedono di alcuni decenni la diffusione delle idee socialiste fra le classi lavoratrici. Ciò spiega il primato conservato in Inghilterra dalla struttura sindacale su quella politica. Il Partito laburista nasce, infatti, relativamente tardi (1906), come una federazione tra le Trade Union e le varie organizzazioni socialiste presenti nel paese, con una scarsa caratterizzazione ideologica in senso marxista: è soprattutto uno strumento per la trasmissione in Parlamento delle posizioni dei sindacati, di cui è l’emanazione.

Anarchismo e socialismo rivoluzionario

L'anarchico Mikhail Bakunin

Tra le varie componenti del movimento socialista, a cavallo dei due secoli riacquistano rilevanza le correnti rivoluzionarie e anarchiche.

L’anarchismo, che aveva avuto larga fortuna ai tempi della Prima Internazionale, riprende vigore in questi anni soprattutto in Russia, Francia, Spagna e negli Stati Uniti, sostenendo l’emancipazione totale dell’uomo da ogni forma di autorità e di oppressione politica, economica e religiosa, in aperta polemica con il marxismo.

La componente terroristica del movimento anarchico mette a segno numerosi attentati a sovrani e uomini politici, come quello al re d’Italia Umberto I, ucciso da Gaetano Bresci nel 1900 oppure quello contro il presidente degli Stati Uniti William McKinley, ferito a morte nel 1901. Ciò contribuisce a creare intorno all’“anarchia” un senso di terrore, nutrito dagli apparati di polizia di tutti gli Stati.

Tra i gruppi minoritari presenti nel movimento socialista internazionale ha invece grande seguito il “sindacalismo rivoluzionario”, animato da un forte spirito polemico contro tutti i partiti politici, compresi quelli socialisti, ostile al parlamentarismo e alle competizioni elettorali, considerate pericolose forme di integrazione della forza antagonista operaia nelle strutture della società borghese. Al gradualismo riformista oppone quindi l’“azione diretta” dei lavoratori, da esplicarsi attraverso la pratica dello sciopero e del sabotaggio. Tra i teorici del movimento spicca Georges Sorel, che avanza una critica radicale all’umanitarismo democratico di derivazione illuministica, che permeava di sé il movimento socialista. Il sindacalismo rivoluzionario si sviluppa nel primo quindicennio del secolo soprattutto in Francia, dove viene approvato, nel congresso della “Confédération générale du travail” tenutosi ad Amiens nel 1906, un documento programmatico di ispirazione sindacalista (Carta di Amiens), che influenzerà l’azione successiva del movimento operaio francese.

Le teorizzazioni del sindacalismo rivoluzionario trovano un’accoglienza consistente anche in altri paesi quali l’Italia, la Spagna e gli Stati Uniti.

Il movimento per il suffragio e per l’emancipazione femminile

Emmeline, Christabel e Sylvia Pankhurst

A cavallo dei due secoli prendono l’avvio in Inghilterra movimenti di emancipazione femminile che si sarebbero, successivamente, estesi in varie parti del mondo e in particolar modo negli Stati Uniti. I profondi mutamenti in atto nella società avevano comportato una lenta ma progressiva trasformazione della famiglia intesa in senso tradizionale e una nuova funzione della donna nel mondo del lavoro, che le prime femministe rivendicano come tappa fondamentale dell’emancipazione.

La principale richiesta di questi movimenti, che viene propagandata anche con gesti estremi, è il suffragio femminile. A questo scopo, una donna, Emmeline Pankhurst, fonda nel 1902 l’Unione Politica e Sociale delle Donne. Nasce così il movimento delle “suffragette”, che, a partire dal 1905, promuoverà dimostrazioni di piazza, scioperi della fame, ma anche attentati a edifici pubblici, invasioni del Parlamento, scontri violenti con le forze dell’ordine. Inutilmente i giornali satirici inglesi tentano di minimizzare il fenomeno con l’ironia, la presa in giro, la vignetta umoristica. Le suffragette si diffondono in tutto il paese e, a poco a poco, le loro iniziative influenzano anche le donne di altre parti del mondo.

Stranamente il movimento, nato per rivendicare diritti di libertà ed uguaglianza, è osteggiato anche dai laburisti oltre che dai liberali, che temono il conservatorismo innato della donna. In ogni caso la durezza delle azioni femministe supera perfino quella sindacale, ma il risultato conseguito non è che un abbozzo di uguaglianza legale che lascia la situazione socio-economica delle donne praticamente immutata. Oltre alla Pankhurst, altre figure importanti del suffragismo sono la russa Anna Kuliscioff, la compagna di Turati che guiderà la lotta delle donne italiane e la tedesca Clara Zetkin.

La questione ebraica

Theodor Herzl

Come era già accaduto più volte nel corso della storia, anche agli inizi del XX secolo, con il diffondersi del nazionalismo e dell’ideologia imperialista, il razzismo esprime la sua natura più irrazionale e violenta nell’antiebraismo che sfocia poi in antisemitismo.

Le motivazioni del nuovo antisemitismo sono di vario tipo: alle originarie accuse, di origine cattolica, di “deicidio”, e di associazione con il diavolo, i nuovi movimenti anticapitalistici e antiprogressisti imputavano agli ebrei le profonde trasformazioni della società, considerandole una sciagura. In realtà anche in questo caso gli ebrei sono destinati a fare da capro espiatorio per problemi e difficoltà sociali a loro completamente estranei.

Come reazione alla ripresa all’antisemitismo nasce, su iniziativa di Theodor Herzl, il movimento sionista, con l’obiettivo di ricreare, dopo due millenni di esilio, la patria del popolo ebraico in Palestina.

Quando Hertzl muore, nel 1904 appena quarantaquattrenne, la soluzione delle difficoltà in cui si dibatte l’ebraismo è ancora lontana e così la realizzazione dell’obiettivo primario del movimento sionista: la creazione di un focolare ebraico in Palestina.

I protocolli dei Savi anziani di Sion

I delegati del "Primo Congresso Sionista" a Basilea (1897)

Nel 1903 appare in Russia un libello intitolato “I Protocolli dei savi anziani di Sion”, in cui si presenta il resoconto di varie sedute tenute da un governo segreto ebraico (i cosiddetti “savi di Sion”, appunto), durante le quali sarebbe stato discusso un vero e proprio piano per impadronirsi del dominio mondiale.

Il libro, pubblicato anche in Francia nel 1905, conosce immediatamente un vasta diffusione, grazie alla nuovamente montante marea antisemita.

Qualche anno dopo si scoprirà che si tratta di un falso, una grossolana copiatura di un libello satirico contro Napoleone III della seconda metà del XIX secolo. Ma nonostante ciò i “Protocolli” continuarono ad essere pubblicati e giudicati autentici da organizzazioni e addirittura da governi antisemiti, contribuendo ad aumentare l’odio razziale e il pregiudizio antisemita.

Riabilitazione di Alfred Dreyfus

Da sinistra: il capitano Alfred Dreyfus, riabilitato a "Les Invalides", parla col generale Gillain. Al centro, Targe, l'investigatore e scopritore delle falsificazioni che portarono all'affaire

Il 1906 vede la conclusione del cosiddetto “affare Dreyfus”, con una piena e totale riabilitazione dell’interessato.

L’“affare Dreyfus” aveva prodotto una drammatica spaccatura nell’opinione pubblica francese, sul finire del secolo precedente, travalicando i confini del caso giudiziario e rappresentando il terreno di uno scontro aperto tra le forze democratiche e la destra militarista e antisemita.

Il caso aveva preso il via nel 1894 con la condanna ai lavori forzati di Alfred Dreyfus, ufficiale ebreo accusato di aver fornito documenti riservati all’ambasciata tedesca. Ben presto, però, erano filtrate chiare indiscrezioni non solo dell’innocenza dell’ufficiale, ma anche dell’azione di copertura svolta dai vertici militari nei confronti dei veri responsabili. Sulla stampa francese si era scatenata la battaglia tra innocentisti e colpevolisti: da una parte si invocavano i diritti dell’individuo, la democrazia, il rifiuto della discriminazione razziale; dall’altra la destra nazionalista e antisemita faceva appello all’autorità dello Stato, all’onore dell’esercito, al prestigio e alla sicurezza della nazione. La campagna per la revisione del processo era culminata, quattro anni più tardi, nella pubblicazione - su “L’Aurore” del radicale Cleménceau - del celebre articolo J’accuse di Emile Zola, che sarebbe costato all’autore una condanna per vilipendio delle forze armate. Nel 1899 Dreyfus aveva visto confermata la condanna, ma era tornato libero per un atto di grazia del Presidente.

La riabilitazione di Dreyfus verrà vista come una vittoria della società e del potere civile su quello militare.

Il movimento per il suffragio universale

Suffragette (1908 ca)

Nei primi anni del secolo viene introdotto in molti paesi europei il suffragio universale, e le classi popolari partecipano per la prima volta a pieno titolo alla vita politica degli Stati.

Nei primi anni del ‘900 si registra quindi un sostanziale miglioramento nelle condizioni sociali delle classi popolari, pur rimanendo, quella dei lavoratori, una classe ancora emarginata da qualsiasi potere decisionale.

L’emigrazione: fra disagio sociale e integrazione

Emigranti europei sbarcano a Ellis Island, a New York, (USA), nel 1902

L’emigrazione è un fenomeno di enorme rilevanza sociale che trova il suo apice negli anni a cavallo dei due secoli, coinvolgendo milioni e milioni di europei in un flusso migratorio senza precedenti. Il fenomeno ha due cause: la crisi dell’economia agraria, che colpisce soprattutto i ceti rurali più deboli - piccoli proprietari, contadini salariati e braccianti - e l’andamento demografico, caratterizzato da una fase di alta natalità-bassa mortalità che pone con urgenza il problema della sopravvivenza e del sostentamento di ampi settori dei ceti popolari nelle aree più povere ed arretrate dell’Europa. Ma si emigra anche per sfuggire a persecuzioni e pesanti forme di emarginazione sociale. L’afflusso maggiore si indirizza verso le Americhe, creando dei forti problemi di integrazione che vengono solo in parte risolti attraverso apposite politiche stabilite da ogni singolo Stato, anche se inizialmente gli emigranti tendono a salvaguardare usi e costumi del proprio paese d’origine.

Quelli che emigrano negli Stati Uniti vivono poi un doppio sradicamento: geografico-culturale, ma anche sociale, poiché vengono impiegati quasi tutti nelle fabbriche e in attività lavorative nelle grandi città americane. Tuttavia in America, paese multietnico fin dalla sua nascita, anche se non mancano iniziali pesanti forme di razzismo nei confronti degli emigranti, la tendenza è stata quella piuttosto di assorbire i diversi popoli e le diverse razze, inserendoli in una cultura e una organizzazione sociale di tipo anglosassone.

Anche in Brasile e in Argentina, affluiscono milioni di emigranti, ma per loro questi paesi diventano una “frontiera”, nel senso pionieristico della parola: a differenza di ciò che accade negli Stati Uniti, in Sud America gli emigranti italiani tornano al lavoro agricolo, allevano bestiame, dissodano campi ed aree prima non coltivate e molti di essi fanno fortuna.

Crescita demografica e urbanizzazione

Un'immagine di Mulberry Street, "Little Italy" (Piccola Italia), intorno al 1900.

A partire dagli ultimi decenni dell”800 si registra nei paesi industrializzati una impetuosa crescita demografica. Nonostante con l’emigrazione di massa un numero sempre crescente di persone si muova verso le Americhe, la popolazione europea passa dai 400 milioni del 1900 ai 450 milioni del 1914. Nel 1900 le città europee con più di 100.000 abitanti sono già 135, tra le quali spiccano le grandi capitali, che assumono la veste di vere e proprie metropoli. La nascita di grandi industrie e stabilimenti e la forte richiesta di mano d’opera, fanno delle città uno straordinario polo d’attrazione. Migliaia di contadini abbandonano le campagne per impiegarsi come operai non specializzati nei grandi opifici di tipo moderno, dove non erano richieste specifiche qualifiche. La massificazione del lavoro di fabbrica determina in questi anni una nuova, prepotente spinta all’urbanizzazione.

Anche negli Stati Uniti, all’alba del nuovo secolo, le città divennero più popolose. La promessa di ricchezza e prosperità in un nuovo territorio era invitante per molti. Ma molte città crebbero incontrollate. Ciò mise i cittadini in condizioni di vita disumane e pericolose. E con una popolazione impreparata ed in costante crescita un solo disastro sarebbe stato sufficiente a decimare una città apparentemente in pieno sviluppo.

Fu quello che avvenne nell’aprile del 1906 a San Francisco, in California, che fu colpita da un terribile terremoto. La terra scossa sgretolò edifici, squarciò strade e distrusse le condutture del gas e dell’acqua. Un enorme incendio si sviluppò e spazzò via banche, grattacieli e case, bruciando tutto ciò che si trovava sul suo cammino. Tre giorni dopo, quando le fiamme si spensero, circa 500 persone avevano perso la vita. Ed altre 225.000 erano rimaste senza casa.

Dalla borghesia alle “borghesie”

"Il Café de la Paix" di Parigi nel 1911

Agli inizi del nuovo secolo in Europa ed in America si assiste alla maturazione completa di un fenomeno che aveva preso avvio nei decenni precedenti: la trasformazione della borghesia in “borghesie”. Con la nascita degli Stati nazionali, la crescita di una società più articolata ed un graduale e generalizzato miglioramento delle condizioni di vita aumenta la frammentazione interna a quella che viene da sempre considerata la classe dirigente, sia economica che politica, dei paesi ad economia avanzata. La borghesia non è più la classe rivoluzionaria francese dell’89, né il blocco economico sociale che guida in ciascun paese la lotta per l’indipendenza politica ed economica, ma un ceto diversificato al suo interno, principalmente in tre grandi gruppi: l’alta, la media e la piccola borghesia.

C’è l’alta borghesia (imprenditori, proprietari terrieri, finanzieri, padroni di fabbriche e banche) che detiene il potere economico delle nazioni ed influenza fortemente le scelte politiche e sociali dei loro governi; c’è la media borghesia (piccoli imprenditori, professionisti, dirigenti amministrativi e di medio livello) ed infine la piccola borghesia (impiegati, commercianti, militari ed insegnanti), una classe sociale che cresce rapidamente e fa sentire la sua voce sui giornali e nei parlamenti. Il piccolo borghese, vera novità sociale di inizio secolo difende la sua rispettabilità, le sue abitudini, perfino il suo modo di vestire. Di fronte alla crescita del movimento operaio e sindacale, il piccolo borghese si riconosce nel sistema di valori dei ceti più ricchi, e difende la proprietà privata, il risparmio, il rispetto gerarchico e l’individualismo, tutti ideali di cui si considera unico depositario. Tuttavia le profonde trasformazioni di quella che ormai va definendosi sempre di più come una società complessa e di massa, non garantiscono un’omogeneità di comportamenti fra le borghesie, diverse fra Stato e Stato e fra singole corporazioni.

Rafforzamento della burocrazia

Con la nascita degli stati nazionali si rafforza un nuovo ceto sociale, destinato a caratterizzare la società moderna: la burocrazia.

Nei primi anni del ‘900 giovani nazioni come la Germania e il Regno d’Italia, si impegnano nella costruzione di nuovi apparati burocratici, indispensabili per la gestione dello Stato, mentre altri paesi possiedono già strutture amministrative consolidate. Con l’espansione dell’intervento statale nella vita sociale e la conseguente crescita degli apparati amministrativi, i dipendenti pubblici continuano ad aumentare nel numero e nelle competenze. Agli inizi del secolo la burocrazia è ormai una classe sociale numerosa e omogenea, con un orgoglio di casta ed un forte “senso del dovere” e di fedeltà allo Stato e alle sue leggi. La presenza degli organismi amministrativi nelle capitali degli Stati e nelle città capoluogo di provincie favorisce la coesione del ceto burocratico, accomunato così anche dalla residenza e dalle stesse abitudini di vita. Esso si divide in alta burocrazia, classe alto- borghese, collegata direttamente al ceto politico e dirigente della nazione, con ruoli e competenze direttive nella vita politica ed amministrativa dello Stato, ed in burocrazia di medio e basso livello, ceto che rifiuta ogni paragone con le masse proletarie, da cui tende fortemente a distinguersi, anche se i redditi familiari in alcuni casi non sono di molto superiori a quelli degli operai. Sono invece diverse la mentalità, la cultura, gli usi e i modi di vita; si dà importanza ai valori dell’individuo, al patriottismo, alla “carriera”. È una classe sociale, che, con la sua continua crescita numerica, tende a svolgere un ruolo di primo piano come ceto piccolo-borghese, sia in campo economico che in quello politico, dato si tratta di persone con diritto di voto, un elettorato generalmente di segno moderato e ostile ai cambiamenti e comunque che svolge sempre un prezioso ruolo di sostegno materiale ed ideologico allo Stato.

La seconda rivoluzione industriale: il fordismo e le basi del taylorismo

Reparto di una cartiera (1905)

A causa di una grave crisi economica, iniziata nella seconda metà del secolo precedente, si era avviato un processo di ristrutturazione industriale che avrebbe segnato l’economia internazionale del primo ‘900. Per fronteggiare la caduta dei prezzi (sintomo di una crisi prodotta dalle trasformazioni organizzative e tecnologiche che avevano ridotto i costi di produzione) si cercò infatti di incrementare la produttività delle imprese e di introdurre elementi di controllo sul mercato. Un primo risultato fu l’aumento della concentrazione industriale, avvenuto con la fusione di alcune imprese e il fallimento di altre. Il fenomeno fu particolarmente evidente in paesi di più recente industrializzazione come Stati Uniti e Germania, ma i modelli produttivi centrati sulla grande fabbrica, lo Scientific Management di Frederick W. Taylor e il “fordismo” si diffusero in tutto il mondo industrializzato. Il legame tra economia, scienza e tecnologia divenne sempre più stretto, mentre si sviluppavano industrie basate sull’uso o sulla trasformazione di energie e materiali nuovi. Le politiche statali contribuirono pesantemente a orientare la domanda, mentre si incrinava il mito della “libera concorrenza”. Il crescente bisogno di capitali, alimentato dai poderosi investimenti nell’industria pesante, modificò il tradizionale ruolo delle banche, trasformando il volto del mondo finanziario che si intrecciò indissolubilmente con quello dell’industria. Le “società per azioni” e le borse di scambio (City di Londra, Wall Street di New York) divennero i simboli di un’epoca e i luoghi dove si potevano prendere decisioni capaci di condizionare le scelte politiche oltre a quelle economiche degli Stati. L’insieme di questi processi ha fatto parlare molti di una “seconda rivoluzione industriale”.

Le Esposizioni Universali: una “vetrina” per il progresso tecnologico

I sovrani d'Italia all'inaugurazione dell'esposizione del 1906 a Milano

Le innumerevoli innovazioni tecnologiche che si impongono sul mercato con il nuovo secolo, trovano una vasta eco nelle Esposizioni Universali, allestite periodicamente nelle maggiori capitali europee e americane. Le proposte spaziano dall’automobile, fino ai più astrusi utensili domestici, che determinano una profonda rivoluzione tecnologica nelle case e nelle abitudini quotidiane.

L’avvento del nuovo secolo viene celebrato con una delle più grandiose Esposizioni mai realizzate, ospitata a Parigi. Grazie all’uso ormai consolidato dell’elettricità, simbolo del progresso tecnico-scientifico, vengono esposte numerose invenzioni in sontuose scenografie Belle Époque.

Le Esposizioni vengono organizzate anche con il pretesto di inaugurare grandi opere, come nel caso di Milano che ospita nel 1906 una nuova Esposizione per celebrare l’apertura della galleria del Sempione e per mostrare nel contempo all’Europa l’importanza industriale di alcune fabbriche quali la Breda, l’Alfa Romeo, la Salmoiraghi e altre ditte lombarde.

Un’impostazione più internazionale ha invece l’Esposizione Universale del 1911 a Roma, che celebra il cinquantenario del Regno d’Italia. È in quell’occasione che viene inaugurato, in Piazza Venezia, l’Altare della Patria, opera dell’architetto Sacconi. L’esposizione, cui partecipano i più importanti paesi del mondo, raccoglie un gran numero di visitatori e sanziona l’importanza di Roma come capitale d’Italia.

La Belle Epoque e la nascita dell’industria culturale

La regina Guglielmina dei Paesi Bassi

Gli anni che vanno dall’inizio del secolo allo scoppio del primo conflitto mondiale sono universalmente definiti come “Belle Époque”, e vedono in Parigi il loro centro nevralgico e splendente. Qui nascono le grandi case di moda che incontrano subito uno straordinario sviluppo, qui si tengono spettacoli all’insegna dello sfarzo dei costumi e delle scene.

La società di massa si sviluppa grazie alla crescita dell’istruzione, che investe tutte le classi sociali, e ai processi di modernizzazione in atto nei più evoluti paesi europei. Alla nascita di un’opinione pubblica di tipo moderno si accompagna la grande diffusione della stampa popolare e la scoperta del tempo libero. Spettacoli, punti di ritrovo, divertimenti, diventano piaceri largamente condivisi e apparentemente alla portata di tutti.

Il concerto di un grande pianista, l’ippodromo dove si svolge un derby, l’opera lirica con una famosa cantante, la spiaggia di moda dove si sfoggiano i primi costumi da bagno, la festa danzante, sono alcune delle occasioni di svago e divertimento nei primi anni del secolo. Ma sono riservate soltanto alle classi privilegiate. In realtà, chi occupa il suo tempo libero in divertimenti è l’alta borghesia, i “ricchi”. Frequentano la Costa Azzurra, la Riviera Italiana. A loro disposizione ci sono grandi alberghi (durante la Belle Époque si costruiscono gli hotel più lussuosi) che li accolgono in ambienti eleganti, con i cibi più raffinati a disposizione. Essi applaudono al Moulin Rouge la danza della Bella Otero, e i balli sensuali ed esotici di una spia fatale, Mata Hari.

Per gli operai e i contadini, il tempo libero si limita a qualche giorno di ferie, a qualche festa sull’aia, in occasione della trebbiatura, a qualche balera di periferia, una domenica al cinematografo o al luna park. Per i poveri la vacanza non è quasi considerata, è un breve intervallo, un breve riposo dai pesanti ritmi del lavoro.

Il Music Hall e il cabaret

Il "Music Hall e il cabaret Mata Hari", l'esibizione al Museo Guimet di Parigi, 13 marzo 1905

Il cabaret è un genere di spettacolo molto in voga nella Belle Époque e tipicamente parigino; sinonimo spesso di erotismo, diventa a volte il palcoscenico per brevi scenette comiche, per numeri di prestidigitazione, ribalta di giocolieri e fantasisti. È il periodo di maggior successo di celebri Music Hall, come Les folies Bergères o il Moulin Rouge. Altri cabaret di Parigi sono lo spregiudicato Bal Tabarin e il Casinò de Paris. In questi locali, che i benpensanti associano alla perdizione e al libertinaggio, si esibiscono cantanti, sciantose, si balla lo scandaloso can can.

Anche a Londra si costruisce un grande teatro che ospita spettacoli di Music Hall, l’Alhambra, e che può contenere migliaia di spettatori.

Il cabaret è certo un teatro minore, ma indicativo di un’epoca. Manifesti firmati da Cappiello o Toulouse-Lautrec reclamizzano gli spettacoli, che diventano lo specchio di una società più libera e senza remore. Né va dimenticato che dal cabaret sono usciti molti comici, che diverranno famosi con il cinema, come Charlie Chaplin.

Altri personaggi che devono al Music Hall le loro fortune artistiche e la loro fama sono Fregoli, un attore italiano famoso perché capace di trasformarsi nello stesso spettacolo in vari personaggi, o il mago Houdini che si fece calare nella Senna dentro un baule legato da catene e lucchetti.

Sergej Diaghilev e i “Ballets russes”

Sergej Diaghilev e i "Ballets russes" Léon Bakst: "L'uccello di fuoco, Ballerina", 1910

L’inizio del nuovo secolo coincide con uno dei momenti più splendenti e significativi della storia del balletto. Mai prima si era creata una collaborazione tanto proficua tra musicisti, coreografi e scenografi di alto livello, da Picasso a Debussy. È la grande stagione del balletto russo, con le geniali sperimentazioni di Diaghilev e Fokine e le personalissime interpretazioni di Nijinskij e di Ida Rubinstein.

Esaurita la stagione romantica, il balletto si presenta nei primi anni del secolo come un vuoto formulario di passi e figure, un esercizio scolastico e accademico privo di tensione creativa. In questo panorama, Sergej Diaghilev è l’uomo che, pur non essendo né musicista né coreografo né scenografo, s’incarica di porre le premesse per la nascita della danza moderna, dando vita al più fecondo movimento teatrale del ‘900. Trasferitosi a Parigi, nel 1907 organizza alcuni concerti di musica russa che fanno conoscere all’Occidente grandi compositori come Mussorgskij e Borodin, una rivelazione destinata a creare a Parigi una moda culturale russa, da cui nessuna élite intellettuale riuscirà a sottrarsi. Sempre grazie a Diaghilev, il 19 maggio 1909 al Théatre du Chatelet vanno in scena alcuni balletti tratti dal repertorio pietroburghese, interpretati da prestigiosi solisti tra cui Anna Pavlova, Tamara Karvasina, Ida Rubinstein e Vaslav Nijinskij. Si tratta di una data importante, anche se la vera e propria compagnia dei Ballets Russes nascerà soltanto due anni dopo. Il cartellone suscita una enorme impressione sul pubblico parigino, abituato, ormai da decenni, al ripetitivo accademismo delle produzioni dell’Opéra. Il passaggio ad una nuova stagione trova la sua personificazione in Anna Pavlova che già nel 1905 con Il cigno, creato per lei dal grande coreografo e danzatore Fokine, conferisce alla morte del candido volatile, grazie ad una estrema sensibilità interpretativa, un valore emblematico, quasi il simbolo dell’estrema trasfigurazione della ballerina romantica.

Le esplorazioni polari

La nave Stella Polare, 1899

All’inizio del Novecento, gli atlanti presentano ormai nelle loro tavole pochissimi “spazi bianchi”. Rimangono poco note solo l’area antartica, le regioni intorno al Polo Nord, la parte più occidentale della Cina e le catene himalayane. Dunque, all’inizio del secolo, i due poli e le regioni circostanti, rappresentano alcune fra le ultime zone poco conosciute della Terra e su esse si appunta l’attenzione di esploratori e società geografiche e di ricerca.

Altri navigatori danesi, norvegesi e russi inviano negli stessi anni spedizioni per stabilire un controllo anche politico sull’Artico. I russi, in special modo, costruiscono potenti navi rompighiaccio, che permettono di avvicinarsi al 15° parallelo, cioè a pochi chilometri dal Polo.

Intorno al 1910 le zone di influenza sono ormai individuate in base alla vicinanza delle varie nazioni nordiche. Gli Stati Uniti stabiliscono nella parte orientale del Canada alcune basi scientifiche e stazioni di pesca, la Groenlandia passa sotto l’influenza della Danimarca, le isole Svalbard fanno parte della Norvegia e tutte le isole del mare di Barents vengono occupate dalla Russia.

Robert Peary e la conquista del Polo Nord

Robert Edwin Peary

L’Inghilterra, e l’America, cioè la Royal Society e il National Geographic Magazine, iniziano in questi anni a dedicarsi con sempre maggiore partecipazione alla conquista del Polo Nord, con un piglio quasi sportivo, addirittura agonistico. Numerosi esploratori tentano l’impresa senza successo, accendendo l’interesse nell’opinione pubblica.

Frederick Albert Cook, americano, trascorso l’inverno del 1907 in Groenlandia, si mette in viaggio, attraversa la Terra di Ellesmere, accompagnato da due guide eschimesi, proseguendo verso il Polo Nord, che raggiunge il 21 aprile 1908. Ma il suo trionfo dura poco, perché un altro esploratore Edwin Robert Peary, anch’egli americano, dichiara di avere toccato per primo la stessa meta, scatenando una controversia che dura a tutt’oggi. In molti, infatti, continuano ad attribuire a Peary la conquista del Polo, anche se alla luce di molti documenti gli studiosi si siano convinti che sia stato effettivamente Cook a raggiungerlo per primo e che dietro la campagna giornalistica che lo diffamò, si celassero enormi interessi finanziari che avevano tutto da guadagnare nella vittoria del suo antagonista. La spedizione rimasta alla storia è così quella di Peary, che raggiunge effettivamente il Polo, insieme all’assistente Matthew Henson e a un gruppo di guide inuit, ma un anno dopo, il 6 settembre 1909.

Roald Amundsen e il Passaggio a Nord-Ovest

Le distanze chilometriche dal Polo Nord alle principali città

Il celebre esploratore norvegese Roald Amundsen compie vari viaggi nella regione dell’Artico. Tra il 1903 e il 1905 riesce per primo a scoprire e ad attraversare il mitico passaggio a Nord-Ovest tra l’Atlantico e il Pacifico, percorrendo interamente la rotta via mare. Durante queste sue esplorazioni, Amundsen riesce anche a precisare la posizione del polo magnetico boreale.

Alcuni anni dopo sempre lui sarà il protagonista della corsa alla conquista del Polo Sud, conclusasi vittoriosamente nel 1911.

Alla scoperta del continente antartico

La spedizione di Robert Scott al polo sud

La regione della Terra che ha colpito maggiormente l’immaginazione nel primo scorcio del secolo è l’Antartide con i misteri della sua geografia, della sua morfologia e della sua storia. Questa regione si distingue dal Polo boreale per la sua configurazione geologica. La scoperta fatta da Ross di una vera e propria catena montuosa di notevole altezza e di notevole estensione faceva pensare all’esistenza di un vasto continente con pianure, montagne, vulcani. L’idea di poter scoprire terre emerse e non solo distese di ghiaccio è stata la molle che ha spinto molti uomini a tentare l’impresa della sua esplorazione.

Negli ultimi decenni dell”800 le regioni antartiche erano ancora esclusivo appannaggio dei balenieri. La prima grande esplorazione ha inizio nel gennaio 1902, allorquando l’inglese Robert Scott salpa con la nave Discovery verso la Nuova Zelanda, dirigendosi a sud verso il mare di Ross. È una strana spedizione composta in maggior parte da scienziati e intellettuali, che in seguito avrebbero legato il loro nome ad altre importanti spedizioni. La nave costeggia le montagne dell’Ammiragliato e raggiunge il vulcano Erebus in eruzione. Si scopre che il vulcano non è sul continente ma è un’isola. La Discovery costeggia la montagna, attraversa un canale, ma finisce prigioniera dei ghiacci. Non c’è nulla da fare. Scott decide di svernare sulla nave, imprigionata nella banchisa, e di fare una serie di spedizioni a piedi. Solo due anni dopo la Discovery riesce a liberarsi dai ghiacci e ritornare in mare aperto.

Nel 1908 l’irlandese Ernst Shackleton, che faceva parte dei componenti della Discovery e intimo amico del comandante Scott, intraprende una nuova missione che lo porta a soli 200 chilometri dalla meta, a 88°23’ di latitudine sud. La strada per raggiungere il Polo era ormai aperta.

Le olimpiadi moderne

L'entrata del Panathinaiko; al centro la statua di George Averoff, sullo sfondo, l'Acropoli di Atene.

La scoperta del tempo libero apre una nuova era nella storia dello sport. Non più relegata in ambienti ristretti, l’attività fisica diventa la nuova mania del secolo: in seguito a questo rinnovato interesse il barone Pierre De Coubertin pensa, alla fine dell”800, di far rinascere le Olimpiadi e sceglie come prima città ospitante i giochi, Atene. Saranno queste del 1896 le prime Olimpiadi dell’era moderna, che si svolgeranno in seguito ogni quattro anni, a scadenza regolare, in diverse città del mondo. Al suo debutto, il sogno sportivo di De Coubertin, si rivela piuttosto modesto: pochi atleti e poche nazioni partecipano ai giochi di Atene così come scarsa sarà la partecipazione alle Olimpiadi di Parigi (1900) e a quelle di Saint Louis (1904).

Solo nel 1908, in occasione dei giochi di Londra, le Olimpiadi acquistano una risonanza internazionale.

Arte e Cinema e Letteratura

Arte e movimenti artistici

Pablo Picasso, "Les demoiselles d'Avignon" (Museum of Modern Art, New York)

La crisi del positivismo e della fiducia in una società regolata da leggi razionali, porta all’affermazione, in questo primo scorcio di secolo, di movimenti e avanguardie pittoriche che esasperano il conflitto tra reale e surreale, tra oggetto e soggetto. Parigi diventa la capitale delle nuove tendenze, un ambiente culturale vivissimo in cui operano decine di artisti e si sviluppano quasi contemporaneamente il fauvismo e il cubismo, destinati ad imprimere una svolta profonda e duratura alle arti visive.

Il cubismo

Georges Braque, 1908, Baigneuse (Le Grand Nu, Large Nude)

Il primo movimento pittorico che cerca di promuovere l’analisi strutturale dell’opera d’arte è il cubismo (1908). I maggiori esponenti di questa corrente, gli iniziatori, sono Pablo Picasso e Georges Braque, ma a creare questa rivoluzione, hanno certamente contribuito la pittura di Cézanne, con la sua mostra a Parigi nel 1907 e lo studio dell’arte africana, soprattutto la scultura.

Il celebre capolavoro Le demoiselles d’Avignone (dipinto da Picasso proprio del 1907) definisce chiaramente le due influenze da cui deriva il movimento, cioè Cézanne e la scultura africana.

La prima fase del cubismo, dal 1908 al 1914, è di studio: Picasso e Braque collaborano così strettamente che spesso è difficile distinguere gli autori.

Il cubismo a molti potrà sembrare una tecnica pittorica astratta. Si tratta invece di una raffigurazione “realistica”, non perché imiti l’apparenza del vero, ma perché inventa un oggetto che esiste perché è stato dipinto. Spesso Picasso e Braque usano oggetti comuni per trasformarli in astruse composizioni: strumenti musicali, bicchieri, carte da gioco, lettere dell’alfabeto, stoffe, pezzi di giornale. Questo materiale servirà soltanto a dare un senso abituale all’immagine. Andando oltre, si cercherà di rendere quasi irriconoscibili quelli stessi oggetti confondendo la visione di uno spettatore sprovveduto.

Nei primi tempi il cubismo suscita scandalo e polemiche, interrogazioni in Parlamento, derisione per la tecnica pittorica che scompone la realtà secondo i vari punti di vista.

Gli artisti abitano a Montmartre e a St. Germain e vivono poveramente. Le loro opere vengono pagate pochissimo da pochi mercanti. Solo in seguito il cubismo acquisterà un riconoscimento più vasto e si diffonderà praticamente in tutta Europa.

Il fauvismo

André Derain, 1905, "Le séchage des voiles" (The Drying Sails)

Il fauvismo, come l’espressionismo tedesco, nasce in Francia come reazione all’impressionismo, ma l’esigenza di entrambi i movimenti è quella di risolvere la contraddizione artistica del classico e del romantico.

Il termine “fauves” (belve) fu coniato da un critico per indicare quel gruppo di pittori, legati da una consuetudine di vita e di lavoro comune, le cui opere avevano suscitato scandalo al Salon del 1905 per la selvaggia violenza espressiva del colore, steso in tonalità pure. Il principale obiettivo della ricerca, è il colore, la funzione all’interno strutturale del colore, in quanto esso decora la stessa vita dell’uomo.

Henri Matisse, La danza (Ermitage, San Pietroburgo)

Il pittore più significativo di questa corrente, è Henri Matisse (1869-1954). Egli ritiene che la soluzione della dicotomia fra classico e romantico, sia da rintracciare nella classicità, nel mito. I suoi colori sono freschi, primitivi, disposti senza impasto sulla tela bianca, quasi a rappresentare un’umanità più giovane e più antica. “La joie de vivre”, uno dei più famosi quadri di Matisse, è una visione mitica di un mondo colorato e armonioso.

Altri esponenti del fauvismo sono: Derain, Dufy, Braque, Vlaminck.

Il gruppo dei Fauves, non è omogeneo e non ha un programma definito. Tuttavia ha il merito di combattere il decorativismo dell’Art Nouveau e l’inconsistenza dello spiritualismo simbolista, anche se, senza il sostegno di un proprio stile, è facile che i fauves (ad esempio Dufy) si disperdano nell’eleganza di inutili arabeschi.

Sarà Picasso a determinare nel 1907 la crisi del fauvismo. In polemica con Matisse e la sua “joie de vivre”, egli dipinge Le demoiselles d’Avignone, determinando la nascita del cubismo, che travolgerà gli epigoni del movimento disperdendoli lungo percorsi artistici differenti.

Architettura e arti applicate

L’Art Nouveau

Hector Guimard, pensilina stile "Liberty" della fermata del metrò a Montmartre (Parigi)

Nasce in Belgio e si allarga ben presto in tutta Europa, fra la fine dell”800 e l’inizio del ‘900, questo movimento che contesta le forme tradizionali e l’eclettismo in architettura e nelle arti decorative per confrontarsi direttamente con la nuova era industriale.

Le sue radici stilistiche vanno infatti ricercate nel “Gothic revival”, nel pre-raffaellismo, nelle idee di William Morris e delle “Arts and Crafts”, nell’arte figurativa orientale (giapponese in particolare), ma anche nelle radicali trasformazioni industriali. L’Art Nouveau prende quindi origine da molteplici movimenti ma crea uno stile autonomo che passa fluidamente dalle forme naturali (fiori, rami, drappeggi, onde) all’astrazione geometrica e lineare (linee serpentine, griglie, forme pure) con una grande carica simbolica e trascendente.

Non vi è paese europeo nel quale, grazie alla sollecitazione dell’Art Nouveau, almeno una parte delle élites culturali e intellettuali non siano coinvolte in questo rinnovamento formale, che dà spazio al diffuso bisogno di un’arte più legata alle tradizioni locali, anche se espressivamente nuova.

Victor Horta realizza a Bruxelles il suo capolavoro, la Maison du peuple per il sindacato socialista; egli è tra i primi a comprendere e utilizzare le potenzialità estetico-decorative, del ferro, modellando la facciata secondo la spazialità sia della piazza che del nucleo interno dell’edificio, che tende a trasparire proiettandosi all’esterno.

In Francia Hector Guimard veste le stazioni del Metrò in stile floreale, per rendere i bui sotterranei meno respingenti ai parigini (1899). In Olanda Hendrik Petrus Berlage insiste sull’importanza della concezione spaziale e del trattamento delle masse murarie con poche decorazioni, come nella Borsa di Amsterdam (1903). E lo stesso accade in Germania con lo “Jugendstil”, in Austria con la Secessione, in Inghilterra con l’opera di Mackintosh, in Italia con il Liberty, in Spagna con Gaudí e oltreoceano con lo stile della prateria di Lloyd Wright.

Frank Lloyd Wright e lo stile della prateria

Frank Lloyd Wright (Unity Temple, Chicago)

Lo stile della prateria caratterizza i progetti dei primi anni della carriera di Frank Loyd Wright (1869-1959) ed é un modo di intendere il vivere e l’abitare del tutto originale.

Lo spirito pionieristico della conquista, tipicamente americano, trova nella “frontiera” il limite da superare ed è proprio la casa dei pionieri quella a cui pensa Wright: una abitazione unifamiliare, a contatto con la terra, semplice, a dimensione umana e che dialoghi con la natura; “la prateria ha una sua propria bellezza e noi potremmo riconoscere e accentuare questa bellezza naturale” dice. Lo spazio della casa sviluppato secondo una logica interna si proietta verso l’esterno come un organismo vivente ed ecco perché la sua viene definita “architettura organica”.

Nasce così la casa della prateria: il piano terreno è un volume aperto segnato all’esterno da fasce orizzontali, grandi tetti sporgenti e serie di finestre alle quali si contrappongono i camini verticali (come quello del salone, centro morale e spirituale come nella tradizione giapponese) e i volumi interni a doppia altezza (esempio tipico la Robie House, Chicago 1908).

Le piante hanno un disegno simile alle stoffe scozzesi, con ambienti che si intersecano e si accostano attestandosi spesso in maniera simmetrica nella facciata, per poi disarticolarsi asimmetricamente nella parte più privata verso il giardino.

In comune con gli architetti europei contemporanei ha lo scopo di influenzare la società attraverso l’ambiente e, fedele agli insegnamenti di Morris, nei suoi progetti disegna arredamenti, decorazioni, vetrate, mosaici, giardini per realizzare “l’opera d’arte totale”, servendosi per questo di un gruppo di collaboratori fidati.

Tra il 1904 e il 1906 questo stile raggiunge il suo apice nell’Unity Temple a Oak Park e nelle Martin House e Larkin Building a Buffalo.

La “Secessione” viennese

Vista frontale del palazzo della Secessione (Vienna)

Con il termine “Secessione viennese” si intende un movimento artistico fondato nel 1897 da Gustav Klimt e Koloman Moser, pittori, e da Joseph Olbrich e Josef Hoffmann, architetti, che si colloca in opposizione sia all’accademismo artistico, che alla situazione culturale e sociale di Vienna, caratterizzandosi per uno “stile geometrico”.

Agli esordi il gruppo è influenzato sia dalla corrente pittorica dei pre-raffaelliti che dall’opera di Mackintosh, mentre è molto meno sensibile agli esempi belgi e francesi.

Il primo esempio di edificio prodotto dal movimento è la sede della Secessione del 1898, costruito da Joseph Olbrich, sembra, secondo uno schizzo di Klimt; l’edificio è formato da un volume elementare con pareti lisce, sormontato da una cupola di bronzo dorato costituita da rami di alloro intrecciati: semplicità di impianto architettonico e decorazione superficiale, saranno i motivi più tipici della Secessione.

Da Olbrich è influenzato lo stesso Otto Wagner (1841-1918), che ne era stato il maestro. Architetto inizialmente eclettico, Wagner aderisce nel 1899 alla Secessione, scandalizzando l’ambiente accademico del quale era stato membro. Ha una carriera lunghissima e di grande successo; tra le sue opere vanno menzionate la famosa stazione metro della Karlsplatz (1897), la Majolikahaus (1898), fino ad arrivare all’edificio delle Poste (1904) e alla chiesa allo Steinhof (1907).

Josef Hoffmann, invece, è l’allievo più brillante di Olbrich, elegante e preciso nell’uso di superfici piane e volumi geometrici, come dimostra nel palazzo Stoclet a Bruxelles (1905-1914), il suo capolavoro.

A causa della prematura scomparsa di Olbrich nel 1908 e più tardi dell’anziano Wagner, Hoffmann è l’unico a portare ad evoluzione il suo stile, fino ad aderire nel primo dopoguerra al razionalismo.

La “scuola di Glasgow”: C. R. Mackintosh

Alcune sedie ideate da C. R. Mackintosh

L’opera di Charles Rennie Mackintosh viene generalmente associata all’Art Nouveau, ma un approfondito esame di tale opera non può non valutare la carica di originalità sprigionata dall’artista al di fuori di qualsiasi schema.

Mackintosh inizia le sue esperienze formative in un ambiente particolarmente vivo, frequenta e collabora con un gruppo di architetti, decoratori e pittori scozzesi ed espone con “I quattro di Glasgow” nella mostra delle “Arts and Crafts” del 1896 a Londra, suscitando un notevole interesse.

Le teorie di John Ruskin, ispiratore della corrente modernista, di William Morris - che stabilisce una continuità stilistica tra spazi interni e spazi esterni, mobilio, decorazione, architettura - e l’opera grafica di W. Blake e J.Toorop, da cui ricava le sue forme lineari, eserciteranno una profonda influenza su di lui.

Facciata della Scuola d'arte di Glasgow

La Scuola d’arte di Glasgow (1896-1909) è senza dubbio la sua opera più importante: l’architetto progetta il corpo principale su una pianta a “E”, come un ampio involucro su cui si addensano gli studi su quattro piani; da questo parallelepipedo sporgono nella parte posteriore i volumi delle scale, del museo e studio dell’autore e della biblioteca. Costruita in due fasi la scuola documenta l’evoluzione stilistica di Mackintosh: la facciata orientale, infatti, ha un sapore “neo-gotico”, mentre quella occidentale rappresenta il vertice delle mature potenzialità espressive dell’artista.

Comunque dà un contributo fondamentale anche nell’ambito del disegno del mobilio, proponendo un disegno di arredo molto lineare ed austero che ancora oggi viene ampiamente riprodotto trovando possibilità di inserimento negli arredamenti contemporanei.

C’è sempre in lui l’interesse verso la composizione degli elementi geometrici semplici: negli interni della Hill house a Helensburg (1902-1906) e in tutte le Willow Tea Hall (1897-1911) dove ci sono particolari decorativi e costruttivi vicini ai caratteri della Secessione viennese.

Il modernismo di Antoni Gaudí

Antoni Gaudì, "Sagrada Familia" (Barcellona)

Nella poco vivace situazione culturale spagnola la figura di Gaudí emerge in tutta la sua genialità e con anticipo sul resto dell’Europa esprime la sua carica innovativa in sintonia con le tendenze dell’Art Nouveau, ma con il desiderio di far rinascere l’architettura del suo paese, la Catalogna.

Il suo sodalizio con l’industriale tessile e armatore navale Eusebio Güell, per il quale aveva già realizzato numerosi edifici, gli permette di perseguire il suo progetto di una “città-giardino” come strumento per trasformare la società. Così, tra il 1903 e il 1914, l’architetto si dedica alla realizzazione del Parc Güell a Barcellona, dove fa esplodere la sua fantasia creatrice progettando un’opera unica per cromatismo e libertà compositiva: i padiglioni di ingresso hanno coperture cuspidate e frastagliate rivestite in maioliche, i percorsi principali sono sostenuti da arcate sorrette da colonne e contrafforti inclinati rivestiti in pietra grezza, con una ricerca verso le forme naturali; e soluzioni tecniche che, benché audacissime e innovative, sono solo strumento di una spazialità molto ricercata. Il progetto non viene completato e da quartiere residenziale sarà trasformato in parco pubblico.

Il rosone della "Sagrada Familia"

La sua profonda religiosità e un altissimo senso del sacro, cercherà di trasmetterli in tutte le opere e soprattutto nel progetto per la Sagrada Familia (1883, 1911-1926), alla quale si dedicherà negli ultimi quindici anni della sua vita, e che rimane incompiuto.

Casa Battló

Contemporaneamente Gaudí lavora ad altre due opere eccezionali: la Casa Battló (1905-1907), parziale rifacimento di un fabbricato esistente e la Casa Milá (1895-1910). In entrambe Gaudí disegna gli interni con pareti curve e mosse, che esplodono nei prospetti e nelle coperture gonfie e fluide, nei celebri camini e nei ferri contorti delle ringhiere che si fondono con il resto della composizione. Queste ultime opere evocano una grande forza primitiva e una drammatica monumentalità che a molti critici sembra anticipare la spinta dell’espressionismo.

Casa Milá

Cinema: i primi passi di una nuova arte in Francia

Pubblicità del cinematografo Lumière

Nel 1898, nello studio parigino del prestigiatore Georges Meliés, un suo amico di Lione, August Lumière, lo invita a una rappresentazione insolita, la fotografia in movimento. È nato il cinema, un invenzione destinata a rivoluzionare la cultura, l’industria dello spettacolo ed i sogni dell’intera società del XX secolo.

August Lumière, che lavora con il fratello Louis, sa bene che la sua prodigiosa invenzione non è un fatto puramente scientifico, ma può diventare uno spettacolo popolare per un vasto pubblico. Così i fratelli affittano un locale a Parigi, in Boulevard des Capucines, e iniziano le proiezioni. In breve tempo un pubblico curioso si accalca davanti all’ingresso, le immagini in movimento sono una straordinaria sorpresa per tutti. La gente si rende conto che questa invenzione non è roba da baraccone, ma una scoperta che avrà un’enorme eco in tutto il mondo.

In America, a San Pietroburgo alla corte dello zar, ovunque tutti sono sedotti dalla nuova invenzione e accolgono con entusiasmo il Cinématographe Lumière. La scena del treno che entra nella stazione de La Ciotat, impressiona ormai gli spettatori di tutto il mondo: il pubblico si terrorizza vedendo una locomotiva che avanza in primo piano credendo che stia per travolgerlo.

Si moltiplicano i brevetti che riguardano il cinema, ma i fratelli Lumière mantengono un primato che non viene ancora minacciato. E si inizia a pensare di andare oltre il documentario, raccontando delle brevi storie o addirittura mostrando una donna che si sveste. I due fratelli, progettano, in occasione dell’Esposizione Universale parigina del 1900, uno schermo gigante. Per August si tratta del definitivo riconoscimento ufficiale del cinema. Ma il fratello, Louis Lumière, continuerà la sua ricerca, lavorando sulle dimensioni, sul suono, sul colore, per perfezionare continuamente la meravigliosa invenzione.

Torino, Hollywood e Parigi diventano le capitali della nuova arte, dove fiorirà un’industria senza regole e dove verranno realizzati i primi colossal.

Letteratura

La letteratura in lingua inglese: London e Conrad

Jack London

Jack London, nato nel 1876, era un figlio illegittimo che abbandonò presto la casa materna per iniziare una vita avventurosa e irrequieta, trasportando poi nella sua opera la sua stessa esperienza nella lotta contro le avversità. Egli contrappose il culto della forza ed il suo valore etico alla morale ed alle restrizioni di cui, secondo il suo parere, erano schiavi i suoi contemporanei. Ambientò i suoi racconti e i suoi romanzi di avventura in scenari naturali ostili, per rappresentare la lotta dell’uomo contro una natura indurita, e, in contrapposizione ai rigidi eroi borghesi dei romanzi dell’epoca rappresentò tutta la vitalità dei suoi avventurieri. La lettura di Nietzsche e di Marx e la sua ammirazione per la loro opera, come il tentativo di conciliarne le opposte concezioni dimostrano quanto fosse confuso sull’ideologia del socialismo, che mescolava anche all’umanitarismo e alla filantropia americana. Fu influenzato dalle ideologie europee e soprattutto dagli autori inglesi.

Tra i suoi tantissimi romanzi quasi tutti di ispirazione autobiografica, ricordiamo Martin Eden (1909) in cui racconta della sua infanzia e della sua fatica per raggiungere una posizione di rispettabilità, romanzi di avventura destinati ai ragazzi come Il figlio del lupo (1900), Il richiamo della foresta (1903), e Zanna bianca (1906) che rimangono tuttora intramontabili per la capacità di rendere così reale e vicino un mondo selvaggio in cui i valori dell’uomo devono essere affermati con la forza dell’onestà e dell’amore.

Joseph Conrad

Joseph Conrad, scrittore di fondamentale raccordo fra la grande tradizione narrativa ottocentesca e le sperimentazioni del secolo successivo, visse la sua prima gioventù fra la natia Polonia e la Russia. Fu quindi “inglese d’adozione”, eppure compose tutte le sue opere in un inglese perfettamente idiomatico ed estremamente complesso. A partire da Lord Jim (1900), Conrad sviluppa la tecnica del racconto “obliquo”: una narrazione che si snoda dentro una storia “cornice”, distanziando l’oggettività narrativa e presentando il punto di vista di un narratore non immediatamente identificabile con l’autore. Il taglio quasi sempre avventuroso delle storie, l’ambientazione esotica, il mosso intreccio, le imprese faticose, rappresentano il tentativo dei personaggi conradiani di sottrarsi allo stupido e al banale. Tentativo però che, nel momento in cui sembra risolversi positivamente, cade ineluttabilmente nell’inconsistenza e nello scacco, in una sorta di coazione alla sconfitta che, apparentemente dovuta ad una congiura di contingenze sfavorevoli in realtà ha la sua origine più profonda nella debolezza interiore che proprio nel momento della verifica decisiva riaffiora negli eroi (o antieroi?) conradiani. Vi è come un destino di vanificazione, un radicale ed invincibile sentimento di solitudine che pervade l’universo di Conrad, e che viene espresso sia nelle vicende materiali che in quelle interiori. L’uomo gettato nel tempo e nella natura, condizionato ed oppresso (da tempeste, navigazioni faticose, malattie, ecc.), relegato in una solitudine materiale a cui fa sempre più da contrappunto la solitudine con se stessi, la difficoltà di conoscersi nel profondo, nella gamma ambigua e contraddittoria dei sentimenti: tra ideali, velleità, sensi di colpa. I molteplici livelli di queste “solitudini” costituiscono le “tenebre”, in sé invincibili, ma a cui l’uomo deve in qualche modo resistere, non tanto in nome di un ideale, quanto piuttosto per una sorta di innata dignità.

Marinetti e il manifesto del futurismo

Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi per l'inaugurazione della prima mostra del 1912

Tra le avanguardie letterarie il futurismo è la prima cronologicamente e l’unica che nasce in Italia, con il “Manifesto del movimento letterario e artistico futurista” pubblicato sul “Figaro” di Parigi nel 1909 da Filippo Tommaso Marinetti.

È a Parigi che Marinetti aveva scritto e pubblicato in francese le sue prime opere, tra cui Le Roi Bombance (1905), satira della democrazia. Nel 1905 aveva fondato a Milano la rivista “Poesia”, nelle cui pagine si erano presto messi in vista parecchi dei poeti italiani del ‘900.

Nel “manifesto” futurista, Marinetti si scaglia contro i valori tradizionali della società, innalzando i miti dei tempi moderni. Tra questi, le macchine, la guerra e la violenza come affermazione di individualità. L’anno seguente nel “Manifesto della letteratura futurista”, Marinetti delineerà la poetica del movimento futurista, consistente principalmente nello stravolgimento della punteggiatura e della sintassi, nell’eliminazione degli aggettivi e degli avverbi, nell’uso dei caratteri della stampa secondo disposizioni inusuali, e nelle “parole in libertà”: tutte modalità stilistiche volte ad esprimere e comunicare attraverso il testo la nevrosi e la precarietà della vita moderna.

Marinetti è l’autore del provocatorio programma della nuova avanguardia letteraria e artistica, che ha due principi di base: distruzione del vecchio e ripudio della letteratura del passato. “Uccidete il chiaro di luna…” grida Marinetti “Noi vogliamo esaltare l’aggressività, la corsa, lo schiaffo, il pugno!”. Il programma futurista vuole il riconoscimento poetico delle novità tecniche, dell’automobile, del dinamismo e della velocità. Nella poesia e nella prosa si deve ricercare la simultaneità, senza tener conto dei messi logici, quindi: parole in libertà e innovazioni grafiche nella scrittura per enfatizzare l’emozione. Sono riconoscibili, in queste enunciazioni, le influenze di Bergson e di Nietzsche.

Il teatro russo: Maksim Gor’kij e Anton Cechov

Locandina della prima rappresentazione delle Tre Sorelle di Cechov

Anton Cechov (1860-1904), è il primo geniale autore del Teatro d’Arte, la struttura teatrale permanente fondata nel 1897 dai registi Stanislavski e Dancenko. Anno dopo anno, vanno in scena nel nuovo Teatro d’Arte, alcune significative opere, fra cui Le tre sorelle (1901) e Il giardino dei ciliegi (1904). Caratteristica peculiare di queste: la commistione continua di tragico e comico (soprattutto evidente nel Giardino dei ciliegi); dalle situazioni più grottesche traspare la miseria e la solitudine dell’individuo, mentre troviamo una carica di commovente umanità nei personaggi più ridicoli. Nelle opere teatrali egli pone attenzione al dramma degli uomini falliti, privati di ogni possibilità di incidere sulla realtà, spesso artisti disincantati e privi di sogni, che trascorrono i loro giorni nella noia, nell’irraggiungibile miraggio di una felicità personale (come ne Le tre sorelle). Nel teatro di Cechov, alla nostalgia per il passato si abbina la consapevolezza di un presente infelice e la certezza di un futuro ancora più triste.

Maksim Gor’kij (1868-1936), usa una tecnica non molto diversa. Proletario finché le lotte operaie sono contro l’assolutismo zarista, tendente alla demagogia, quando si profila una involuzione di quella stessa ideologia, Gor’kij resta comunque legato alla “povera gente” che conosce e descrive con amore e comprensione ne L’albergo dei poveri (1902), un lavoro teatrale nato sempre nell’ambito del Teatro d’Arte, nel quale Gor’kij denuncia l’estrema miseria materiale e morale dei “bassifondi”. In queste prime opere si rivela il talento di Gòr’kij nella descrizione della vita del sottoproletariato ed è con queste opere che il nome di Gòr’kij si impone sulla scena letteraria. Tra i molti racconti, drammi, e romanzi scritti durante l’esilio, il più conosciuto è senza dubbio La madre (1908), che tratta con vigore il tema della propaganda rivoluzionaria all’epoca in cui Gòr’kij stesso aveva creato una scuola per propagandisti.

La crisi della borghesia nell’opera di Thomas Mann

Thomas Mann

Thomas Mann (1875-1955) è l’autore tedesco più rappresentativo del ‘900. La sua produzione abbraccia mezzo secolo e rappresenta l’elemento di congiunzione fra la grande tradizione narrativa ottocentesca e le innovazioni introdotte nella letteratura di questo secolo, dalla psicanalisi alla forma del romanzo-saggio. L’opera di Thomas Mann non si distaccherà mai, eccetto che per la saggistica, dalla narrativa e, in particolare, dal romanzo in tutte le sue numerose varianti.

Uno dei temi più ricorrenti della narrativa manniana e, sostanzialmente, il problema dell’autore stesso, è il dissidio tra arte (che è malattia, sregolatezza, decadenza, ma anche godimento e felicità) e vita borghese (che è salute, energia attiva, rigore etico, ma anche grigiore e sottomissione della tensione spirituale alle leggi dell’economia).

La poetica della maschera in Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Promotore di una poetica fortemente personale ed originale Luigi Pirandello appare a prima vista una figura isolata difficilmente classificabile entro gli schemi di questa o quella corrente, di questa o quella scuola letteraria o di pensiero. Concorre a questo anche la complessità e contraddittorietà di alcuni dati biografici. Nato a Girgenti (l’attuale Agrigento) Pirandello fu fortemente siciliano per l’ambientazione di alcune opere, i nomi, il taglio e i modi dei personaggi, la visionarietà tutta isolana di tante vicende, ma non per questo può essere definito “provinciale”. E ciò sia per la sua formazione culturale (compì i suoi studi universitari in Germania) sia a maggior ragione perché i suoi personaggi e le sue vicende (sia quelle trattate in forma narrativa che teatrale) non indulgono per nulla al folklore ma sono “maschere” universali di una condizione umana amara, priva di certezze e punti di riferimenti certi. Una poetica quindi fortemente segnata dal relativismo, dall’incipiente senso della crisi con cui si stava aprendo il Novecento. Ciò appare evidente già nei primi romanzi e nelle novelle che Pirandello compose all’inizio del ‘900 (L’esclusa, 1901, Il turno, 1902, Il fu Mattia Pascal, varie Novelle). Questi motivi si espressero con particolare vigore ed efficacia (anche per la genialità delle soluzioni sceniche) nella successiva e più matura produzione drammaturgica che sta alla radice di tanta innovazione teatrale non solo italiana, ma in misura assai maggiore europea e, addirittura, americana.

André Gide: sperimentazione e tensione vitalistica

André Gide

Tutta l’opera di Gide, non solo quella esplicitamente autobiografica, va interpretata come un lungo esercizio di scavo e di ricerca dello scrittore all’interno di se stesso. Si tratta di un tentativo di purificazione che per realizzarsi ha bisogno di passare attraverso una dolorosa confessione: per rinascere occorre morire, per raggiungere il bene è necessario sperimentare il male.

Gide parla di se stesso attraverso i personaggi che crea. Nel 1893 Gide era partito per la Tunisia, malato, casto e ossessionato dall’idea del peccato; due anni dopo era tornato guarito, pieno di gioia di vivere, libero da ogni impedimento fisico e morale, convinto che tutti i desideri fossero legittimi, anche quelli inconfessabili agli occhi del mondo.

Nel 1897 pubblicò Les nourritures, inno a quello stato esistenziale di “disponibilità”, in cui le gioie dei sensi e il fervore spirituale si fondono in un unico sentire. Le evidenti suggestioni nietzschiane dell’opera si approfondirono con L’immoralista (1902) nel superomismo di Michel, il velleitario egoista che sacrifica anche la moglie ai suoi miti di grandezza. Anche i protagonisti dei romanzi successivi si dedicano a esperienze individualistiche e anormali: Alissa (La porta stretta, 1909) rappresenta la sublimazione narcisistica della rinuncia all’amore, Lafcadio, in I sotterranei del Vaticano (1915), il gusto del delitto immotivato e dell’“atto gratuito”, compiuto come semplice affermazione di vita, come sperimentazione disinteressata, come mistica dell’azione.

La poetica del decadentismo negli autori austro-ungarici

Hugo von Hofmannsthal in uniforme

Robert Musil (1880-1942) rappresenta, con Joyce e Proust, uno dei grandi innovatori del romanzo del ‘900. Compie i suoi studi nell’accademia militare di Weisskirchen in Moravia, della quale offre un quadro spietato in I turbamenti del giovane Törless, del 1906, in cui descrive infatti la disumanità della disciplina scolastica, che spinge gli studenti a trasformarsi, a loro volta, in carnefici e sadici torturatori di compagni più giovani e deboli.

Dopo l’accademia, Musil rinuncia alla carriera universitaria per dedicarsi alla letteratura, pubblicando racconti e drammi e dedicandosi soprattutto alla stesura del suo romanzo L’uomo senza qualità.

L’opera più celebre di Rainer Maria Rilke (1875-1926) all’inizio del secolo è La canzone d’amore e di morte dell’alfiere Christoph Rilke, del 1899. Ma il tono neoromantico e sentimentale che la caratterizza è ben presto superato da Rilke grazie a due eventi: l’incontro con Lou Andreas-Salomé, un’intellettuale amica di Nietzsche, che lo convince a dedicarsi solo alla poesia e il soggiorno in Russia, che accentua le tendenze mistico-religiose dell’autore. La concezione estetica rilkiana vedrà un’ulteriore svolta, ultima e definitiva, verso una liricità tra le più intense della produzione del ‘900.

La poetica di Hugo von Hofmannstahl (1874-1929) si oppone ad un naturalismo capace solo di mettere in luce la banalità della vita e di offuscare quella bellezza che il poeta ha invece l’obbligo di evocare tramite una lingua ricercata in grado di ricreare i nessi più arcani. Temi di gusto prettamente decadente (la morte, l’oltretomba o la vita come sogno) caratterizzano la prima produzione di poesie e drammi lirici.

Il rifiuto del soggettivismo psicologico del decadentismo significa per Hofmannstahl la fine della produzione lirica. La sua attenzione si volge allora al teatro, con la rielaborazione in chiave psicologica delle tragedie di Sofocle, Elektra (1904) e Edipo e la sfinge (1906).

L’estetismo in Gabriele D’Annunzio

In Italia pochi scrittori godettero in vita di fama e successo come Gabriele D’annunzio. Ammirazione e favori del pubblico toccarono non soltanto le sue opere letterarie, ma anche le posizioni e gli atteggiamenti che D’Annunzio espresse nei più svariati campi: dalla politica (fu deputato al parlamento, acceso nazionalista e fautore dell’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale) alla mode più diverse che segnarono i primi anni del ‘900 (il vestire ricercato, l’amore per gli sport equestri, i primi aeroplani, le villeggiature marine, l’attrazione per l’esotismo, l’ostentazione dell’erotismo e della sensualità). Si può quindi parlare di una figura poliedrica e che è stata oggetto di studio non solo come poeta, lirico, scrittore di narrativa, commedie, tragedie, libretti d’opera, collaboratore nella produzione di film (!), ma anche come fenomeno di costume nazionale che attraversò largamente la pubblicistica italiana dell’epoca. Adesso - ma già da molti anni - tutta l’opera letteraria di D’Annunzio appare fortemente datata; assai lontana non solo dalle attuali categorie critiche ma soprattutto dai gusti di un lettore contemporaneo. Difficile dare anche un giudizio univoco sull’insieme variegato della sua produzione e ascriverla con decisione ad una delle diverse correnti estetico-letterarie di cui egli fu in momenti diversi esponente: estetismo, crepuscolarismo, decadentismo. La critica odierna in una sola cosa appare univoca: nel riconoscere al poeta D’Annunzio un insieme di grandi capacità formali, un possesso raffinatissimo degli strumenti linguistici, metrici e musicali. Fra le sue tante opere uscite nel primo decennio del ‘900 possiamo citare per la notorietà che ebbero: i romanzi Il fuoco (1900), Forse che si forse che no (1910); le opere teatrali Francesca da Rimini (1901), La fiaccola sotto il moggio (1905), La nave (1908), Fedra (1909), i primi tre libri delle Laudi (Maya, Elettra, Alcyone) 1903-1904).

La rivoluzione musicale

Autoritratto di Schonberg

Nel primo decennio del ‘900 si consuma in campo musicale una vera e propria rivoluzione. La crisi dell’armonia classica e del sistema tonale pone tutti i grandi compositori nella condizione di reinventare la propria arte. Le dissonanze e l’atonalità prendono il posto dell’espressione piatta e inerte della scala cromatica tradizionale, per giungere al radicalismo delle partiture dodecafoniche di Schönberg. In America sono invece gli anni in cui inizia la grande avventura della musica nera, con il successo popolare del ragtime.

Il ragtime

Copertina di Maple Leaf Rag, Scott Joplin

Nel 1901 un nuovo ritmo chiamato ragtime si diffonde per tutta l’America. Reso popolare per la prima volta nel 1899 dal re del ragtime, Scott Joplin con il suo “Maple Leaf Rag”, il Ragtime è di origine nera e costituisce un importante anello di congiunzione tra i canti popolari e il blues, da una parte, e il jazz dall’altra, in quanto è la prima espressione strumentale della musica afro-americana, che fino ad allora si era espressa solo vocalmente.

Il nuovo sound, di tipo esclusivamente pianistico, conobbe una larga diffusione grazie all’uso dei rulli per pianola meccanica e risalì il delta del Mississippi per diventare in poco tempo la musica più in voga. Il nuovo ritmo portò anche alla nascita di nuovi balli, tutte danze di origine afro-americana.

Il ragtime confluì poi nel jazz, ma ad esso, ai suoi ritmi sincopati, si ispirarono in seguito anche compositori “colti” come Igor Stravinskij e Darius Milhaud.

L’impressionismo musicale: Claude Debussy

Claude Debussy

Conclusasi, nel 1901, con la morte di Giuseppe Verdi la tradizione del melodramma italiano, in Europa si sviluppa un movimento musicale che si ricollega in parte alla letteratura del simbolismo (Rimbaud e Verlaine), in parte alla pittura impressionista e per certi versi anche ai canti popolari russi, che apre la stagione della musica contemporanea del novecento.

Claude Debussy, nato a Saint Germain en Laye nel 1862 e morto a Parigi nel 1918, è certamente il musicista più significativo di questo periodo. Le sue composizioni sinfoniche, come il Prelude a l’apres midi d’un faune (1894), ispirato alla poesia omonima di Mallarmé, la suite per orchestra Iberia (1908), il poema sinfonico La Mer (1905), oltre gli innumerevoli pezzi per piano, lo pongono all’avanguardia tra i moderni compositori.

Ma il suo capolavoro è l’opera Pelléas e Mélisande, rappresentata per la prima volta all’Opéra-Comique di Parigi nel 1902. Al suo debutto il lavoro non fu compreso dal pubblico, sollevò forti contrasti e fu perfino osteggiato. Solo in un secondo tempo la critica scoprirà e rivaluterà la delicata armonia del Pelléas.

L’amore per la natura, l’attenzione a cogliere l’immediatezza sensibile, la chiarezza del colore armonico e timbrico, hanno fatto accostare la musica di Debussy alla pittura dei simbolisti e degli impressionisti.

Arnold Schönberg: i primi passi della dodecafonia

La musica dodecafonica è definita come un metodo di composizione con dodici suoni aventi relazioni l’uno con l’altro. Come genere musicale la dodecafonia si diffonde soprattutto attraverso le opere di Arnold Schönberg. Egli riesce a fare ordine nella nuova espressione musicale, che va considerata anche come il principio della atonalità (o “pantonalità” come la definiva lui). “Una sia pur leggera reminiscenza della vecchia armonia, risulterebbe fastidiosa” afferma Schönberg.

Nato a Vienna nel 1874 aveva studiato da solo composizione; è praticamente un autodidatta, ma, rigidamente onesto nella sua creatività musicale, nella sua “modernità”, Schönberg opera una scelta ragionata, con un carattere estremamente innovatore.

Dopo le prime composizioni di carattere fortemente espressionista, con accese ambientazioni sonore, come il poema sinfonico Notte trasfigurata (1899) e la sinfonia Gurrelieder (1901), scrive una serie di opere che rappresenteranno altrettante importanti tappe verso la dissoluzione della tonalità.

La prima di tali tappe, il poema sinfonico Pelleas und Melisande, composto da Schönberg durante il suo primo soggiorno berlinese, fra il luglio 1902 e il febbraio 1903, fu definito dalla critica, all’indomani di un clamoroso insuccesso, “indisponente”. La lunghezza venne giudicata eccessiva, come l’allargamento dei confini della tonalità verso accordi ottenuti sovrapponendo toni interi e armonie basate su intervalli di quarta. I segni d’un modernismo accentuato erano in effetti già evidenti, pronti a maturare nei Cinque pezzi per orchestra op. 16 del 1909, appartenenti al periodo detto “atonale libero”, che introducono per la prima volta la tecnica della Klangfarbenmelodie.

L’esordio di Arnold Schönberg nel teatro musicale avvenne sotto il segno dell’espressionismo, di cui il monodramma L’attesa è uno degli esempi più efficaci. Il compositore scrisse l’opera in soli diciassette giorni nel 1909, entusiasta del testo che egli stesso aveva commissionato alla giovane poetessa Marie Pappenheim.

Scienza e Tecnologia

Lo sviluppo delle comunicazioni

Il padiglione antenna di 400 fili alla stazione radiotelegrafica di Poldhu (cornovaglia) negli anni venti


La rivoluzione dei trasporti è forse l’aspetto più appariscente del nuovo secolo. Dopo la ferrovia altre innovazioni tecnologiche rendono più facili le comunicazioni: l’automobile, il dirigibile, l’aereo. Vengono concluse o avviate grandi opere come il traforo del Sempione (1906) e la costruzione del Canale di Panama (1903), che facilitano gli spostamenti di uomini e merci tra i diversi stati. Si realizza, grazie a Guglielmo Marconi, il primo contatto radio transatlantico, che inaugura l’era delle comunicazioni a distanza.

Nel corso del XIX secolo le ferrovie avevano rivoluzionato il sistema dei trasporti, con forti ricadute economiche, con il ‘900 si compie un ulteriore balzo in avanti: si razionalizza l’esistente, mentre vengono introdotte nuove e più avanzate tecnologie, che abbracciano diversi campi delle comunicazioni.

Il ‘900 vede la realizzazione dell’antico sogno di Icaro: il volo. Dall’invenzione del dirigibile, ad opera del conte von Zeppelin, al primo volo dei fratelli Wright, l’inizio del secolo vede un susseguirsi di primati e di record entrati a far parte della storia dell’aviazione, determinanti per lo sviluppo di nuove tecniche costruttive. Ad aerei e trasvolate si associano le più audaci imprese sportive, seguite col fiato sospeso da centinaia di persone.

I primi aerei accendono la fantasia di giovani avventurosi, spinti dal desiderio di compiere imprese memorabili.

Louis Blériot (1872-1936), un ingegnere francese, costruisce un monoplano, e nel 1909 sorvola la Manica, raggiungendo la velocità di 77 km all’ora. Dal mare, numerosi spettatori guardano ammirati l’uccello meccanico che vola nel cielo. È un’impresa che desta l’ammirazione del mondo intero e che apre una nuova pagina nella storia dell’aviazione.

Costruzione dei primi aeromobili: i fratelli Wright

In questa immagine dell'aliante dei Wright del 1902 si nota, anche se con difficoltà, la lieve torsione delle ali (svergolamento) che consente al pilota (in questo caso Wilbur) di far virare il velivolo.

Dopo numerosi tentativi nel corso dell”800 effettuati con alianti di diverse fogge, in particolare dall’inglese George Cayley, a dare una svolta alla storia dell’aviazione saranno nei primi anni del nuovo secolo gli americani fratelli Wright. Essi scoprono che, oltre all’azione di un potente motore, bisogna sfruttare l’azione aerodinamica che il movimento produce sulle superfici portanti del velivolo, cioè sulle ali.

Il 17 dicembre 1903, a Kitty Howk, con un biplano a motore di loro costruzione, il Flyer 1, Wilbur e Orville Wright riescono a sollevarsi da terra e a percorrere 266 metri di volo. È il primo esperimento riuscito dopo anni di tentativi, ed è destinato ad aprire una nuova era nella storia dell’aviazione. In seguito i Wright compiono numerosi altri voli migliorando strumentazione e velivoli. Nel 1908 riescono ad alzarsi fino a 110 metri. Nello stesso anno il francese Delagrange vola per 6 minuti e 30 secondi, coprendo una distanza di quasi 4 chilometri, attribuendosi un vero record.

“I pazzi volanti”, come vengono chiamati i primi pionieri dell’aria, diventano sempre più numerosi. La fase iniziale è contraddistinta da una serie impressionante di record di altezza e di velocità.

I dirigibili, giganti dell’aria

Il dirigibile Santos Dumont vola intorno alla Torre Eiffel

Nel corso dell’800 erano stati fatti molti esperimenti, anche in Italia, finché il 2 luglio 1900, il conte tedesco Ferdinando Von Zeppelin, riesce finalmente a far volare sul lago di Costanza un dirigibile a struttura rigida, di sua invenzione.

Già nel 1910, in Germania, viene istituito il primo servizio passeggeri in dirigibile. Anche se sarà durante la prima guerra mondiale, che essi saranno impiegati più massicciamente per i bombardamenti su Londra, mentre anche gli inglesi utilizzano palloni frenati per opporre una barriera ai dirigibili tedeschi.

Finita la guerra, i tedeschi tenteranno di rilanciare il dirigibile come un nuovo moderno mezzo di trasporto, ma il rapido progresso dell’ingegneria aeronautica e dell’aeroplano, ne ridurranno progressivamente l’impiego; inoltre diversi incidenti ne metteranno in dubbio, l’affidabilità e la sicurezza, costringendoli ad una rapida dismissione.

L’inizio della costruzione del Canale di Panama

Lavori del Culebra Cut di Panama, con mezzi alquanto inadeguati per la portata del progetto

Nel 1903, dopo più di 10 anni di sospensione, riprendono le operazioni per lo scavo del Canale di Panama.

L’istmo che collega l’America centrale al Sud America ha costituito per secoli un ostacolo insuperabile al passaggio dall’Atlantico al Pacifico, costringendo le navi al lungo e rischioso periplo delle coste sudamericane, fino a Capo Horn, per risalire poi verso il Perù e la Colombia. Migliaia e migliaia di chilometri.

L’esperienza di De Lessep, con il canale di Suez, che aprì alla fine dell’Ottocento la via delle Indie, convince gli Stati Uniti a comprare dalla appena nata repubblica di Panama il tratto di terra che divideva i due oceani, chiamato “Canal Zone”. L’acquisto avviene nel 1903, data in cui iniziano anche i lavori per la costruzione del Canale.

Un precedente tentativo di una ditta francese era fallito per le enormi difficoltà tecniche incontrate, un’esperienza di cui si avvalgono gli Stati Uniti disponendo un’adeguata organizzazione tale da consentire il successo dell’impresa.

Dopo varie vicissitudini, il 3 settembre 1913 le ultime barriere vengono abbattute e nel 1914 il Canale di Panama diviene una importante realtà economica e commerciale. L’inaugurazione sposa idealmente i due Oceani aprendo al traffico una fondamentale arteria di transito.

La nascita dell’industria dell’auto: la Ford Motor Company

Model T Ford del 1919

La vera novità del secolo sono le automobili. Inventata alla fine del secolo scorso dal tedesco Gottfried Daimler e perfezionata da Benz (che costruirà in seguito la fortunata Mercedes), l’automobile riscuote fin dall’inizio un grande interesse, specie sportivo.

In Francia Peugeot fabbrica auto da corsa, mentre in Italia nascono a Torino la Fiat (1899) e la Lancia (1909).

Già in questi primi anni del secolo fanno la loro comparsa sulle strade i primi modelli prodotti in serie, soprattutto negli Stati Uniti. Nel 1908, infatti. Henry Ford costruisce a Detroit, nel Michigan, il più grande stabilimento automobilistico del mondo. Egli intuisce per primo le grandi potenzialità del mercato dell’automobile realizzando, grazie all’introduzione della catena di montaggio, la prima utilitaria, la Ford T, venduta a costi contenuti.

Nonostante sia ancora un fenomeno di elitès, spesso relegato ad evento sportivo, l’automobilismo inizia ad imporsi anche come nuovo strumento di trasporto. Alcune arterie più importanti vengono asfaltate, nelle grandi città si cerca di rendere meglio transitabili numerose strade, compie i suoi primi passi il servizio di autobus pubblici bisogna attrezzare un nuovo codice di circolazione e sviluppare le industrie che producono benzina. Ovunque nascono associazioni di automobilisti; nel 1900 a Milano, sorge l’Automobil Club d’Italia (ACI); nel 1901 si organizza il Giro d’Italia automobilistico con partenza da Torino e arrivo a Milano, che non riscuote tuttavia lo stesso entusiasmo di quello ciclistico..

Nei primi decenni del secolo l’espansione dell’automobilismo è in continua crescita. Si calcola che nel 1906 circolino solo in Italia più di 2.000 auto.

In Italia tra il 1905 e il 1906 si inaugurano le prime linee automobilistiche asfaltate, su concessione del Ministero dei Lavori Pubblici, purché non rechino danno alle Ferrovie, mentre intorno al 1910 si calcola che le linee di autobus hanno già una percorrenza di 3.000 km.

Le nuove frontiere della fisica

Conferenza di Sovay del 1911. Seduti, da sinistra a destra: Walther Nernst, Marcel Brillouin, Ernest Solvay, Hendrik Lorentz, Emil Warburg, Jean Baptiste Perrin, Wilhelm Wien, Marie Skłodowska-Curie, and Henri Poincaré. In piedi da sinistra a destra: Robert Goldschmidt, Max Planck, Heinrich Rubens, Arnold Sommerfeld, Frederick Lindemann, Maurice de Broglie, Martin Knudsen, Friedrich Hasenöhrl, Georges Hostelet, Edouard Herzen, James Hopwood Jeans, Ernest Rutherford, Heike Kamerlingh Onnes, Albert Einstein, and Paul Langevin.

Le nuove frontiere della scienza che si dischiudono nei primi anni del secolo, rivoluzionano in profondità le teorie classiche in voga nell’800. Lo studio della radioattività apre la strada alla nascita della moderna fisica atomica; la teoria della relatività di Albert Einstein e la quantistica di Max Planck rivoluzionano la fisica meccanica, ferma alle leggi di Galileo e Newton. Notevoli progressi vengono compiuti dalla chimica e dalla biologia nello studio della materia vivente e delle sostanze che la compongono.

Max Planck e la teoria dei quanti

Max Planck, nell'anno in cui ricevette il premio Nobel per la fisica

Nei primi anni del XX secolo due grandi scienziati tedeschi, Einstein e Planck, rivoluzionano la meccanica classica.

Nel 1900 Max Planck (1858-1947), premio Nobel per la fisica nel 1918, dopo aver studiato l’irradiazione del calore, formula un’ipotesi sulla discontinuità dell’energia che verrebbe emessa in quantità diverse, che chiama “quanti”. Dopo aver introdotto il fondamentale concetto di “quanti elementari di azione”, che spezza il tradizionale principio fisico della “continuità”, dimostra come l’energia venga emessa in piccole quantità multiple di una “costante”, nota come “costante di Planck”. La scoperta dei “quanti” induce a considerare che i fenomeni naturali procedano in modo discontinuo nei loro processi, aprendo la strada a una concezione ondulatoria che verrà in seguito confermata dagli studi sull’atomo. La fisica quantistica perverrà, infatti, alla conclusione che ogni movimento conduce a una meccanica ondulatoria. Ma non bisogna equivocare. Se nella fisica classica per onda si intende un fatto percepibile con i sensi, nella concezione di Planck l’onda indica soltanto “la probabilità dell’esistenza di un determinato stato”. In altri termini le leggi della natura possono solo dare una formulazione probabile dei fenomeni studiati.

L’opera di Planck è di importante anche sotto il profilo filosofico, a causa della sua polemica contro Mach e il positivismo. Lo studio della fisica diventa, allora, lo strumento per realizzare un legame sempre più stretto tra il mondo spirituale e quello reale.

Gli studi sulla radioattività dei Curie

Marie e Pierre Curie nel loro laboratorio

Alla fine del XIX secolo sembrava che la scienza, fosse pervenuta a risultati definitivi e che la natura non riservasse ormai alcun segreto.

Nei primi anni del ‘900, abbandonate le certezze positivistiche, si compie al contrario una vera e propria rivoluzione, anche concettuale, cominciando a studiare la radioattività e due nuovi ambiti della fisica: la quantistica e la teoria della relatività.

Nel 1896 il fisico francese Becquerel si accorge che i sali di uranio emettono radiazioni. Marie Curie ne studia le proprietà e scopre che anche il torio è radioattivo. Insieme con il marito Pierre, cerca di isolare dalla pechblenda un nuovo elemento, che otterrà dopo quattro anni di ricerche e chiamerà radio: due scoperte fondamentali che gli varranno il premio Nobel per la fisica nel 1903.

I Curie scoprono inoltre che gli atomi radioattivi sono instabili. Questa scoperta, così innovatrice rispetto alla fisica tradizionale, porta a stabilire nuovi metodi di studio e, in seguito, porterà alla utilizzazione pratica della energia atomica, aprendo la strada ad uno dei più importanti rami della scienza moderna. Si scopre infatti che gli atomi sono composti da elementi più piccoli che possono essere disintegrati. La struttura dell’atomo viene studiata e approfondita dall’inglese Henry Rutherford, che nel 1911 arriverà a descriverlo come un microscopico sistema solare.

Le scoperte dei coniugi Curie oltre a rivoluzionare gli orizzonti della fisica, contribuiscono a far scomparire la barriera che fino allora separava la disciplina dalla chimica, per la quale otterranno un secondo Nobel nel 1911.

Einstein e la teoria della relatività ristretta

Einstein e Bohr

“Gli annali di fisica”, una rivista scientifica tedesca, pubblicano nel 1905 due articoli di un giovane studioso, destinato a capovolgere il concetto stesso di fisica. Questo giovane scienziato si chiama Albert Einstein.

In quel fatidico 1905, egli propone alla comunità scientifica le sue teorie:

  • sui quanti di luce (12 marzo)
  • sul moto browniano (11 maggio)
  • sulla relatività ristretta (30 giugno)
  • sul rapporto tra inerzia ed energia (27 settembre)

L’esigenza di trovare un nesso tra i fenomeni meccanici studiati da Newton e le esperienze più moderne, porta Einstein ad elaborare la Teoria della Relatività Ristretta e a introdurre nella fisica meccanica elementi estremamente innovatori basati sui legami tra spazio e tempo, massa e velocità, massa ed energia.

Einstein elabora la teoria della relatività nella sua formulazione completa (Teoria della Relatività Generale e Ristretta) fra il 1902 e il 1916.

Fra le cose più importanti che egli sostiene, il fatto che la massa di un corpo non è invariabile ma si modifica nello spazio e nel tempo. La relatività spiega inoltre il comportamento dei corpi sottoposti ad altissima velocità, superiore a quella del suono e molto vicina a quella della luce (300.000 km/sec.).

La seconda teoria della Relatività Generale spiegherà i fenomeni dell’Universo, causati dalla forza gravitazionale.

Questi studi hanno in seguito aperto la strada alla ricerca astrofisica, culminante nella verifica sperimentale della curvatura dei raggi luminosi per effetto della massa solare.

La teoria della relatività costituisce un ponte fra l’era meccanicistica e l’era atomica, e pone le basi della meccanica relativistica moderna.

Ma Einstein ha influito sulla società del suo tempo non solo per le scoperte scientifiche, ma anche per le sue idee politiche e morali, per la sua fiducia assoluta nella ragione, nella libertà e nella moralità dell’uomo, quali principi di una civile convivenza.

Chimica, medicina e biologia

Frederick Gowland Hopkins, il primo a scoprire i fattori alimentari accessori, poi chiamati vitamine

Anche in campo biochimico il nuovo secolo imprime una accelerazione alle ricerche con risultati importanti.

Molti progressi si hanno nello studio della materia vivente, attraverso gli esperimenti del fisiologo inglese Frederick Hopkins, che nel 1905 scopre per primo il principio della “vitamina”.

Nel campo della chimica i progressi sono facilitati dal sorgere di grandi industrie, soprattutto in Germania e in America. Ingenti capitali vengono impiegati nella ricerca, dai laboratori della tedesca Bayer e della statunitense Dupont, vengono immessi sul mercato nuovi farmaci, come l’acido acetilsalicilico, ovvero l’aspirina, analgesici, laudano e altri.

Anche in Francia nell’Istituto Pasteur e in Italia nell’Istituto Sieroterapico, si approntano sieri e vaccini. Tra i vari medicinali acquista molta importanza il chinino, per la lotta contro la malaria, ancora molto diffusa in diverse aree del mondo.

Molti progressi si compiono nella biologia, si sviluppano le ricerche sulla cellula, si scoprono la struttura del citoplasma e la cromatina nucleare. Sempre nei primi anni del Novecento, Gregorio Mendel dà l’avvio allo studio della genetica, si approfondiscono le problematiche relative all’ereditarietà, la classificazione degli organismi, fino a giungere alla scoperta del cosiddetto “acido ereditario”, che consentirà di decifrare il codice genetico degli organismi viventi.

L’elettricità e l’industria: i primi elettrodomestici

Uno dei primi modelli di aspirapolvere elettrica della Electric Suction Sweeper Company, divenuta poi la Hoover dei giorni nostri

L’avvento dell’elettricità imprime agli inizi del secolo una profonda rivoluzione nelle abitudini quotidiane di un numero sempre crescente di individui.

Vengono continuamente progettati e costruiti apparecchi e macchinari destinati ad entrare nelle case, alcuni astrusi e inutili, altri invece impiegati su larga scala e sorretti da un’industria fiorente, anche se, a parte il caso dell’America, per un impiego sistematico dell’elettricità tra le mura domestiche bisognerà attendere gli anni ‘20 Il problema della conservazione dei cibi è quello che più stimola, all’inizio, gli inventori. Dopo i primi rudimentali frigoriferi che sostituiscono le “ghiacciaie”, anche il condizionamento dell’aria viene sperimentato con qualche successo da Wills Carrer, nel 1902.

Altri apparecchi per la casa sono via via inventati e costruiti, come il frullatore o il tritacarne. Nel 1901 l’ingegnere inglese Hubert Cecil Booth (che aveva costruito anche la ruota del Prater a Vienna) brevetta un apparecchio aspirapolvere e crea un’impresa di pulizie meccanizzata, la Vacum Cleaner Company. Nel 1907, un americano trova un sistema per rendere più leggero l’aspirapolvere applicando ai suoi apparecchi un sacchetto in cui si deposita la polvere aspirata, e nel 1908 vende il brevetto a William Hoover, destinato a diventare il più rinomato fabbricante del settore.

Tra il 1901 e il 1914 anche la lavatrice si trasforma: prima azionata a manovella, ora funziona elettricamente. Il bucato, che per la donna aveva sempre rappresentato una grande fatica, viene così effettuato a macchina, più rapidamente e più agevolmente.

Si susseguono, in questi primi anni del ‘900, varie altre scoperte per rendere più comoda la vita: così le stufe elettriche nel 1906 o ancora il tostapane (il primo a New York nel 1909). Tutti questi apparecchi, che verranno in seguito perfezionati, resi più sicuri e meno ingombranti, sostituiranno via via il personale domestico, anche se in questa prima fase pionieristica rimangono appannaggio delle classi più agiate.

Il Pensiero

La scoperta dell’inconscio

Frontespizio della prima edizione del libro di Freud, L'interpretazione dei sogni (1899)

L’evoluzione delle scienze fisiche e naturali, i loro successi sia dal punto di vista della spiegazione dei fenomeni naturali, che delle applicazioni nel campo tecnico e produttivo, contribuirono all’affermarsi della convinzione alla fine dell”800 che per qualsiasi fenomeno, sia fisico che psichico, riguardante l’uomo, occorresse indagarne la natura fisiologica, trovandone in essa le spiegazioni. Ma ben presto ci si rese conto che alcune patologie come l’isteria, la psicosi, le nevrosi ossessive, le fobie non sottostavano ad una spiegazione di tipo fisiologico e meccanicistico, non derivavano direttamente da alterazioni fisico-chimiche dell’organismo umano e che le terapie fornite dalla medicina corrente si rivelavano inefficaci. Occorreva conquistare nuovi punti di vista dai quali giungere ad interpretare i fenomeni psichici, ipotizzandone una diversa natura che non fosse quella esclusivamente fisiologica.

Fu l’applicazione dei metodi dell’ipnosi alla cura dell’isteria, che sul finire dell”800 il medico Charcot aveva applicato a Parigi con un certo successo, che fornì una nuova via di ricerca. Sigmund Freud, partendo dalla studio dell’ipnosi, riuscì infatti a mostrare che il sintomo isterico è il sostituto di una reazione psichica normale che però nel paziente non si è potuta verificare al momento opportuno. I pazienti sotto ipnosi ricordavano e raccontavano quei momenti traumatici da cui aveva avuto origine la rimozione delle reazioni primarie in una sfera diversa dalla coscienza, l’inconscio appunto. Il disturbo psichico nasceva da connessioni fra fenomeni di natura psichica che andavano indagati e fra i quali andavano scoperte specifiche connessioni e “leggi”.

La scoperta dell’inconscio rappresenta una delle acquisizioni scientifiche principali del mondo contemporaneo. La sua comparsa suscitò grande interesse, anche se la teoria scientifica che su di esso Freud costruì stenterà molto ad affermarsi, sia in ambito scientifico che terapeutico.

Sigmund Freud

Sigmung Freud, 1905

La grandezza di Freud sta nell’avere contribuito a dare alla ricerca sull’uomo e sulla sua psiche una dimensione di tipo scientifico: i fenomeni psichici una sfera specifica della natura, quella umana appunto, per conoscere e spiegare la quale devono essere trovati nuovi punti di vista e individuate ipotesi, interpretazioni, teorie e leggi altrettanto specifiche.

Partendo dallo studio della medicina, nella quale si laureò nel 1881, i suoi interessi di ricerca furono pienamente assorbiti dallo studio delle malattie nervose delle quali la medicina a lui contemporanea dava spiegazioni di tipo fisiologico-meccanicistico, inadeguate a comprenderle e a curarle. Dagli studi sull’isteria e dall’applicazione dell’ipnosi alla sua cura, Freud poté individuare il ruolo svolto nella vita di ogni individuo di una parte di sé rimossa, dimenticata, non cosciente: l’inconscio. L’ipnosi riusciva a far riemergere provvisoriamente gli eventi dell’esistenza del malato che avevano originato (trauma) la rimozione e quindi il fissarsi del sintomo della nevrosi. Occorreva che ciò non avvenisse soltanto sotto ipnosi, ma con una partecipazione attiva e cosciente del paziente sì da renderlo consapevole delle proprie esperienze passate rimosse e perché il metodo analitico potesse indagare anche ciò che fino ad allora era stato escluso affinché potesse essere indagato e compreso. Attraverso le tracce indiziarie dell’inconscio si può ricostruire il percorso che conduce alla causa prima (tecnica delle libere associazioni, transfert) ovvero all’esistenza di un trauma originario. Il concetto di trauma si lega indissolubilmente alla sfera della sessualità, termine non riconducibile alla semplice genitalità. L’evento traumatico si compie dunque nella sfera della sessualità allargata e non è fatto storico, come lo stesso Freud inizialmente aveva ritenuto, ma verità mentale, fantasia.

Carl Gustav Jung

Carl Gustav Jung

Figlio di un pastore protestante, si dedica agli studi filosofici e delle religioni per trovare un fondamento critico e non rivelato ai valori spirituali. Laureatosi in medicina all’università di Basilea, diviene assistente nell’ospedale psichiatrico di Zurigo nel 1900. Il rifiuto dei metodi di cura delle malattie nervose allora in auge e l’interesse per la conoscenza dei fenomeni psichici nella loro specifica dinamica, lo portano a confrontarsi con le idee di Freud e a quel concetto di rimozione di esperienze traumatiche che nella storia della vita degli individui ha dato origine a manifestazioni psicotiche. La sua attività di ricerca lo porta a sviluppare alcuni concetti fondamentali nella storia della psicanalisi, come quello di “complesso”, originato da un conflitto irrisolto la cui intensità può perturbare l’equilibrio dell’Io, portandolo a fantasie inconsce che possono sostituire completamente l’attività della coscienza. Ma nei deliri degli schizofrenici Jung individua non solo le rappresentazioni originariamente appartenenti alla coscienza del singolo individuo, bensì anche quelle che hanno un carattere universalmente umano e che costituiscono nel loro insieme l’“inconscio collettivo”.

Ivan Pavlov e gli studi sul riflesso condizionato

Uno dei cani di Pavlov, esposto imbalsamato al museo Pavlov di Rjazan

Pavlov è un esempio di scienziato (fisiologo) che, pur avendo in vita riconoscimenti per aspetti della sua ricerca (fu premio Nobel per la medicina nel 1904), è più noto per altri aspetti della sua stessa ricerca, a cui altri e non lui attribuirono il merito di avere gettato le fondamenta della psicologia come scienza. Si tratta del concetto di “riflesso condizionato” cui Pavlov dedicò numerose scrupolosissime ricerche nell’ambito dei suoi studi sui centri nervosi superiori del cervello. Il noto esperimento del “cane di Pavlov” mette in luce che accanto a riflessi assoluti, incondizionati, possono essere “costruiti”, indotti, comportamenti condizionati, dipendenti non dallo stimolo assoluto, ma da uno stimolo neutro ad esso associato. La salivazione in presenza del suono del campanello indica indubbiamente l’esistenza di un’attività cerebrale, l’esistenza cioè di un processo di apprendimento, quindi di un processo complesso. La ricerca di Pavlov verrà considerata il punto di origine della psicologia comportamentistica ed in particolare dello studio sperimentale dei processi di apprendimento: un nuovo fondamento, di tipo oggettivo, delle teorie associazionistiche avvicendatesi nei secoli in risposta al problema filosofico della conoscenza. E tutto questo nonostante Pavlov considerasse di la teoria del riflesso condizionato esclusivamente e rigorosamente come una teoria fisiologica e non psicologica.

John Dewey: scuola, esperienza e società

John Dewey

Di originaria formazione idealistica, John Dewey si avvicinò presto al pragmatismo di Peirce e James e fu fortemente influenzato dal pensiero scientifico di Charles Darwin. All’università di Chicago, dove insegnò dal 1894 al 1904, fondò nel 1896 una scuola in cui promuovere e sperimentare l’innovazione pedagogica e collaborò con George Herbert Mead (1863-1931). Alla collaborazione fra i due filosofi si deve una nuova versione del pragmatismo (da loro stessi chiamata “strumentalismo”). In essa il pensiero si caratterizza come teoria per l’indagine e ogni indagine si qualifica per gli strumenti per l’azione a cui essa dà luogo. Dal 1904 al 1929 Dewey insegnò alla Columbia University di New York. Nel 1929 terminò la carriera accademica per raggiunti limiti di età, e si impegnò pubblicamente per la promozione dei valori più significativi della civiltà statunitense: la democrazia, la libertà individuale, il progresso tecnico ed economico, il pluralismo delle idee e degli stili di vita.

Sul piano pedagogico l’ideale di John Dewey è quello di una scuola che concorra allo sviluppo di una società democratica, e che sia capace di coniugare socialità e individualità, cooperazione con valorizzazione e potenziamento delle capacità individuali.

Nella scuola concepita (e sperimentata) da Dewey compito dell’insegnante è selezionare situazioni e attività che incontrano bisogni e interessi dell’allievo, e assisterlo nella ricerca di risposte adeguate. Uguale attenzione va data alla componente sociale e a quella psicologica del soggetto discente (fra le tante opere pedagogiche composte da Dewey fondamentale per illustrare questi punti di vista è “Scuola e Società”, 1900).

Per questi motivi Dewey è ritenuto, a buon diritto, uno dei fondatori del cosiddetto attivismo pedagogico: il movimento che negli stessi anni si sviluppò in Europa, soprattutto in Belgio, in Francia e in Svizzera attorno all’Institut Jean Jacques Rousseau di Ginevra.

L’attivismo pedagogico: Edouard Claparède

Edouard Claparede

Le Scuole attive costituiscono uno sviluppo delle Scuole nuove nate in Europa a seguito di iniziative pionieristiche come quelle di Reddie nel 1889 e di Badley nel 1892, in Inghilterra, di Lietz nel 1898, in Germania e di Demolins nel 1899, in Francia.

Le Scuole attive, pur condividendo con le Scuole nuove una visione puerocentrica dell’educazione, si caratterizzano per la ricerca di rigore scientifico, sia nell’acquisizione di conoscenze psicologiche che di messa a punto di metodi educativi e didattici.

Maggiore centro di propulsione europeo delle Scuole attive sarà l’Institut J.J. Rousseau di Ginevra, nato nel 1912 ad opera di Edouard Claparède e P. Bovet, il cui motto “Discat a puero magister” (il maestro impari dal fanciullo) esprime in modo evidente la centralità del bambino nell’attivismo pedagogico.

Sarà Edouard Claparède a richiamare l’attenzione sulla necessità di dare alla pedagogia lo status di scienza e, quindi, di ridefinire la figura dell’insegnante come “scienziato dell’educazione”, capace di osservare, innovare, sperimentare.

Fondamento del sapere pedagogico è la psicologia dell’intelligenza, della prassi educativa è l’atto intelligente, governato da tre leggi: la legge del bisogno, all’insorgenza del problema si presenta la necessità di risolverlo; la legge dell’interesse, il quale, attivato dal bisogno, orienta alla ricerca di un oggetto atto a soddisfarlo; la legge del tentativo e dell’errore, che induce alla ricerca di nuovi equilibri ed interessi quando il bisogno originario non può essere soddisfatto con risposte collaudate.

Questa concezione dell’intelligenza forgia da un lato, la teoria dell’educazione funzionale - secondo cui i bisogni e gli interessi del bambino vanno promossi e assecondati in modo che da essi scaturisca la ricerca attiva, soprattutto attraverso il gioco, di nuove soluzioni - dall’altro l’idea di una scuola a misura dell’alunno, ovvero di una scuola in cui lezioni e programmi sono diversificati in funzione delle caratteristiche individuali.

Il bambino al centro dell’educazione: Maria Montessori

L’orientamento pedagogico attivista ha in Italia come valida rappresentante Maria Montessori, che fin dal 1907 si è fatta promotrice della Casa dei bambini, un ambiente a misura di bambino, progettato con l’obiettivo di potenziarne e guidarne l’attività spontanea.

La Casa è dotata di mobili e attrezzature di dimensioni proporzionate sulla forza e sulle capacità del bambino, in modo da favorirne l’autonomia attraverso l’esecuzione di attività che vanno dalla cura del corpo, all’igiene alimentare, alla pulizia dell’ambiente.

Inoltre, il Materiale ludico e didattico impiegato (solidi da incastro, oggetti da ordinare secondo criteri di forma, colore ed altre caratteristiche fisiche, materiali di avvio al calcolo, alla lettura, alla misurazione) deve essere specificamente progettato per potenziare le capacità di analisi, le quali stanno alla base dell’intelligenza e dell’attitudine all’ordine e alla chiarezza. Tale materiale è detto “di sviluppo” sulla base di quattro criteri: 1) controllo dell’errore: l’oggetto deve permettere al bambino di verificare da solo se la procedura adottata è corretta; 2) estetica: colore, lucentezza e armonia delle forme devono richiamare l’attenzione del bambino; 3) attività: l’oggetto deve permettere l’azione motrice; 4) limiti: è necessario, al fine di aiutare il bambino mettere ordine nel caos provocato dal gran numero di sensazioni, che gli oggetti siano accessibili in quantità limitata.

L’impostazione della Montessori, mentre da un lato condivide l’impostazione generale dell’attivismo pedagogico, dall’altro delinea un programma di lavoro assai particolare e per certi aspetti distante da quello di altri esponenti della corrente.

Per esempio, rispetto a Dewey e Claparède, si pone attenzione ai problemi che nascono dalla presentazione del materiale astratto predisposto dall’educatore piuttosto che ai problemi della vita quotidiana; rispetto a Decroly, si pone l’accento sulla necessità di potenziare prima le capacità analitiche piuttosto che quelle di percezione globale.

Ovide Decroly e la “conoscenza globale”

Il concetto di apprendimento in funzione dell’interesse-bisogno, proposto per la prima volta da Claparède è approfondito da Ovide Decroly, che individua quattro bisogni fondamentali, i cosiddetti “centri di interesse” o “idee perno”:

  • cibo
  • abiti e casa
  • difesa
  • lavoro e riposo

Su questi si devono basare i grandi temi di esperienza e di studio che devono sostituire le materie scolastiche tradizionali: l’uomo e i suoi bisogni, l’uomo e la famiglia, l’uomo e la società, l’uomo e gli animali, l’uomo e le piante, l’uomo e la terra, l’uomo, il sole e gli altri astri.

I centri devono poi essere adattati all’età dell’allievo attraverso: l’osservazione, ovvero il momento dell’esperienza diretta; l’associazione, il momento della generalizzazione e dell’acquisizione di concetti generali; l’espressione, il momento di oggettivazione e di comunicazione delle idee.

Profondamente legata alla formulazione di questi concetti è la definizione del “Metodo globale”, basato sul presupposto che il bambino percepisca la realtà prima in maniera globale e indifferenziata, poi, secondo uno sviluppo in progressione, in modo analitico.

Tenendo presente questa caratteristica del pensiero infantile, in ogni campo di apprendimento - dalla lettura, alla scrittura al disegno - il metodo considera l’approccio globale all’oggetto di conoscenza come condizione necessaria e imprescindibile per sviluppare nei bambini le capacità analitiche.

Filosofia

Il nazionalismo, la volontà di potenza e l’opera postuma di Friederich Nietzsche

Friederich Nietzsche, 1899

Dopo la morte di Nietzsche, avvenuta nel 1900, la sorella Elisabeth, con la collaborazione di alcuni amici del fratello, in particolare di Peter Gast, curò l’edizione postuma dei frammenti di un’opera di grande respiro che il filosofo non aveva ancora terminato. Il materiale fu ordinato operando una serie di tagli, ricuciture e manipolazioni, che Elizabeth volle attuare per fedeltà ad una certa immagine del fratello e spinta da un’ideologia razzista e nazionalista. L’opera uscirà nel 1906 con il titolo (peraltro pensato dallo stesso Nietzsche) La volontà di potenza.

Queste edizioni dei frammenti di Nietzsche hanno suscitato grandissime polemiche, per l’utilizzo molto libero dei manoscritti, e per il fatto che quei testi, in particolare La volontà di potenza, furono strumentalizzati dalla propaganda nazionalsocialista.

Recentemente, un’edizione critica di tutti gli scritti del filosofo tedesco ha definitivamente dimostrato che questa opera in realtà non esiste come un unicum; al suo posto devono essere letti tutti gli appunti degli ultimi anni, in ordine cronologico, disponibili ormai senza tagli e manipolazioni.

Edmund Husserl e la fenomenologia trascendentale

Edmund Husserl

La rifondazione attraverso la filosofia di un sistema scientifico unitario e razionale è lo scopo primo della fenomenologia di Husserl, perseguito attraverso un’attenta verifica delle condizioni preliminari della conoscenza.

Edmund Husserl nacque nel 1859 a Prossnitz in Moravia, nell’allora impero austro-ungarico. La sua carriera accademica e quindi la sua attività filosofica si sono svolte interamente in Germania, dove si laureò in matematica, con il grande matematico tedesco Carl Weierstrass. Del suo interesse per la filosofia fece una professione in seguito all’incontro con Franz Brentano, del quale seguì le lezioni a Vienna, tra il 1884 e il 1886, e che Husserl ricordò sempre come il suo maestro in filosofia. Nei suoi primi due libri: Filosofia dell’aritmetica (1891) e Ricerche logiche (1900-1901) Husserl, sotto l’influenza di Brentano e di Frege, indaga l’origine dei concetti aritmetici e giunge alla distinzione netta tra la conoscenza e l’oggetto conosciuto, ovvero tra il pensiero e l’oggetto pensato e al riconoscimento dell’oggettività degli enti e dei rapporti generali e ideali. L’interesse della riflessione di Husserl è preso dall’indagine sulla intenzionalità della conoscenza, il rapporto fra la mente che conosce ed i fenomeni conosciuti, attribuendo ad essi una realtà che comprende l’intenzionalità della conoscenza. La dimensione intenzionale che Kant aveva attribuito alla conoscenza morale, viene estesa da Husserl all’intero sistema delle conoscenze, con la creazione della fenomenologia trascendentale, nuova filosofia su cui fondare un sistema filosofico unitario che dia conto dell’ampiezza e della complessità dell’insieme della cultura e delle scienze europee.

Le origini della filosofia analitica: Gottlob Frege

Gottlob Frege

Gottlob Frege era un matematico, sia per formazione che per interessi, che per professione, però è considerato uno dei pensatori più importanti per la filosofia del Novecento, come padre fondatore della filosofia analitica, e artefice principale della grande svolta compiuta dalla logica formale in questo secolo.

Egli dedica gran parte della sua ricerca alla fondazione di una logica della matematica, o meglio, a individuare quali siano le caratteristiche peculiari delle “verità” matematiche e, più in generale, del “discorso” matematico. Le verità matematiche in Frege sono verità formali, puramente logiche, al di fuori dell’intuizione e o della percezione degli oggetti. Esse sono frutto di relazioni che si instaurano a priori e trovano in se stesse il fondamento di verità o falsità senza il ricorso all’esperienza. Secondo Frege è possibile, dunque, trarre dalla matematica, o meglio dall’aritmetica, i fondamenti di una logica autofondata. Questo suo tentativo fallì, a causa di una teoria delle classi che fu dimostrata contraddittoria da Bertrand Russell, il quale gli comunicò i risultati della sua analisi nel 1902.

La ricerca di Frege, tuttavia, trovò proprio in Russell e nella scuola filosofica di Cambridge interlocutori e continuatori di prim’ordine, che dettero vita a quel settore della filosofia del ‘900 definita appunto filosofia analitica o del linguaggio.

Bertrand Russell e la scuola analitica di Cambridge

Bertrand Russell, 1907

La vita di Russell fu lunga e molto densa di avvenimenti: si sposò quattro volte, ed oltre ad essere un filosofo estremamente influente negli ambienti accademici (è stato uno dei massimi esponenti della filosofia analitica), fu un personaggio pubblico di larga fama e si occupò a lungo di politica, compiendo anche scelte coraggiose e anticonformiste. Di famiglia nobile, ricevette un’educazione privata. Nel 1895 entrò al Trinity College di Cambridge dove studiò matematica e filosofia. Nei primi dieci anni del ‘900 Russell, che era rimasto a Cambridge come insegnante, lavorò a lungo sul problema dei fondamenti della matematica, tentando sulla via tracciata da Gottlob Frege una riduzione dell’aritmetica alla logica. Già nel 1902 comunicò al pensatore tedesco la conclusione cui era giunto: il sistema logico con il quale Frege pretendeva di ricostruire l’aritmetica era incoerente. Il lavoro di Russell sulla matematica ebbe come esito i monumentali Principia Mathematica scritti nel 1903 con Alfred North Whitehead (1861-1947), uno dei capolavori della logica di ogni tempo e la pietra miliare dei lavori sui linguaggi formali.

Il pragmatismo americano

Il “pragmatismo” è una corrente di pensiero nata negli Stati Uniti d’America alla fine dell”800. Essa ha avuto un’influenza ampia e duratura, che si può considerare ancora non terminata. I motivi teorici caratteristici del pragmatismo (comuni ai principali esponenti di questa corrente di pensiero) sono il ruolo assegnato alla scienza, il criterio di verità come efficacia delle ipotesi e il disinteresse per una pretesa “verità assoluta”, il rifiuto della classica dicotomia tra fatti e valori . Il primo a dichiararsi “pragmatista” fu Charles Sanders Peirce (1839-1914). Peirce, che era un grande studioso di matematica e di logica simbolica assegnava un ruolo preminente per la ricerca della verità alla metodologia scientifica, alla ricerca scientifica ideale, cioè condotta nelle migliori condizioni possibili. Non pensava, quindi, che si potesse possedere la verità, ma solo approssimarsi ad essa nel lungo periodo attraverso un lavoro collettivo, il lavoro di una “comunità” di ricercatori.

Un ruolo fondamentale nella diffusione del pragmatismo come grande corrente filosofica del mondo moderno lo si deve successivamente a William James (professore prima di psicologia e poi di filosofia all’università di Harvard) che accentuò della filosofia pragmatista il ruolo da assegnare alla scienza nella modifica in positivo della condizione umana e nella costruzione di un diverso e migliore “futuro” per l’uomo. Ciò che caratterizza il pensiero è la capacità di porsi dei fini e di sperimentare mezzi adeguati per realizzarli, affrontando anche rischi e incognite. Opere principali pubblicate da James (professore prima di psicologia poi di filosofia da Harvard) furono, nei primi del 900, Pragmatismo; nome nuovo per vecchi modi di pensare (1907), Il significato della verità: seguito a pragmatismo (1909).

Wilhelm Dilthey e le scienze dello spirito

Wilhelm Dilthey

Wilhelm Dilthey (1833-1911), inizialmente indirizzato alla carriera ecclesiastica, passò in seguito allo studio della filosofia. Laureatosi presso l’università di Berlino, intraprese la carriera di insegnante all’ateneo di Basilea, per poi passare a Breslavia, Kiel e ritornare, infine, a Berlino. Fra i massimi esponenti dello storicismo tedesco di fine ‘800, nella sua vasta produzione letteraria, che va da scritti sul problema della conoscenza storica a saggi di psicologia, etica, estetica, pedagogia, l’aspetto più importante è rappresentato dal costituirsi di una vera e propria filosofia della storia.

Dilthey si chiede infatti quali siano gli elementi fondanti e costitutivi di una “critica della ragion storica”, che fosse in grado su quali caratteristiche dell’attività conoscitiva degli uomini si fondano le discipline storiche e che, nello stesso tempo, giustificasse il loro appartenere alla sfera della scienza a pieno titolo e voleva illustrarne il metodo, così come Kant aveva indagato i principi a priori della conoscenza scientifica naturale e morale.

Tali elementi costitutivi dovranno ovviamente essere diversi da quelli adottati nelle scienze naturali, perché la sfera delle attività umane (spirituali) ha una sua propria peculiarità.

“L’evoluzione creatrice” e il vitalismo di Henri Bergson

Henri Bergson

La filosofia di Henri Bergson viene storicamente collocata tra le reazioni “spiritualiste” contro il razionalismo, che vedeva nella matematica e nella fisica matematizzata i prototipi della migliore conoscenza, e presenta notevoli tratti di originalità.

Si laureò in lettere e in matematica alla Ecole Normale Supérieure di Parigi, poi, nel 1889 conseguì il dottorato in filosofia. La sua influenza sulla cultura europea del tempo fu talmente vasta che venne coniato il termine “bergsonismo” per indicare la ripresa di temi del suo pensiero anche al di fuori della filosofia e degli ambienti accademici, in primo luogo nella letteratura e nelle arti visive.

Bergson si occupò di tutte le principali questioni filosofiche, dalla conoscenza ai problemi morali e religiosi, ma in particolare elaborò la concezione del tempo come “durata” e la teoria dell’evoluzione creatrice. Secondo Bergson la “durata” temporale non è riducibile alle rappresentazioni geometriche usate dalla fisica, ma è movimento continuo che può solo essere colto intuitivamente dagli esseri viventi.

La teoria dell’evoluzione creatrice (L’evoluzione creatrice, 1907) rappresenta una delle principali concezioni vitaliste dei fenomeni biologici; secondo essa la vita è caratterizzata da forze che creano continuamente eventi nuovi e inaspettati, e agiscono negli esseri viventi e nella storia della differenziazione delle specie e della evoluzione. Teorizzò la presenza nei corpi viventi di una forza non fisica, lo “slancio vitale” (élan vital). Tale forza non sarebbe spiegabile con le leggi meccaniche che governano la materia, e anzi sarebbe in costante opposizione rispetto alla materia stessa.

Bergson, pur non accettando la teoria evoluzionistica meccanicista di Darwin, era fondamentalmente convinto che l’evoluzione giocasse un ruolo fondamentale nell’universo. Egli considerava l’evoluzione una forza creatrice, che generando ciò che è nuovo sarebbe in contrasto con il carattere meccanico e il determinismo delle leggi fisiche.