Gli Anni Venti

1920-29

Cronologia

1920

  • Occupazione delle fabbriche nel nord Italia, guidata dal Movimento dei consigli, ispirato da Antonio Gramsci e dal gruppo di “Ordine nuovo”. Il governo di Giolitti mantiene un atteggiamento “neutrale”.
  • Con il trattato di Rapallo l’Italia rinuncia alla costa dalmata (tranne Istria e Zara) in favore della Jugoslavia e quest’ultima rinuncia a Fiume che diviene “città libera”. D’Annunzio e i suoi legionari sono costretti ad abbandonare la città.
  • Trattato del Trianon con l’Ungheria.
  • Hitler assume la guida del Partito operaio tedesco che diviene Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi.
  • La Gran Bretagna è costretta, dopo scontri sanguinosi, a riconoscere l’autonomia dell’Irlanda.
  • A sei anni dall’inaugurazione dei lavori, viene aperto al traffico il canale di Panama.
  • Trattato di Sèvres tra il sultano turco, Maometto VI, e i vincitori del primo conflitto mondiale. La Turchia viene spartita.
  • Inizia a diffondersi lo stile Art Déco nell’arredamento, nell’architettura e nelle arti applicate.
  • Si afferma, in URSS, il movimento costruttivista.
  • Tatlin, uno dei maggiori esponenti del costruttivismo, progetta il Monumento alla Terza Internazionale.
  • Il pittore metafisico Giorgio De Chirico inizia la serie degli “archeologi” e dei “gladiatori”.
  • Le Corbusier fonda, con A. Ozenfant, l’”Esprit Nouveau”.
  • Le Corbusier inizia il progetto per Maison Citrhan.
  • Esce Al di là del principio del piacere di Sigmund Freud.
  • Escono i Tipi psicologici dello psicoanalista Carl Gustav Jung.
  • Esce il terzo romanzo del ciclo Alla ricerca del tempo perduto, intitolato I Guermantes, di Marcel Proust.
  • Nasce la prima emittente commerciale americana, la KDKA di Pittsburgh.
  • L’americano John Taliaferro Thompson brevetta il primo fucile mitragliatore.
  • Ad Anversa si inaugurano i giochi olimpici.
  • Si indice un grande sciopero degli operai metallurgici a Torino.
  • Negli USA il diritto di voto è esteso anche alle donne.
  • In Francia si sviluppano acute tensioni sociali.
  • Nascita del Partito Comunista francese.
  • In Germania è sventato un tentativo di un colpo di stato grazie alla proclamazione di uno sciopero generale.
  • Insurrezione dei minatori della Ruhr per ottenere misure di socializzazione.
  • Primo governo socialista in Svezia: avvio di un vasto programma di riforme.
  • Warren Harding è eletto presidente degli USA.
  • Negli Stati Uniti è fissata allo 0,5% la percentuale alcolica che rende proibita una bevanda.

1921

  • Al XVII congresso del Partito Socialista italiano, che si tiene a Livorno, avviene una scissione che dà vita al Partito Comunista d’Italia. Lo guidano Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga e Angelo Tasca.
  • Al congresso di Roma Benito Mussolini trasforma il “movimento dei fasci” nel Partito nazionale fascista (PNF).
  • In Irlanda il movimento separatista guidato da De Valera proclama la Repubblica.
  • Nasce il Partito Comunista cinese; tra i suoi dirigenti si evidenzia Mao Tse-tung.
  • Il pittore metafisico Carlo Carrà dipinge La camera incantata e L’amante dell’ingegnere.
  • Pablo Picasso dipinge Tre donne alla fontana.
  • Piet Mondrian dipinge Quadro I.
  • Max Ernst dipinge L’éléphant Célebès.
  • Charlie Chaplin dirige Il monello.
  • Esce Psicologia di massa e analisi dell’io di Sigmund Freud.
  • L’emittente radio installata sulla Tour Eiffel a Parigi inizia le trasmissioni regolari.
  • Negli Stati Uniti viene commercializzata la benzina super.
  • Viene messo a punto il primo frigorifero elettrico, il Kelvinator.
  • Nasce il mito di Rodolfo Valentino con il film I quattro cavalieri dell’Apocalisse di Rex Ingram.
  • Inizia la “febbre” del tango in Europa.
  • In Inghilterra ci sono oltre due milioni di disoccupati.
  • In Germania si registra un’iperinflazione galoppante.

1922

  • In Italia, dopo l’ennesima spedizione punitiva dei fascisti, viene proclamato lo sciopero generale. I fascisti rispondono intensificando le loro violenze.
  • Il Partito nazionale fascista (Pnf) promuove la “Marcia su Roma” e, dopo la dimostrazione di debolezza sia del governo Facta sia del re Vittorio Emanuele III, Mussolini assume l’incarico di presidente del Consiglio.
  • La Società delle Nazioni interviene a favore dell’Austria per risolvere la grave crisi economica.
  • Il parlamento irlandese proclama la nascita dell’EIRE.
  • Esce il Tractatus logico-filosoficus del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein.
  • Giorgio De Chirico dipinge Lucrezia.
  • Nasce lo “Stile Chicago” nella musica jazz.
  • Il regista espressionista Friedrich Murnau dirige Nosferatu il vampiro.
  • Il regista austriaco Fritz Lang realizza il film Il dottor Mabuse.
  • L’attrice svedese Greta Garbo inizia la sua carriera cinematografica.
  • Luigi Pirandello scrive i drammi Enrico IV e Sei personaggi in cerca d’autore.
  • Muore a Parigi Marcel Proust.
  • Esce il romanzo Ulisse di James Joyce,che rivoluziona la tradizione narrativa.
  • Esce l’opera Tamburi nella notte di Bertolt Brecht.
  • In Gran Bretagna si forma il primo monopolio radiofonico pubblico con la nascita della BBC (British Broadcasting Corporation).
  • J.L. Baird compie i primi esperimenti di trasmissione di immagini televisive.
  • Ultima esibizione parigina di Isadora Duncan, che muore accidentalmente pochi mesi dopo strozzata dalla propria sciarpa.
  • Il cardinale Achille Ratti viene eletto papa con il nome di Pio XI.
  • Esce l’enciclica programmatica Ubi arcano Dei consilio del nuovo papa.

1923

  • Mussolini istituisce il Gran Consiglio del Fascismo e istituzionalizza lo squadrismo con la creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN).
  • Il parlamento italiano approva una nuova legge elettorale (legge Acerbo) che concede i due terzi dei seggi alla lista che ottiene la maggioranza relativa.
  • Hitler e Ludendorff tentano un di colpo di stato a Monaco (putsch della birreria). Viene proclamato lo stato di assedio in Baviera. Il governo, con l’appoggio dell’esercito, riesce a prevalere. Hitler viene arrestato.
  • Le truppe francesi e belghe invadono la Ruhr. I tedeschi rispondono con la resistenza passiva.
  • In Turchia viene proclamata la repubblica. Ne diventa presidente Mustafa Kemal.
  • Sun Yat-Sen riconquista il governo di Canton.
  • Il Partito Comunista cinese approva l’alleanza con il Kuomintang.
  • Esce Essere e tempo del filosofo tedesco Martin Heidegger.
  • I fratelli Vesnin, costruttivisti sovietici, progettano il Palazzo del Lavoro.
  • Louis Armstrong incide numerosi blues con l’orchestra di Oliver (Sobbin’, Riverside, Canal Street, Weather Bird, Camp Meeting, Working man).
  • Duke Ellington arriva a New York dove suonerà per diversi anni.
  • Frank Lloyd Wright progetta la Miniatura a Pasaneda.
  • Esce La coscienza di Zeno di Italo Svevo.
  • Esce Io ed Es di Sigmund Freud.
  • T.E. Eliot dedica all’Ulisse di Joyce un importante articolo sulla rivista “The Dial”.
  • In Germania entrano in circolazione i primi autocarri a motore diesel.
  • L’americano di origine russa Vladimir Kosmic Zvorykin inventa l’iconoscopio.
  • In Gran Bretagna viene prodotto il primo orologio da polso a carica automatica.
  • Alle elezioni politiche britanniche vincono i laburisti; si forma così il primo governo laburista guidato da Ramsay Mc Donald.
  • Calvin Coolidge succede al defunto Harding alla presidenza degli USA.

1924

  • Si svolgono in Italia le elezioni politiche in un clima di violenza. La “lista nazionale” egemonizzata dai fascisti ottiene la maggioranza con il 65% dei voti.
  • Il deputato socialista riformista Giacomo Matteotti denuncia alla Camera i brogli elettorali e le violenze fasciste.
  • Giacomo Matteotti viene rapito a Roma; dopo alcune settimane di grande tensione il suo corpo viene ritrovato, senza vita, nei pressi di Roma.
  • I deputati dell’opposizione antifascista abbandonano l’aula parlamentare e danno vita alla secessione dell’Aventino. Il governo fascista vive un momento di grave crisi.
  • Il leader dell’estrema destra tedesca, Adolf Hitler, scrive in carcere il Mein Kampf, nel quale formula il suo programma politico.
  • Primo congresso nazionale del Kuomintang (partito nazionalista cinese) che approva l’alleanza con l’URSS e con i comunisti.
  • Alla morte di Lenin, Stalin assume il potere in URSS.
  • Nasce in Germania, a Francoforte, l’Istituto per la ricerca sociale
  • Il critico e scrittore francese André Bréton firma a Parigi il manifesto del surrealismo.
  • I fratelli Vesnin, costruttivisti sovietici, progettano l’Ufficio della Pravda di Leningrado.
  • Kazimir Malevic realizza Planit.
  • Laszlo Moholy-Nagy realizza il fotomontaggio Militarismo.
  • Il pittore catalano Joan Mirò dipinge Paesaggio catalano.
  • Muore nei pressi di Vienna Franz Kafka.
  • Esce il romanzo La montagna incantata di Thomas Mann.
  • Clarence Birdseye apre la prima fabbrica per la produzione di carne, frutta e verdura congelata.
  • Ottavio Bottecchia vince il Tour de France.
  • Sonia Delaunay-Terk disegna la Veste ricamata a disegni geometrici in tipico stile Decò.
  • Nasce la Metro Goldwyn Mayer dalla fusione della Metro Pictures Corp. con la Goldwyn Pictures Corp. e la Louis B. Mayer Production Co.

1925

  • Il presidente del Consiglio italiano Mussolini, in un discorso alla Camera, si assume tutte le responsabilità della violenza fascista, sfida sul piano della forza le deboli forze democratiche e dà avvio alla costruzione della dittatura.
  • In Germania, alla morte di Ebert, viene eletto presidente della repubblica il feldmaresciallo von Hindenburg.
  • In Cina Sun Yat-Sen si reca a Pechino per tentare una mediazione tra il suo governo di Canton e il governo del Nord. Sun Yat-Sen muore e gli succede, alla guida del Kuomintang, Chiang Kai-shek.
  • L’architetto Gropius costruisce l’edificio del Bauhaus a Dessau dove si trasferisce la scuola da Weimar a seguito delle accuse di bolscevismo.
  • Il costruttivista russo Melnikov progetta il padiglione sovietico all’Esposizione di Parigi.
  • André Bréton inizia a scrivere Le Surréalisme et la peinture.
  • P. Mondrian, già firmatario del manifesto programmatico del 1918, viene allontanato dal gruppo olandese del neoplasticismo.
  • Il regista sovietico Sergei Ejzenstejn dirige La corazzata Potemkin.
  • Chaplin dirige La febbre dell’oro.
  • Esce il romanzo La signora Dalloway della scrittrice inglese Virginia Woolf.
  • Gli intellettuali antifascisti italiani firmano un manifesto contro il regime fascista.
  • Nasce il servizio nazionale di trasmissione radiofonica dell’EIAR (Ente italiano audizioni radiofoniche) controllata dal regime fascista.
  • Guglielmo Marconi stabilisce la prima comunicazione radiofonica a onde corte tra Londra e Sidney.
  • Viene fondato in Italia l’Istituto LUCE (L’unione per la cinematografia educativa) che diventa uno strumento nelle mani della propaganda fascista.
  • Muore in un incidente il pilota automobilistico Antonio Ascari, primatista mondiale di velocità, mentre sta per concludere da vincitore il gran premio di Francia a Montlhléry.
  • Si svolgono a Parigi le Olimpiadi.
  • Il podista finlandese Paavo Nurmi vince cinque medaglie d’oro alle Olimpiadi di Parigi.
  • Si tiene a Parigi l’Esposizione di arti decorative e applicate che lancia l’Art Decò a livello “di massa”.
  • In Germania la Leica produce le prime macchine fotografiche portatili dotate di accessori (flash, obiettivi, ecc.).
  • Celebrazione dell’Anno Santo.
  • Pio XI proclama l’istituzione della festa del Cristo Re.

1926

  • In Italia vengono approvate le cosiddette “leggi fascistissime” che prevedono la decadenza dei parlamentari aventiniani, lo scioglimento dei partiti politici, la chiusura della stampa di opposizione, l’istituzione di un Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
  • La Germania entra nella Società delle Nazioni.
  • In Nicaragua, Augusto Sandino guida una rivolta popolare che viene repressa dall’intervento militare degli USA. Viene imposta l’elezione di Adolfo Diaz. Scoppia una guerra civile che si protrae fino al 1934.
  • Il leader nazionalista cinese Chiang Kai-shek proclama la legge marziale e fa arrestare i dirigenti comunisti, suoi vecchi alleati.
  • Chiang Kai-shek inizia la campagna per la conquista del nord della Cina.
  • Il regista sovietico Vsevolod Pudovkin dirige La madre, tratto dal romanzo di Gorkij.
  • Walter Gropius progetta il Quartiere Törten a Dessau.
  • Le Corbusier realizza il progetto per il concorso per la sede della Società delle Nazioni a Ginevra.
  • Esce Inibizione, sintomo e angoscia di Sigmund Freud.
  • La narratrice Grazia Deledda vince il premio Nobel per la letteratura.
  • Negli Stati Uniti nasce il Network National Broadcasting Company (NBC).
  • In Gran Bretagna si compiono le prime dimostrazioni pubbliche del mezzo televisivo.
  • La casa Kodak produce le prime pellicole cinematografiche a 16 mm.
  • A Londra entra in funzione il primo semaforo automatico.
  • Nelle case delle famiglie americane entra il tostapane elettrico.
  • Viene inventato il faro antinebbia.
  • Viene fondata l’Accademia d’Italia, voluta dal regime fascista come massima istituzione culturale e scientifica.
  • In Francia, in seguito ad una grave crisi economica; il governo di unione nazionale guidato da Raymond Poincaré decide drastiche misure economiche.
  • In Inghilterra, gli scioperi dei minatori vengono repressi duramente dal governo conservatore.

1927

  • I nazionalisti cinesi di Chiang Kai-shek conquistano Nanchino nella loro marcia verso il Nord.
  • Chiang Kai-shek conquista Shangai e compie il massacro degli operai comunisti.
  • Scoppia una rivolta operaia a Nachang in Cina: si forma il primo nucleo dell’esercito popolare comunista.
  • I comunisti cinesi tentano un’insurrezione a Canton che viene prontamente repressa dalle truppe nazionaliste
  • Vassilij Kandinskij dipinge Quadrato.
  • Il pittore surrealista Max Ernst dipinge Il giovane principe.
  • Giorgio De Chirico dipinge Mobili nella valle.
  • L’orchestra di Duke Ellington sostituisce quella di King Oliver al Cotton Club di Los Angeles e diventa famosa. Hanno inizio le migliori incisioni del jazzista.
  • Esce il primo film sonoro della storia del cinema: Il cantante di Jazz, diretto da Alan Crossland.
  • Fritz Lang dirige Metropolis.
  • L’architetto Mies van der Rohe progetta una Casa in linea per il quartiere sperimentale Weissenhof di Stoccarda; sono le prime prove razionaliste.
  • Le Corbusier progetta la Villa a Garches (Parigi).
  • Esce Gita al faro di Virginia Woolf.
  • Alexander Fleming scopre l’attività antibiotica della penicillina.
  • Lindbergh porta a termine la famosa trasvolata dagli USA alla Francia, senza scalo.
  • Nasce in Italia la “Mille Miglia”, gara automobilistica che parte da Brescia e vi ritorna dopo un lungo giro che passa per Roma.
  • Il corridore ciclista Alfredo Binda vince i campionati del mondo su strada.
  • Walt Disney disegna in collaborazione con Ub Iwerks il personaggio di Mickey Mouse.
  • Viene brevettato negli USA il primo Juke box elettrico.
  • In Gran Bretagna viene commercializzata la gommapiuma.
  • In Inghilterra è varato il Trades Disputes Act, documento nel quale sono dichiarati illegali gli scioperi generali e quelli di solidarietà. Si vieta, inoltre, ai sindacati di raccogliere fondi per scopi politici.
  • Negli USA vengono giustiziati gli anarchici Sacco e Vanzetti.

1928

  • Il **Tribunale speciale del regime fascista condanna Antonio Gramsci, leader del Partito Comunista d’Italia, a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione**.
  • Alle elezioni politiche tedesche le sinistre ottengono un ampio successo. Diventa cancelliere il socialdemocratico Muller alla guida di una coalizione di centro-destra. Al ministero degli Esteri c’è Gustav Stresemann.
  • Stati Uniti e Francia firmano il patto Briand-Kellog che prevede la rinuncia alla guerra. In seguito aderiscono al patto numerose potenze.
  • In Gran Bretagna la riforma del sistema elettorale concede il diritto di voto a tutte le donne.
  • In Etiopia il ras Tafari Makonnen (futuro Hailé Selassiè) assume il titolo di “negus neghesti” (re dei re).
  • In Cina si organizza l’armata rivoluzionaria guidata da Mao Tse-tung.
  • Chiang Kai-shek conquista Pechino e diventa padrone della Cina centro-settentrionale.
  • Joan Mirò dipinge Interno olandese II e Ritratto di una danzatrice.
  • René Magritte dipinge la tela surrealista Il paesaggio fantasma.
  • W. Gropius lascia la direzione del Bauhaus a H. Meyer.
  • Schönberg compone le Variazioni op. 31.
  • A Roma si svolge la prima esposizione italiana di architettura razionale.
  • Muore Italo Svevo a seguito di un incidente automobilistico.
  • V. Majakowskij scrive la commedia La cimice.
  • L’opera da tre soldi (musicata da Kurt Weill) di Bertolt Brecht ottiene un grande successo internazionale.
  • In Gran Bretagna si effettuano le prime registrazioni televisive.
  • Negli Stati Uniti si compie il primo utilizzo dell’iconoscopio e del tubo a raggio catodico.
  • La “Rinascente” apre in Italia i magazzini UPIM (Unico prezzo italiano Milano). La standardizzazione verso il basso dei costi permette di estendere la diffusione dei beni di consumo.
  • Primo Carnera esordisce sul ring di Parigi imponendosi su Leon Sebilo per K.O. alla seconda ripresa. Il pugile viene portato in trionfo dal regime fascista.
  • Amsterdam ospita i giochi olimpici.
  • Nascono a Milano le riviste di architettura “Domus” e “Casabella”.
  • L’americano G. Eastman realizza il primo film a colori.
  • Negli USA compaiono i primi rasoi elettrici.
  • La società 3M produce in Inghilterra il nastro adesivo.
  • Il parlamento inglese estende il diritto di voto alle donne al di sopra dei 21 anni.
  • Herbert Hoover è eletto presidente degli USA.
  • Nell’Unione Sovietica viene varato il primo piano quinquennale che prevede l’industrializzazione forzata. Vengono fondati i Kolkoz.

1929

  • Benito Mussolini e il cardinale Gasparri firmano i Patti Lateranensi che pongono fine al conflitto tra Stato e Chiesa. Nasce lo Stato della Città del Vaticano. Con i Patti l’insegnamento della religione cattolica viene reso obbligatorio in tutte le scuole.
  • Crisi economica internazionale.
  • In Francia inizia la costruzione della Linea Maginot sul fronte orientale.
  • Con la pubblicazione de La concezione scientifica del mondo nasce il Circolo di Vienna composto da filosofi, scienziati e logici quali M. Schlick, K. Gödel, F. Waismann, O. Neurath e R. Carnap.
  • Edmund Husserl tiene a Parigi delle conferenze sulla fenomenologia.
  • I pittori italiani Balla e Depero firmano il manifesto dell’aeropittura.
  • Il pittore spagnolo Salvador Dalì aderisce al surrealismo.
  • Viene istituito il premio Oscar nel campo della cinematografia.
  • Esce l’eccezionale film-manifesto di Dziga Vertov L’uomo con la macchina da presa.
  • Le Corbusier progetta Villa Savoye (Poissy).
  • Sigmund Freud scrive Il disagio della civiltà.
  • Esce L’io e l’inconscio di Carl Gustav Jung.
  • Erich Maria Remarque scrive il romanzo antimilitarista All’Ovest niente di nuovo.
  • Un aereo militare americano vola per 150 ore senza interruzione, venendo rifornito in volo.
  • Il dirigibile tedesco Graf Zeppelin compie il giro del mondo in venti giorni.
  • Viene costruito a New York il Chrysler Building, grattacielo in stile Decò.
  • Warren Marrison, orologiaio americano, inventa l’orologio a cristalli di quarzo.
  • Con l’enciclica Divinis Illius Magistri il Papa rivendica il diritto preminente della Chiesa nei confronti dello stato nel campo dell’educazione.

Nel mondo

I confini europei dopo la guerra

Riunione della SdN nel 1926

Nei due anni successivi alla fine della prima guerra mondiale, le trattative di pace svoltesi a Versailles ridefinirono i confini degli stati europei il cui assetto sarebbe stato garantito dalla contemporanea nascita della Società delle Nazioni.

La Germania subì la perdita di territori sia continentali che coloniali: questi ultimi passano alla Gran Bretagna, al Giappone e alla Francia; a favore di quest’ultima verrà anche stabilita la restituzione dell’Alsazia-Lorena, mentre la Polonia – appena ricostituita – riceverà i territori orientali (Pomerania, Posnania, Alta Slesia) che affacciano sul Mar Baltico.

Dalla parte dei vincitori si collocò invece l’Italia che allargò il suo territorio con l’annessione del Trentino e dell’Alto Adige e, a oriente, di Venezia Giulia e Trieste fino ad allora territori dell’impero austro-ungarico che dopo il crollo dell’istituto monarchico subì lo smembramento ad opera delle varie nazionalità che lo costituivano. Sarà poi la Conferenza di Versailles a riconoscerne l’esistenza sancendo la costituzione della Repubblica Austriaca (di dimensioni molto limitate), dell’Ungheria, della Cecoslovacchia, e della Jugoslavia.

Dall’area dell’Unione Sovietica si distaccarono Estonia, Lettonia e Lituania la cui indipendenza venne riconosciuta a Versailles. A oriente si ridusse lo stato nazionale turco (ex Impero Ottomano) e si ingrandì la Romania.

La SdN, organismo sovranazionale costituito dai soli stati vincitori, sanciva per statuto l’obbligo del mantenimento della pace da parte dei paesi membri ma, fin dalla sua nascita, portava con sé intrinseche debolezze, determinate dalla mancanza di un effettivo potere d’intervento e acuite dalla mancata adesione da parte degli USA.

Una pace punitiva

L'entrata delle truppe francesi a Essen durante l'occupazione della Ruhr, gennaio 1923

Alla Germania, oltre che alle ingenti riduzioni territoriali, era stato anche imposto il pagamento delle riparazioni a tutti i paesi vincitori per i danni subiti, e provvedimenti d’ordine militare: l’abolizione del servizio di leva, il tetto massimo di 100.000 soldati nell’esercito e la smilitarizzazione della zona renana.

La Francia, le cui truppe insieme a quelle belghe e inglesi avrebbero dovuto controllare la Valle del Reno, fu la nazione che più fortemente volle sia il pagamento delle riparazioni sia la smilitarizzazione tedesca. La volontà di rivalsa della Francia – che aveva subito più di un milione di morti – sulla Germania si esplicitò in particolare nella volontà di applicazione dei trattati di pace che, dall’altra parte, furono definiti dai tedeschi – che andavano maturando un risentimento di carattere nazionalista – Diktat sottolineandone la durezza.

Proprio per ottenere il pagamento delle riparazioni – che era stato calcolato in 132 miliardi di marchi-oro da versare a rate nel corso di circa 40 anni – nel 1923 la Francia occupò la Ruhr ritrovandosi però da sola, priva dell’appoggio degli altri stati membri della SdN, e in difficoltà economiche.

La crisi inflazionistica, determinata dall’incremento di produzione di carta moneta, e l’occupazione della Ruhr provocarono proteste e lo sviluppo di forze nazionaliste di estrema destra tra cui il Partito Nazionalsocialista di Hitler nato nel 1920.

La distensione di Locarno

Gustav Stresemann, Austen Chamberlain e Aristide Briand a Locarno, nel 1925

Proprio Francia e Germania, principali antagoniste in merito alla questione delle riparazioni, furono protagoniste, intorno alla metà degli anni Venti, di una politica di distensione che ebbe come punti fondamentali l’evacuazione della Ruhr da parte della Francia e l’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni (1926).

I principali sostenitori di questa politica – che avrà il suo apice nella firma del patto Kellog-Briand (1928) col quale si condannava la guerra – nei due paesi saranno i rispettivi ministri degli esteri Aristide Briand e Gustav Stresemann.

Questa politica, frutto della volontà di rispettare i punti fondanti della SdN, ebbe il suo primo passo nella firma del “protocollo di Ginevra”, nel 1924, e negli “accordi di Locarno”, luogo in cui si formalizzarono gli accordi tra Francia e Germania nel 1925.

La fase di distensione e di concordia che sembrava aprirsi in quell’anno, si basava sul riconoscimento da parte della Germania dei confini che erano stati stabiliti nel 1919 a Versailles, ma solo per quello che riguardava l’ovest; nessun impegno fu firmato invece per i confini ad est e la Renania.

Le conseguenze della guerra

Pacchi di nuove banconote della Reichsbank che aspettano di essere messe in circolo, durante l'iperinflazione del 1923

Le risorse materiali e umane perdute con la prima guerra mondiale costituirono uno degli ostacoli maggiori alla ripresa della vita in tempo di pace. Non solo mancavano le risorse monetarie per pagare i debiti (avviando un forte processo inflazionistico), ma il ritorno dei soldati dal fronte, la fine della produzione bellica e la necessità di riconversione delle industrie a un’economia di pace, provocò un alto livello di disoccupazione.

Negli stati vinti, ai disagi prodotti dall’inflazione si affiancavano proteste e disordini civili; mentre Francia e Inghilterra erano fortemente indebitate nei confronti degli USA. Proprio gli Stati Uniti d’America, avvantaggiati dall’esser rimasti territorialmente indenni dalla guerra e dall’aver perso relativamente meno uomini delle altre nazioni, rappresenteranno da questo momento in poi la nuova potenza economica mondiale a fronte del ridimensionamento dell’Europa incalzata anche dalla crescita economica del Giappone.

La Francia negli anni Venti

Raymond Poincaré

La crisi economica e la difficile ripresa post-bellica portarono alla vittoria, nelle elezioni del 1919, del “blocco nazionale”, raggruppamento di centro-destra con a capo Millerand. Vari governi si susseguirono però a distanza di circa due anni l’uno dall’altro: nel 1922 fu eletto Raymond Poincaré, sostenitore della politica antitedesca che si concretò nell’occupazione della Ruhr. Nel 1924, in conseguenza al fallimento della suddetta politica estera e della crisi economica e monetaria, il governo passò nelle mani del radicale Edouard Herriot eletto per il “Cartello delle sinistre”.

Poincaré fu nuovamente eletto nel 1926. L’instabilità politica caratterizzò perciò tutto l’arco degli anni Venti e si accompagnò a periodiche crisi monetarie che però non bloccarono lo sviluppo economico né dal. punto di vista della crescita del reddito nazionale né della produzione industriale.

Le proteste sindacali e sociali, che ebbero luogo sotto i governi di destra, furono duramente represse. Nonostante questo nel 1919 venne ottenuta la giornata lavorativa di 8 ore. Nel 1920 era nato il Partito Comunista francese sotto la guida di Marcel Cachin.

L’Inghilterra negli anni Venti

Minatori di Tyldesdey protestano durante lo sciopero generale del 1926

L’Inghilterra visse, negli anni dopo la prima guerra mondiale, un’instabilità economica ancora superiore a quella francese. Fino al primo quindicennio del Novecento l’Inghilterra aveva ricoperto un ruolo commerciale e finanziario centrale a livello europeo; alla fine della guerra – con la produzione industriale stagnante e il settore minerario in crisi – si trovò in grandi difficoltà, e, per tentare di mantenere il valore della sterlina al livello del dollaro, fu stabilita la riduzione delle spese pubbliche e dei consumi. Tale politica economica produsse però da una parte un’ingente diminuzione delle esportazioni e dall’altra l’incremento della disoccupazione.

Negli anni dal 1918 al 1931, fatta eccezione per due governi laburisti di breve durata, la Gran Bretagna fu nelle mani dei conservatori che osteggiarono le richieste del movimento sindacale delle Trade Unions, cresciuto numericamente a tal punto che, nel 1926, ebbe il potere di indire il primo sciopero generale inglese. I minatori rimasero in agitazione per nove giorni ma non ottennero risultati positivi venendo infine abbandonati dai sindacati stessi.

La Germania verso un difficile equilibrio

Dimostrazione davanti al Reichstag contro il Trattato di Vaesailles, 1919

La Repubblica di Weimar (e il tentativo di fondare una democrazia stabile) fu minata alle basi dalle tensioni sociali e dalle pessime condizioni dell’economia tedesca. Sono questi, infatti, i due aspetti che meglio descrivono le condizioni della Germania durante gli anni Venti. I reduci erano alle prese con enormi difficoltà di reintegrazione e di occupazione e, in generale, la popolazione si dibatteva in condizioni di precarietà e di povertà. Il tutto fu notevolmente aggravato, dopo che fu stabilita la cifra che la Germania doveva pagare per le riparazioni della guerra, dal vertiginoso processo inflazionistico. La perdita del valore d’acquisto della carta moneta determinò sia la lievitazione dei prezzi dei beni d’uso quotidiano, sia la svalutazione dei risparmi e degli stipendi. La crisi economica portava gravi tensioni a livello politico, tensioni che si tradussero nel 1920 nel tentato colpo di stato da parte di squadre armate (Freikorps) reclutate tra soldati e ufficiali smobilitati: il Putsch di Kapp era il sintomo di una minaccia proveniente da destra.

A fronte di una difficilissima e drammatica situazione dovuta alla grave crisi economica che investiva in particolare ceti medi e popolari, il governo, guidato dall’esponente del Partito Popolare Gustav Stresemann, che ricoprì inoltre fino al 1929 la carica di ministro degli esteri, cercò con parziale successo di trovare una via d’uscita dal tunnel della crisi con la stesura del Piano Dawes (1924); questo prevedeva il riconoscimento e la dilazione dei crediti di guerra e l’erogazione di un cospicuo finanziamento internazionale. Il piano permise alla Germania di venire a capo della questione delle riparazioni contenendo per quanto possibile i danni, reinserendola al contempo, grazie alla partecipazione alla stipula del patto di Locarno nel 1925, nelle relazioni internazionali (processo suggellato dall’ingresso nella SdN). Tuttavia, mentre al Reichstag si susseguivano governi egemonizzati dal Partito Popolare e dal Zentrum cattolico, le elezioni presidenziali del 1925 avevano fatto registrare uno sbilanciamento verso destra nella politica del paese: infatti, l’elezione del maresciallo von Hindenburg, l’“eroe di Tannenberg”, se da un lato rappresentava il sintomo di una profonda spaccatura tra i partiti di sinistra (la KPD rifiutò di votare per il candidato cattolico) che risulterà in seguito nefasta per la Germania, dall’altro sanciva il progressivo radicamento nella società di tendenze socialmente conservatrici e di matrice nazionalista.

Soldati durante il Kapp Putsch a berlino di von Luttwitz; il cartello ammonisce: a chiunque prosegua verrà sparato

Pur contraddistinta da un impianto costituzionale all’epoca tra i più avanzati, la Repubblica di Weimar non resse alla durissima prova impostale dalla situazione postbellica del paese. Le conseguenze della guerra si concretavano nei primi anni Venti in un elevato livello di disoccupazione, nella difficile reintegrazione dei reduci, in un endemico stato di povertà e di penuria. La pertinace volontà punitiva perseguita ed imposta dalla Francia a Versailles, si era tradotta (1921) nella decisione da parte della commissione preposta di comminare alla Germania il pagamento di ben 132 miliardi di marchi in oro a titolo di riparazioni di guerra. Fu il colpo di grazia per il fragile equilibrio del tenore di vita delle classi popolari e dei ceti medi: la cartamoneta perse quasi totalmente il proprio valore, con un indice inflativo altissimo, con risparmi o titoli di stato praticamente azzerati e con stipendi incapaci di tenere il confronto con il carovita.

Di fronte al rifiuto da parte tedesca di corrispondere la rata delle riparazioni per il 1922, la reazione francese, pur non condivisa dagli alleati angloamericani, si concretizzò con l’occupazione, coadiuvata da truppe belghe, del bacino industriale della Ruhr, sede di una parte importante dell’industria pesante germanica. Immediato, anche perché stimolato dal governo di Berlino, il tentativo di sabotaggio da parte di industriali e operai tedeschi nei confronti di qualsiasi collaborazione con gli occupanti. Il governo Stresemann, in carica dall’agosto 1923, spinto anche dal pesante onere finanziario richiesto dall’appoggio alla resistenza passiva, optò per una riapertura delle trattative con la Francia, con l’obiettivo, caldeggiato anche da Inghilterra e Stati Uniti, di una progressiva distensione dei rapporti internazionali. La soluzione della questione della Ruhr, con il ritiro del contingente d’occupazione franco-belga, si inscrisse nel 1924 all’interno del più articolato Piano Dawes per la liquidazione delle riparazioni.

La questione contribuì tuttavia ad esacerbare le rivendicazioni di matrice nazionalista che attraversavano la Germania dalla fine della guerra. Il 24 giugno 1922 veniva infatti assassinato da militanti di estrema destra il ministro degli Esteri tedesco Walter Rathenau, esponente del Partito Democratico e fautore di una strategia di accordi e distensione con le nazioni vincitrici del conflitto mondiale. La spirale terroristica, inaugurata fin dal 1919 dalle formazioni di estrema destra, aveva conosciuto il proprio acme nel 1920, quando Wolfgang Kapp e Walter Lüttwitz ordirono un tentativo di colpo di stato, sventato soltanto dalla immediata mobilitazione operaia, ma che al tempo stesso aveva mostrato la drammatica inadeguatezza governativa ad arginare tali spinte eversive.

Tra i movimenti e i partiti nati sull’onda della frustrazione per il “tradimento di Versailles” perpetrato in particolare dalla sinistra ai danni della “nazione germanica”, va segnalata la fondazione nel 1920, ad opera dell’ex-combattente austriaco Adolf Hitler, della NSDAP, il Partito Nazionalsocialista.

La penisola iberica: governi clerical-autoritari

L'annuncio a Madrid del primo governo de Rivera, 1923

Sia la Spagna che il Portogallo, all’inizio degli anni Venti, presentavano caratteri economicamente e socialmente arretrati: un’agricoltura dominata dal latifondo, un’industria ancora ristretta in poche enclaves territoriali, una borghesia debole e incerta, la Chiesa cattolica e i grandi proprietari ai vertici della gerarchia sociale, un’enorme massa di salariati agricoli e una ristretta classe operaia.

In Spagna l’istituto monarchico era bilanciato da una carta costituzionale e da un organo rappresentativo, Cortes, di fatto poco influente. La solidità politico-istituzionale era, in effetti, assai scarsa se, all’inizio degli anni Venti una serie di scioperi indetti dalle confederazioni sindacali (la UGT, di stampo socialista, e la CNT di matrice anarchica) causò l’immediata reazione di una parte importante dell’esercito, di stanza in Marocco. Il generale catalano Miguel Primo de Rivera, in risposta all’inchiesta aperta sull’accaduto, minacciò dunque nel 1923 di marciare sulla capitale, per vendicare “l’affronto”. Il colpo di mano fu evitato dal re Alfonso XIII, al prezzo però della nomina a capo del governo del generale ribelle. Si trattava di un ennesimo pronunciamiento dell’esercito spagnolo, caratteristica strutturale della storia della società e delle istituzioni spagnole; dal 1926, Primo de Rivera si mise alla testa di un regime clerico-autoritario, fondato cioè sull’abolizione delle libertà civili e politiche, e sostenuto solidamente dalla Chiesa cattolica.

Vicende di segno simile caratterizzano anche il Portogallo dove, dopo due colpi di stato nel periodo 1915-1919, il fragile governo liberale venne soppiantato nel 1926 dal regime, anch’esso clerico-autoritario, del generale Antonio Carmona.

L’ondata conservatrice nell’Europa centro-orientale

Karl Renner e il resto della delegazione, dopo aver firmato il trattato, 1919

L’Europa, uscita dalla guerra, vide ovunque la nascita e l’affermazione di movimenti e partiti di estrema destra, che fondavano il loro programma su rivendicazioni nazionaliste, viscerale antisocialismo, autoritarismo politico. Solo i paesi dall’assetto istituzionale più solido e che avevano subito meno pesantemente le conseguenze della guerra, quali la Francia e l’Inghilterra, riuscirono ad evitare l’involuzione che caratterizzò, ad esempio, l’Europa centro-orientale. Il riferimento, all’epoca più o meno esplicito ma sempre presente, al regime fascista italiano non deve tuttavia far confondere il fenomeno italiano (e in seguito tedesco) con la maggior parte dei regimi in questione, quasi sempre di tradizionale natura militare e clerico-autoritaria.

Ridotta dal crollo dell’impero asburgico a dimensioni simili a quelle attuali, l’Austria era divenuta Repubblica nel 1918 e l’anno successivo libere elezioni chiamavano al governo il giurista liberale Karl Renner. I conflitti sociali, alimentati dalla crisi economica, portarono tuttavia nel 1927 all’istituzione della Heilwehr, polizia politica di ispirazione fascista, preludio alla decisa svolta autoritaria del decennio successivo.

L'ammiraglio Miklòs Horthy entra in Budapest a capo dell'esercito nazionale, 16 novembre 1919: accolto dagli alti ufficiali, accuserà la popolazione cittadina, fino a due giorni prima occupata dall'esercito rumeno, di aver supportato il bolscevismo di Bela Kun e di tradimento verso la nazione. Attaccato politicamente dai comunisti, dai restauratori filoasburgici e indipendentisti cecoslovacchi, cercherà supporto coi fascisti visitando Roma fascista nel '36

In Ungheria e in Polonia invece, già negli anni Venti, nacquero le dittature personali di stampo militar-autoritario dell’ammiraglio Horthy e del generale Pilsudsky. L’instabile area balcanica vide proliferare quasi ovunque regimi di tipo militare come quello del leader dell’estrema destra bulgara Cankov, che nel 1923 con un colpo di stato rovesciò il governo egemonizzato dal Partito Contadino di Alessandro Stambolijski. In Jugoslavia (nata nel 19181919 dall’unione di Croazia, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Slovenia) il decennio fu attraversato da continui conflitti politici ed etnici, finché nel 1929 il re Alessandro I sciolse il parlamento e proclamò la dittatura. La fragile repubblica greca, nata nel 1924 in seguito all’abdicazione del re Giorgio II, viveva tra instabilità politica e dispute territoriali con Turchia e Bulgaria, tracciando il percorso che avrebbe condotto alla dittatura militare negli anni Trenta. In Albania infine il presidente della repubblica Amhed Zogu varò nel 1925 una costituzione apertamente autoritaria, per venire poi eletto re nel 1928.

Unica eccezione è rappresentata dalla Cecoslovacchia, che riuscì a preservare, grazie anche alla miglior situazione economica, un sistema di tipo parlamentare e liberale, guidato da uomini politici come Masaryk e Beneš.

La nascita dell’IRA

Soldati dell'IRA, 1921

La questione irlandese fu uno dei temi caldi che il governo inglese dovette affrontare a cavallo della prima guerra mondiale, quando il movimento indipendentista irlandese mise in atto una violenta ribellione contro la Gran Bretagna. Nel 1916 scoppiò la rivolta denominata “Pasqua di sangue” che fu duramente repressa; alla fine del conflitto mondiale, nel 1919, l’Irlanda proclamò, unilateralmente, l’indipendenza.

Il governo britannico, pur restio inizialmente ad accettare la sconfitta, fu costretto a cedere e a prendere atto della necessità di sostituire alla repressione una politica di negoziato.

Il 1919 fu anche l’anno di fondazione dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) che nasceva come organizzazione armata del preesistente movimento indipendentista Sinn Feinn, fondato all’inizio del Novecento.

Nel 1921 la Gran Bretagna riconobbe la formazione di uno stato libero d’Irlanda, firmò con i rappresentanti del Sinn Feinn un trattato di pace nel quale si riconosceva l’esistenza dello stato libero dell’Irlanda del sud, mentre il nord (Ulster) rimaneva sotto il governo Britannico.

Gran parte del movimento non accettò i termini dell’accordo e proseguì nella lotta antibritannica.

Estremo oriente: India, Cina e Giappone

Mohandas Karamchand Gandhi all'arcolaio

L’India aveva contribuito alla vittoria inglese durante la prima guerra mondiale con uomini e ingenti risorse e richiedeva, dopo la fine del conflitto, l’indipendenza. Il Partito del Congresso, la cui nascita era coincisa con la modernizzazione amministrativa e con l’emergere di una borghesia industriale e commerciale, portava avanti delle rivendicazioni di carattere nazionalista alle quali l’Inghilterra rispondeva oscillando tra repressione e riformismo.

Durante gli anni della guerra era diventato leader del nazionalismo indiano Mohandas Karamchand Gandhi, avvocato che aveva speso gli anni della sua formazione in Gran Bretagna e che aveva poi difeso i lavoratori indiani delle miniere sudafricane, il quale tornato in patria aveva elaborato una strategia di lotta per l’indipendenza che si basava sul rifiuto del terrorismo e sulla non violenza, propugnando la disobbedienza civile e il boicottaggio delle leggi inglesi. La risposta britannica al nazionalismo indiano fu data nel 1919 con l’India Act che tendeva a decentralizzare il governo, pur mantenendo però una base ristretta per le elezioni dei corpi rappresentativi e accrescendo l’insoddisfazione nazionalista.

Chiang Kai-she (a destra) con la famiglia di Sun

In Cina il dopoguerra aveva significato la definitiva affermazione del movimento nazionalista che aspirava all’affrancamento del paese dall’egida dei paesi occidentali. Nel 1921 era stato rieletto presidente della repubblica Sun Yat-sen, leader del partito nazionalista Kuomintang (KMT): la sua strategia si basava da un lato sull’abbattimento delle forze politiche interne contrarie all’ipotesi di un governo forte, dall’altro su di un’alleanza in politica estera con l’URSS, unico paese che si dichiarava nemico degli imperialismi europei e statunitensi. Nel 1923, a cementare il legame coi sovietici, era sorto il PCC, Partito Comunista, che confluì, pur restando autonomo, nel KMT. La morte di Sun Yat-sen nel 1925 portò tuttavia alla crisi dell’alleanza tra nazionalisti e comunisti che già aveva mostrato primi sintomi di debolezza: tra il 1926 e il 1927 ebbe inizio una guerra tra il governo di Pechino e i nazionalisti del KMT. Il partito nazionalista Kuomintang era passato sotto la guida del capo dell’esercito Chiang Kai-shek e da esso erano stati epurati i comunisti e i consiglieri sovietici. Il leader del KMT si mise a capo di un proprio governo con sede a Nanchino. Grazie anche al riconoscimento da parte di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, il governo del KMT riuscì nel 1928 a conquistare Pechino e ad instaurare un governo che, pur con un incremento della base industriale, lasciava i settori economici più avanzati in mano straniera.

Imperatore Taishō e i suoi 4 figli: Hirohito, Takahito, Nobuhito e Yasuhito (1921)

La crisi del “modello prussiano”, dopo la guerra, aveva comportato per il Giappone una crisi di legittimità del proprio sistema istituzionale e politico, ad esso ispirato. La spinta verso il parlamentarismo crebbe, pur rimanendo indiscusse le prerogative imperiali e il potere delle grandi concentrazioni economiche, gli zaibatsu. I partiti infatti rimanevano sotto la loro diretta influenza finanziaria: una legge del 1923 addirittura stabiliva severe sanzioni per chiunque mirasse ad “alterare la struttura nazionale o a ripudiare il sistema della proprietà privata”, norma che chiaramente dichiarava illegale ogni rappresentanza politica autonoma delle classi lavoratrici.

1919-1921 centinaia di scioperi in tutta Italia

I lavoratori della Borletti davanti al loro stabilimento in via Washington (Milano)

La politica dei governi liberali mostrò tutta la sua inadeguatezza all’indomani della prima guerra mondiale, così lontana com’era da una dimensione moderna e di massa, e così concentrata nella difesa degli interessi dei ceti industriali e agrari.

Le masse lavoratrici chiedevano il riconoscimento dei loro diritti e in particolare la giornata lavorativa di otto ore, la difesa salariale, la difesa del posto di lavoro dalle ristrutturazioni e riconversioni in corso nell’industria. Nel 1919, infatti, alla Fiat, era stato costituito il primo consiglio di fabbrica al quale fecero seguito altri consigli nelle fabbriche dell’area metallurgica torinese. I consigli non furono però riconosciuti dagli industriali che anzi si raccolsero attorno alla Confederazione generale dell’industria per opporsi, in maniera compatta, alle richieste operaie. Proprio nel corso dell’estate 1920 maturò il fallimento del movimento operaio: dal mese di agosto era iniziata l’occupazione delle fabbriche a Torino e Milano, alla quale gli industriali avrebbero voluto rispondere con la forza della repressione militare. Giolitti, invece, comprese la sostanziale debolezza del PSI e di conseguenza ebbe spazio per agire tatticamente rifiutando la repressione e promettendo, ma mai realizzando, la futura attuazione del “controllo operaio” sulle fabbriche, inducendo così la fine delle occupazioni.

In ogni caso gli scioperi, a carattere economico ma anche più prettamente politico, dilagarono nell’intero paese toccando il culmine nell’estate del 1919: nel corso di quell’anno si ebbero 1663 scioperi nel settore industriale e 208 dei lavoratori agricoli, e nel luglio-agosto l’aumento dei prezzi portò al saccheggio di mercati e negozi. Sempre durante l’estate i contadini del sud e centro Italia avviarono l’occupazione delle terre incolte che proseguì fino al 1920.

Tra il sansepolcrismo e la marcia su Roma

Lo stato maggiore fascista (da sinistra a destra: Emilio De Bono, Michele Bianchi, Benito Mussolini, Cesare Maria De Vecchi e Italo Balbo)

All’interno della crisi del primo dopo guerra italiano si inserisce la genesi del fascismo fondato a Milano nel 1919 con il nome di “Fasci di combattimento” dall’ex socialista Benito Mussolini. Dopo essere stato estromesso dal PSI nel 1914, per aver manifestato posizioni interventiste sulle pagine del suo quotidiano “Il popolo d’Italia”, alla fine della guerra Mussolini si presentò come il patrocinatore delle esigenze delle classi piccolo-borghesi. Il programma dei fasci, detto “programma di Sansepolcro”, sintetizzava in maniera contraddittoria posizioni nazionalistiche e rivendicazioni democratiche: si scagliava contro i

neutralisti e contro i profittatori di guerra, rivendicava la repubblica e il suffragio universale, chiedeva la fine del reclutamento obbligatorio e il disarmo universale, le otto ore di lavoro e il controllo operaio delle aziende. Un programma poco coerente ma che trovava adepti proprio nelle classi piccolo-borghesi e nei combattenti che si reputavano schiacciati tra le rivendicazioni operaie e il potere della grande borghesia.

Già nel corso dell’anno successivo il fascismo mostrò il suo vero volto concentrandosi sostanzialmente in aggressioni antisocialiste nell’Italia centro settentrionale: le squadre fasciste picchiavano uomini, incendiavano sedi delle Case del Popolo e di cooperative, concentrandosi in prevalenza nelle aree rurali, in virtù del sostegno economico degli agrari interessati a sfruttarne la violenza contro le rivendicazioni contadine e bracciantili.

Il 28 ottobre 1922 i fascisti armati marciarono verso la capitale e raggiungendola ottennero il potere. La marcia su Roma mostrò il vero volto del re e della classe dirigente: il primo che rifiutò di firmare lo stato d’assedio all’avanzare dei fascisti, e la seconda che in fondo guardava con simpatia al fascismo o credeva di potere ricondurre il movimento eversivo all’interno delle istituzioni liberali.

Nacque così il primo governo Mussolini, formato da una coalizione con la classe dirigente liberale ancora convinta che il fascismo sarebbe stato solo un breve momento di transizione, debole dal punto di vista parlamentare (con solo 35 deputati) ma forte di una propria forza militare e dell’appoggio della grande borghesia.

La costruzione dello Stato fascista

Fotografia della prima riunione del Consiglio dei Ministri del Governo Mussolini

Dopo aver messo in vigore, nel luglio 1924, norme contro la libertà di stampa, la completa trasformazione dello stato liberale in regime fascista venne compiuta negli anni immediatamente successivi con le leggi “fascistissime”. Con queste il Presidente del Consiglio divenne capo del governo e accentrò in sé tutti i poteri esautorando il parlamento. Le associazioni erano state sottoposte al controllo della polizia, la Confederazione generale dei lavoratori era stata eliminata, ed erano nate le Corporazioni nazionali, i ‘sindacati’ fascisti, unici riconosciuti legalmente nei quali datori di lavoro e lavoratori venivano rappresentati insieme. A livello locale furono abolite le elezioni amministrative e i sindaci furono sostituti con i podestà, nominati direttamente dal governo. Infine nel 1926 furono sciolti tutti i partiti, soppressi e ridotti alla clandestinità tutti i giornali antifascisti, e fu istituito un tribunale speciale per la difesa dello stato e la polizia politica (OVRA) per la repressione dell’antifascismo.

Il regime volle ben presto ricompensare quelle forze economiche che, fino ad allora, l’avevano sostenuto accrescendo le imposte indirette, ritirando la legge sulla nominatività dei titoli (1922) e abolendo la legge sulle successioni (1923). Inoltre Mussolini privatizzò numerose industrie quali quella del telefono e l’industria dei fiammiferi, andando incontro, in chiave liberista, agli interessi capitalisti che chiedevano meno tasse e maggiore libertà di iniziativa. L’agevolazione dei ceti industriali e agrari andò di pari passo con il peggioramento delle condizioni salariali delle classi lavoratrici che, prive ormai di ogni sostegno sindacale, videro pesare sui propri salari, ripetutamente decurtati, gran parte dei profitti degli imprenditori.

Gli oppositori

Giacomo Matteotti, qualche momento prima di essere rapito e poi ucciso da un commando fascista

Nonostante il fascismo fosse giunto al governo nel corso degli anni 1922-26 dovette lavorare al consolidamento di un potere che non era ancora così saldo: Mussolini era ancora vincolato alla maggioranza parlamentare e doveva fare i conti con i partiti e i sindacati di sinistra.

Per garantirsi libertà di azione e il pieno controllo del potere, Mussolini procedette alla liquidazione delle opposizioni e alla liquidazione delle istituzioni liberali: non più pluralità di partiti, non più organizzazioni sindacali libere, e nemmeno verifiche elettorali o libertà di stampa; tutto ciò che avrebbe potuto nuocere alla sua affermazione di potere, venne liquidato nel corso dei quattro anni successivi alla marcia su Roma.

Contemporaneamente alla liquidazione degli avversari il fascismo si dotò di istituzioni proprie che comportarono la completa fascistizzazione dello Stato: nel 1922 nacque il Gran Consiglio del fascismo, organismo che aveva la funzione di collegare partito e governo; nel 1923 la MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) che garantiva al fascismo una forza armata sotto il suo pieno controllo. Sempre nel 1923, altri due momenti segnarono la piena presa del potere del fascismo: la fusione con il Partito Nazionalista (da cui nacque il Partito Nazionale Fascista), e l’approvazione di una nuova legge elettorale (legge Acerbo) che assegnava i due terzi dei seggi al partito che avesse avuto il 25% dei voti e che garantì la vittoria al PNF alle elezioni del 1924.

Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista unitario, denunciò le violenze fasciste in un durissimo discorso al parlamento e fu, per questo, rapito e ucciso da sicari fascisti. La crisi politica che ne derivò mostrò la debolezza della sinistra che non seppe imporre politicamente la necessità di sfiduciare Mussolini. Da lì a poco, con la messa fuori legge di tutti i partiti non fascisti, 120 deputati dell’opposizione vennero privati del mandato parlamentare e gli oppositori furono mandati al confino in località isolate.

La Chiesa e il fascismo

Il moento della firma dei Patti Lateranensi

Il ritiro della legge sulla nominatività dei titoli e il salvataggio della Banca di Roma, nella quale erano ingenti gli interessi finanziari vaticani, avevano costituito le premesse di un rapporto organico che già a partire dai primi governi Mussolini si era stabilito tra Vaticano e PNF, prima ancora della firma del Concordato nel 1929.

La Chiesa aveva riconosciuto fin dall’inizio in Mussolini “l’uomo della provvidenza”, colui il quale avrebbe salvato lo stato e la società dalla disgregazione che vedeva emergere negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Il ritorno all’ordine, di cui il fascismo si faceva promotore e campione, fece sì che la chiesa passasse sopra alla mancanza di libertà che questo avrebbe comportato.

In occasione del Plebiscito del 1929, nel quale il fascismo presentò una lista unica di candidati alla quale gli elettori potevano rispondere solo sì o no, la chiesa diede il suo fondamentale appoggio per la vittoria del sì. Si trattava del frutto del Concordato tra chiesa e stato che Mussolini aveva firmato con il Vaticano l’11 febbraio 1929 dopo le trattative nel Palazzo del Laterano a Roma.

Si chiudeva così, dopo più di 50 anni, la “questione romana” che si era aperta nel 1870 con la conquista di Porta Pia e che aveva condizionato i rapporti tra Stato e Chiesa fino ad allora.

Il Concordato prevedeva il riconoscimento della religione cattolica come unica religione di stato; il riconoscimento della sovranità e dell’indipendenza della città del Vaticano come stato autonomo e, viceversa, il riconoscimento del Regno d’Italia da parte della Chiesa. Si stabiliva inoltre un risarcimento di un miliardo e 750 milioni da parte dello Stato come indennizzo per le perdite dei proventi dell’ex Stato Pontificio; mentre altre clausole stabilivano nei dettagli le relazioni reciproche tra Stato e Chiesa. Pio XI espresse la sua soddisfazione per l’accordo raggiunto dando il via, di fatto, al pieno appoggio della Chiesa al regime fascista affermando che il Concordato aveva restituito “Dio all’Italia e l’Italia a Dio”.

L’URSS da Lenin al regime stalinista

L'ultima foto di Lenin in vita, scattata nel maggio 1923

Nel 1921 al X Congresso venne varata la Nuova Politica Economica (NEP) elaborata da Lenin e rivolta alle campagne al fine di riavviare la produzione agricola poiché i contadini, per reagire alle requisizioni, avevano ridotto le aree coltivate determinando una cronica assenza di merci nelle città. La Nuova Politica Economica stabiliva la riduzione del 40% delle tasse, la riapertura del commercio all’iniziativa privata e la ripresa delle piccole e medie aziende private. Nelle mani dello stato rimaneva il controllo della grande industria, delle banche, dei trasporti e il monopolio del commercio con l’estero. La NEP, che aveva favorito la ripresa della produzione, non aveva colmato però la differenza di prezzi tra beni industriali (più cari) e agricoli (meno cari) favorendo sì la presenza di beni di consumo alimentari nelle città, ma allo stesso tempo dando vita a una nuova classe di contadini ricchi (i kulaki) che costituivano una classe borghese contrapposta al potere sovietico.

Contemporaneamente, ai vertici di partito, si era messo in moto, dal 1922, il processo che avrebbe portato Stalin a capo incontrastato del PCUS. Lenin si era ammalato nel 1922, quando Stalin era già segretario generale da un anno, ma prima di morire aveva raccomandato nel suo testamento politico di sostituire Stalin del quale lo allarmavano i criteri autoritari. Nell’assenza di Lenin però le lacerazioni all’interno del partito si fecero più forti: Trotzkij e Stalin si trovarono su due posizioni antitetiche in merito alla soluzione della degenerazione burocratica e alla realizzazione del socialismo in un paese solo. Trotzkij reputava impossibile proseguire sulla strada dell’isolamento, ma Stalin andò in direzione opposta forte dell’appoggio dei quadri del partito e dello stato. Alla morte di Lenin, Stalin emarginò prima Trotzkij poi anche Zinov’ev e Kamenev appoggiandosi a Bucharin. Tutti gli oppositori furono sistematicamente espulsi, arrestati e deportati mentre Stalin dava fine alla NEP per inaugurare una nuova strategia economica in contrasto con lo stesso Bucharin, fino ad allora alleato, che fu anch’esso emarginato dal partito.

1919. La Terza Internazionale Comunista

Manifesto della Terza Internazionale

La crisi della II Internazionale si era consumata già prima dello scoppio del conflitto mondiale sulla questione centrale della posizione dei partiti socialisti di fronte alla guerra. Dopo lo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre, la necessità di costruzione del sistema sovietico induceva Lenin, che riteneva imprescindibile a questo scopo lo sviluppo di movimenti rivoluzionari nei paesi occidentali, a perseguire un radicale rinnovamento della natura e dei caratteri dell’Internazionale. Quest’ultima, infatti, doveva fondarsi su una base nuova che rompesse definitivamente col riformismo: la sua funzione principale doveva essere quella di propagare in tutta Europa la valenza catalizzatrice dell’esperienza bolscevica, favorendo i germi rivoluzionari. Dopo le difficoltà del 1918, dovute alla situazione di guerra in Russia, l’anno successivo (marzo 1919), spronati dalla sconfitta della Germania, dalla rivoluzione tedesca e dalla fondazione del Partito Comunista, i bolscevichi indissero il congresso fondatore dell’Internazionale Comunista (Komintern). Nonostante le obiezioni del delegato tedesco che, su mandato del proprio partito, si opponeva alla creazione di un’organizzazione ritenuta prematura (Rosa Luxemburg, che criticava la tendenza centralizzatrice bolscevica, temeva le ingerenze sovietiche nella strategia del KPD), nasceva il nuovo organo a netta prevalenza russa, ucraina e lettone. Nel 1920, al II Congresso, la situazione fu ben altra: aleggiava un’attesa messianica della conclusione della lotta di classe: le condizioni oggettive per la rivoluzione mondiale sembravano perfettamente riunite, anche se mancavano partiti capaci di creare quelle soggettive per la vittoria finale. Lenin e Trotzkij posero, per l’ammissione alla Terza Internazionale, 21 drastiche condizioni. Il II Congresso segnò una rottura tra comunismo e socialdemocrazia che proseguì ben oltre gli anni Venti e che fu latrice di infauste conseguenze tra le quali l’incapacità di comprendere i nascenti regimi fascisti e di opporvisi efficacemente.

Il socialismo secondo Stalin

Stalin e la figlia Svetlana (1935)

Il 1928 segnò la fine della NEP e l’avvio, a partire dal 1929-30, della collettivizzazione forzata delle terre per togliere potere ai kulaki e liberare manodopera da impiegare nelle industrie. Contemporaneamente venne varato il primo piano quinquennale (1928-1933) con il quale l’industria passò nelle mani dello stato così come anche il commercio. I piani quinquennali, che eliminarono la disoccupazione e aumentarono la produzione – migliorarono le condizioni della manodopera industriale a costo però di un grave sfruttamento della manodopera agricola – diventavano così il mezzo per realizzare il socialismo e per passare gradualmente al comunismo.

Perché questi programmi potessero essere realizzati, Stalin ritenne necessario disciplinare le relazioni sindacali secondo nuovi criteri. Innanzitutto, i sindacati vennero subordinati allo stato e ai progetti di pianificazione da questo elaborati; in secondo luogo vennero stabilite differenziazioni salariali che intendevano spingere i singoli operai a produrre di più; infine, si stabilì un contenimento dei livelli salariali su valori ridotti in modo da reinvestire tutti gli utili in nuovi impianti industriali.

Lo sviluppo economico negli USA

Catena di montaggio nella Ford Motor Company di Detroit

L’economia americana era stata fortemente avvantaggiata della posizione che gli USA avevano assunto durante il conflitto: le industrie non avevano necessità di riconvertirsi, come invece quelle europee, e la finanza era assurta a più potente del mondo sottraendo questo ruolo all’Inghilterra. La produzione aumentò vertiginosamente, il prodotto interno lordo aumentò del 43% e si avviò una fase di rapida crescita e facili guadagni.

L’industria - dell’auto, quella chimica, quella delle radio - crebbe a dismisura, anche in relazione alle sempre più vaste richieste, e diede avvio a un mutamento dei modelli di consumo e dei modelli di produzione.

Si riorganizzò la produzione industriale secondo i modelli del taylorismo e del fordismo: Taylor (1856-1915) aveva già preconizzato la necessità di suddividere le fasi di lavoro in singole fasi in modo da accrescere la produttività; Ford andò oltre meccanizzando tutte le fasi di lavorazione nelle industrie e puntando alla formazione di una forza lavoro nuova.

Egli dotò tutte le industrie di nastri trasportatori che sollevassero gli operai dalla fatica e dalla perdita di tempo dovuta allo spostamento di pezzi terminati, inaugurando quella che è chiamata “linea di montaggio”.

Egli volle, inoltre, coinvolgere gli operai in una forma di compartecipazione all’azienda aumentando i compensi, trasformando così i lavoratori in una nuova massa di potenziali acquirenti. I maggiori introiti di un operaio medio aumentavano, aumentando così la sua possibilità di affrontare spese e di accrescere i livelli di consumo.

Ford, inoltre, aveva avviato quello che è stato definito il “capitalismo del benessere” provvedendo direttamente alla creazione di scuole per i figli degli operai, di spacci aziendali, di assistenza medica. A tutto questo faceva da controparte un efficientissimo sistema di controllo e disciplina della manodopera che ne dirigeva i comportamenti. Ford non ammetteva, all’interno delle sue fabbriche, nessun sindacato e osteggiò duramente l’applicazione di contratti collettivi di lavoro su base nazionale.

Wall Street: il “martedì nero” dell’ottobre 1929

La sala di contrattazione azioni del New York Stock Exchange appena dopo il crollo del 1929.

A seguito dell’eccezionale aumento di produzione sia industriale sia agricola, cominciata nel primo dopoguerra, il mercato degli Stati Uniti raggiunse la saturazione dando luogo a una delle crisi economiche più devastanti.

Assenza di un intervento statale in materia economica e estrema libertà di mercato: queste le due cause principale che fecero sì che all’enorme crescita di investimenti e di produzione, impossibile da assorbire e da smerciare, dovette far seguito una riduzione della produzione stessa che provocò espulsione in massa della forza lavoro dalle fabbriche e drastiche riduzioni salariali.

Era stato innescato un fenomeno a catena perché le decurtazioni salariali e i mutamenti del tenore sociale, ridussero le possibilità d’acquisto e, dunque, le capacità di assorbimento della produzione. Il culmine della crisi fu rappresentato dal Big Crash della borsa di New York, il 29 ottobre 1929, che dette avvio ad un periodo di crisi durato fino al 1932 e i cui effetti si ripercossero rapidamente sul mercato europeo.

Nell’arco della crisi si ebbe un crollo del 50% della produzione industriale e del reddito agricolo, il conseguente aumento della disoccupazione (fenomeno che riguardò 13 milioni di persone, cioè il 25% della popolazione nel 1933) e l’ulteriore riduzione dei salari fino al 45% in meno rispetto all’inizio della crisi.

Alla fine della crisi cinquemila banche erano fallite e milioni di piccoli e medi risparmiatori, che avevano investito in azioni, avevano perso tutto il loro denaro passando repentinamente dal benessere alla povertà.

I riflessi della crisi sull’Europa

Folla di depositari manifestanti protestano davanti alla Bank of America

L’unico stato che rimase immune dalla propagazione della crisi americana del 1929 fu l’Unione Sovietica; per il resto, l’Europa intera ne subì le conseguenze.

Dalla fine della prima guerra mondiale l’economia europea era strettamente legata a quella statunitense e anche dipendente dai capitali americani.

Il momento di maggiore estensione della crisi fu il 1932, quando la produzione mondiale si era ridotta del 40% rispetto all’inizio della crisi e anche il commercio internazionale ne aveva risentito tanto da propagare gli effetti anche in Africa, Asia e America Latina.

In Europa, Austria e Germania furono indubbiamente le più colpite per la dipendenza finanziaria che le legava agli USA: molte banche fallirono, la disoccupazione aumentò vertiginosamente, toccando il 17% della popolazione attiva (sei milioni di persone), e la produzione crollò al 47% in meno.

Nel 1931 anche l’Inghilterra fu investita dal crollo: diede il via alla svalutazione della sterlina il cui valore scese del 30% e dovette fare i conti con il 15% di disoccupati; emerse così la fragilità del sistema economico britannico che si era affermato alla Conferenza di Genova del 1922.

La crisi si fece sentire, in generale, soprattutto tra le classi salariate, sia agricole sia industriali – che subivano l’effetto del crollo dei prezzi delle materie agricole e materie prime – e tra le classi medie di commercianti, impiegati e piccoli imprenditori.

Costume e Società

Primo dopoguerra: crisi economica e movimento sindacale

Milano, operai armati occupano le fabbriche durante il biennio rosso

Il ritorno dei reduci e le necessità di ricostruzione che impegnarono i paesi usciti dalla prima guerra mondiale, diedero corpo ad una forte crisi economica, sociale e politica, che ebbe esiti differenti nei vari stati.

Le proteste contro la disoccupazione fecero crescere in maniera rilevante i movimenti operai e sindacali, producendo in alcuni la speranza del comunismo e in altri il terrore del “pericolo rosso”.

In Italia, durante il “biennio rosso” 1919-20, i lavoratori parteciparono in gran numero a scioperi e manifestazioni rivendicative; più in generale la crisi economica del primo dopoguerra produsse in molti paesi d’Europa l’incremento del numero di iscritti ai sindacati e ai partiti. In Francia la CGT (Confédération générale du travail) che contava 2.400.000 aderenti, promosse nel 1919 una serie di lotte per il raggiungimento delle otto ore di lavoro giornaliere, per la parità di salario tra uomini e donne e per l’estensione dei contratti collettivi. Nel 1921 dalla CGT si staccarono i comunisti che fondarono la nuova confederazione CGTU. In Gran Bretagna i sindacati, che registravano otto milioni di iscritti, diedero vita nel 1919-20 a grandi agitazioni di diverse categorie che culminarono nello sciopero dei minatori del 1926 (che si risolse in una sconfitta del movimento operaio). In Spagna l’influenza maggiore nel sindacato era esercitata dalla componente anarchica che guidava la Federazione Anarchica Iberica (FAI) e la Confederazione Nazionale dei Lavoratori (CNT), mentre i Partito Comunista ebbe un ruolo marginale fino al 1936.

Dalla seconda metà degli anni Venti l’economia si stabilizzò e, al contempo, si ebbe una scissione tra socialismo riformista e comunismo che indebolì notevolmente il movimento operaio.

Lo sviluppo del sistema bancario

La filiale della Deutsche Bank di Chemnitz, costruita fra il 1921 e il 1926

A partire dagli ultimi quindici anni dell’Ottocento il sistema capitalistico aveva assunto connotati estremamente differenti rispetto al periodo precedente, fondendosi strettamente con gli istituiti bancari, tanto da far parlare di “capitalismo finanziario”.

L’ausilio delle banche e l’emissione di titoli di borsa diventò indispensabile per l’impianto di tutte le nuove fabbriche, le cosiddette “second comers”; inoltre gli oligopoli creati dalle concentrazioni di grandi aziende costrinsero presto anche le piccole e medie imprese a ricorrere, pur di non affogare, a finanziamenti bancari.

La banche divennero ‘miste’, raccoglievano cioè ancora i depositi dei risparmiatori e li investivano nella produzione aziendale e in altri settori dell’economia. Le banche tedesche, più note come quattro “D” (la Deutsche, la Diskonto, la Dresdner e la Darmstadter Bank), perfezionarono questo modello bancario e, come altri istituti europei (la London City Bank, il Crédit Lyonnais), estesero la loro area d’influenza ad altri continenti, fondandovi sedi e agenzie locali.

L’Inghilterra assurse a centro finanziario mondiale, dal quale partirà l’esportazione di modelli bancari verso l’America latina, il Medio oriente e l’Asia che si ritrovarono, però, economicamente subordinati agli investimenti europei in un nuovo rapporto di tipo imperialista.

La crisi del movimento operaio

La televisione autarchica

Gli anni Venti segnano uno dei momenti di maggiore impasse per il movimento operaio, e più in generale, per le forze politiche di sinistra, che in paesi come l’Italia e la Germania si erano imposti come protagonisti dopo la fine del conflitto mondiale. Fu il potente impulso generatosi dalla rivoluzione bolscevica ad alimentare le correnti rivoluzionarie che portarono alla formazione di organi di democrazia diretta all’interno delle fabbriche, improntati sul modello dei Soviet. Tuttavia, la reazione da parte industriale da un lato, che in particolare in Italia non esitò a convergere progressivamente verso un partito come quello fascista che prometteva una provvidenziale garanzia d’ordine, e la profonda scissione nel campo socialista tra correnti riformiste e rivoluzionarie (con la nascita dei partiti comunisti italiano e tedesco), condannò alla sconfitta l’intensa, ma breve, stagione di protagonismo operaio. In Italia, come accennato, l’ascesa al governo di Mussolini, che si era distinto per l’avallo degli attacchi squadristi alle sedi del Partito Socialista e del sindacato, costituiva il primo passo verso una politica di forte penalizzazione nei confronti delle classi lavoratrici e delle loro condizioni di vita e di lavoro, culminata con l’abolizione dei liberi sindacati e la nascita di quelli fascisti. In Germania invece, pur in un contesto democratico, l’esaurimento dell’esperienza dei Consigli andò di pari passo con l’allargamento del solco apertosi tra SPD e KPD: la netta avversione da parte del Komintern alla posizione governista della socialdemocrazia, accusata in base alla “teoria del socialfascismo” di rallentare l’imminente crollo del sistema capitalistico, fu uno dei principali motivi dell’incapacità di opporre risposte efficaci al progressivo spostamento verso destra della politica nazionale.

L’ascesa sociale delle classi medie

L'on. Mussolini, accompagnato dallo Stato Maggiore Fascista, passa in rivista i 40.000 fascisti schierati al campo sportivo

Gli anni Venti, col progressivo affermarsi del fascismo, videro in Italia l’accrescere di rilevanza politica e sociale delle classi medie. I governi liberali, sia prima della guerra, sia in particolare durante il “biennio rosso”, avevano riscosso in quest’area della società ben pochi consensi, a causa soprattutto della poca energia di cui erano accusati nei confronti del movimento operaio e sindacale. La strategia giolittiana non era, né poteva esserlo, sufficiente a soddisfare quella richiesta d’identità e di difesa degli interessi economici di cui le classi medie lamentavano la carenza.

Il fascismo individuò in esse uno dei nuclei centrali del proprio consenso: da un lato assicurava un controllo repressivo efficace nei confronti del “pericolo socialista”, mentre dall’altro seppe fornire ad esse un nuovo ruolo politico, per quanto subalterno e strumentale, sia ai vertici del partito sia agli interessi della grande borghesia degli affari. Le classi medie, decisive nel periodo della lotta per il potere, della conquista e del consolidamento, furono un bacino di provenienza per quel crescente “esercito” di quadri intermedi attivi nell’amministrazione dello stato, nel corpo militare, nell’organizzazione del partito e delle sue articolazioni.

Gli USA negli anni Venti

Il modello 200 Duster e il modello 575 di aspirapolveri della Hoover, prodotti su vastissima scala negli anni '20

Gli anni Venti, decennio nel quale furono presidenti i repubblicani Warren Harding (1920-23), Calvin Coolidge (1923-1928) ed Herbert Hoover (1928-32), gli USA vissero nella prosperità raggiunta attraverso l’incentivazione del sistema industriale e con il predominio finanziario che avevano conquistato con la prima guerra mondiale.

A partire dal 1919 e fino alla crisi di Wall Street, il reddito medio pro capite aumentò del 78% con una produzione che da sola costituiva quasi la metà della produzione mondiale. Per mantenere tali ritmi il sistema produttivo venne riorganizzato con la catena di montaggio, razionalizzando tempi e modalità lavorative sulla base delle teorie di Taylor.

Proporzionalmente connessa alla crescita del benessere, iniziò lo sviluppo dei centri urbani: l’emigrazione dalle campagne verso le città procedette senza sosta fino a giungere allo spopolamento delle prime e alla nascita di metropoli sovraffollate.

Anche dal punto di vista culturale si imposero rapidamente molti cambiamenti: si diffusero i mezzi di comunicazione di massa, la stampa, il cinema, la radio; il benessere cominciava a diffondersi anche tra la popolazione media, soprattutto fra quella urbanizzata.

Nuovi modelli di consumo

1927 Ford Model T

Nel primo dopoguerra crebbe notevolmente il mercato dei consumatori, incrementato dalla produzione industriale (e conseguente standardizzazione) e dalla comunicazione di massa. Nel corso degli anni Venti questo fenomeno si sviluppò negli USA, e si diffuse più tardi in Europa, dove il benessere stimolò la diffusione di nuovi stili di vita e di consumo in molta parte della popolazione.

Attraverso la pubblicità, il cinema, la radio, l’americano medio entrava in contatto con prodotti fino ad allora inesistenti che ben presto avrebbe reputato indispensabili: elettrodomestici, automobili, ma anche alimenti surgelati, furono messi in commercio a partire dal 1924 e si diffusero nei neonati supermercati.

L’automobile in particolare costituì un fenomeno del primo dopoguerra, poiché da bene di lusso divenne bene “popolare”. Il modello T della Ford venne prodotto tra il 1909 e il 1924 e fu acquistato da 15 milioni di americani dando avvio al mutamento degli stili di vita e all’incremento degli spostamenti; tutto ciò, d’altra parte, iniziò a modificare, sebbene ancora in modo lieve, il volto delle grandi città.

Anche l’abbigliamento, come l’auto, subì una grande espansione nel corso degli anni Venti: le donne cominciarono ad abbandonare tutti gli orpelli più scomodi fino ad allora imposti dai canoni estetici, uno fra tutti il busto rigido.

Coco Chanel, sarta parigina, a partire dal 1920 rivestì le donne, ormai liberate dai busti e dalle stecche di balena, con fascianti e morbidi abiti che ne mettevano leggermente in evidenza le forme. Insieme all’adozione del reggiseno, nel 1928, vennero accorciate le gonne (in casi estremi fino al ginocchio) mettendo in evidenza le ancora poco diffuse calze di nailon. Fu sempre Coco Chanel, per caso, a lanciare nel 1923 la moda dell’abbronzatura fino ad allora del tutto sconsigliabile alle signore per bene che si volevano bianco latte.

La scelta proibizionista e le organizzazioni malavitose

Al Capone, 1930

Nel 1919 venne adottato negli USA, a difesa delle più antiche tradizioni americane, il Volstead Act, che vietava la fabbricazione, la vendita, il trasporto e l’esportazione di bevande alcoliche. Si inaugurava così l’era del proibizionismo che vide tutti gli stati federati, fuorché Connecticut e Rhode Island, pronti a rendere operante ai termini di legge l’emendamento federale.

Le società urbane, in cui i discendenti dei pellegrini, protestanti e integralisti, si erano mescolati con membri di altre comunità di più recente immigrazione, erano riluttanti ad accettare questo provvedimento che stabiliva a 0,5 la percentuale alcolica oltre la quale una bevanda era proibita.

L’emendamento sarebbe stato abrogato 14 anni dopo, ma durante il periodo del proibizionismo, la malavita organizzata fece della vendita degli alcolici il suo più redditizio affare. La produzione di alcolici, infatti continuava, soprattutto a Detroit e Chicago, in modo clandestino e veniva poi smerciata illegalmente. La gang più importante che si impose nel commercio di alcolici fu quella di Al Capone, criminale di origine napoletana, che dotò i membri della sua banda di fucili mitragliatori. Dal commercio illegale di alcol, dalla prostituzione e dalle bische clandestine, egli guadagnò approssimativamente 60 milioni di dollari nel 1927. Nel 1929, dopo aver ordinato l’eccidio di una gang rivale (passato alla storia come il massacro di San Valentino), Al Capone venne arrestato e condannato a 11 anni di carcere per evasione fiscale.

Il Ku Klux Klan

Membri dei KKK durante una cerimonia notturna a Chicago

Sebbene la schiavitù fosse stata abolita nel 1804 e, alla fine della guerra civile nel 1865, la popolazione di colore avesse conquistato il diritto di voto, la discriminazione razziale condizionò ancora per molto tempo i rapporti sociali. La subordinazione della popolazione di colore a quella bianca non emergeva soltanto a livello sociale, ma anche istituzionale (un esempio per tutti: le persone di colore erano soggette ad un riconoscimento solo parziale del diritto di cittadinanza, frutto delle discriminazioni operate nei loro confronti persino dalla Corte Suprema).

I discendenti degli schiavi ma anche gli ispanici, gli asiatici e gli europei non anglosassoni, erano impiegati come manodopera sotto pagata nelle piantagioni del sud, dove vigeva un regime apertamente segregazionista. I reati commessi ai danni di cittadini di colore, infatti, non venivano mai perseguiti e rimanevano impuniti. Nei trasporti pubblici esistevano posti riservati ai bianchi, le scuole erano separate e solo i bianchi potevano accedere a determinati locali.

Membri dell’esercito sudista fondarono, nel Tennessee, nel 1866, l’organizzazione razzista del Ku Klux Klan che, nonostante fosse stata messa al bando nel 1877, si diffuse rapidamente in tutti gli stati del sud operando ripetute violenze contro la popolazione di colore. Si calcola che negli anni Venti i membri di tale organizzazione fossero alcuni milioni: si rendevano irriconoscibili nascondendosi sotto cappucci bianchi e palandrane e operavano violente spedizioni contro i neri che terminavano con fustigazioni, castrazioni e assassinii. Di frequente alla guida dei vari gruppi si trovavano proprio membri delle autorità locali. Bersaglio del Ku Klux Klan, oltre ai neri, erano tutti coloro che non fossero bianchi o protestanti (ebrei, asiatici), ma anche i militanti della sinistra.

La condanna a morte di Sacco e Vanzetti

Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco in manette

Nonostante il primato economico conquistato dagli USA all’indomani della prima guerra mondiale e nonostante il benessere che ne derivava, sorsero ugualmente problemi sociali e agitazioni che diedero vita a un’ondata di conservatorismo caratterizzata principalmente dalla “paura dei rossi”.

Nel clima di intolleranza che pervase la società americana degli anni Venti, si inserisce l’episodio della condanna a morte dei due anarchici italiani Sacco e Vanzetti.

Nell’aprile del 1920 essi vennero accusati di avere compiuto una rapina in una fabbrica nel Massachusetts e di avere ucciso un cassiere e un poliziotto. Essi avevano molti testimoni e un alibi che li scagionavano, ma nonostante ciò, nel 1921, a termine del procedimento penale, vennero condannati a morte. La corte li aveva condannati giudicandoli in base alle loro idee e non per i fatti loro attribuiti: importanti esponenti democratici statunitensi chiesero la revisione del processo, così come fecero anche altri paesi a seguito della protesta internazionale che ne era derivata.

L’accoglimento della richiesta da parte del governatore del Massachusetts, che dette luogo all’istituzione di una commissione d’inchiesta della quale fecero parte i rettori dell’Università di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology, non fu sufficiente a salvare i due italiani. Non sconfessando il clima di caccia alle streghe che era in atto in quegli anni, la commissione, pur rilevando gravi inadempienze da parte del tribunale, confermò la sentenza. Sacco e Vanzetti, uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927, verranno riconosciuti innocenti con la riapertura del caso alla fine degli anni Settanta.

Chiesa, autoritarismo e totalitarismo

Don Luigi Sturzo

L’elemento più caratterizzante delle scelte politiche della Chiesa, durante la prima parte del Novecento, fu l’avversione radicale verso i movimenti politici e sociali dei lavoratori. Tale fattore, molto più del rifiuto verso il liberalismo esposto fin dal Sillabo di Pio IX, contribuì al sostegno, fornito a partire dagli anni Venti, di quei regimi autoritari e totalitari che s’imposero in buona parte d’Europa. In Spagna, ad esempio, il regime clerico-militare instaurato nel 1923 dal generale Primo de Rivera poteva godere dell’appoggio di una gerarchia ecclesiastica ricca e devota agli interessi dominanti; lo stesso si può dire per le dittature militari della medesima matrice che caratterizzarono le vicende politiche polacche e ungheresi.

In Italia, prima ancora della fase concordataria, furono due gli interventi vaticani che dimostrarono, in maniera eloquente, quale fosse il valore che la Chiesa attribuiva al mantenimento delle libertà politiche e civili. Il primo è costituito dall’imposizione comminata a don Luigi Sturzo, segretario del Partito Popolare, di dimettersi dalla propria carica in seguito alla sottolineatura da lui ribadita dell’incompatibilità politico-culturale e dottrinale tra cattolicesimo e fascismo; per questo, inoltre, venne “invitato” dal Vaticano a lasciare l’Italia. Il secondo intervento va identificato nella conseguente esplicita condanna del progetto di alleanza tra popolari e socialisti, progettato da Sturzo stesso come unica possibile alternativa al dominio fascista.

La Chiesa e la secolarizzazione della società

Scipione, Il Cardinal decano (Galleria d'Arte Moderna in Roma, 1929-30)

L’industrializzazione, l’urbanizzazione, lo sviluppo dei trasporti posero le basi, a partire dalla fine dell’Ottocento, alla società di massa che si caratterizzò fin dall’inizio per una repentina modificazione delle abitudini e degli stili di vita. Nuovi modelli culturali e nuovi bisogni sociali si affermavano; i moderni mezzi di comunicazione di massa, la radio, il cinema, ne favorivano la diffusione così come i mezzi di trasporto agevolavano gli spostamenti delle persone e la circolazione dei beni di consumo.

Tutte le tradizionali strutture sociali ed economiche vennero stravolte e si avviarono anche processi di secolarizzazione della società che si emancipava sempre più dai condizionamenti della Chiesa, dalle sue norme e dal suo controllo.

I comportamenti collettivi divennero più laici, allontanandosi dai dettami religiosi per adottare criteri di scelta razionali.

Nei paesi più industrializzati si avviò una progressiva riduzione della frequenza ai culti e una tendenza, fino ad allora sconosciuta, all’indifferenza religiosa. Si diffusero inoltre ideologie, malviste dalla Chiesa fondamentalmente perché le sottraevano il dominio sulle coscienze, che riuscirono a conquistarsi un forte seguito di massa (come il bolscevismo o il fascismo), che tendono a occupare, anche nella pratica, gli spazi che fino ad allora erano stati esclusivo appannaggio della Chiesa.

Il giubileo del 1925

Pio XI legge alla radio il messaggio indirizzato al congresso eucaristico di Dublino

Il giubileo del 1925 venne preannunciato, la prima volta, nell’enciclica Ubi arcano di Pio XI, nel 1922, nel desiderio che l’Anno Santo diventasse il momento per un appuntamento tra tutti i vescovi del mondo a dimostrazione dell’unità cattolica. La bolla di promulgazione del giubileo, emanata nel 1924, indicava nel dettaglio gli obiettivi che il papato si proponeva di raggiungere: primo fra tutti, la pace tra i popoli e, a seguire, la sistemazione della terra santa e il ritorno dei non cattolici alla Chiesa; il tutto al fine di realizzare la restaurazione cristiana della società.

Per accogliere i pellegrini si attivò un’imponente campagna di organizzazione che vide l’istituzione di servizi di cura e assistenza sul genere di quelli proposti dalla moderna industria turistica. Comitati nazionali e locali si impegnarono a individuare alloggi per i visitatori e a programmare gli spostamenti con mezzi di trasporto adeguati. Bollettini e circolari vennero inviati dalle sedi dei comitati e dei ministeri, e furono affissi molti manifesti informativi.

Dal punto di vista più specificamente religioso, venne organizzata la mostra missionaria che costituiva la novità dell’Anno Santo 1925. Il 24 dicembre una cerimonia ufficiale diede il via all’Anno Santo del 1925: durante il giubileo si tennero frequenti beatificazioni, canonizzazioni e cerimonie religiose.

Quasi un milione di pellegrini giunse a Roma nel corso dell’anno: 400.000 circa erano italiani e mezzo milione gli stranieri: si trattava di un’importante novità rispetto ai precedenti giubilei che si erano svolti in anni in cui ancora gli spostamenti non erano massificati e resi più semplici e accessibili dai migliori mezzi di trasporto.

Nella primavera del 1925 si segnalò la punta massima dei visitatori e nel dicembre successivo, la notte di Natale, si chiuse il giubileo. In quell’occasione venne istituita la festa di Cristo Re, festa con la quale si vorrebbe testimoniare l’impegno della Chiesa cattolica nella secolarizzata società moderna.

Sport e società di massa

Il gol decisivo della finale: Schiavio batte Plánička nei supplementari, regalando il primo titolo mondiale all'Italia

Nelle dinamiche che caratterizzano la società di massa, lo sport occupa un ruolo di rilievo, quale momento di aggregazione collettiva e di creazione di eroi, simboli e mitologie contemporanei. Diffuso sempre più a livello amatoriale e seguito da milioni di spettatori, costituisce sicuramente una delle forme vieppiù popolari di utilizzo massificato del tempo libero. A partire dagli anni Venti, infatti, il numero di spettatori e di appassionati di sport si accrebbe così come il numero di coloro che praticavano una disciplina.

Negli USA le donne entrarono a pieno titolo tra i campioni riconosciuti non solo in discipline considerate femminili ma anche nella pratica di sport fino ad allora appannaggio dei soli uomini: golf, softball, e pallacanestro. Nel corso degli anni Venti inoltre le prime atlete americane parteciparono alle olimpiadi e venne fondata una federazione atletica (NAAF) che applicava standards identici nella valutazione di atleti dei due sessi. Se in Europa lo sport si diffuse in maniera capillare soprattutto con i regimi totalitari durante gli anni Trenta, già nel decennio precedente il calcio si attestava come sport nazionale e molti erano gli appassionati che seguivano con passione gare automobilistiche e di ciclismo.

Due società, due sport: il calcio, la boxe

Primo Carnera in posa

A partire dal primo dopoguerra, nei paesi dell’Europa occidentale e in America latina, il calcio divenne sport nazionale: il più seguito, il più praticato, catalizzando l’attenzione del pubblico anche non specialistico. I mondiali di calcio, nei quali le squadre europee e americane si scontrano ogni quattro anni, nacquero per volontà del francese Jules Rimet nel 1930.

Negli Stati Uniti, invece, il calcio suscitò sempre scarso interesse superato dall’attenzione per le partite di baseball e, durante gli anni Venti, dagli incontri di boxe che riscosse il maggior successo di pubblico.

Già all’inizio del secolo erano nate le Federazioni internazionali ed erano state istituite categorie di peso differenti, che regolavano gli incontri nei campionati mondiali.

Gli appassionati prediligevano i match della categoria dei pesi massimi. Il campione in carica dal 1919 al 1926 fu l’americano di origine irlandese Jack Dempsey; lo sostituì Gene Tunney detentore del titolo mondiale nella categoria dal 1926 al ‘28. Primo Carnera, italiano, e Max Schmelling, tedesco, furono invece i campioni più amati degli anni Trenta.

La velocità: gare di ciclismo e automobilismo

Giuseppe Campari (secondo da sinistra), Achille Varzi (terzo) e Tazio Nuvolari (quarto) dell'Alfa Romeo con Prospero Gianferrari (sesto)

Dall’inizio del nuovo secolo, la velocità appassionava il pubblico sportivo europeo, divenuto spettatore attento di gare automobilistiche e ciclistiche.

Il Tour de France era nato nel 1903, il Giro d’Italia nel 1909: italiani, francesi e belgi si rivelarono campioni per eccellenza in questa disciplina, soprattutto nelle gare che ebbero luogo negli anni Venti dopo la pausa degli anni di guerra.

Nel 1919 Costante Girardengo diviene il primo campione italiano, vincendo nuovamente al Giro del 1923. Le sue vittorie trovarono largo spazio sulle pagine della “La Gazzetta dello Sport”, che dal 1919 cominciò a essere stampato quotidianamente.

Il Tour de France era invece dominato dai belgi con Lambot e Thys e con l’eccezione dell’italiano Ottavio Bottecchia, campione nel 1924, dal 1925 per tredici anni consecutivi le vittorie furono tutte dei francesi e dei belgi. Bisognerà aspettare il 1938 con Bartali per avere un nuovo italiano vittorioso nella gara francese.

Le neonate case automobilistiche europee, cominciarono ben presto a sponsorizzare gare di velocità in auto ben consapevoli della pubblicità che ne sarebbe derivata. All’inizio del secolo XX erano così stati istituiti i primi gran premi e le prime competizioni internazionali: del 1906 è la prima la “Targa Florio”, mentre sono successive la “Mille Miglia” (1927), la “24 ore di Le Mans”, la “Mille chilometri del Nurburgring” e la “500 miglia di Indianapolis” negli Stati Uniti.

I piloti, nuovi eroi moderni sempre in bilico tra il pericolo e la morte, guidavano auto delle più prestigiose marche mondiali, Mercedes, Ferrari, Maserati, Bugatti e Lancia, divise per cilindrata e categoria.

I tornei di tennis: gli USA e la Francia

Jean Borotra in azione

Nei tornei di tennis degli primi anni Venti, Wimbledon, US open, Australian Open e Roland Garros, si affermarono inizialmente – tra il 1919 e il 1925 – i campioni americani Bill Tilden e Little Johnston, ma dalla metà degli anni Venti i tennisti francesi vennero alla ribalta: Lacoste, Cochet, Borotra e Brugnon conquistarono i più importanti titoli mondiali e vinsero la Coppa Davis dal 1927 al 1932.

Il più forte tra i quattro era Henri Cochet, nato nel 1901 a Lione, la cui abilità si era rivelata nel corso dello scontro con il connazionale Borotra nel 1921. Entrò, nel 1923, nella squadra di Davis e vinse per quattro anni consecutivi il più importante torneo, il Roland Garros, e per due volte quello di Wimbledon.

Cochet non aveva un servizio potente ma suppliva con il gioco al volo e lo smash.

René Lacoste – soprannominato “coccodrillo”, da cui poi trarrà il simbolo per la sua linea di abbigliamento sportivo – nato a Parigi nel 1905, aveva cominciato a giocare a quindici anni e si affermò alla finale di Wimbledon del 1925, torneo nel quale fu nuovamente campione nel 1928.

Dal 1925 al 1929 vinse più di una volta a Forest Hill (1926 e 1927) e a Parigi (1925-1927-1929), divenendo uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi.

Giocava anch’egli da singolo, Jean Borotra, nato nel 1898, il primo francese che conquistò una vittoria a Wimbledon nel 1924 (dove vinse ancora nel 1926) e, unico tra i francesi, vincitore ai Campionati d’Australia del 1928.

Giocavano in doppio, invece, Borotra e Bugnon che furono compagni in Coppa Davis. Insieme vinsero sei volte alla coppa per nazioni, due volte al torneo di doppio a Wimbledon e al Roland Garros, e infine una volta ai Campionati d’Australia.

Arte, Cinema e Letteratura

Gropius: il Bauhaus

"Le Officine Fagus", Patrimonio dell'Umanità

La nascita del design si può far risalire alla scuola artistica fondata da Walter Gropius nel 1919 a Weimar, detta Bauhaus (letteralmente “casa della costruzione”), alla quale fecero riferimento pittori, fotografi, architetti e artigiani. Il punto di partenza che accomunava tutti questi artisti era la creazione di prodotti d’arte funzionali che entrassero nelle case sia in virtù della loro bellezza sia della funzione per cui erano nati. Gli oggetti più ordinari diventavano così opere d’arte poiché ne erano messe in risalto le forme e i materiali costruttivi usati. Gropius non voleva decorare gli oggetti ma progettarli in modo che fossero gradevoli, al fine di eliminare il divario tra arte, artigianato e industria nella produzione di oggetti di uso quotidiano. Esempi di questa produzione furono i mobili in tubo metallico di Breuer e i diffusori di luce in ferro cromato di Moholy-Nagy. L’esigenza di rinnovamento dell’arte propugnata da Gropius si fondava sull’esigenza di superare l’arte accademica, scollegata dalla realtà, per metterla al servizio della società. Punto di partenza della scuola Bauhaus era che all’insegnamento teorico dovesse affiancarsi la realizzazione concreta in una collaborazione tra maestri e allievi, ispirandosi ai metodi didattici degli artigiani, in modo da sanare il divario fra artigianato e industria e giungere a una “nuova unità” tra arte e tecnica. Tra i suoi primi collaboratori si ricordano J. Itten, L. Feininger, H. Meyer, e poi O. Schlemmer, Kandinskij, L. Moholy-Nagy, Klee, G. Marks, G. Muche, J. Albers, M. Breuer. Con lo spostamento della scuola a Dessau, nel 1925, Gropius, architetto, colse l’occasione per costruire un nuovo edificio e mostrare le conquiste della Bauhaus in architettura. L’architettura fu, infatti, fortemente influenzata dalla Bauhaus che teorizzava l’uso di materiali nuovi nella costruzione (vetro, cemento armato); tale spinta innovativa partiva dall’esigenza di progettare case, uffici e ogni sorta di spazi abitati, che fossero funzionali ai bisogni e alle esigenze di chi li abitava.

Mies van der Rohe, Le Corbusier, Gropius: il Movimento Moderno

"Villa Tugendhat" a Brno, tra le opere più note di Mies van der Rohe in Europa

Esponente dell’architettura razionalista fu Le Corbusier, che segnò decisamente la storia dell’architettura contemporanea. Egli applicò le teorie della Bauhaus, e del Movimento Moderno, alle sue opere, progettando case con grandi vetrate che le aprissero verso l’esterno e abitazioni collettive.

Insieme alla Bauhaus, anche il Deutscher Werkbund (Confederazione Germanica di Arti e Mestieri) fu un centro importante per lo sviluppo e la diffusione dell’architettura moderna. L’esposizione del Werkbund nel 1927 riunì a Stoccarda i più importanti architetti europei: Mies van der Rohe, P. Behrens, J. Frank, R. Döcker, Gropius, L. Hilberseimer, H. Poelzig, A. Rading, H. Scharoun, A. Schneck, B. Taut, Oud, M. Stam, Le Corbusier, V. Bourgeois che intendevano dimostrare la funzionalità delle loro costruzioni. In quell’occasione costruirono un quartiere sperimentale nel quale, ciascun architetto, realizzò un fabbricato a campione delle nuove tipologie edilizie. Qui Mies van der Rohe costruì un edificio a quattro piani con una struttura portante in acciaio e Gropius due case isolate con pannelli prefabbricati e telai metallici, rivestite all’esterno in eternit: la mostra fu anche un momento per diffondere nuovi materiali da costruzione.

La discussione e il confronto tra gli esponenti dell’architettura razionalista continuarono ancora negli anni successivi anche all’interno del CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne) che, fondato nel 1928, si riuniva in congressi periodici. Il quarto congresso prese il nome dal progetto della ville radieuse di Le Corbusier nel quale enormi blocchi residenziali venivano accostati l’uno all’altro e sollevati da pilotis, lasciando così al di sotto spazio per strade, asili, attrezzature sportive. Le Corbusier continuò negli anni a proporre numerose variazioni sul tema della ville radieuse.

Manifesto dadaista

"Tristan Tzara" ritratto da Lajos Tihanyi

Tristan Tzara scrisse nel 1918 il Manifesto del dadaismo nel quale, contestualmente alla nascita del movimento, si affermava che la parola Dada era solo un simbolo di rivolta e di negazione. Il dadaismo si proclamava, infatti, anti-artistico, anti-poetico e anti-letterario, rifiutava le leggi della logica a favore della spontaneità, affermava il valore dell’anarchia contro l’ordine, e l’imperfezione contro la perfezione.

In sintonia con queste affermazioni di principio, gli artisti che si riconoscevano sotto il nome Dada non intendevano realizzare opere d’arte o capolavori, ma più spesso compiere delle provocazioni contro il buon senso borghese. A tal fine essi usarono tecniche per nulla canoniche, assemblando materiali diversi e creando fotomontaggi, con lo scopo di utilizzare anche l’ultimo scarto della realtà come materiale artistico. In una teoria in cui non si accettano leggi né sistemi, l’unica norma che può sovrintendere alla creazione artistica è quella del caso.

Dada dopo la guerra

"Hans Arp", Cloud Shepherd (1953), Caracas

Nell’immediato dopoguerra il clima politico tedesco si rivelò notevolmente fertile nei riguardi del movimento dadaista. Il clima rivoluzionario che si respirava nella società tedesca trovò riscontro anche nel programma del “Club Dada” berlinese, fondato nel 1919 da Richard Huelsenbeck, Raul Hausmann, Hans Richter, Hannah Hoch, George Grosz, John Hearfield: essi intendevano promuovere l’impegno sociale e la partecipazione alla lotta quali elementi del loro percorso artistico.

Lo strumento che meglio si adattava a tale scopo (e risultò essere il prediletto) era il fotomontaggio che permetteva di ottenere effetti spiazzanti tramite la collocazione di immagini in contesti non immediati e usuali per l’osservatore.

Hausmann, Hearfield e Hoch furono i principali promotori di questa tecnica che dava luogo a manifesti in cui si avvicinavano foto ritagliate a frammenti di giornali, scritte, disegni, dipinti, immagini disparate riunite da un titolo provocatorio e ironico.

Nel 1920 il gruppo di Berlino si divise ma altre associazioni di artisti Dada si formavano in varie città europee: a Parigi nel 1920 il dadaismo fu il fenomeno culturale più in voga, soprattutto dal punto di vista letterario, con pubbliche letture di poemi e manifesti; a Colonia il movimento dadaista nacque ad opera di Hans Arp, Max Ernst e Baargeld, la cui prima manifestazione, nel 1920, fu un’esposizione di sculture e oggetti in una birreria, per accedere alla quale il pubblico era costretto a passare per i gabinetti, accompagnata dalla recitazione di versi scandalosi da parte di una giovane vestita in abito da prima comunione.

Singoli esponenti del dadaismo furono anche Man Ray, che operava ed esponeva a New York, e Kurt Schwitters, di base ad Hannover: il primo fotografo, il secondo alla ricerca dell’opera d’arte totale che riunisse tutti i materiali possibili (mozziconi di sigaretta, giornali, stringhe ecc.) e che si trasformasse di giorno in giorno, mosso anche lui, come tutti gli esponenti del movimento, dalla ricerca della dissacrazione e della negazione delle leggi canoniche di bellezza.

Il manifesto del surrealismo

"Manifesto del surrealismo" di Robert Delaunay, 1924

Il primo manifesto surrealista fu firmato da André Breton, Aragon, Éluard, Crevel, Desnos, Pèret e Soupault a Parigi nel 1924, ma solo l’anno dopo il movimento entrò nel mondo artistico con la pubblicazione del saggio di Breton Le surréalisme et la peinture (1925).

Il legame con il dadaismo era forte: molti atteggiamenti, molte pratiche, molti gesti distruttivi e provocatori generati dal dadaismo, divennero la base del nuovo movimento che si sviluppò attraverso una ricerca scientifica propositiva basata su filosofia e psicologia.

Del dadaismo mantennero le tecniche del fotomontaggio, le sperimentazioni linguistiche, le associazioni incongruenti e la decontestualizzazione degli oggetti, diretti però in una direzione psichica, legata all’inconscio e alle tecniche psicoanalitiche. Piuttosto che fare tabula rasa, i surrealisti volevano fare dell’arte uno strumento politico e avviare un processo di autoconoscenza che permettesse di conquistare una vita di migliore qualità.

Loro obiettivo era, infatti, il raggiungimento della libertà individuale e sociale, e il mezzo tramite cui giungervi era la fusione tra arte e società. Attraverso la riscoperta del sogno e dell’immaginazione, gli artisti intendevano così scagliarsi contro la morale borghese che con le sue convenzioni aveva irrimediabilmente separato azione e sogno.

Le surréalisme et la peinture

Max Ernst, "Ubu Imperator", (1923)

Riuniti sotto il nome di surrealisti, si ritrovavano artisti dagli stili eterogenei che erano uniti piuttosto dall’adesione a un atteggiamento comune, caratterizzato, da una parte dal rifiuto di ogni precetto stilistico tradizionale e dall’altra dalla predilezione del caso.

La poetica espressa da Breton era profondamente connessa con il metodo freudiano, poiché il fine dell’arte doveva far emergere i contenuti dell’inconscio, recidere i legami con il mondo della ragione, liberare l’immaginazione dal senso comune e dal controllo esercitato dalla logica. L’ispirazione dunque, che non può derivare dalla logica e razionale realtà quotidiana, derivava da una dimensione libera riconquistata attraverso il sogno o la fantasia. Il surrealismo finiva per diventare, più di una scuola o uno stile, una pratica di vita che coniuga l’esperienza artistica con il progetto politico ideale del comunismo: nel 1925 Argon, Breton, Èluard e Pèret entrarono, infatti, nel Partito Comunista francese.

Parola chiave della poetica surrealista fu “automatismo” con la quale si intendeva descrivere la disposizione di chi si ponesse a scrivere o a produrre opere d’arte seguendo l’inconscio e non i dettami della coscienza. Il pittore poteva dipingere ogni immagine che si presentava alla mente e lasciare che la sua mano scorresse libera sulla tela. I procedimenti automatici che potevano essere adottati erano il frottage, tecnica usata da Max Ernst, che consisteva nel passare la matita sopra un foglio sotto al quale stavano oggetti diversi che emergevano così quasi “ricalcati”, o il dripping che consisteva nel far scivolare sulla tela il colore direttamente dal un barattolo di vernice, tutte tecniche che accentuavano la casualità dell’immagine in sintonia con quanto affermato da Breton nel suo saggio Le surréalisme et la peinture: “l’opera plastica si rifarà a un modello puramente interiore oppure non esisterà”.

Il realismo contro l’astrattismo

Vassily Kandinskij, "Giallo, rosso, blu", olio su tela, 1925

L’astrattismo era nato con Kandinskij nel 1910 e si era proposto di allontanare l’arte dall’imitazione della realtà per usare solo colore e forme geometriche: nel corso degli anni le forme vennero sempre più scomposte e semplificate fin quando, nel primo dopoguerra, i linguaggi pittorici tradizionali tornarono alla ribalta. Il crollo delle illusioni prebelliche e le difficoltà degli anni tra le due guerre, fecero sentire il bisogno di un “ritorno all’ordine” e del recupero delle certezze anche attraverso l’arte.

Gli interrogativi posti, attraverso le opere d’arte, dai movimenti artistici negli anni precedenti, erano stati così radicali da rappresentare un pericolo in un momento in cui si tendeva a recuperare un certo equilibrio. Si intendeva tornare perciò alle certezze garantite dall’arte figurativa, ritrovare forme e linguaggi espressivi comprensibili a tutti, che fossero da stimolo per la ripresa della vita dopo il conflitto. A questo fine vennero recuperati gli esempi dei grandi maestri dell’antichità e del rinascimento dando nuovo valore alla tradizione figurativa.

Di fronte a questo rifiuto dell’astrattismo artisti quali Kandinskij, Mondrian e Van Doesburg si disposero alla difesa della loro arte rivendicandone il valore e la modernità.

Realismo magico

Felice Casorati, "Ragazza col vestito a righe (Figura seduta)", (1945)

Accanto alla ripresa dell’arte figurativa, in opposizione all’astrattismo, si sviluppò, a partire dal 1925, il cosiddetto “realismo magico”. L’espressione “realismo magico” era stata coniata nel 1925 da Franz Roh e si trattava di una corrente interna alla “Nuova Oggettività” tedesca; nonostante ciò assunse ben presto caratteri internazionali diffondendosi anche in altri paesi.

Con realismo magico si intese indicare la riproduzione fedele di scene quotidiane e domestiche dipinte così fedelmente da sembrare irreali. I pittori di questa corrente predilessero la raffigurazione di scene di vita quotidiana, di interni, e il ritratto che venivano tracciati con tonalità luminose e con linee ben decifrabili che rendevano l’immagine nitida, cristallina, quasi irreale e molto simile alla pittura metafisica. In Italia, questo tipo di linguaggio, si diffuse dal 1927 ad opera dello scrittore Massimo Bontempelli il quale affermava che si trattasse di un’arte capace di fare emergere dal quotidiano la componente fantastica e irreale. In Italia aderirono a questa corrente, anche se solo transitoriamente, Felice Casorati, Antonio Donghi e Carlo Carrà. Per quello che riguarda l’esperienza europea si possono ricordare Otto Dix e Christian Schad. Più in generale il realismo magico fu la matrice comune agli artisti (Achille Funi, Francesco Trombadori, Virgilio Guidi, Pietro Marussig) che formarono, nei primi anni Venti, il movimento artistico italiano di Novecento.

Nuove contaminazioni musicali

Béla Bartók (1927)

Negli anni tra le due guerre, i compositori d’orchestra si trovarono alle prese con l’ingombrante eredità di Debussy e dei suoi contemporanei che tanto avevano innovato con le loro opere. La difficoltà sta nel trovare la strada verso cui dirigersi: la ricerca di nuovi stili sarà compiuta egregiamente da Stravinskij e Bela Bartòk che inaugurarono nuovi ritmi e nuove armonie. Bartòk, per esempio, trasse dalla musica popolare elementi fondanti nella creazione del suo stile che fu influenzato anche da motivi impressionisti e del neoclassicismo di Stravinskij.

Negli stessi anni si diffuse il jazz, oltrepassando i confini americani; allo stesso tempo si trasformò e si stravolse perdendo in parte la sua spontaneità, ma fungendo da stimolo a molti nuovi generi musicali.

Anche Gershwin, d’altro canto, si inserisce in questo solco componendo parallelamente opere teatrali e musiche da film, dando avvio ad uno stile di produzione musicale che avrebbe costituito l’attrattiva principale del grande pubblico.

Il jazz da New Orleans al mondo

Louis Armstrong

Il primo grande musicista jazz, che si spostò da New Orleans a Chicago, fu King Oliver e fu anche il primo a riconoscere il talento di Louis Armstrong, allora giovane cornettista di New Orleans che sarebbe divenuto uno dei più grandi e noti musicisti e cantanti jazz.

Durante gli anni Venti Armstrong cantò con Bessie Smith, detta l’“imperatrice” del blues, e con Fats Waller. Duke Ellington e Count Basie si unirono in un’orchestra e contemporaneamente fecero la loro prima comparsa quelli che saranno, negli anni successivi, grandi protagonisti della musica jazz: Nat King Cole, Art Tatum, Sidney Bechet, Lionel Hampton.

Con la popolarità e il successo internazionale, il jazz cominciò a subire le influenze dell’industria discografica che riducendolo a fenomeno commerciale lo impoverì riducendone la spontaneità.

Nonostante ciò, alcuni grandi esponenti, come Duke Ellington e Louis Armstrong, riuscirono a mantenere la loro l’originalità pur attraverso strategie completamente differenti: il primo ridusse la sua presenza in pubblico per dedicarsi principalmente alla composizione, mentre il secondo girò il mondo con le sue esibizioni.

Con Dizzie Gillespie, dal jazz si passò al be-bop, catalizzando l’attenzione del vasto pubblico che però sarà ben presto ammaliato da ritmi sempre più semplici e alla moda, come il charleston e il fox-trot, che si diffonderanno, grazie alla loro ballabilità, nei locali frequentati dai giovani.

L’imitazione del jazz, attraverso la ripetizione delle sue caratteristiche più appariscenti, era all’ordine del giorno e l’impoverimento del linguaggio jazzistico fu il frutto dell’azione commerciale delle case discografiche che, piuttosto di ricercare musicisti capaci e creativi, si affidavano a mediocri arrangiatori.

I compositori del primo dopoguerra

"Ida Rubinstein", la fonte d'ispirazione dietro il Boléro, ritratto di Valentin Serov.

Igor Stravinskij, che aveva composto negli anni prebellici melodie ispirate a temi popolari russi con musicalità rivoluzionarie (il geniale Uccello di fuoco e la Sagra della primavera), durante gli anni Venti, e poi nei Trenta, compose opere che lo portarono ancora una volta in primo piano nel campo musicale. Il Concerto per pianoforte (1924), le opere Oedipus Rex (1927) e Apollon Musagete (1928) e la Sinphonie of Paulus (1930) sono musiche nelle quali si segnava la riscoperta del classicismo, pur se in partiture molto moderne.

Maurice Ravel compose nel primo dopoguerra opere in cui il rigore musicale dominava, lasciando poco spazio agli effetti strumentali nonostante egli fosse un abilissimo direttore d’orchestra.

Compose il Bolero nel 1928 e poi, ancora ispirandosi alla Spagna, Alborada del Gracioso, Pavana per un Infanta e Rapsodia spagnola.

All’inizio degli anni Venti aveva già composto La Valse e il poema Daphne e Chloe. Ma ciò che caratterizzò la sua opera fu in primo luogo la curiosità per ogni novità musicale, per il jazz, per i ritmi insoliti e anche per il folklore.

Durante gli anni Venti compone anche Pokofev che riuscì a rendere moderna la sua musica pur senza esagerazioni astruse. Tra i suoi capolavori si ricordano le opere L’amore delle tre melarance (1921), Il Giocatore (1929), la Sinfonia classica e il balletto Romeo e Giulietta (1938); accanto a queste egli produsse anche una serie di curiose e affascinanti musiche per film, concerti, suite sinfoniche e sonate.

[Ascolta il Bolero](https://en.wikipedia.org/wiki/File:Bolero-Maurice_Ravel-Philadelphia_Orchestra-Eugene_Ormandy-1957.ogg" title=“” >}}

Gershwin: da “Rapsodia in blue” al musical

Il party di compleanno per Maurice Ravel (nella foto al piano); da sinistra: Oskar Fried, Eva Gauthier, Manoah Leide-Tedesco e George Gershwin

Gershwin non può essere considerato un innovatore poiché fu in primo luogo un ottimo interprete dei gusti del vasto pubblico; non per questo la sua musica deve essere considerata “leggera” e canzonettistica. Ciò fu invece quanto fece la critica musicale fino a che il suo valore non venne riconosciuto a livello mondiale quando Toscanini diresse alla Filarmonica di New York, la Rapsodia in blue. Da allora entrò a far parte, a pieno titolo, dei “classici” della musica contemporanea, conquistando con le sue opere e con i commenti ai film musicali una fama mondiale.

Nell’opera Porgy and Bess, il suo capolavoro, si sentono le influenze di Kurt Weill, ma anche del jazz sinfonico di Paul Whitman e, a tratti, del folklore russo di Rachmaninov.

Egli produsse musica da ballo (si pensi ai film di Ginger Rogers e Fred Astaire) che diede stimoli ai ritmi degli “anni ruggenti”, ai charleston ballati nei locali notturni di New York, ai fox-trot che riempivano i dancing più popolari e ai black bottoms che erano in voga nelle balere dei quartieri neri.

Dopo il suo successo il musical trova pubblico e si afferma – si pensi a Joséphine Baker ballerina e cantante francese di origine statunitense che divenne dal 1925 una delle dive del musical – i film ‘coreografici’ invasero gli schermi (2nd Street di Lloyd Bacon o Ziegfild Folies), e le riviste musicali riempirono i teatri di Broadway.

La settima arte: l’apogeo del cinema muto

Stanlio e Ollio ne "Nel paese delle meraviglie" (1934)

Negli anni Venti, il cinema divenne la “settima arte”, sia in nome della vitalità artistica, sia per il successo di pubblico riscosso dal “muto”. Gli USA furono i protagonisti di questo boom, investendo capitali sull’intera macchina cinematografica: artisti, registi, produzione, diffusione, e pubblicizzazione di ogni pellicola.

Dal 1927 Stan Laurel e Oliver Hardy, meglio conosciuti in Italia come Stanlio e Ollio, diedero vita a una serie di film comici basati sulla contrapposizione di due personaggi: uno magro e svampito, l’altro grasso e iroso oltre che arruffone. Il loro successo proseguì negli anni Trenta.

In Europa, nei singoli stati, si andavano definendo stili e orientamenti cinematografici diversi che raggiunsero alti livelli estetici e dettero vita a capolavori immortali: in Germania Fritz Lang diresse Il Dottor Mabuse (1922) e Metropolis (1926), Robert Wiene girò Il gabinetto del dottor Caligari nel 1924 e F.W. Murnau, Nosferatu il vampiro (1922); in Russia sperimentarono tecniche rivoluzionarie Dziga Vertov, in L’uomo con la macchina da presa (1929) e Sergej Ejzenstein con Sciopero (1925), La corazzata Potëmkin (1926) e Ottobre (1927).

Il cinema durante gli anni Venti divenne di fatto uno degli strumenti privilegiati di comunicazione di massa sia prima sia dopo l’introduzione del sonoro (1927). Il cinema era svago ma anche efficacissimo mezzo di propaganda: diffondeva indicazioni di costume sull’abbigliamento, sullo stile dell’arredamento, sulle pettinature e pubblicizzava i suoi divi e la loro vita fino a farli diventare dei modelli per milioni di spettatori. Oltre a ciò, il cinema fu anche veicolo di propaganda ideologica, in particolare nei regimi totalitari. In Italia, nel 1925, venne fondato l’Istituito Luce (L’unione cinematografica educativa), ente statale per la cultura e per la propaganda, che si soffermava principalmente sulla celebrazione nazionalistica del passato. La corrispondente tedesca dell’Istituto Luce, la Reichfilmkammer, verrà fondata nel 1932 con intenti simili.

L’espressionismo tedesco: Ernst Lubisch

Una scena del film "Sposiamoci" in quattro di E. Lubitsch

Ernst Lubitsch iniziò la carriera cinematografica con la regia del film Fraulen Seifeschaum, proiettato nel 1914 in Germania. Prima di allora era comparso come attore in una serie di commedie, diventando ben presto famoso e passando alla stesura di copioni e alla direzione di film. Nel 1919 diede alla luce il suo primo film di successo, The Oyster Princess, in cui parodiava i costumi americani. In quest’opera egli mostrò per la prima volta quello che doveva diventare il suo stile: sottile umorismo e uso di immagini che in pochi secondi riuscivano a dare una dimensione ironica ai personaggi e che definivano il leit motiv complessivo del film.

Alternando opere ironiche e film di impianto storico, egli giunse al successo diventando un grande maestro del cinema con Passion (Madame Dubarry) del 1919 e con Deception (Anna Boleyn) del 1920.

Dal 1919 si spostò in America, inizialmente solo per promuovere il suo film The Loves of Pharaoh, ma ben presto il trasferimento divenne definitivo. Nel 1923 terminò Rosita, nel quale recitava Mary Pickford, che fu accolto molto favorevolmente dalla critica e nel 1924 proiettò The Marriage Circle che sarà la consacrazione americana di Lubitsch. In questo film, infatti, egli descriveva con estrema accuratezza la psicologia americana, focalizzando la sua attenzione in particolare sulle tematiche dei soldi e del sesso. Poiché i suoi film descrivevano ironicamente i costumi americani, per evitare critiche, Lubitsch scelse degli scenari che non fossero immediatamente riconducibili agli USA: nonostante ciò tutti gli americani si riconobbero nei personaggi che si muovevano, agivano come loro e avevano le loro stesse fobie e debolezze.

Da allora egli divenne un mito hollywoodiano e il suo stile fu punto di riferimento, più volte imitato, per altri registi. Nessuno riuscì però a riprodurre i dettagli, i gesti, e le espressioni del viso con cui egli riusciva a caratterizzare i suoi attori.

Forbidden Paradise, Kiss me again, Lady Windermere’s fan, The student prince furono girati all’epoca del cinema muto, ma mantennero intatta la loro bellezza anche quando furono dotati di sonoro: anzi, musiche e dialoghi azzeccati fecero, se è possibile, migliorare ancora le sue opere.

La scuola sovietica: Ejzenstein

La presa del Palazzo d'Inverno in una scena del film "Ottobre", di Ejzenstejn

Ejzenstein fu architetto, ingegnere ma in primo luogo regista. Si interessò prima al teatro e alla scenografia per passare, nel 1924, al cinema dirigendo il suo primo film, Sciopero, nel 1924 nato come prima tappa di un serie di opere sulle attività pre-rivoluzionarie della classe operaia. Con questo lungometraggio egli intendeva aprire un ciclo dedicato all’avvento del comunismo. Con gli strumenti dell’espressionismo e del realismo critico egli volle coniare un linguaggio cinematografico che avesse il preciso intento ideologico di descrivere l’uomo-massa assurto a eroe. Le manifeste intenzioni didattiche di Ejzenstein non ostacolarono però le sperimentazioni linguistiche (che si attuarono attraverso il sistema del montaggio detto “montaggio delle attrazioni”) e la confezione di film che si muovevano tra il documentario e la rielaborazione simbolica della realtà.

Il montaggio era la chiave del suo linguaggio espressivo, lo strumento con cui intendeva colpire lo spettatore che si trovava di fronte a lungometraggi con una scenografia ridotta all’osso; elementi, questi ultimi, che vengono sviluppati al meglio nei successivi film: La corazzata Potëmkin e Ottobre. Il primo venne commissionato dal governo sovietico per festeggiare il ventennale della rivolta del 1905, così come il secondo, commissionato per commemorare il decennale della rivoluzione. In Ottobre usò la tecnica del “montaggio produttivo”, basato sull’accostamento di immagini diverse, unite per la formazione di un concetto. Già in questa occasione la critica vicina al regime lo accusò di sperimentalismo e Ejzenstein fu costretto a tagliare le scene in cui erano rappresentati gli oppositori di sinistra Trotzkij e Zinov’ev preludio a quanto avvenne con La linea generale (1929) incentrato sui problemi dell’agricoltura durante la rivoluzione, che gli inimicò la burocrazia statale.

Hollywood

"Il monello" (1921), con Jackie Coogan, farsa e dramma. Jackie sarà poi l'attore chiave nella serie "La Famiglia Addams", interpretando il famoso "Zio Fester"

Negli anni del primo dopoguerra il cinema americano si indirizzò a una politica rigidamente commerciale che assicurò alle pellicole statunitensi grande popolarità e diffusione. Le compagnie cinematografiche, Paramount, Loew, Fox, Metro Pictures Corp. e Universal, controllavano la produzione e la distribuzione mondiale e strinsero legami sempre più fitti con le grandi società finanziarie di Wall Street (General Motors, Loeb, Morgan, Rockefeller, ecc.).

L’orientamento finanziario delle compagnie di produzione influenzò notevolmente le scelte cinematografiche che dovevano essere dirette, innanzi tutto, al rendimento commerciale, alla vendibilità del prodotto. Gli attori di Hollywood, anche per effetto del sistema pubblicitario, divennero delle star che richiamavano l’attenzione del pubblico e garantivano l’autoriproduzione del fenomeno cinematografico.

I generi più diffusi furono i film western e i polizieschi ma, in una moltitudine di pellicole anonime, emersero anche alcuni dei più grandi capolavori del cinema internazionale. All’epoca del cinema muto Charlie Chaplin mostra la sua genialità nelle commedie drammatiche Il monello (1921), La donna di Parigi (1923) e La febbre dell’oro (1925). Rodolfo Valentino originario di Castellaneta, trapiantato a New York, incarnava negli anni del cinema muto l’amante latino per eccellenza nelle pellicole I quattro cavalieri dell’apocalisse (1921), Sangue e arena (1922), L’aquila nera (1925) e Il figlio dello sceicco (1926). Buster Keaton rappresentava la comicità per eccellenza del cinema muto di quegli anni, con le memorabili pellicole Accidenti che ospitalità (1923), Il navigatore (1926) Io e la vacca (1925) Io e la scimmia (1928) Io e l’amore (1929). Forse meno noti sono i lavori, di grande successo all’epoca, di Harold Lloyd, attore statunitense che negli anni Venti recitò in Il talismano della nonna (1922), A rotta di collo (1928). Accanto a loro, altri artisti stranieri furono richiamati dal mondo Hollywoodiano, interessato ad accaparrarseli per sbaragliare la concorrenza straniera: Greta Garbo e i registi M. Stiller e Sjöström, originari della Svezia; importanti esponenti del cinema tedesco, come von Stroheim (1910), Sternberg, Lubitsch (1923) e poi a ruota Murnau, Leni, Korda, l’attore Jannings, il produttore Pommer.

La fine degli anni Venti, con il crollo di Wall Street e l’avvento del sonoro, rappresentò un momento di crisi per il cinema americano che ne uscirà solo nel corso degli anni Trenta.

Walt Disney

Il debutto di "Mickey Mouse" (in Italia "Topolino") nel film "Steamboat Willie", 1928

Walt Disney, pur attraverso la proiezione di film in cui i protagonisti sono disegni animati e non attori in carne ed ossa, fa pienamente parte del mondo hollywoodiano.

Disney, nato nel 1901, iniziò il suo lavoro come disegnatore pubblicitario passando poi al cinema con la fondazione della Laugh-O-Gram Films con la quale distribuì la prima serie Alice in Cartoonland.

Nel 1927 lasciò Kansas City per Hollywood e creò la serie di Oswald the rabbit, che fu il primo “animale animato”, progenitore di Mickey Mouse che vide la luce l’anno dopo. Nel terzo film di Mickey Mouse, presentato nel 1928, per la prima volta in un cartone animato, venne utilizzato il sonoro.

Il grande successo di Disney deriva da quello che è stato definito il “realismo” disneyiano: la creazione di una caricatura del mondo reale, l’assegnazione di specifiche e costanti caratteristiche a ciascun personaggio ma anche il pensare e fare agire i personaggi come attori veri e propri.

Scrittori dopo il dramma bellico

Ernest Hemingway con Lady Duff Twysden, Hadley e amici, durante il loro viaggio in Spagna che ha ispirato Fiesta, il sole sorge ancora

La guerra pesò sugli animi degli scrittori che si trovarono a dovere ridefinire la propria esperienza alla luce del dramma bellico, del fallimento della pace e al tempo stesso degli ideali di rinascita democratica. Gertrude Stein parlò allora di “generazione perduta” riferendosi principalmente a quegli scrittori nordamericani, segnati dal moralismo provinciale e dallo sviluppo del capitalismo che dominava nella società provocando anche la massificazione della cultura e il suo orientamento commerciale.

Essi tendevano a rifiutare la civiltà industriale e scelsero spesso un esilio volontario, allontanandosi dal proprio paese in direzione di Parigi. A Parigi, dominata dal fermento intellettuale, si ritrovavano in circoli e salotti i nomi più noti della letteratura.

La casa di Gertrude Stein era luogo di incontro di intellettuali quali Ezra Pound, Scott Fitzgerald, John Dos Passos, Ernest Hemingway e William Faulkner ma anche scrittori di altre nazionalità quali James Joyce, Jean Cocteau, Guillaume Apollinaire, Thomas Eliot, e artisti di generi differenti tra cui i pittori Pablo Picasso e Henri Matisse tutti accomunati dalla volontà di rappresentare nelle loro opere il sentimento di alienazione e di sradicamento da cui erano pervasi.

Dai romanzi scomparirono gli eroi borghesi, rispettosi di convenzioni e tradizioni, per dare spazio a personaggi in balia della psiche, della storia e di forze incontrollabili, incapaci di guardare avanti e sempre voltati a cercare il passato come quelli descritti da Sinclair Lewis, Joyce, Faulkner, Hemingway e Fitzgerald.

Il teatro naturalista di G.B Shaw, Piscator, Brecht

George Bernard Shaw

I tragici eventi che la guerra aveva portato sotto gli occhi di tutti produssero anche nel teatro rappresentazioni dalla grande carica emotiva ed espressiva. Le discipline psicoanalitiche e filosofiche fecero da base alla produzione artistica degli anni Venti che riuscì, anche attraverso la ripresa delle sperimentazioni compiute dalle avanguardie del primo Novecento, a dar vita a opere di grande interesse e significato.

Il naturalismo è il genere che domina nel teatro di George Bernard Shaw, drammaturgo e scrittore britannico, che si rifaceva all’impegno sociale e alle esperienze del movimento operaio. Nel primo dopoguerra egli scrisse il capolavoro Santa Giovanna (1923). Anche il tedesco Erwin Piscator si ispirava al marxismo nella definizione teorica delle sue opere teatrali, tra le quali ricordiamo I masnadieri (1926) e Il buon soldato Svejk (1928). Bertolt Brecht si caratterizzò invece soprattutto per il fine didattico insito nelle sue opere, e per la ricerca della gestualità tutta diretta alla descrizione dell’alienazione dell’attore rispetto al suo personaggio. Tra le sue opere degli anni Venti si ricordano Tamburi nella notte (1919), L’opera da tre soldi (1928), Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1928-29).

Il simbolismo in scena: von Hofmannsthal, Claudel, O’Neill

Pirandello al "Théâtre Edouard VII" per i "Sei personaggi in cerca d'autore" (Parigi, 1925)

Accanto al naturalismo si sviluppò negli anni del primo dopoguerra il simbolismo, perfettamente incarnato dalle opere dello scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal.

Nelle sue opere egli si ispirava alle teorie psicoanalitiche e al contempo al recupero della classicità e della tradizione barocca austriaca, mettendo in scena pezzi teatrali che diventavano emblemi della crisi spirituale di quegli anni e che erano pervasi da un profondissimo pessimismo come i drammi Il grande teatro salisburghese del mondo (1922) e La torre, opera che fu scritta in più di una versione nell’arco di tempo dal 1925 al 1927.

Sempre in Europa scrisse opere teatrali il poeta e drammaturgo francese Paul Claudel, il quale, partito, nei primi del Novecento, dal simbolismo, nel primo dopoguerra si ispirò al cristianesimo per coniugare il visibile con l’invisibile, divenendo uno dei maggiori interpreti del rinnovamento cattolico.

Nell’attività teatrale del drammaturgo americano Eugene Gladstone O’Neill si ritrova la confluenza di suggestioni disparate a partire dalle tragedie greche per giungere alla filosofia di Nietzsche e a Freud, passando anche per Ibsen e Strindberg. O’Neill, nel primo dopoguerra, si ispirò al naturalismo con le opere L’imperatore Jones (1920) e Lo scimmione (1922) per lasciarlo poco dopo passando all’originale sperimentazione di indagini sulla condizione dell’uomo moderno con le opere Desiderio sotto gli olmi (1924), Strano interludio (1928) e infine Il lutto si addice ad Elettra (1931).

Discosto dall’esperienza naturalista e artefice di opere teatrali di difficile classificazione e di forte incisività, che condizioneranno tutta la drammaturgia occidentale del Novecento, fu Luigi Pirandello che nel corso degli anni Venti scrisse alcuni dei più noti capolavori teatrali: Enrico IV (1922) e Sei personaggi in cerca d’autore (1922).

Scienza e Tecnologia

Nuovi strumenti domestici

Refrigeratore "Monitor-Top" della General Electric, introdotto nel 1927

A partire dagli anni Venti ebbe inizio la diffusione di strumenti elettrici di uso quotidiano che costituiranno il principio del fenomeno di “modernizzazione” della vita privata che avrà, ed ha tuttora, tante conseguenze sulla modificazione degli stili di vita – in termini di ore dedicate alle attività domestiche ed extra domestiche – e sull’organizzazione della società.

Le famiglie statunitensi, che già dai primi anni del XX secolo avevano visto l’introduzione di oggetti per semplificare azioni e compiti ai quali era, prima necessario, dedicare molto tempo ed energia, continuarono, dopo la prima guerra mondiale, a primeggiare nell’acquisizione di nuovi strumenti. L’industria americana era, infatti, la più dinamica nell’introduzione di innovazioni tecnologiche.

Oltre alla radio, che prodotta in grandi numeri a partire dalla metà degli anni dieci divenne mezzo di comunicazione di massa, venne introdotto, all’inizio degli anni Venti, il primo frigorifero elettrico che andava a sostituire le ghiacciaie e rendeva più pratica e più duratura la conservazione dei cibi. Le ripercussioni sulla vita quotidiana, in particolar modo in quella delle donne, furono notevoli poiché non era più necessario recarsi ogni giorno a comprare solo la minima quantità di cibo che potesse resistere nella ghiacciaia, e di conseguenza fu possibile ridurre il tempo dedicato a questa mansione domestica.

Cominciarono a comparire poi, nelle case americane, anche strumenti meno “indispensabili” come lo spremitore automatico (1924) e il tostapane elettrico (1926) inaugurando la lunga serie di strumenti che verranno da allora in poi sempre incrementati.

Mentre l’Europa dovrà attendere ancora la fine della seconda guerra mondiale per vederne la diffusione, si estende, invece, negli USA l’uso dello scaldabagno, del ferro da stiro, della cucina a gas; è necessario sottolineare però che, anche oltreoceano, per un certo numero di famiglie questi beni continuavano a rimanere inaccessibili.

La televisione alle prime prove

Vladimir Kosmic Zvorykin, padre della televisione moderna illustra la sua televisione elettronica

Le prime sperimentazioni, per la realizzazione di un apparecchio in grado di inviare immagini a distanza, furono compiute alla fine dell’Ottocento in Francia e in Russia. Nel 1923 Vladimir Kosmic Zvorykin inventò il progenitore della telecamera “l’iconoscopio”, un tubo elettronico in grado di trasformare le immagini in segnali elettrici che potessero essere “trasportati”.

Le prime sperimentazioni di televisione furono compiute, in Gran Bretagna e in America, intorno alla fine degli anni Venti ma già nel 1922 John Logie Baird riuscì, entro una distanza di pochi metri, a trasmettere in un progenitore della televisione l’immagine di una testa di bambola.

Nel 1926 in Gran Bretagna venne fatta la prima dimostrazione al pubblico di trasmissione televisiva e si effettuarono le prime registrazioni televisive; nel 1928 negli USA si cominciò a usare l’iconoscopio e il tubo a raggio catodico. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale gli studi su questo mezzo subirono una brusca interruzione, a vantaggio del perfezionamento della radio, e ripresero solo alla fine della guerra.

Lo sviluppo della radio

Radio a valvole, in bachelite

Negli USA la radio era divenuta uno strumento di comunicazione di massa a seguito della commercializzazione di apparecchi radio per uso familiare (avvenuta dopo il 1916). Le potenzialità dello strumento come canale pubblicitario venne ben presto riconosciuta dalle industrie che si proposero come sponsor dei vari programmi trasmessi.

Nel 1920 nacque la prima emittente commerciale, la KDKA di Pittsburgh, ma nel corso di pochissimi anni le emittenti divennero centinaia e si unirono in network proponendo in località a molti chilometri di distanza l’una dall’altra gli stessi programmi e le medesime pubblicità: la National Broadcast Company (NBC) è del 1926, la Columbia Broadcasting System (CBS) è del 1929.

La radio in Europa fu inizialmente monopolio statale: nel 1922 nacque la British Broadcasting Corporation (BBC), e in Italia, nel 1924, Mussolini trasmise un discorso radio.

Il numero di apparecchi diffusi non era irrilevante già durante gli anni Venti e si incrementò ulteriormente durante la seconda Guerra Mondiale, anche agevolata dall’invenzione del transistor e dalla riduzione delle dimensioni.

Il telegrafo elettrico

Telegrafo Morse, da campo

L’invenzione del telegrafo elettrico, ad opera di Morse, risaliva al 1837, ma venne utilizzato in maniera diffusa nei primi anni del Novecento. Mentre fino ad allora era stato usato esclusivamente per le comunicazioni di Stato, nei primi decenni del XX secolo divenne strumento di comunicazione tra finanzieri interessati a ricevere informazioni sull’andamento dei mercati delle diverse nazioni. Il telegrafo elettrico funzionava mettendo in comunicazione due stazioni, unite da una linea elettrica, che potevano fungere sia da ricevente che da trasmittente. La ricevente trasformava i segnali elettrici mandati dalla trasmittente in movimenti di una punta bagnata di inchiostro che tracciava punti e linee su una striscia di carta che scorreva. I segnali venivano “tradotti” secondo l’alfabeto convenzionale detto codice Morse. Lo stesso principio di funzionamento sarà adottato anche successivamente quando l’elettricità sarà sostituita dalle onde radio.

Il telefono

Uno dei primi modelli di telefono

Molti paesi rivendicano la paternità del telefono. In effetti i brevetti di uno strumento che permettesse di trasmettere la voce e dunque di comunicare a distanza furono più di uno e tutti in un periodo di tempo piuttosto ravvicinato: intorno al 1865 un francese e un tedesco (Bourseul e P. Reis) avevano presentato un progetto del genere; nel 1871 Meucci depositò in Italia il suo brevetto e nello stesso anno (1876) a Washington A. G. Bell e E. Gray presentarono il loro.

La diffusione degli apparecchi cominciò poco dopo, ma in Europa rimase per un certo tempo uno strumento utilizzato dai governanti e non diffuso tra la popolazione né adottato dalle aziende per velocizzare le proprie comunicazioni d’affari, mentre negli Stati Uniti d’America furono proprio i dirigenti aziendali ad apprezzarne per primi le potenzialità.

Potenzialità che si diramavano in due direzioni, la più immediata delle quali era la comunicazione tra aziende e industrie, e in secondo luogo quella tra le residenze dei dirigenti e le loro industrie alle quali potevano impartire ordini telefonicamente.

Ma, anche la popolazione, soprattutto delle zone più isolate degli USA, adottò il telefono come strumento per mantenersi in contatto, non solo in momenti d’emergenza, ma anche per intrattenere conversazioni con persone distanti. In Europa anche le comunità rurali erano invece organizzate in nuclei più densamente popolati, e la penetrazione del telefono non fu, perciò, sentita come necessaria. Furono i gestori del servizio a pubblicizzare il telefono e ad agevolarne la diffusione attraverso l’abbassamento dei costi d’installazione, fino alla realizzazione di reti telefoniche nazionali.

L’evoluzione della medicina

Uno dei primi polmoni d'acciaio, 1930 circa

Gli anni Venti segnano anche l’avvio di un nuovo modo di concepire la malattia e le aspettative di vita. La ricerca in campo medico si muoveva a rapidi passi facendo sì che malattie prima giudicate incurabili potessero essere debellate: si giunse perciò all’allungamento della vita media.

I vaccini e lo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche, anestetiche e diagnostiche – come la radiologia – permisero di salvare molte donne uomini e bambini. Il tasso di mortalità infantile decrebbe sempre di più e ciò alimentò la nascita di una nuova affettività familiare nei confronti dei figli, la cui morte prematura verrà sempre meno considerata accettabile.

Il miglioramento della qualità della vita derivava anche dall’introduzione di elettricità, acqua corrente e servizi igienici nelle abitazioni. Non tutti però potevano permetterselo e gran parte della popolazione visse ancora per molti anni in condizioni igieniche precarie.

Ciò su cui insisterono moltissimo le organizzazioni dei lavoratori, per garantire un uguale livello di tutela della salute nella popolazione, fu la creazione della sanità pubblica: a partire dagli anni Venti del XX secolo la maggior parte degli stati occidentali si orientarono all’introduzione, più o meno veloce e più o meno capillare, di istituti di previdenza sociale, assicurazioni obbligatorie di invalidità e assistenza sanitaria gratuita.

Come ben si comprende, si trattava di interventi che prendevano corpo, a livello politico, nell’ambito di una programmazione di tutele statali – spesso ottenute grazie alle pressioni frutto delle lotte dei lavoratori – che garantissero a sempre più cittadini condizioni di vita migliori e non legate alla capacità del singolo di procurarsele.

Rimanevano, invece, ancora legate alla singola disponibilità monetaria, tutte le innovazioni sulle abitazioni e l’acquisizione di beni di consumo come gli elettrodomestici. Il consumo di massa verrà ben presto avviato, con l’abbattimento dei prezzi di produzione e di vendita, che moltiplicherà il numero di persone capaci di acquistare nuovi mezzi per semplificare la propria vita.

La penicillina

Sir Alexander Fleming riceve il premio Nobel per la medicina dal re Gustavo V di Svezia

Il primo antibiotico scoperto fu la penicillina, sostanza individuata da Alexander Fleming, nel 1927, nel fungo penicillinium notatum. L’origine della scoperta, come è noto, fu casuale poiché un batteriologo del St. Mary’s Hospital di Londra analizzò un preparato lasciato fuori posto per errore nel quale gli stafilococchi contenuti erano stati bloccati dal proliferare di una muffa. Da quel momento in poi gli studiosi si indirizzarono alla ricerca della sostanza che aveva inibito lo stafilococco. Fleming provò a trattare alcune piastre di agar, coperte da stafilococchi, con il principio attivo che era contenuto nella muffa (il penicillinium notatum) e notò che questo antibiotico naturale portava effettivamente alla regressione delle colonie batteriche, inibendone la riproduzione.

Alcuni anni dopo i biologi Chain e Florey furono in grado di isolare la sostanza in laboratorio, portando a compimento la scoperta di Fleming. Nel 1941, dopo aver verificato che essa riusciva a distruggere alcuni germi senza intossicare l’uomo, la penicillina fu applicata per la prima volta per la cura di un paziente, colpito da un’infezione generalizzata. Per la loro scoperta i tre scienziati furono insigniti nel 1945 del premio Nobel.

La penicillina venne subito introdotta nella terapia antitetanica che provocava milioni di decessi riducendo a poco a poco anche la forza di propagazione della malattia che è oggi sempre più rara.

Dopo la penicillina altri antibiotici vennero sintetizzati, prima, solo da elementi naturali come muffe o batteri e, più tardi, anche per via sintetica o semi-sintetica dando vita a uno spettro di principi attivi utili per la cura di molteplici malattie fino ad allora incurabili.

Insulina, vaccini, ormoni

C. H. Best e F. G.Banting, scopritori dell'insulina

Frederick Grant Banting scoprì nel 1922 il pancreas, e in particolare le isole del Langherhans che producono una sostanza da lui denominata insulina. Si tratta dell’ormone che regola i livelli di glucosio nel sangue, la cui mancata secrezione provoca il diabete. La scoperta di questa sostanza ha consentito perciò di migliorare qualitativamente e di salvare la vita dei pazienti diabetici.

A partire dalla fine dell’Ottocento, anche la microbiologia portò a numerosi progressi nel campo medico introducendo i vaccini: l’identificazione dei microbi responsabili di alcune delle malattie infettive più pericolose, portò alla messa a punto dei vaccini contro il tifo e il carbonchio per proseguire a ritmi serrati, nel corso degli anni dieci e venti del Novecento, quando vennero prodotti nell’ordine il vaccino contro la meningite (1912), contro il paratifo (1916) e poi quello contro la tubercolosi (1921), la pertosse e la scarlattina (1923) e, infine nel decennio successivo, quello contro la febbre gialla (1934).

Anche la produzione di ormoni da parte di alcuni organi del corpo umano (il rene, la prostata, la placenta) fu scoperta nei primi decenni del XX secolo. Si svilupparono così numerosi studi volti a individuarne le funzioni, a partire dalla scoperta dell’ipofisi come ghiandola “prima” che stimola o inibisce la secrezione di ormoni da parte delle altre ghiandole.

Nel 1921 fu individuato l’ormone STH (somatotropo) detto anche ormone della crescita poiché stimola e regola i processi di accrescimento corporeo; l’ormone TSH che regola la funzione tiroidea e il FSH e LH, scoperti nel 1928, che stimolano le ghiandole sessuali (testicoli e ovaie).

In aria

Roald Amundsen

Nel corso degli anni Venti l’aviazione segnò sempre nuovi primati. Principali promotori di progressi tecnici e di manifestazioni e gare furono le istituzioni militari: nel 1920 Mario Stoppani volò da Roma a Madrid senza fare scalo; nello stesso anno fu tentata, e portata a termine, la trasvolata Roma Tokyo ad opera di Arturo Ferrain in un volo di 109 ore a una velocità media di 160 chilometri orari.

Negli anni successivi altri piloti si cimentarono in viaggi, sempre più lunghi e ardimentosi: da Londra a Città del Capo e dalla Gran Bretagna all’Australia come fece Alan Cobham nel 1925; e non si usò solo l’aereo ma anche l’idrovolante come Francesco Pinedo che, nello stesso anno, percorse 53.000 chilometri spostandosi dall’Europa all’Asia e all’Australia.

Il volo più comunemente ricordato è, però, quello di Charles Lindbergh che percorse la tratta New York Parigi in 33 ore e 33 minuti.

La popolarità dei piloti e il fascino di questa professione crescevano insieme ai progressivi primati.

L’aereo oltre a trasportare merci, persone e ad essere impiegato per scopi militari, fu anche nuovo strumento di indagine scientifica e geografica; furono esplorate, ad esempio, le regioni artiche e antartiche nel volo dalle isole Svalbard fino al Polo Nord compiuto dai due americani Richard E. Byrd e Floyd Bennet. Non tutte le imprese furono però vittoriose: Roald Amundsen, norvegese, cadde col suo idrovolante mentre tentava di portare in salvo i naufraghi del dirigibile Italia.

La trasvolata di Lindbergh

Il Daredevil Lindbergh di Lindbergh

Charles Augustus Lindbergh nacque a Detroit nel 1902. Iniziò gli studi di ingegneria ma li interruppe per dedicarsi all’aviazione. Nel 1924 entrò nella scuola di aviazione militare degli USA e divenne capitano. Fino al 1926 pilotò gli aerei postali che compivano voli interni sulla rotta Chicago-St.Louis e nel 1927 decise di tentare la trasvolata dell’oceano senza scalo: sta in questo, infatti, l’importanza della trasvolata di Lindbergh.

Il volo venne compiuto con un piccolo monoplano Ryan, con un motore Wright da 220 CV, lo stesso con cui, prima della grande prova, si era “esercitato” nel percorso San Diego-New York compiuto in 21 ore e 20 minuti. The Spirit of St. Louis, così aveva ribattezzato il monoplano, partì dal Roosevelt Field a New York, il 20 maggio 1927, in direzione dell’aeroporto parigino di Le Bourget, dove giunse dopo 33 ore e 33 minuti. Aveva percorso senza scalo 5.870 chilometri e per questo fu promosso al grado di colonnello, ricevette 25 mila dollari di premio e godé di una grandissima notorietà. Negli anni successivi continuò a volare andando dall’America alla Cina e, in altra occasione al Giappone; percorse oltre 33 mila miglia nel periplo dell’Atlantico nel 1933.

I dirigibili di Nobile

Umberto Nobile e la sua cagnetta Titina

Umberto Nobile, ingegnere napoletano, fu ufficiale dell’esercito italiano e si specializzò nella progettazione dei dirigibili. Il primo volo in dirigibile verso il Polo gli fu affidato nel 1926: si trattava di comandare il dirigibile Norge che aveva funzioni di supporto alla spedizione Amundsen-Ellsworth. Fu allora che egli volò, senza scalo, dalle isole Spitzemberger all’Alaska e ottenne come riconoscimento il grado di generale e l’incarico di programmare e guidare una nuova spedizione polare.

Con il sostegno dell’Università di Napoli, Nobile progettò e costruì un nuovo dirigibile battezzato Italia. Quest’ultimo veniva spinto da un propulsore di 750 CV. e aveva una capacità di 18.500 metri cubi di idrogeno.

La nuova spedizione per il Polo Nord fu condotta da un equipaggio di sedici uomini tutti italiani.

L’Italia partì il 16 aprile 1929 e il 6 maggio giunge alla Baia del Re presso le isole Spitzemberger dove era attraccata la nave di appoggio “Città di Milano”: da lì percorse altri 4.000 chilometri giungendo al Polo il 24 maggio. Fu sulla strada del ritorno che l’Italia iniziò ad avere dei problemi a causa delle difficoltose condizioni atmosferiche: il dirigibile perse quota e tentò un atterraggio di fortuna sulla banchisa, scelta che finì per essere l’inizio della tragedia. Nell’urto dieci uomini dell’equipaggio vennero scaraventati sul ghiaccio mentre altri sei erano rimasti intrappolati all’interno della cabina, quando il dirigibile si rialzò in volo.

L’equipaggio era diviso ed ebbe destini diversi: gli uomini rimasti dentro l’Italia scomparirono insieme all’aerostato, gli altri, all’interno di un riparo di fortuna allestito sui ghiacci con una tenda rossa, tentarono di comunicare con la base ma con scarsi risultati immediati. L’equipaggio si divise ancora quando tre dei dieci sopravvissuti si incamminarono per raggiungere a piedi la base alla Baia del Re che distava una sessantina di chilometri.

Il 6 giugno il messaggio di richiesta di aiuto degli uomini rimasti alla tenda rossa venne captato da un radioamatore sovietico; fu dato il via alle ricerche. Il norvegese Amundsen cadde, e morì, col suo idrovolante mentre tentava di raggiungerli.

A quasi 50 giorni dall’incidente, il 12 luglio, il rompighiaccio sovietico Krassin riuscì a portare in salvo due dei tre uomini che si erano incamminati a piedi e successivamente altri cinque uomini tra i quali Nobile.

Al ritorno in Italia Nobile venne accusato da una commissione d’inchiesta di gravi inadempienze: si dimise dall’esercito e lasciò l’Italia nel 1932 (spinto anche dalla sua avversione al fascismo), per rifugiarsi in Unione Sovietica prima, e negli USA poi. Tornò in Italia nel 1945.

Guardando lo spazio

Harlow Shapely (primo a destra, in piedi), che negli anni '20 fu direttore dell'Osservatorio astronomico ad Harvard, scoprì le dimensioni della Via Lattea e stabilì la posizione tramite parallasse del Sole in essa

Durante gli anni Venti si sviluppò anche l’indagine astronomica e lo studio dell’universo.

Proprio in questi anni si era terminata la costruzione dell’Osservatorio di Harvard, quello di Whashington e quello di Yerks e stava per essere avviata l’edificazione nelle località di Lick e Mount Wilson.

Nel 1920, in una conferenza della National Academy of Sciences, gli studiosi discussero le diverse teorie che fino ad allora erano state elaborate nei vari centri di studio.

L’argomento cardine, sul quale si confrontarono le due teorie di Heber Curtis e Harlow Shapley – occupati in due osservatori diversi – fu la struttura dell’universo.

Shapley, determinò per primo la forma e le dimensioni della nostra galassia sostenendo che avesse dimensioni enormi pari a 300.000 anni luce di raggio, mentre Curtis affermò che l’universo era composto da molteplici galassie. Le loro teorie, ancora parziali ma compatibili tra loro, furono recepite dalla comunità scientifica e costituirono il punto di partenza per successivi studi.

I telescopi ottici e le nebulose extragalattiche

L'Osservatorio di Greenwich

La mappatura dell’universo ebbe grande impulso dalla costruzione di sempre più sofisticati apparecchi di osservazione.

Gli strumenti utilizzati in astronomia nel corso degli anni Venti erano i telescopi ottici: Edwin Powell Hubble indagò, con un telescopio dal diametro di 250 centimetri, le nebulose esterne alla Via Lattea.

Hubble, dall’Osservatorio del Mount Wilson, fotografò col grande telescopio molti oggetti celesti, detti “nebulose extragalattiche”, catalogandoli poi in base alla loro forma: le S e SB, spiraliformi, rispettivamente spirali normali e spirali barrate, le E, ellittiche, con vari gradi di schiacciamento, le I, irregolari, le SO di forma intermedia.

Nel 1926 egli rese noto lo schema delle nebulose che secondo i suoi studi risultavano cambiare forma a seconda delle fasi diverse della loro evoluzione. Risultò allora che le galassie di forma ellittica hanno una scarsa velocità di rotazione e contengono stelle ormai vecchie, le “Nane”, caratterizzate dall’avere poca polvere e gas interstellare. Quelle a spirale ruotano molto velocemente e sono formate da stelle giovani dette “Super Giganti Blu”.

Oggi si ritiene che in realtà la forma delle galassie non sia connessa alla loro età, ma piuttosto al diverso processo di formazione intrapreso fin dalla loro origine.

Negli stessi anni anche altri scienziati contribuirono alla mappatura dell’universo (Lemaitre, Slipher, Gamow, Penzias, Wilson, Guth).

La legge di Hubble

Il Telescopio Hooker usato da Hubble

Hubble, con ripetute osservazioni telescopiche dal Mount Wilson, affermò che l’universo era in espansione.

Egli riuscì a dimostrare innanzitutto che Andromeda è una galassia posta al di fuori della nostra, e successivamente classificò le varie galassie in base alla loro forma.

Ma la scoperta più significativa, che dette luogo alla “Legge di Hubble”, fu sollecitata dall’affermazione di uno scienziato sovietico, Friedman, che sosteneva il dinamismo e la trasformazione dell’universo. Nel 1929 Edwin Powell Hubble confermò che le nebulose collocate attorno alla Via Lattea si allontanano dalla nostra galassia con una velocità che è proporzionale alla distanza da questa – e che cioè si accresce quanto maggiore è la lontananza – dimostrando perciò, nella cosiddetta “Legge di Hubble”, il processo di espansione dell’universo. Il computo della velocità di allontanamento e la distanza tra le galassie esterne e la nostra, dà luogo ad una costante di proporzionalità detta “costante di Hubble”. Egli studiando le emissioni di luce delle stelle, constatò che le stelle e le galassie più lontane, quelle che si allontanano progressivamente dalla nostra, emettono una luce sempre più rossa. Il collegamento tra colori e lunghezze d’onda, chiamato “effetto Doppler”, si può osservare tramite lo spettrografo, nel quale il colore blu corrisponde alla lunghezza d’onda di una stella sempre più vicina, e quello rosso delle stelle più lontane.

Goddard un razzo verso lo spazio

Robert Goddard, sfidando il freddo dell'inverno del 1926, sorregge una delle sue più notevoli invenzioni, un prototipo di razzo a prpulsione liquida: 40 anni dopo permise all'equipaggio dell'Apollo 11 di compiere il primo allunaggio

Gli endoreattori, più comunemente noti come razzi, furono sperimentati a partire dal 1920. I primi razzi erano alimentati con propellenti solidi, nitroglicerina e nitrocellulosa, il che costituiva però un limite nell’affidabilità, poiché una volta avviato il processo di combustione non era facile poterlo bloccare. Cominciò allora l’introduzione di propellenti liquidi e il primo lancio fu eseguito a Auburn, nel Massachusetts, nel 1926. La prima prova, frutto delle ricerche dello scienziato Robert Goddard, diede il via a ricerche che conducessero alla possibilità di guidare e dirigere la rotta dei razzi. Furono introdotti dei giroscopi, una massa rotante dotata di una grande velocità di rotazione e che per questo difficilmente modifica il suo asse di rotazione consentendo di mantenere la rotta desiderata.

La Germania dedicò grandi energie alla ricerca sui missili, in particolare per scopi militari. Nel 1929 Wernher von Braun e Hermann Oberth presentarono le V2, proiettili a razzo da cui trarranno ispirazione tutti i missili moderni.

I ritrovamenti archeologici

Howard Carter

Nel 1924, in Africa, erano stai ritrovati i primi australopitechi che furono classificati da Raymond Dart come Australopithecus africanus con caratteri che stavano a metà tra quelli delle scimmie antropomorfe e l’uomo. Avevano un cranio piuttosto piccolo rassomigliante a quello di una scimmia e uno scheletro dal quale se ne deduceva la posizione eretta e di bipede simile a quello degli ominidi; anche i denti confermavano questa somiglianza.

Solo in studi successivi fu appurato che il cervello, per quanto piccolo, doveva somigliare più a quello degli ominidi che alle scimmie.

Nel 1929 nei dintorni di Pechino furono portati alla luce reperti fossili di ominidi preistorici; erano dello stesso genere di quelli già rinvenuti a Giava nel 1889 e tutto sembrava indicare che fossero di un’epoca anteriore agli ominidi europei: furono allora attributi all’Homo erectus.

La tomba di Tutankhamon

Maschera d'oro di Tutankhamon, tomba di Tutankhamon (Valle dei Re, Tebe)

La ricerca della tomba di Tutankhamon risale al 1907 quando in Egitto si incontrarono Lord Carnarvon, aristocratico amante delle antichità, e Howard Carter, archeologo professionista, entrambi appassionati egittologi e desiderosi di riportare alla luce, quasi per scommessa, la tomba del faraone che aveva restaurato la fede al dio Amon.

A loro si unì il miliardario americano, e archeologo dilettante, Theodore Davis che sperava di trovare insieme alla tomba un tesoro d’oro.

I tre ebbero, per mano di Gaston Maspero, direttore delle Antichità dell’Egitto, l’autorizzazione a scavare nella Valle dei Re che sembrava essere divenuto in quegli anni luogo privo di ogni ulteriore interesse archeologico dopo essere stato rovistato e scavato fin dai tempi di Belzoni.

Carter, archeologo di professione, impose agli altri due un ritmo e un rigore scientifico negli scavi che li spazientì tanto che David nel 1914, dopo sette anni di scavi, deluso si allontanò dalla compagnia, e l’altro, Lord Carnarvon, pur avendo rinnovato il suo impegno fino al 1923, al momento dello scoppio della prima guerra mondiale rinunciò all’impresa.

Solo Carter insisté, convinto che tutte le tombe della XVIII Dinastia fossero nella Valle, e che fra queste dovesse esserci anche il sepolcro di Tutankhamon.

Egli concentrò gli scavi intorno alla base della tomba di Ramsete VI dividendo il terreno in rettangoli, e segnando con una X ogni punto già sottoposto a indagine.

Proprio nell’ultimo rettangolo il 5 novembre del 1922 egli vide emergere dalla sabbia un gradino.

I gradini ritrovati erano poi 16 e terminavano davanti a una porta che conduceva a un corridoio. Prima di aprire la porta, Carter ritenne opportuno comunicare a Carnarvon la scoperta e attendere il suo arrivo. Due settimane dopo venne fatta la prima ricognizione della tomba. La notizia della scoperta si diffuse nel mondo e fotografi, giornalisti e semplici turisti, iniziarono a invadere il sito facendo assurgere Tutankhamon a oggetto di culto dei mass media.

Il Pensiero

Dalla fenomenologia all’esistenzialismo

Durante gli anni Venti i presupposti della scuola fenomenologica, cresciuta attorno ad Edmund Husserl, furono accolti e rielaborati in una nuova prospettiva, che risentiva del differente clima determinatosi dopo il conflitto mondiale. Nacque il pensiero esistenzialista, che rappresenta una delle massime espressioni della crisi di un’epoca, che filosofie sostanzialmente ottimistiche quali l’idealismo, il positivismo e il marxismo facevano fatica ad interpretare esaustivamente. E’ l’uomo, con la sua natura di essere finito, “gettato nel mondo”, a divenire il fulcro del pensiero esistenzialista: l’esistenza terrena assumeva una decisiva centralità, rapportandosi con l’essere concepito come trascendente e trovando nella “possibilità” un proprio carattere costitutivo. Essa, infatti, non costituisce un’essenza, data per natura, predeterminata e immodificabile, bensì un poter-essere plasmato dall’uomo, essere finito sì, ma pur sempre unico soggetto filosofante. L’uomo sarà quello che lui stesso ha deciso di essere, con tutto ciò che ne consegue, implicando la possibilità, l’incertezza, la problematicità, il rischio, la decisione. I rappresentanti più insigni di questo filone di pensiero furono: Jean-Paul Sartre, Gabriel Marcel, Maurice Merleau-Ponty e Albert Camus in Francia, Nicola Abbagnano in Italia, Martin Heidegger e Karl Jaspers in Germania.

Nikolai Hartmann e l’etica materiale dei valori

Seguendo in una prima fase le orme dei suoi maestri, Cohen e Natorp, Nikolai Hartmann (1882-1950) giunse presto tuttavia a sottoporli a una critica serrata per ciò che riguardava la tendenza del neocriticismo a porsi e a chiudersi nelle maglie di un pensiero-sistema, tendenzialmente dogmatico, che eludeva la dimensione da lui ritenuta corretta per la riflessione filosofica, quella di pensiero-problema. La lettura dell’opera di Husserl lo condusse ben presto, dai presupposti di soggettivismo immanentistico e idealistico da cui era partito, a battere percorsi ontologici: tuttavia il pensiero di Hartmann, pur inquadrabile nel filone fenomenologico, non è riducibile del tutto ad esso. Nella sua opera del 1921, Principi di una metafisica della conoscenza, stabilendo una presa netta di distanza dai principi gnoseologici della scuola di Marburgo, che col suo soggettivismo portava inevitabilmente ad una concezione della conoscenza come produzione dell’oggetto, Hartmann ne ribadì una connotazione del tutto realistica: conoscere è comprendere qualcosa che sta prima e indipendentemente da ogni forma di conoscenza. Nel 1926 fu pubblicato un suo lavoro dal titolo Etica, nel quale, sulla stregua di Max Scheler, Hartmann proponeva un’etica materiale dei valori, del tutto oggettivi, che si rivelano all’uomo tramite uno specifico sentimento: il ruolo della soggettività rimane quello della manifestazione, non della produzione dei sentimenti, che posseggono un essere ideale in sé, così come gli enti matematici e tutte le essenze, quindi universali. Il compito dell’etica è pertanto quello di analizzare e descrivere i valori, prima di farne seguire delle precise norme di condotta.

Le essenze come valori: Max Scheler

Esponente atipico del filone di pensiero che, ponendosi in contrapposizione con l’ottimismo delle filosofie ottocentesche, dette vita alla scuola fenomenologica ed esistenzialista, Max Scheler elaborò durante gli anni Venti opere che, probabilmente, non hanno avuto in seguito la rilevanza che avrebbero meritato: L’eterno nell’uomo (1921), Essenza e forme della simpatia (1923), Le forme del sapere e la società (1926) e La posizione dell’uomo nel cosmo (1928). Egli partiva da una netta avversione per le costruzioni astratte e dal presupposto di poter cogliere intuitivamente la verità dell’essenza; si poneva così in netta antitesi con i fondamenti e la concezione dell’etica kantiana. Se quest’ultima si caratterizzava come normativa, in Scheler siamo di fronte alla sostituzione del “valore” al “dovere” quale principale fondamento etico: i valori vengono intesi in senso husserliano, ossia sono essenze in virtù delle quali le cose buone sono beni, per cui, ad esempio, un’opera d’arte è un bene in virtù del valore “bellezza”. In definitiva egli proponeva l’esistenza di proposizioni a priori, universali, tuttavia non in senso formale, bensì materiale, costruendo così un’etica valida erga omnes, tuttavia materiale. I valori sono accessibili non per via teoretica, ma attraverso un’intuizione emozionale basata sul sentimento. Ciò conduce ad una concezione dell’uomo come “persona”, non più identificata con l’io trascendentale, ma con un individuo concreto, un’unità organica di soggetto spirituale e di corpo come strumento per attuare valori; una persona dunque che sa aprirsi alle cose e agli altri e che è naturalmente portato a porsi in rapporto con gli altri “io”, per mezzo della “simpatia” quale unico e autentico fondamento del rapporto interpersonale. In L’eterno nell’uomo Scheler giunse inoltre a importanti riflessioni sulla religiosità e la religione, elaborando una teologia negativa che egli riteneva più profonda e autentica di quella positiva: l’evidenza filosofica che “non c’è il nulla” e il conseguente stupore di fronte all’essere, porta con sé l’immediata evidenza di un essere assoluto, caratterizzato dalla incommensurabilità con le categorie umane, dall’onnipotenza e dalla sacralità. Nell’esperienza religiosa si ha la rivelazione del sacro, per cui l’uomo può conoscere Dio solo in Dio, in una comunione di vita con lui, in definitiva divinizzandosi.

L’esistenzialismo di Martin Heidegger

Martin Heidegger elaborò la propria opera più nota, Essere e tempo, pubblicata nel 1927, in un contesto storico e culturale profondamente mutato in seguito al trauma della prima guerra mondiale e al progressivo avvento della società di massa e del lavoro standardizzato. Per Heidegger l’uomo costituisce l’ente che si pone la domanda sul senso dell’essere; ed egli, considerato nel suo modo di essere, è “esser-ci”, fa cioè sempre parte di una situazione in cui è “gettato”, e verso la quale si pone in rapporto attivo. Quindi “esser-ci” non significa semplice presenza, un’“oggettività” data, bensì l’esistenza stessa, che è innanzi tutto possibilità. E “l’esser-ci” implica l’essere-per-la-morte, consapevolezza dell’unica ineluttabilità; una consapevolezza che genera angoscia, per rimuovere la quale l’uomo ricorre spesso all’illusorietà di un’esistenza inautentica. Ma è la “voce della coscienza”, attraverso l’esperienza dell’angoscia stessa, che può far riacquistare verità e libertà all’esistenza, restituendola ad una dimensione autentica e priva di infingimenti. Essere in maniera autentica implica avere il coraggio di guardare in faccia il proprio essere-per-la-morte, che è accettazione della propria finitezza e negatività. Se l’esistenza è possibilità e progetto, il futuro costituisce il carattere essenziale dell’esistenzialità: e se vivere il futuro inautenticamente è vivere in funzione del successo mondano, l’esistenza autentica è l’esistenza che vede l’insignificanza di tutti i progetti e i fini dell’uomo.

Il giornale metafisico di Gabriel Marcel

Al pari di Jean-Paul Sartre, Gabriel Marcel fu, oltre che filosofo, anche critico e autore teatrale, e stabilì, nella propria elaborazione, un’interazione costante tra queste differenti dimensioni. Infatti, l’attività drammaturgica rappresentava per lui, da una parte uno strumento euristico non ideologizzato, dall’altra un correttivo delle parzialità ineliminabili delle sintesi filosofiche. Il procedimento astrattivo comporta infatti delle generalizzazioni che egli cercò sempre di mitigare, schierandosi dunque contro ogni pretesa e procedimento riduttivo. Il suo lavoro fu caratterizzato da un’attenzione costante all’uomo concreto, determinato, che si trova in una situazione data: tale aspetto contribuisce a spiegare l’origine del Giornale metafisico, pubblicato nel 1927, incentrato non tanto su un binario sistemico, quanto su direttrici problematiche. Il pensiero di Marcel si fondava su tre capisaldi principali, che si intrecciano e sovrappongono a vicenda: innanzi tutto la rivendicazione della singolarità specifica dell’esistente e del “mistero dell’Essere” di fronte alle pretese razionalistiche di ridurre la realtà e l’esistenza all’esperienza indotta tramite il metodo empirico; in secondo luogo la sottolineatura dell’impossibilità di oggettivare il sentimento corporeo, in quanto il corpo costituisce l’intermediario obbligato tra soggetto e realtà. Inoltre egli sosteneva la dottrina del “mistero ontologico”: l’esistenza diviene autentica soltanto attraverso la partecipazione all’Essere, che può venir colta dall’esempio e dall’analisi di alcuni elementi dell’esperienza cristiana, come l’amore, la speranza e la fedeltà. In sintesi quella di Marcel si caratterizzava come metodologia dell’inverificabile, opposta di fronte alle pretese onnicomprensive del razionalismo empirico.

La filosofia del linguaggio

Nel corso del Novecento il linguaggio ha occupato un ruolo di assoluto rilievo nelle elaborazioni filosofiche, che ne hanno decretato la valenza di “luogo” di conoscenza e di rappresentazione del mondo. Una centralità che comunque ha assunto differenti e talvolta antitetiche interpretazioni, riducibili in sintesi alla corrente di filosofia analitica e a quella ermeneutica. Nella filosofia analitica, nata e cresciuta nei primi decenni del secolo, la filosofia del linguaggio interpretava quest’ultimo attraverso una “teoria del significato”, facendola assurgere a disciplina guida della filosofia stessa. L’analisi si rivolgeva così, da un lato ai significati delle parole - aspetto centrale nella cosiddetta “filosofia del linguaggio ordinario” -, dall’altro ai concetti che rendono tali i linguaggi stessi e che fungono da strumenti di studio (concetti quali “significato”, “nome”, “verità”). Nel corso dell’elaborazione contemporanea sono state individuate tre principali “dimensioni” del linguaggio: quella combinatoria (sintassi), quella riferita a verità e significato (semantica) e quella relativa all’uso nella vita sociale delle espressioni linguistiche (pragmatica)

Sia Bertrand Russell, durante i primi vent’anni del Novecento, che Ludwig Wittgenstein, suo allievo, a partire dagli anni Venti, furono tra i più importanti “propulsori” teorici nel campo dell’analisi del linguaggio. In particolare, l’opera del secondo, non certamente riducibile a definizioni riduttive, ha influenzato profondamente eterogenei campi di ricerca e correnti filosofiche coeve e successive.

Ludwig Wittgenstein: il Tractatus logico-philosophicus

Nel 1921 fu pubblicata una delle opere filosofiche più influenti e discusse di tutto il Novecento, il Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein. Allievo di Bertrand Russell, egli presentava, pur in uno stile assai ostico, una teoria della realtà e del linguaggio talmente organica da far credere alla dissoluzione repentina dei principali nodi filosofici. Secondo il filosofo esistono, infatti, degli oggetti semplici, eternamente e necessariamente; le loro proprietà e la loro esistenza sono inevitabili (tali oggetti non potrebbero essere diversi da come sono e non avrebbero potuto essercene altri). Come recita l’apertura del Tractatus, “Il mondo è tutto ciò che accade”: un mondo cioè costituito dai fatti, da quegli oggetti semplici che assumono infinite configurazioni combinandosi tra loro. Su questo punto tuttavia, sia Russell che poi i neopositivisti criticarono come approssimativa e poco chiara la teorizzazione di Wittgenstein: egli, infatti, non spiegava se tali oggetti semplici fossero o no dati sensoriali, quindi conoscibili empiricamente. Comunque la parte che più interessava l’autore era probabilmente la teoria del linguaggio: secondo tale teoria, definita corrispondentista, esso si caratterizzava come raffigurazione proiettiva della realtà, come riproduzione di uno stato di cose nella quale a ogni fatto è associata una parte del discorso. L’intera proposizione descrive con la sua combinazione un modo in cui gli oggetti sono combinati: “la verità o falsità della raffigurazione consiste nell’accordo o disaccordo del suo senso con la realtà” (prop. 2.223). Si trattava di un poderoso attacco a qualsiasi tipo di metafisica, che veniva definita non tanto falsa, quanto insensata, dato che i quesiti che pone e ai quali risponde risultano irrisolvibili: la maggior parte dei problemi filosofici più profondi non costituiscono propriamente dei problemi. Quindi unicamente la scienza ha senso, mentre la filosofia veniva definita attività chiarificatrice degli asserti delle scienze empiriche e dissolutrice dei pretesi asserti metafisici. A questo aspetto, peraltro centrale, del pensiero di Wittgenstein, si ricollegarono i neopositivisti, rifiutandone invece quello definito “mistico”, altrettanto rilevante: se al di là della scienza e del mondo sta l’inesprimibile, ciò di cui “si deve tacere”, e se “nel mondo tutto è come è, e avviene come avviene”, se “in esso non vi è alcun valore - e se vi fosse non avrebbe alcun valore”, allora “noi sentiamo che se pure tutte le domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati”.

Processo e realtà: Alfred North Whitehead

L’intento di fondo di Alfred North Whitehead (1861-1947) è rappresentato, in particolare nelle sue opere La scienza e il mondo moderno (1925) e Processo e realtà (1929), dall’edificare una visione del mondo che si basi e si intrecci reciprocamente con le astrazioni più avanzate delle scienze. La filosofia speculativa, infatti, costituisce un tentativo di erigere un sistema coerente, logico e necessario di idee generali, che permetta così di interpretare ogni componente dell’esperienza. Viene così suggerita una sinergia tra filosofia e scienze, nel cui ambito è compito della prima trovare concordanza tra le idee che i fatti concreti illustrano, mentre è dovere delle seconde individuare i propri principi tra i fatti concreti stessi che la filosofia ha presentato. Whitehead fu tra i primi intellettuali a comprendere fino in fondo la portata rivoluzionaria della teoria della relatività di Einstein: proprio l’ineluttabilità del superamento dei fondamenti newtoniani, fino ad allora ritenuti assiomatici, lo convinse ulteriormente sia del carattere di processualità nello spazio e nel tempo dell’intera storia dell’umanità e dell’universo, sia del fatto che non il concetto di sostanza, bensì quello di evento, costituiva la chiave interpretativa più idonea per comprendere la realtà. L’universo intero infatti, secondo la relatività, non era più materia statica, inerte, ma un processo, un organismo in continua mutazione, e il soggetto non costituiva più, come nell’idealismo, il punto di partenza del processo stesso, ma un parziale punto di arrivo.

Filosofia della scienza: il neopositivismo del Wiener Kreis

Durante gli anni Venti la riflessione sul metodo scientifico ricevette un ulteriore impulso: prendeva vita, infatti, in quegli anni a Vienna il Wiener Kreis (Circolo di Vienna), costituito da un gruppo di scienziati-filosofi accomunati da una decisa avversione antimetafisica e da un profondo interesse per l’analisi approfondita del linguaggio, per la struttura e i metodi delle scienze naturali e per i fondamenti della matematica. Il cosiddetto neopositivismo (o neoempirismo, o positivismo logico) presenta quali punti salienti innanzi tutto il rifiuto, in contrapposizione alla scuola neokantiana, della possibilità di una conoscenza sintetica a priori; in secondo luogo l’assunzione del principio di verificazione quale criterio dirimente tra proposizioni sensate ed insensate, caratterizzandolo dunque come criterio di significanza; in terzo luogo la netta separazione tra conoscenza scientifica e altre sedicenti conoscenze di tipo metafisico, negando quindi a tale branca della filosofia ogni valenza conoscitiva. Inoltre era perseguito l’obiettivo di una “scienza unificata”, che riunisse tutto il sapere in un solo corpus organico e coerente; infine, ma non meno importante, l’accettazione della concezione di filosofia come analisi del linguaggio, in particolare scientifico, e dell’uso, ad essa finalizzato, delle tecniche logico-simboliche: il riferimento ai fondamentali contributi di Bertrand Russell e di Gottlob Frege veniva spesso sottolineato dai componenti del Circolo, così come agli aspetti più prettamente antimetafisici del pensiero di Wittgenstein.

La vita del Circolo è legata al nome di intellettuali come Rudolf Carnap, Moritz Schlick, Otto Neurath, e si dispiegò dalla fondazione, avvenuta nel 1924, fino all’avvento e all’espansione del regime nazista: l’opposizione al regime fu netta da parte di tutti i componenti, molti dei quali emigrarono negli Stati Uniti, dove l’attività del Circolo riprese a contatto con le correnti empirico-pragmatistiche della filosofia americana. Il fondatore del Circolo, Moritz Schlick, venne assassinato da uno studente nazista nel 1936.

Otto Neurath: il linguaggio come “fatto fisico”

Il principale obiettivo dell’elaborazione filosofica di Otto Neurath (1882-1945) consisteva nel porre in atto un tipo di linguaggio che fosse quanto più libero possibile dall’egida metafisica. Della teoria del linguaggio di Wittgenstein contestava la natura del linguaggio stesso quale raffigurazione proiettiva, oltre ad osteggiare radicalmente gli aspetti mistici del Tractatus. All’interno delle discussioni del Circolo fu uno dei più accesi avversari di qualsiasi intrusione metafisica, contro la quale ingaggiò una battaglia che percorse l’intero arco del suo lavoro filosofico. In quest’ottica giunse ben presto ad una critica radicale del principio di verificazione, reputato insoddisfacente e “criptometafisico”: infatti, sosteneva, o tale criterio veniva assunto come fattuale - perdendo così ogni pretesa di universalità - oppure come norma, cadendo in contraddizione poiché per suddetto principio la norma non ha senso. Per risolvere l’aporia, Neurath mise da parte, come detto, la concezione proiettiva del linguaggio, per fondarne una di tipo fisicalista: il linguaggio doveva essere concepito come un fatto fisico, come un insieme di suoni e di segni. Tale virata teorica comportava un corrispondente mutamento del criterio di accettabilità di una proposizione scientifica: alla corrispondenza tra proposizione e fatto veniva sostituita la coerenza tra proposizione e proposizione. Pertanto un asserto risultava “corretto” oppure “non corretto” in base alla possibilità o meno di inserirsi coerentemente all’interno di un sistema dato. Per Neurath questo costituiva l’unico criterio atto a fondare un’Enciclopedia della scienza unificata, al fine di riunire tutti i contributi delle scienze positive dotate di una forza intellettuale realmente utile per l’umanità.

Rudolf Carnap: controllabilità e confermabilità

All’interno del Circolo fu Carnap (1891-1970) ad accogliere più di ogni altro le suggestioni del fisicalismo di Neurath, tentandone tuttavia un ripensamento per una più solida fondazione. Tra i due capisaldi della teoria neurathiana, la concezione del linguaggio come fatto fisico e l’esigenza di una scienza unificata su base fisicalista, Carnap accettava senz’altro la seconda, non rigettando del tutto però, a proposito della prima, il principio di funzione simbolica dei segni. Il linguaggio fisico dunque doveva essere assunto come linguaggio della “scienza unificata” possedendo le caratteristiche di universalità, intersoggettività e intersensualità. Così come Neurath, anche Carnap contribuì, pur in differente maniera, alla cosiddetta “liberalizzazione” delle tesi neopositivistiche, soprattutto per ciò che riguardava il criterio di verificabilità quale principio di conoscenza, che era oggetto di numerose critiche, tra cui quelle di Wittgenstein nella fase post-Tractatus e di Karl Popper. Carnap parlava, infatti, anziché di verificabiltà, di “controllabilità” e “confermabilità”: una proposizione è controllabile qualora si conosca un metodo per addivenire ad un’eventuale conferma, mentre è confermabile se si conoscono le condizioni nelle quali, in linea di principio, sarebbe confermata. A sua volta distingueva tra “confermabilità completa” ed “incompleta”: completa qualora la proposizione sia riducibile ad una classe finita di proposizioni con dati osservabili (ad es. “tutti i bicchieri su questo tavolo sono trasparenti”), mentre incompleta quando una proposizione è riducibile ad una classe infinita di proposizioni con dati osservabili e consequenziali ad essa (ad es. “tutti i metalli, se riscaldati, si dilatano”).

Il marxismo durante la costruzione dell’URSS

L’esegesi e l’interpretazione della filosofia marxiana aveva imboccato percorsi eterogenei e spesso conflittuali: gli intellettuali marxisti della Seconda Internazionale (1889-1917) privilegiarono una lettura in chiave positivista e darvinista, mentre i cosiddetti “austromarxisti” si basarono su presupposti metodologici neokantiani. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre e la nascita della Terza Internazionale (1919) sotto l’egida bolscevica, i pensatori marxisti, anche sulla base di una disponibilità più ampia e di un’analisi più accurata delle opere di Marx, puntarono a un recupero dei contenuti più prettamente hegeliani, riproponendo con decisione il tema della dialettica come criterio di conoscenza. Oltre al materialismo dialettico sovietico, che aveva in Lenin il proprio esponente più notevole, era ascrivibile a questo filone interpretativo il cosiddetto “marxismo occidentale”, sviluppatosi in paesi dove il comunismo non era al potere. Pur senza dar vita ad una “scuola” in senso stretto, le elaborazioni di autori come Lukács e Korsch, Gramsci ed Ernst Bloch presentavano comunque tratti e nuclei teorici comuni: sulla base dell’utilizzo della dialettica di matrice hegeliana, venivano innanzitutto abbandonati gli schemi meccanicistici, evoluzionistici ed economicistici del marxismo di fine Ottocento. In secondo luogo, prese corpo un’interpretazione del materialismo storico nei termini di uno storicismo umanistico che considerava l’esperienza un processo il cui vero agente è l’uomo sociale e la sua prassi; in terzo luogo veniva rifiutata ogni forma di marxismo teso a ridurre la storia al solo scheletro economico, con una conseguente rivalutazione della “realtà” e dell’importanza delle idee e sovrastrutture. Di fondo, infine, prevaleva una maniera aperta ed eterodossa di rapportarsi al pensiero marxiano. Fu su questo aspetto generale e sostanziale che le strade del materialismo dialettico sovietico e del marxismo occidentale si differenziavano maggiormente: il primo infatti, oltre a utilizzare tali categorie in maniera onnicomprensiva nell’analisi di qualsiasi aspetto della realtà, tese, contestualmente all’indirizzarsi in senso stalinista della politica sovietica, a caratterizzarsi sempre più rigidamente come “scolastica di partito”, mostrando un volto assolutistico e dogmatico, che fu estraneo alla maggior parte dei marxisti occidentali.

György Lukács: Storia e coscienza di classe

Nel 1923 fu dato alle stampe Storia e coscienza di classe, una raccolta di saggi dove erano raccolte le componenti più importanti del pensiero dell’ungherese György Lukács (1885-1971), uno degli esponenti di maggior spicco del nuovo filone interpretativo del pensiero di Marx. Egli, infatti, intendeva, nella sua opera, riportare in auge il “marxismo ortodosso”, dove con questo termine si intende non un’accettazione acritica o fideistica del pensiero di Marx, bensì un recupero del nucleo metodologico più autentico. Secondo Lukács il metodo marxista, ossia quello dialettico, era il più corretto per comprendere la storia umana: la dialettica impedisce di considerare i fatti (come invece fa la scienza sociale borghese) come frazionati tra di loro, atomizzati, non connessi in una totalità complessiva. E’ soltanto attraverso questa connessione reciproca e dinamica tra particolare e universale che diventa possibile la conoscenza dei fatti nel loro sviluppo storico, una conoscenza dei fatti, cioè, come conoscenza della realtà. L’asserto marxiano secondo cui i rapporti di produzione di ogni società costituiscono un “intero”, rappresenta una premessa metodologica interpretativa essenziale per la conoscenza storica delle relazioni sociali: la società va dunque analizzata come, appunto, un intero. La categoria della totalità, infatti, sottrae i singoli eventi al loro isolamento, non li tratta più come momenti statici di un processo storico, autonomi e indipendenti tra loro, ma li considera come elementi dialettico-dinamici di un tutto, anch’esso dialettico-dinamico. Il soggetto idoneo a comprendere la società nella sua totalità è costituito, secondo Lukács, dalla “classe”, che, unica può, attraverso l’azione, la prassi, penetrarla e modificarla: la consapevolezza della situazione storica in cui il proletariato si trova, che deriva dalla comprensione della realtà nella sua interezza, nonché dei compiti che ne conseguono, costituisce la coscienza di classe. Una volta raggiunta, la coscienza si trasforma in azione: in quest’ottica il ruolo del partito e dell’organizzazione nei confronti della classe è più una conseguenza che una premessa, dato che essi non possono né frenare né provocare tale presa di coscienza, ma solo veicolarla.

Fu soprattutto quest’ultimo aspetto del pensiero di Lukács a provocare nel 1924 la condanna della sua opera da parte della Terza Internazionale, con l’accusa di soggettivismo e di idealismo. Dopo la presa del potere del nazismo nel 1933 e la sua fuga da Berlino verso l’URSS, egli pronunciò una grottesca autocritica, rigettando la “tendenza idealistica” di Storia e coscienza di classe.

Karl Korsch, un marxista “eretico”

Un’altra figura di spicco del marxismo occidentale fu rappresentata dal tedesco Karl Korsch (1886-1961). Come Storia e coscienza di classe di Lukács, anche Marxismo e filosofia, la sua opera principale, uscì nel 1924 e subì la dura condanna sia della Terza Internazionale, con l’accusa di “revisionismo”, sia di Karl Kautsky e dell’intero Congresso del partito socialdemocratico, tacciandola di “comunismo”. Deputato al Reichstag dal 1924 al 1928, nel 1926 Korsch venne espulso dal Partito Comunista tedesco, dopo essere stato uno dei pochi, nello stesso anno, a votare contro il trattato russo tedesco, giudicandolo un’alleanza militar-imperialista. Le critiche, che gli costarono in particolare la scomunica da parte della Terza Internazionale, erano indirizzate alle teorie e alla strategia politica di Lenin: Korsch infatti lo accusava innanzitutto di aver concepito la coscienza di classe come un fattore da introdurre nella prassi del proletariato “dall’esterno”; poi di aver stabilito una connessione deterministica e meccanicistica tra coscienza e realtà, definita “primitiva e predialettica”. Inoltre sosteneva che la dittatura stabilita da Lenin in Russia non era del proletariato, ma sul proletariato, non di classe ma del partito e dei suoi vertici, e la definiva come forma di costrizione ideologica. Tutto questo era avanzato da Korsch in nome di una vera rivalutazione della dialettica, che non va insegnata, ma applicata concretamente; la sovrastruttura ideologica, e dunque la filosofia, non riveste un ruolo fittizio e collaterale, ma possiede una forte influenza nella vita degli uomini e della società, costituendo una forza reale di agente storico. Di fronte alla condanna di marxismo e filosofia, egli assunse una posizione molto diversa da quella di Lukács: egli, infatti, non ritrattò mai i propri asserti, portando con sé l’immagine di “autore maledetto” e di esponente del “marxismo ereticale”.

L’elaborazione gramsciana

Nel 1921 nasceva in Italia il Partito Comunista, che annoverava tra i propri padri fondatori uno dei maggiori intellettuali italiani ed europei del Novecento, Antonio Gramsci. Dopo aver trascorso un anno, tra il 1922 e il 1923, in Unione Sovietica, rientrò in Italia nel 1924, venne eletto deputato e fondò il quotidiano “L’Unità”. La stretta autoritaria e le leggi eccezionali del 1926, ne determinarono l’arresto che nel 1928 si tradusse in una condanna a più di 20 anni di carcere. Nel 1929 iniziò, in prigionia, la stesura della sua opera principale e summa del suo pensiero filosofico e politico, i Quaderni del carcere. Alla base della sua elaborazione vi era l’idea di un marxismo inteso come “visione del mondo”, nella quale il materialismo storico rappresentava non tanto “un canone pratico di ricerca storica”, quanto una concezione complessiva della realtà. Molto critico nei confronti sia della tendenza “ortodossa”, incarnata dal materialismo sovietico, che finiva per ricondurre il materialismo stesso in un alveo meccanicistico, sia di quella “revisionista”, che tentava di collegare filosofia della prassi e kantismo, Gramsci si fece fautore di un modello storicistico e umanistico di marxismo, puntando sull’uomo come massimo fattore di storia. Pur non avendo realizzato una trattazione specifica a proposito della dialettica, essa rivestiva, nel pensiero gramsciano, un’importanza fondamentale. Su queste basi criticò come semplicistiche e fuorvianti le analisi che, sia la Terza Internazionale sia il Partito Comunista d’Italia (poi Italiano), avevano condotto sulla natura del regime fascista. Pose inoltre l’accento sull’interdipendenza tra Stato e società civile - tematica che il marxismo non aveva ancora messo a fuoco - attraverso il concetto politico e, soprattutto, culturale di “egemonia”, vale a dire una forma di potere non coincidente con quello esercitato direttamente attraverso le istituzioni e che contribuiva a determinare le tendenze politiche e culturali delle masse. In quest’ottica si concentrò sul ruolo degli intellettuali quali soggetti strategicamente centrali nella produzione di valori collettivamente condivisi.

Morì nel 1937, a quarantasei anni, consumato dalle malattie contratte durante gli anni di carcere.

Karl Mannheim e la sociologia della conoscenza

Karl Mannheim, all’interno di una teoria che esaminava le origini sociali “dei modi di pensare”, gettò le basi per la sociologia della conoscenza nella sua opera Ideologia e utopia (1929) nella quale affermava che determinati aspetti del pensare non possono essere interpretati in modo adeguato fino a quando non siano rintracciate le loro origini sociali. Così dicendo egli prendeva le mosse dal rapporto tra conoscenza sociologica e relazione ai valori, che era stato affrontato da Weber e, basandosi anche sull’insegnamento di Marx, cercava di sviluppare l’analisi del fondamento oggettivo della sociologia. Gli si riconosce di avere indicato il legame tra ideologie e gruppi sociali che se ne fanno portatori, poiché distinse l’ideologia in una concezione particolare e una totale. La prima riguarda quelle rappresentazioni individuali che deformano la realtà per scopi ben determinati, la seconda riguarda invece la concezione che un determinato gruppo sociale ha del mondo dando importanza sia ai contenuti del pensiero sia anche all’articolazione che quel pensiero ha derivato, socialmente e storicamente, dalla logica interna a quella concezione del mondo.

L’analisi sociologica può così evidenziare le connessioni che vi sono sia tra ideologia e orientamento conservatore sia tra utopia e tensione verso la trasformazione: entrambe sono rappresentative solo di alcuni aspetti della realtà mentre la sociologia della conoscenza, che assume una concezione totale dell’ideologia, giunge ad avere una prospettiva distaccata, che le permette di comprendere i condizionamenti sociali del pensiero. Il sociologo così può preparare la strada ad elaborazioni del mondo più imparziali soprattutto grazie all’azione degli intellettuali meno vincolati agli interessi di classe che sapranno individuare la parzialità di ogni convinzione e individuare una prospettiva più ampia e consapevole delle costanti che si presenteranno a ciascun mutamento e, a partire da queste, delineare il progetto di una società capace di superare le proprie contraddizioni.

Jean Piaget: alle radici del cognitivismo in pedagogia

Il campo di indagine di Piaget si concentrò attorno al tema dello sviluppo evolutivo del fanciullo che fu, però, di fatto il punto di partenza per una riflessione più ampia sui processi psichici, sui processi di formazione della conoscenza e sulla sua struttura. Proprio la questione dell’“episteme”, e cioè di come nasce, di come si sviluppa, di come si struttura la conoscenza, fu il suo tema di ricerca.

Lo svizzero Jean Piaget (1896-1980) elaborò una teoria secondo la quale la mente umana non si limita ad assorbire, ma all’interno del processo di socializzazione, elabora e articola la sua intelligenza confrontandola continuamente con le condizioni circostanti.

Nell’elaborazione delle sue teorie egli fece convergere ambiti disciplinari differenti, dalla psicologia alla biologia e alla filosofia, tenendo sempre conto del rapporto esistente tra processo biologico e quello psichico.

Le risposte che egli dette al dibattito sulla conoscenza, iniziato fin dai tempi di Aristotele, fecero parlare di una nuova “filosofia della mente”. Il concetto di sviluppo si realizza, secondo la sua teoria, sempre attraverso l’acquisizione di nuove competenze e modalità e in un continuo rapporto tra elementi interni ed esterni all’organismo attraverso un costante adattamento e una successiva evoluzione delle capacità che la mente si è assicurata nella sua interazione con l’ambiente.

Secondo Piaget ogni vita è, alla sua origine, confusa con l’ambiente circostante, e solo a poco a poco se ne differenzia. Egli affermava, inoltre, che l’interazione tra ambiente e organismo avviene secondo degli schemi interpretativi della realtà che si mantengono pressoché invariati nel corso del tempo. Infine giungeva ad affermare il passaggio dell’intelligenza da una funzione di subordinazione ad una di predominio rispetto ad altre funzioni organiche.

Le basi teoriche poste da Piaget rivoluzionarono il concetto di educazione durante il XX secolo: dal momento che per educazione va inteso tutto ciò che, più o meno consapevolmente, contribuisce a modificare il comportamento di una persona, allora è necessario concepire un’educazione ‘problematizzante’ che, cioè, metta gli uomini in condizione di percepirsi criticamente in divenire all’interno di un mondo in perenne mutamento.

L’economista del New Deal: Keynes

Alla fine della prima guerra mondiale, John Maynard Keynes fu chiamato a Parigi a partecipare alle riunioni della conferenza incaricata di stendere il trattato di pace con la Germania come rappresentante ufficiale del cancelliere dello scacchiere. Egli espresse, in quell’occasione, posizioni contrarie all’imposizione di debiti di guerra troppo elevati che avrebbero finito per impedire la sopravvivenza democratica della Germania e anche la complessiva ripresa economica europea. Finì per dimettersi dall’incarico.

Fu allora che ne Le conseguenze economiche della pace spiegò che se fino a prima del confitto si era avuta cieca fiducia nelle illimitate possibilità di ridistribuzione del reddito tra le classi, ora era invece necessario, per agevolare la ripresa economica, garantire condizioni di pace in modo da combattere l’inflazione che poteva distruggere il sistema capitalistico.

Nel 1923 pubblicò La riforma monetaria, opera nella quale si opponeva all’idea di “neutralità monetaria” che si basava sull’assunto che l’inflazione, pur influenzando redditi e prezzi, lasciava invariato il potere d’acquisto. Egli sosteneva, invece, che l’inflazione e la deflazione si ripercuotevano allo stesso modo su risparmi, investimenti, produzione e occupazione. Ribadì ancora quest’idea in Le conseguenze economiche di Winston Churchill (1925) facendo diretto, e critico, riferimento alla scelta di riconversione della sterlina in oro operata dal cancelliere dello scacchiere.

Tra il 1926 e il 1930 egli portò a termine il Trattato della moneta (1930), in cui tentò di confutare la teoria “classica” dell’occupazione partendo innanzitutto dal risparmio che veniva collegato strettamente al reddito. In secondo luogo affermava che il tasso di interesse non scende mai oltre un limite dato poiché è condizionato da offerta e domanda sia di “risparmio” che di “moneta”. Infine individuava una relazione tra crescita degli investimenti e diminuzione del saggio d’interesse. Considerazioni che lo portavano ad affermare che anche in condizioni di equilibro il reddito non è necessariamente corrispondente alla piena occupazione, vale a dire che si può avere equilibrio anche in sottoccupazione.

Tali considerazioni furono punto di partenza per la teorizzazione del ciclo economico e delle crisi a cui questo è sottoposto, che influenzeranno in maniera rilevante gli studi successivi; inoltre le sue teorie furono messe in pratica dagli stati impegnati nella ricostruzione postbellica che realizzarono delle politiche di riequilibrio, dette “keynesiane” al fine di combattere l’inflazione e aumentare l’occupazione.