Gli Anni Trenta

1930-39

Cronologia

1930

  • Alle elezioni tedesche riscuote grande successo il Partito nazionalsocialista di Hitler e una buona affermazione il Partito comunista.
  • In Cina fallisce la prima offensiva rivoluzionaria dell’esercito popolare comunista.
  • Esce Il mito del XX secolo dell’ideologo nazionalsocialista Alfred Rosenberg, uno dei testi base della teoria razzista e nazista.
  • Ludwug Mies van der Rohe progetta villa Tugendath a Brno.
  • Ludwig Mies van der Rohe viene nominato nuovo direttore al Bauhaus.
  • Gropius progetta il Quartiere Siemenstadt a Berlino.
  • Le Corbusier progetta Immeuble Clart a Ginevra.
  • Le Corbusier progetta il Padiglione svizzero alla città universitaria di Parigi.
  • Esce la prima parte dell’Uomo senza qualità dello scrittore austriaco Robert Musil.
  • Il poeta e drammaturgo sovietico V. Majakovskij si suicida.
  • Negli USA nascono i primi supermercati.
  • Si svolgono i primi mondiali di calcio in Uruguay. Vince la nazione ospitante.
  • Viene sintetizzato il plexiglass.
  • In Francia viene varata un’importante legge sull’assicurazione dei lavoratori contro le malattie e la vecchiaia.
  • Il presidente degli USA Hoover tenta di frenare la crisi economica introducendo pesanti barriere doganali.
  • L’enciclica Casti Connubii riafferma la tradizionale dottrina ecclesiastica sul matrimonio e la famiglia.

1931

  • Il regime fascista promulga un decreto legge che impone tra l’altro il giuramento di fedeltà ai professori universitari: su 1.200 docenti si rifiutano di giurare solo 13.
  • In Germania si forma il “fronte di Harzburg” che unisce le formazioni di estrema destra. In tutto il paese continuano le violenze delle formazioni paramilitari naziste: le SA e le SS.
  • Viene sanzionato il British Commonwealth of Nations di cui fanno parte Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Unione Sud Africana, Stato libero d’Irlanda (EIRE).
  • Il Giappone invade la Manciuria.
  • Max Horkheimer diventa direttore dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte segnando l’avvio della “Scuola di Francoforte”.
  • Chaplin dirige Luci della città.
  • Fritz Lang realizza M (il mostro di Dusseldorf).
  • Le Corbusier partecipa al concorso per il palazzo dei Soviet a Mosca.
  • Aerei militari vengono utilizzati nella guerra cino-giapponese.
  • Il ciclista Learco Guerra è campione mondiale su strada.
  • Il presidente USA, Hoover, propone una moratoria generale dei debiti di guerra.
  • Svalutazione della sterlina inglese.
  • Scoppia il contrasto tra regime fascista italiano e Vaticano sulla questione delle organizzazioni giovanili cattoliche. Pio XI interviene con l’enciclica Non abbiamo bisogno.
  • Nell’enciclica Quadragesimo anno Pio XI dà sistemazione definitiva alla dottrina sociale cattolica.

1932

  • Si forma in Austria un governo di centro-destra guidato da Dollfuss.
  • Viene rieletto alla presidenza della Repubblica tedesca il maresciallo von Hindenburg.
  • Il cancelliere tedesco Bruning decreta lo scioglimento delle formazioni paramilitari naziste.
  • Cade il governo tedesco di Bruning; gli succede il filo-nazista Von Papen.
  • Von Papen ritira il decreto di scioglimento delle formazioni militari naziste.
  • Alle elezioni politiche tedesche il Partito nazionalsocialista ottiene la maggioranza relativa. Il presidente Hindenburg rifiuta l’incarico a Hitler.
  • Viene creato lo Stato di Manchukuo, in realtà avamposto giapponese nella Cina.
  • Si tiene a Venezia la prima Mostra del cinema nell’ambito della Biennale d’arte.
  • Salvador Dalì dipinge Simbolo agnostico.
  • Il Bauhaus viene chiuso, ma si riforma sotto la direzione di Mies van der Rohe a Berlino.
  • Louis Armstrong si reca per la prima volta in Europa.
  • Esce Viaggio al termine della notte di Louis Ferdinand Céline.
  • Per iniziativa del ministro della propaganda tedesco Joseph Goebbels viene fondata la Reichfilmkammer, un ente governativo che mette sotto controllo tutta la produzione cinematografica tedesca.
  • Si svolgono a Los Angeles i giochi olimpici.
  • Il mezzofondista Luigi Beccali è primatista mondiale dei 1.500 piani.
  • Si afferma il mito della “divina” Greta Garbo nel film Mata Hari.
  • Viene inventato il parchimetro.
  • Si applica un vasto programma di opere pubbliche e di provvedimenti in favore dei lavoratori promosso dal governo socialista in Svezia.
  • Il democratico Franklin D. Roosevelt vince con largo margine le elezioni presidenziali sul repubblicano Hoover e diventa il nuovo presidente degli USA.
  • Con il National Recovery Act il presidente Roosevelt lancia la politica del New Deal. I disoccupati negli USA sono più di 12 milioni.
  • Al Capone viene arrestato per frode fiscale.
  • Viene istituito negli Stati Uniti il Reconstruction Finance Corporation, un ente federale per l’aiuto delle aziende in crisi.

1933

  • In Austria con un colpo di Stato Dollfuss assume poteri para-dittatoriali.
  • In Germania Hitler si accorda con von Papen e viene incaricato da Hindenburg a formare il nuovo governo. Si conclude l’esperienza della Repubblica di Weimar.
  • Si insedia il cancelliere tedesco Hitler; nel suo governo figurano, oltre ai nazisti, rappresentanti cattolici, nazionalisti e alcuni tecnici.
  • Il cancelliere tedesco Hitler convince Hindenburg a sciogliere il parlamento e a indire nuove elezioni.
  • In Germania i nazisti incendiano la sede del parlamento (Reichstag) e ne addossano la colpa ai comunisti, alimentando così la paura nei ceti medi di una imminente rivoluzione sociale.
  • Alle nuove elezioni politiche, in Germania, il Partito nazionalsocialista conferma le sue posizioni. Il Cancellierato è di nuovo affidato a Hitler.
  • Il cancelliere tedesco Hitler fa varare leggi restrittive delle libertà politiche e con la “legge sui pieni poteri” esautora completamente il Parlamento. Viene dichiarato fuorilegge il Partito comunista.
  • In Germania viene smantellata l’organizzazione federale e centralizzato il potere nelle mani di Hitler e del Partito nazionalsocialista.
  • In Germania vengono sciolti i partiti politici e i sindacati. Si forma un Fronte tedesco del lavoro che costringe tutti i lavoratori all’interno di un organismo controllato dal governo. Il Partito nazionalsocialista diventa partito unico.
  • In Germania viene istituito il Ministero per la cultura popolare e la propaganda sotto la direzione di Joseph Goebbels. Tutto il sistema educativo e dell’informazione viene posto sotto il controllo del governo nazista.
  • La Germania si ritira dalla Società delle nazioni.
  • Le truppe giapponesi superano i confini della Manciuria e occupano parte della Cina settentrionale.
  • Hitler fa chiudere la “Scuola di Francoforte” che è costretta a trasferirsi a Parigi e poi negli USA.
  • Comincia l’emigrazione verso gli Stati Uniti di numerosi musicisti di fronte all’avanzata del nazismo. Nel corso dell’anno lasciano l’Europa Schonberg e Eisler.
  • Duke Ellington riscuote grandi successi a Londra e a Parigi.
  • Fritz Lang lascia la Germania e, dopo un breve periodo in Francia, si stabilisce a Hollywood.
  • Esce la seconda parte de L’uomo senza qualità dello scrittore austriaco Musil.
  • Sigmund Freud inizia a scrivere L’uomo, Mosè e la religione monoteistica.
  • Negli USA viene costruito il Boeing 247, aereo di linea per passeggeri.
  • Viene fondato in Italia l’istituto nazionale di previdenza sociale.
  • Primo Carnera conquista il titolo mondiale dei pesi massimi contro Jack Sharkey.
  • Alfredo Binda vince per la quinta volta il Giro d’Italia di ciclismo.
  • La RKO produce il primo film spettacolare: King Kong
  • E’ in commercio il disco a 78 giri.
  • Il governo tedesco decreta che tutti i funzionari statali, gli insegnanti e gli impiegati pubblici “non ariani” possono essere allontanati se sospettati di essere oppositori del regime.
  • Viene abrogato il proibizionismo dopo quattordici anni dalla sua attuazione con il ventesimo emendamento promulgato dall’amministrazione Roosevelt.
  • Vengono promulgati dall’amministrazione statunitense l’Agricoltural Adjustament Administration e la National Industrial Recovery Administration.
  • In URSS inizia il secondo piano quinquennale.
  • La Santa Sede firma un concordato con l’Austria.
  • La Santa Sede firma un concordato con la Germania nazista.

1934

  • Si svolge a Venezia il primo incontro tra il dittatore tedesco Hitler e quello italiano Mussolini.
  • A seguito di un fallito colpo di Stato da parte dei nazisti austriaci, Dollfuss viene assassinato. Alla cancelleria viene eletto Schuschnigg.
  • Prosegue in Germania la costruzione dello Stato totalitario con la costituzione di una polizia segreta (la Gestapo) nelle mani di Himmler.
  • In Germania viene istituita una “Suprema corte popolare” che con i successivi “tribunali del popolo” rappresenta lo strumento della repressione hitleriana. Gli antinazisti vengono trucidati o inviati nei campi di concentramento.
  • Il capo del governo tedesco Hitler fa assassinare il leader delle SA, Ernest Rohm, considerato pericoloso per le sue idee “socialisteggianti”. Insieme a lui vengono assassinati numerose altre personalità considerate nemiche di Hitler (”notte dei lunghi coltelli”).
  • Alla morte del presidente von Hindenburg, Hitler si proclama presidente del Reich e accentra definitivamente tutto il potere nelle sue mani.
  • In Germania vengono creati sei raggruppamenti (Reichsgruppen) diretti da funzionari hitleriani che rappresentano la base del sistema corporativo del nazismo. I raggruppamenti coordinano e controllano tutta la vita economica tedesca.
  • Chiang Kai-shek lancia un altro attacco contro le basi comuniste.
  • L’esercito popolare comunista inizia la Lunga marcia.
  • Esce Sintassi logica del linguaggio di Rudolf Carnap.
  • Gropius emigra in Gran Bretagna per poi raggiungere gli Stati Uniti.
  • Esce Assassinio sull’Orient Express della scrittrice di gialli Agatha Christie.
  • Luigi Pirandello riceve il premio Nobel per la letteratura.
  • Apertura del primo lager a Oranienburg, dove finì incarcerato Schuschnigg.
  • Enrico Fermi realizza la prima fissione dell’uranio mediante bombardamento con neutroni.
  • L’idrovolante Macchi M.C. 72 raggiunge la velocità di 709 km all’ora.
  • I coniugi Curie scoprono gli isotopi radioattivi artificiali per l’impiego in tecniche radiologiche.
  • I mondiali di calcio organizzati dall’Italia sono vinti dalla nazione ospitante guidata da Vittorio Pozzo.
  • Clark Gable ottiene il premio Oscar per l’interpretazione da protagonista di It Happened one night (Accadde una notte) di Frank Capra.
  • Le automobili vengono dotate di catarifrangente.
  • Negli Stati Uniti compaiono le prime lavanderie automatiche a gettoni.
  • In Germania il regime nazista emana una serie di leggi che colpiscono la libertà di associazione e contrattazione dei lavoratori.

1935

  • L’Italia invade l’Etiopia: le truppe al comando di Graziani e De Bono penetrano in territorio etiopico giungendo dalla Somalia e dall’Eritrea.
  • La Società delle Nazioni delibera a favore delle sanzioni economiche contro l’Italia in seguito all’aggressione contro l’Etiopia.
  • Hitler denuncia le clausole del trattato di Versailles e inizia il riarmo della Germania.
  • Viene promulgata in Germania la “legge segreta per la difesa” con cui Hitler subordina l’intero sistema produttivo alle esigenze della preparazione della guerra.
  • In Germania vengono promulgate le “leggi di Norimberga” che sanciscono la discriminazione degli ebrei.
  • Mao Tse-tung viene eletto presidente del Partito comunista cinese.
  • La Lunga marcia dell’esercito comunista si conclude nella regione dello Shansi dove viene proclamata la repubblica socialista.
  • Chiang Kai-shek viene arrestato dalle truppe dell’esercito popolare comunista. Si ricostituisce l’alleanza tra nazionalisti e comunisti in funzione antigiapponese.
  • La regista tedesca Leni Riefenstahl realizza, per volontà dello stesso Hitler, il film documentario Triumph des Willens (Trionfo della volontà).
  • Sul transatlantico francese Normandie viene installato** **il primo impianto radar realizzato dall’ingleseWatson Watt.
  • Nasce la Twentieth Century-Fox frutto dell’unione della Fox Film Corp., storica casa di produzione del cinema muto, con la Twentieth Century Pictures.
  • L’AEG Telefunken e l’IG Farben creano i primi nastri magnetici.
  • Muore all’età di 45 anni il celebre autore e interprete di tanghi Carlos Gardel.
  • Roosevelt dà inizio alla seconda fase del New Deal lanciando il Social Security Act, una legge per l’assistenza ai lavoratori che istituisce il sussidio di disoccupazione e la pensione di vecchiaia.
  • Negli USA si garantisce l’attività sindacale dei lavoratori con la legge Wagner.

1936

  • Le truppe italiane entrano nella capitale etiopica Addis Abeba; il negus Hailé Selassié è costretto a fuggire all’estero.
  • Il duce del fascismo Mussolini proclama l’impero italiano e Vittorio Emanuele III assume il titolo d’imperatore d’Etiopia.
  • Trattato di collaborazione tra Italia e Germania: si forma “l’asse Roma-Berlino”.
  • In Spagna il generale Franco guida la ribellione contro il governo repubblicano. Dopo tre anni di guerra civile assume il potere dittatoriale.
  • La Germania e il Giappone firmano il Patto antikomintern.
  • Con l’incarico a Léon Blum si insedia in Francia il primo governo guidato da un socialista.
  • Il primo ministro francese Léon Blum propone alle potenze europee di non intervenire nella guerra civile spagnola. L’accordo non viene rispettato dalla Germania nazista e dall’Italia fascista.
  • Trattato tra Panama e gli Stati Uniti. Questi ultimi si impegnano a non interferire nelle vicende interne del paese.
  • Hans Arp realizza la sua costruzione con giornale Mutilato e apolide.
  • Chaplin gira Tempi Moderni.
  • L’architetto Frank Lloyd Wright progetta la casa sulla cascata a Bear Run (Pennsylvania) e gli Uffici Johnson Wax a Racine.
  • Muore Luigi Pirandello.
  • In Inghilterra la BBC inizia le trasmissioni televisive.
  • In Italia nascono gli studi cinematografici di Cinecittà fortemente voluti dal regime fascista.
  • Viene collaudato in Germania l’elicottero Focke-Wulf Fw 61.
  • Si svolgono a Berlino le Olimpiadi.
  • Il velocista di colore americano Jesse Owens vince quattro medaglie d’oro alle olimpiadi di Berlino (100 metri, 200 metri, staffetta e salto in lungo).
  • L’ostacolista italiana Ondina Valle è medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino.
  • Entra in uso il procedimento Agfacolor di cinematografia a colori.
  • Esce Teoria generale dell’impiego, dell’interesse e della moneta di Keynes.
  • In Francia viene svalutata la moneta nazionale.

1937

  • L‘Italia aderisce al Patto antikomintern stretto l’anno precedente tra Germania e Giappone.
  • L’Italia esce dalla Società delle Nazioni.
  • In Gran Bretagna diventa primo ministro il conservatore Chamberlain.
  • L’esercito giapponese sferra un nuovo attacco alla Cina e occupa Pechino e Tientsin.
  • Avanzata dei giapponesi in Cina che occupano Shanghai e Nanchino.
  • Muore a Roma dopo molti anni di carcere il leader comunista Antonio Gramsci.
  • Pablo Picasso dipinge Guernica.
  • Moholy-Nagy assume a Chicago la direzione di un New Bauhaus.
  • In Italia viene inaugurata Cinecittà.
  • Muore G. Marconi; era nato nel 1871.
  • L. Lumière inventa la cinematografia tridimensionale con il sistema delle lenti bicolori.
  • F. Whittle costruisce il primo motore a reazione.
  • Joe Louis conquista il titolo mondiale dei pesi massimi. Sarà l’assoluto dominatore della categoria fino al 1948.
  • Walt Disney realizza il primo lungometraggio a disegni animati, Snow White and the Seven Dwarfs (Biancaneve e i sette nani).
  • Con l’enciclica Divini Redemptoris il papa procede a una solenne condanna del comunismo.
  • Nell’enciclica Mit brennender Sorge Pio XI condanna lo spirito antireligioso e neopagano del nazismo.

1938

  • In Italia viene pubblicato il “manifesto della razza” che anticipa le leggi antisemite.
  • Il cancelliere austriaco Schuschnigg incontra Hitler per convincerlo a recedere dall’intenzione di annettere il paese alla Germania. Schuschnigg fallisce e lascia il posto a Seyss-Inquart, capo del partito nazista austriaco.
  • Le truppe tedesche invadono l’Austria e proclamano l’annessione (Anschluss).
  • Continua l’avanzata giapponese in Cina con l’occupazione di Canton.
  • La Germania si annette la regione cecoslovacca dei Sudeti.
  • Conferenza di Monaco.
  • Espulsione dal Reich degli ebrei di nazionalità polacca.
  • Notte dei cristalli” promossa in tutto il Reich dal partito nazista.
  • Esclusione definitiva degli ebrei dalle scuole tedesche.
  • Obbligo nel Reich dell’alienazione forzata di aziende, proprietà terriere, titoli di credito, gioielli e beni artistici di proprietà degli ebrei.
  • Esce La storia come pensiero e come azione di Benedetto Croce.
  • Esce il romanzo La nausea del filosofo e scrittore francese Jean-Paul Sartre.
  • Il regista e attore americano Orson Welles trasmette alla radio La guerra dei mondi provocando panico tra gli americani che credono in un’invasione degli extraterrestri.
  • Viene sciolta la Società psicoanalitica italiana.
  • S. Freud si rifugia a Londra e pubblica Compendio di psicoanalisi.
  • Muore Gabriele D’Annunzio.
  • Gino Bartali, già impostosi all’attenzione per le vittorie al giro d’Italia nel ‘36 e ‘37, vince il Tour de France.
  • Ai mondiali di Francia si impone per la seconda volta consecutiva la nazionale italiana di calcio guidata da Vittorio Pozzo.
  • I fratelli ungheresi Ladislao e George Biro inventano la penna a sfera o biro.
  • Il fisico americano Chester Carlson inventa la fotocopiatrice.
  • Viene commercializzato il nylon.
  • Negli USA viene varata una legge che stabilisce il salario minimo garantito e la settimana di 40 ore.
  • Nasce a Parigi la Quarta Internazionale.

1939

  • In Italia la Camera dei deputati viene ufficialmente sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni.
  • La Germania invade la Cecoslovacchia.
  • Patto d’acciaio tra Germania e Italia.
  • Interruzione dei negoziati tra Inghilterra e URSS.
  • Patto di non aggressione tra Germania e URSS.
  • La Germania invade la Polonia.
  • Inghilterra e Francia dichiarano guerra alla Germania.
  • Intervento russo in Polonia.
  • Capitolazione di Varsavia.
  • L’esercito francese si attesta sulla linea Maginot.
  • La Russia invade la Finlandia.
  • Proibizione dell’emigrazione illegale degli ebrei dal Reich.
  • Prima deportazione di ebrei dall’Austria e dalla Boemia-Moravia alla volta della Polonia occupata.
  • Creazione del ghetto di Lodz nella Polonia occupata.
  • Creazione del ghetto di Varsavia.
  • Renato Guttuso, artista italiano, dipinge Fuga dall’Etna.
  • Il regista americano John Ford dirige Ombre rosse.
  • Muore esule a Londra Sigmund Freud.
  • Escono i racconti Il muro di J.P. Sartre.
  • Esce il romanzo giallo Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.
  • Esce il romanzo Veglia di Finnegan di James Joyce.
  • L’americano E.H. Armstrong mette a punto la trasmissione a modulazione di frequenza.
  • Il numero di apparecchi radio in tutto il mondo raggiunge quota cento milioni.
  • Con una lettera indirizzata al presidente americano Roosevelt, Albert Einstein appoggia la richiesta di finanziamenti avanzata da Enrico Fermi e Szilard per le ricerche sull’energia nucleare.
  • Un aereo tedesco a elica batte il primato di velocità con 755 Km/h.
  • In Gran Bretagna viene introdotto il radar per l’intercettazione aerea.
  • Piero Taruffi è campione del mondo della velocità in motocicletta (274 Km orari).
  • Esce, prodotto dalla Metro Goldwyn Mayer, Via col vento con Clark Gable.
  • Muore Pio XI e gli succede il cardinale Eugenio Pacelli con il nome di Pio XII.
  • Con la prima enciclica, Summi Pontificatus, il nuovo papa Pio XII interviene sulla questione dello scoppio della guerra, individuandone le cause nell’abbandono della dottrina cristiana.

Nel mondo

Il decennio dei totalitarismi

Alcune camicie nere sfilano davanti al Quirinale, all'epoca residenza reale

A differenza dei tradizionali regimi autoritari, i fascismi basarono gran parte della loro ideologia sulla modernizzazione della società. Essi per giungere a una capillare penetrazione delle istanze fasciste e per costruire quell’ordine totalitario cui ambirono, basato prevalentemente sul culto del capo, necessitavano di un’interazione con la popolazione; non intendevano, infatti, scoraggiare la partecipazione politica, come avveniva nei regimi a carattere autoritario di stampo tradizionale, ma piuttosto coinvolgere nelle proprie finalità un numero ingente di persone.

Sebbene fascismo e nazismo fossero intrisi di un’ideologia ruralista, il loro “pubblico” ideale era la popolazione urbana che poteva accedere con maggiore facilità agli strumenti di comunicazione e modernizzazione da loro utilizzati. Le grandi adunate, le parate, le pellicole propagandistiche furono tutte prevalentemente volte alla popolazione urbana sebbene, e anche questo è segno del processo di modernizzazione da loro innescato, anche le popolazioni rurali ebbero modo di assistere alle adunate e ai cinegiornali dell’Istituto luce che venivano proiettati nelle campagne.

Il fascismo in Italia: le istituzioni totalitarie

La riunione del Gran Consiglio del Fascismo proclama l'Impero nel 1936

Nel progetto totalitario di Mussolini il Pnf, pur nella sua importanza, rimaneva subordinato allo stato; per questo il Duce procedette all’immissione di elementi fascisti all’interno della burocrazia statale. Il processo di fascistizzazione dello Stato si era già compiuto quasi del tutto all’inizio degli anni Trenta; nella seconda metà degli anni Venti, infatti, i prefetti erano già stati nominati come le più alte autorità provinciali e la Camera era stata sciolta e aveva adottato una legge di riforma che affermava il potere assoluto del Pnf. Veniva infatti applicato il sistema plebiscitario per cui i cittadini potevano solo esprimere assenso o dissenso verso un’unica lista compilata dal Gran Consiglio del fascismo il quale di fatto assumeva anche i poteri che erano stati della Camera: era, dunque, il Gran Consiglio da allora che indicava il capo del governo e i ministri perché il Re li ratificasse.

Negli stessi anni erano anche stati istituiti il Tribunale speciale per la difesa dello stato e la polizia politica OVRA (Organizzazione per la vigilanza e la repressione dell’antifascismo).

L’economia: il mito della “terza via”

Quel che resta della Camera del Lavoro dopo essere stata incendiata dai fascisti nel 1922

Fascismo e nazismo improntarono la loro politica economica sulla cosiddetta “terza via” che secondo l’ideologia dei due regimi costituiva un sistema economico che prendeva quanto di meglio c’era sia dal comunismo sia dal capitalismo. La “terza via”, che prendeva il nome di corporativismo, si basava sull’eliminazione delle organizzazioni di classe dei lavoratori e sulla formazione di corporazioni, appunto, che unissero datori di lavoro e lavoratori e che fossero organizzate su base categoriale. Di fatto, lo sciopero e la serrata venivano proibiti e veniva fondata, una magistratura specifica deputata a risolvere le controversie di lavoro. In Italia, sebbene la Carta del lavoro fosse stata scritta nel 1927, alla Camera dei fasci e delle corporazioni giunse solo nel 1939, indice della difficoltà di trasformare in pratica quanto affermato dalla teoria e soprattutto del sostanziale fallimento del sistema corporativo. Infatti i sindacati, sebbene non fossero più di classe, non vennero mai trasformati nelle corporazioni, e Confindustria e Confagricoltura, cioè le associazioni padronali, non furono mai veramente fascistizzate.

Consenso e opposizioni

I delegati davanti al Teatro Goldoni di Livorno al XVII Congresso del Partito Socialista Italiano, che decretò la scissione dei comunisti e la creazione del Partito Comunista d'Italia (15 gennaio 1921)

Il ruolo della piccola borghesia era stato fondamentale nel periodo della presa del potere fascista e della sua affermazione ma quando il fascismo formalizzò l’alleanza col grande capitale i piccoli borghesi si collocarono nei quadri intermedi del partito e dello stato in una posizione subalterna rispetto ai vertici occupati dall’alta borghesia, alta burocrazia e le forze armate.

Il fascismo, come gli altri regimi totalitari, richiedeva la cieca obbedienza e il conformismo alle direttive statali e di partito, e la fede nel capo. E’ ben comprensibile che, stando così le cose, nessuna opposizione venisse tollerata, tanto da essere sancita, dal 1926 in poi, come delitto contro lo stato.

Chi si opponeva al fascismo veniva costretto al confino, alla prigione, al tribunale speciale o alla sorveglianza speciale. Molti furono gli intellettuali che subirono questa sorte: Gaetano Salvemini ex socialista fu in esilio fin dal 1925, ma anche uomini di ex governi liberali, quali Nitti, Sturzo e Gobetti, furono costretti all’esilio. Antonio Gramsci, incarcerato nel 1926, venne sostituito alla guida del PCI da Palmiro Togliatti anch’egli costretto all’esilio. Carlo Rosselli e Emilio Lussu erano stati mandati al confino a Lipari e da lì scapparono nel 1929.

Lontani dalla patria, costretti all’esilio gli antifascisti italiani organizzarono in Francia una Concentrazione antifascista che si occupava di fare propaganda contro il regime fuori dall’Italia che non riuscì però a creare una rete clandestina in patria. Insoddisfatti delle potenzialità della Concentrazione Lussu e Rosselli, fuggiti da Lipari, fondarono a Parigi il movimento di Giustizia e Libertà.

Un’azione organica riuscì ad averla il PCI, che mantenne i contatti in patria e organizzò una rete di comunicazione clandestina: proprio per questo maggiore attivismo furono i comunisti ad essere più degli altri perseguitati e processati dai tribunali fascisti. Gramsci era stato condannato nel 1928 dal Tribunale speciale a 20 anni di carcere: morì nel 1937, dopo avere passato gli ultimi anni di vita malato in carcere, lasciando a testimonianza del suo pensiero i Quaderni del carcere e della prigionia Le lettere.

Imperialismo e leggi razziali

Il Corriere della Sera dell'11 novembre 1938

Le mire imperialistiche fecero parte dell’ideologia mussoliniana che presupponeva la necessità di estendere l’impero coloniale già ereditato dai governi liberali (Libia, Eritrea e Somalia) al fine di dotarsi di una valvola di sfogo per l’emigrazione e di nuove risorse in termini di materie prime.

Nel 1921 gli Stati Uniti, che avevano rappresentato la meta della gran parte della popolazione migrante italiana, avevano ridotto le possibilità di accesso così come, a seguito del calo di produzione dovuta alla crisi degli anni Trenta, anche le economie degli altri paesi europei non erano in grado di assorbire nuova manodopera. La conquista di territori in Africa venne presentata da Mussolini come la risorsa per affrontare le necessità di emigrazione poiché nelle colonie avrebbe potuto assegnare terre ai contadini e anche fornire materie prime a buon mercato alle industrie italiane. Inoltre la politica imperialista era anche un mezzo per mostrare al proprio popolo la grandezza della nazione. La guerra all’Etiopia fu preparata con grande sforzo propagandistico e il “fronte interno” venne accuratamente mobilitato anche attraverso la richiesta delle fedi matrimoniali per contribuire al sostegno economico dell’impresa. Anche la chiesa diede il proprio appoggio.

Nel 1938, emulo della Germania, il fascismo approvò le leggi a difesa della razza italiana: venne definita “ariana” la maggior parte della popolazione della penisola e gli ebrei furono osteggiati in quanto antifascisti: l’immigrazione ebraica fu controllata e vennero approvate misure discriminatorie ai loro danni.

Il nazismo: presa del potere e costruzione del regime

I membri del Reichstag salutano Hitler, marzo 1938

La grande depressione economica in Germania aveva provocato una crescita enorme degli iscritti al partito nazista attirando le grandi masse di disoccupati e di sradicati di ogni genere. Le elezioni del 1930 si svolsero in un clima di estrema tensione tra nazisti da una parte e comunisti e socialdemocratici dall’altra e videro crescere i consensi sia attorno al partito di Hitler sia al partito comunista. Ma fu due anni dopo, nel 1932, che il partito nazista divenne il partito più forte del Reichstag e nel 1933, dopo una serie di tentativi degli altri gruppi conservatori di non cedere tutto il potere nelle mani di Hitler, quest’ultimo divenne cancelliere del Reich: capo di una coalizione conservatrice. Prima delle nuove elezioni, che segneranno la definitiva affermazione del nazismo come unico potere, furono terrorizzati gli avversari, venne creata la polizia ausiliaria (SS), fu fatta incendiare la sede del Reichstag appositamente per creare un clima di instabilità. Proprio l’incendio venne portato a pretesto per l’approvazione delle leggi eccezionali (1933) che limitavano le libertà politiche e civili, annullavano la costituzione di Weimar, ponevano sotto controllo la stampa. Nonostante tutti questi provvedimenti le elezioni non diedero la vittoria al partito nazista che chiese al parlamento di esautorare se stesso, con “la legge dei pieni poteri” alla quale si opposero solo i socialdemocratici, il potere passava così tutto nelle mani del governo. Poco dopo, infatti, la socialdemocrazia venne soppressa così come i sindacati; il centro cattolico si sciolse autonomamente lasciando così campo libero al monopolio politico di Hitler.

La costruzione del regime totalitario proseguì costante, con l’epurazione dei burocrati sospettati di infedeltà, con l’abolizione della sovranità dei Lander, e, per impedire l’azione alle opposizioni, attraverso la creazione della Gestapo (polizia segreta di stato) e la Suprema corte per i casi di tradimento. Nel 1934, con l’appoggio dei capi dell’esercito, Hitler fu nominato presidente in carica che si assommava a quella di cancelliere: l’esercito venne nazificato anch’esso e Hitler diventava il capo assoluto di stato, partito ed esercito, supportato dall’alleanza con il grande capitale.

Il governo dell’economia

Hitler posa la prima pietra della autostrada Reichsautobahn

Appena giunto al potere, Hitler si preoccupò di stringere rapporti con il grande capitale nominando ministro dell’economia uno dei massimi esponenti della finanza e Schacht presidente della Banca del Reich. Al fine di controllare e di stringere alleanza con il ceto industriale, Hitler fondò il Consiglio generale dell’economia tedesca. Gli industriali, che furono uno dei pilastri su cui si poggiò il nazismo, ebbero vita facile poiché Hitler privò i sindacati del diritto di sciopero e di ogni autonomia, firmando nel 1934 la Carta del lavoro che doveva regolare i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori.

Il principio della guida assoluta e del “capo” venne applicata anche ai rapporti economici tra datori di lavoro e lavoratori: si instaurava un rapporto di tipo paternalistico-autoritario in cui l’operaio era subordinato e obbligato alla fedeltà al padrone che deteneva invece la responsabilità delle decisioni. Lo stesso rapporto si instaurò, con la creazione del “Fronte del lavoro” anche tra gli impiegati e i loro dirigenti. Il “Fronte del lavoro” fu posto sotto il controllo del partito nazista e fu il regime a controllare la mobilità dei lavoratori, assegnare loro un posto di lavoro: nel 1935 venne istituito il servizio del lavoro obbligatorio per tutti i giovani tra 18 e 25 anni. I provvedimenti terroristici e la ripresa dell’economia fecero sì che anche la classe operaia, che era rimasta fino ad allora l’unica espressione di opposizione al nazismo, venisse piegata al regime.

In Germania gli ordinamenti corporativi vennero creati nel 1934 quando una legge rese obbligatorio l’ingresso di ogni azienda all’interno dei “gruppi economici” in base al ramo di appartenenza. Venne poi creata la Camera dell’Economia del Reich che doveva regolare la vita economica del paese: in realtà il potere economico rimase nelle mani dei grandi imprenditori e le istituzioni corporative divennero solo uno strumento in più nelle loro mani per esercitare il controllo sui lavoratori.

Razzismo, antisemitismo

Sfregio nazista sulla vetrina di un negozio ebreo

Il regime nazista volle identificare negli ebrei tutto ciò che era negativo e utilizzare la loro presenza come sfogo dei risentimenti delle masse. Gli ebrei rappresentarono perciò il pericolo estero sia nella forma capitalista sia bolscevica, furono accusati di essere traditori interni e vennero marginalizzati. La strada per rendere saldo il popolo ariano tedesco contro il “nemico interno” fu anche quella dell’approvazione di leggi a carattere medico-sanitario che sancivano uno status inferiore per tutti coloro che non rientravano pienamente nelle caratteristiche ariane al fine di salvaguardare la razza: nel 1933 si sancì il diritto alla sterilizzazione dei portatori di tare ereditarie e nel 1939 si autorizzò l’uccisione dei malati di mente giudicati inguaribili.

Nel 1935 le “leggi di Norimberga” assegnarono la cittadinanza ai soli ariani e sulla base della razza attribuirono agli ebrei il marchio di inferiorità escludendoli dal consesso civile e politico, con le stesse leggi proibirono anche il matrimonio tra ebrei e ariani. Prima che maturasse l’idea di sterminio degli ebrei lo stesso regime nazista agevolò la loro emigrazione ma nella notte tra l’8 e il 9 novembre 1938, a seguito dell’uccisione di un diplomatico tedesco per mano di un ebreo a Parigi, vi furono sistematiche devastazioni di proprietà e negozi ebraici e uccisioni, arresti e distruzione delle sinagoghe nella “notte dei cristalli”. Da quel momento gli ebrei furono destituiti da ogni posizione che occupavano nell’economia e nella finanza.

La politica estera: verso il “Nuovo ordine europeo”

Monaco 10 marzo 1933, un avvocato ebreo, costretto a marciare per strada, da un drappello di SS, a piedi scalzi, testa rasata, senza pantaloni ed obbligato a portare un cartello con la scritta: "Non mi lamenterò più con la polizia"

Il progetto di “Nuovo ordine europeo” elaborato dalla Germania prevedeva lo sfruttamento di tutti i territori, che sarebbero stati occupati militarmente con la guerra, a vantaggio del popolo “ariano” o “razza superiore”. Se i tedeschi ariani erano la razza superiore, secondo l’ideologia nazista, dal lato opposto stavano gli ebrei e gli slavi, popolazioni, di subuomini (Untermenschen) destinati, i primi, allo sterminio totale in quanto responsabili di tutti i mali del mondo e, i secondi, al lavoro in condizioni di schiavitù nelle campagne, nelle miniere e in tutti i lavori pesanti.

I progetti nazisti si estendevano sull’est europeo che, nel “nuovo ordine”, acquisiva le funzioni di “colonia agricola” della Germania e, come se non bastasse, tutte le città (Mosca, Varsavia, Stalingrado) dovevano essere rase al suolo, le industrie smantellate e gli intellettuali sterminati. Gli slavi dovevano essere privati di ogni possibilità di istruzione superiore limitando le possibilità di apprendimento a un livello scolastico elementare. Gli slavi sarebbero stati portati all’accettazione delle nuove condizioni di vita grazie alla religione che diventava l’unico orizzonte spirituale concesso loro.

La guerra civile spagnola

Volontari Repubblicani a Teruel, 1936

La guerra civile che si sviluppò in Spagna tra il 1936 e il 1939 ebbe inizio quando, nelle elezioni del 1936 un Fronte popolare composto da socialisti, comunisti, anarchici esponenti del Poum (Partito operaio di unificazione marxista) e repubblicani vinse le elezioni rovesciando il governo di destra che era in carica dalle elezioni del 1933. Alle destre facevano riferimento i grandi proprietari terrieri, i gradi più elevati dell’esercito e i conservatori delle varie correnti, mentre la compagine governativa nata dall’unione di tante forze della sinistra non era solida ma caratterizzata piuttosto da programmi distanti e incompatibili (al programma riformatore e capitalista si affiancava l’obiettivo della rivoluzione sociale e della collettivizzazione delle terre e delle industrie). Mentre le destre progettavano il colpo di stato nei primi mesi di governo del Fronte, si ebbero numerosi episodi di aggressione a chiese e proprietà, occupazioni di terre e fabbriche, e un ingente numero di scioperi. Per reazione le aggressioni armate vennero compiute dalla destra ai danni dei socialisti e degli anarchici mentre l’esercito preparava una reazione militare. Nonostante i conservatori avessero dalla loro la maggior parte dell’esercito, ma non la marina che rimase fedele al governo, l’attacco alla repubblica non determinò la sua fine immediata: nella parte occidentale della Spagna si assestò il fronte golpista capeggiato dal generale Franco, mentre la repubblica occupava ancora il resto della nazione. Il fronte repubblicano fu segnato da quel momento dalla debolezza militare e anche dalla frammentazione interna che alla luce dei nuovi accadimenti si esasperò. Gli anarchici reagirono di fronte al colpo di stato affermando la necessità di togliere alle classi privilegiate ogni potere economico, intento che non collimava con le esigenze della base sociale della frazione borghese del Fronte popolare che si vedeva direttamente attaccata: la piccola borghesia si schierò infatti compatta a fianco del fascismo di Franco.

Le alleanze internazionali

Franco con Heinrich Himmler

Allo scoppio della guerra civile, nel 1936, il governo repubblicano spagnolo chiese immediatamente l’aiuto e la solidarietà alla Francia che aveva un governo formato da radicali e socialisti e sostenuto dai comunisti, capeggiato da Léon Blum. La Francia non fu sostanzialmente di nessun sostegno al governo repubblicano spagnolo poiché inviò solo pochi aiuti, prevalentemente non militari, e si limitò a proporre alla Gran Bretagna alla Germania e all’Italia il “non intervento” danneggiando di fatto la repubblica poiché Hitler e Mussolini, che già avevano collaborato alla preparazione dell’insurrezione franchista, lo accettarono per tradirlo immediatamente dopo inviando massicci aiuti militari a Franco: il fronte repubblicano rimaneva sguarnito, poiché la Gran Bretagna rispettò rigidamente il non intervento e la Francia di Blum rimase paralizzata; i fascisti di franco ricevevano numerosi aiuti. Solo l’Unione Sovietica inviò aiuti consistenti sotto forma di consiglieri tecnici e aviatori, inoltre vendette armi e carri armati ma in numero sempre inferiore rispetto a quelli che aveva ricevuto Franco.

A livello internazionale, i conservatori e la chiesa cattolica si schierarono dalla parte di Franco, e accanto ai repubblicani si schierarono gli antifascisti: comunisti, socialisti e borghesi democratici. Intervennero concretamente in aiuto della repubblica, nella guerra civile, le Brigate internazionali che, con il sostegno finanziario dell’Internazionale comunista, mandarono uomini a lottare contro Franco: parteciparono alla guerra civile come volontari Ernest Hemingway, George Orwell, Carlo Rosselli (Giustizia e Libertà) e Pietro Nenni (socialista), Luigi Longo e Palmiro Togliatti (comunisti), Camillo Berneri (anarchico) e molti altri per un totale di 40.000 persone.

Franco in Spagna, Salazar in Portogallo

Processione militare del Generale Gomes da Costa e delle sue truppe dopo il colpo di stato del 28 maggio 1926

Dopo avere occupato la parte occidentale della Spagna, i golpisti di Franco si attestarono, alla metà del 1936, a Badajoz mentre era fallito l’attacco a Madrid che rimaneva nelle mani dei repubblicani e che ancora alla fine del ‘36, grazie all’intervento delle Brigate internazionali, rimaneva difesa. I golpisti fecero scarsi progressi nell’inverno del ‘36-‘37, ma in primavera conquistarono il nord (con la presa di Bilbao). Dopo alcuni successi della repubblica, come nella battaglia sull’Ebro, alla fine del 1938 tutto indicava la prossima vittoria dei golpisti che fu agevolata anche dal fatto che l’Unione Sovietica ridusse gli aiuti alle Brigate internazionali indebolendo ancor di più il fronte repubblicano. Nel febbraio del 1939, di fronte alla disgregazione dell’esercito repubblicano, Francia e Gran Bretagna riconobbero il regime franchista e nel marzo l’esercito di Franco fece ingresso a Madrid senza incontrare resistenza. I 254 giorni di guerra civile si erano conclusi con la vittoria di Franco che da allora cominciò la costruzione del suo regime. Il franchismo si appoggiò sostanzialmente sull’esercito, e sull’alleanza con la chiesa e sui ceti conservatori in prevalenza costituiti (in un paese economicamente arretrato quel era la Spagna) dalla grande proprietà terriera. All’inizio delle ostilità con la repubblica il franchismo non si era ancora compiutamente definito in senso fascista, ma nel corso degli anni della guerra civile egli riuscì a eliminare l’influenza delle altre componenti conservatrici per fondare nel 1937 il Partito unico, chiamato Falange spagnola tradizionalista che si fondava su nazionalismo, fascismo e cattolicesimo. Dal punto di vista economico anche il franchismo, come il fascismo e il nazismo, si orientò in un’ottica corporativista; la scuola fu clericalizzata; venne messa in atto l’epurazione politica degli avversari, e nel 1939 una legge conferì a Franco, denominato “Caudillo” (capo), il potere assoluto.

Anche in Portogallo, fin dal 1928, con un colpo di stato aveva preso il potere Oliveira Salazar che aveva abolito il regime parlamentare e instaurato un regime autoritario ispirato al fascismo, con legami con la chiesa, un’impronta corporativa e una costituzione clerico-dittatoriale.

Le democrazie liberali negli anni Trenta

Alessandro I, re dei Serbi, Croati e Sloveni (1921-1929) e primo re di Jugoslavia (1929-1934)

Durante la crisi economica degli anni Trenta, Francia e Gran Bretagna rimasero democrazie parlamentari, mentre si affermarono regimi filofascisti e autoritari nella penisola iberica e nell’Europa orientale. Si trattò prevalentemente di paesi arretrati in cui la grande industria non si era affermata e l’agricoltura dominava l’economia; proprio questo impedì il sorgere di fascismi compiuti e piuttosto di regimi autoritari, filofascisti basati sull’alleanza con la chiesa e con i proprietari fondiari. In Austria si era affermato un Partito nazista pro-tedesco e in Ungheria nel 1920 l’ammiraglio Horty aveva messo in piedi un regime reazionario sostenuto dalla chiesa e dai grandi proprietari contro il pericolo “rosso” che si completò nel 1932 con l’affermazione di un partito di ispirazione nazista. Anche in Polonia nel 1935, dopo la parentesi già reazionaria di Pilsudski, tra il ‘26 e il ‘35, si affermò il regime dei colonnelli che instaurarono una dittatura che rimase al potere fino al ‘39 quando la Polonia fu invasa dalla Germania. In Jugoslavia nel 1931 il re fece approvare una costituzione che rendeva il potere esecutivo responsabile solo di fronte a lui, esautorando di fatto il parlamento e, anche dopo la sua morte, dal 1935 la Jugoslavia rimase governata da un regime corporativo di ispirazione fascista.

Dittature militari e conservatrici si affermarono a partire dagli anni Trenta anche in Grecia, Bulgaria, Romania, Estonia e Lettonia.

L’esperienza del Fronte popolare in Francia

Léon Blum

Anche la Francia aveva risentito degli effetti della crisi economica degli anni Trenta anche sul piano politico e sociale: l’instabilità economica si rifletteva a livello politico con il rapido succedersi di molti governi e provocò la nascita di sentimenti anti-parlamentaristi nella classe media e contadina. Le destre inneggiavano all’ordine, all’autorità e alla nazione e in particolare la formazione dell’Action française si scagliava contro il “corrotto e incapace” regime parlamentare. Nel 1934 le destre tentarono un colpo di stato che fu sventato, a seguito del quale, percepito il reale pericolo, si formò un Fronte popolare basato sull’alleanza di comunisti, socialisti e radicali di sinistra che si affermò alle elezioni del 1936. Leon Blum, leader socialista, divenne capo del governo nato da socialisti e radical-socialisti, e appoggiato all’esterno dai comunisti. Non si trattava di un progetto rivoluzionario: l’obiettivo del Fronte popolare era di migliorare le condizioni delle classi lavoratrici e di combattere il pericolo della destra. Nonostante ciò il proletariato francese vide in questa compagine politica le premesse per un nuovo corso sociale e per la rivoluzione, dando vita ad una lunga serie di scioperi che costrinsero il padronato alla concessione di contratti collettivi, delle ferie pagate, della settimana lavorativa di 40 ore, e di aumenti salariali consistenti. L’organizzazione sindacale (CGT) si rafforzò notevolmente ma i ceti industriali e finanziari, intimoriti dall’andamento delle cose, ridussero gli investimenti e esportarono capitali all’estero. Il governo di Blum si trovò ben presto in difficoltà, stretto tra i comunisti che premevano per il proseguimento delle riforme e i radicali che si opponevano. Blum annunciò la fine delle riforme nel 1937 ma questo non bastò a segnare la fine del suo governo che cadde dopo un solo anno, e venne sostituto da un governo radicale. Nel 1938 Daladier formò un governo che durò fino al 1940 che attenuò molte delle conquiste sociali che il Fronte aveva sostenuto: i salari furono bloccati, la settimana di 40 non venne applicata, e dopo il fallimento di uno sciopero indetto nel 1938 dalla CGT, il numero di aderenti al sindacato crollò vertiginosamente.

L’Inghilterra e l’illusione dell’appeasement

Chamberlain, Daladier, Hitler, Mussolini e Ciano dopo la firma del Trattato di Monaco, sull'annessione della Cecoslovacchia alla Germania nazista (29 settembre 1938)

I laburisti si affermarono alle elezioni del 1929, sconfiggendo i conservatori, ma il loro tentativo di affrontare gli effetti della crisi economica anche attraverso riduzioni salariali – che vide l’ostilità delle Trade Unions e il favore dei settori capitalistici – portò alla sconfitta dei laburisti nelle elezioni del 1931 ai quali si sostituirono governi conservatori. A partire dagli anni Trenta venne così avviata una politica protezionistica e la svalutazione della sterlina per incrementare le esportazioni. Nel 1937 – appena un anno dopo dall’abdicazione di re Edoardo VIII dal trono di Inghilterra che pur di sposare Wallis Simpson, americana divorziata, preferì abdicare – divenne capo del governo il conservatore Neville Chamberlain il quale nel 1938, dopo che Hitler ebbe invaso l’Austria, ritenne opportuno non opporsi all’indebita appropriazione compiuta dalla Germania funzionalmente ai propri interessi nazionali: sperava cioè che la Germania non avrebbe rivolto la sua aggressività verso la Gran Bretagna. Al contempo dichiarò che non avrebbe mandato eserciti inglesi a difendere la Cecoslovacchia, implicitamente accettando la successiva mossa di Hitler, il quale nel 1938 inglobò la minoranza sudeta della Cecoslovacchia.

La politica di Chamberlain, che mirava a accontentare Hitler nelle sue mire espansionistiche sperando così di sedarle rapidamente, non ebbe buon esito: subito dopo l’annessione dei sudeti al Reich le mire di Hitler si volsero verso l’occupazione di quel territorio. Fu solo allora che Chamberlain comprese che non avrebbe fermato Hitler e fece l’ultimo tentativo chiedendo a Mussolini di fare da mediatore con il Führer. Francia, Gran Bretagna, Italia e Germania si incontrarono alla Conferenza di Monaco nel settembre del 1938 e di fatto accettarono le pretese tedesche sui sudeti e sebbene Gran Bretagna e Germania si impegnassero a risolvere da allora in poi ogni divergenza su basi diplomatiche, solo pochi mesi dopo la Germania procedette all’occupazione della Cecoslovacchia volgendosi poi verso la Polonia: fu allora che il governo britannico si disse pronto a intervenire in favore del mantenimento dell’indipendenza polacca, constatando infine il fallimento dell’ appeasement.

Gli Stati Uniti tra isolazionismo e New Deal

Il presidente Franklin Delano Roosevelt firma uno dei provvedimenti economici del New Deal

Gli Stati Uniti negli anni tra le due guerre perseguirono al contempo un progetto di espansione economica e di isolazionismo politico. A partire dalla fine della prima guerra mondiale gli Stati Uniti avevano imposto il proprio potere economico sull’Europa: finanziarono le riparazioni in Germania, in Italia, e nell’Europa orientale ma vollero mantenere negli anni dal 1930 al 1939 la più totale estraneità agli eventi internazionali. Non intervennero di fronte alle aggressioni tedesche ai danni della Cecoslovacchia, né nella guerra civile spagnola, né nell’aggressione compiuta dal Giappone contro la Cina: essi vararono una serie di leggi che sancivano l’estraneità dalle guerre che andavano scoppiando nel mondo. governo statunitense, cioè, non sarebbe intervenuto né con prestiti né con la vendita di armi. L’opinione pubblica e il congresso di fecero ardenti sostenitori di questa politica anche quando Roosevelt cominciò a pensare alla necessità di una revisione di questo piano, e il cambio di strategia arrivò solamente con lo scoppio della seconda guerra mondiale.

A livello economico però l’isolazionismo non implicò la rinunzia alla difesa degli interessi economici USA al di fuori dei propri confini: l’ingerenza economica toccava paesi lontanissimi, dalla Francia all’America Latina, dall’Inghilterra all’Asia.

Il fallimento della SdN (Etiopia e Renania)

Il viceré Graziani al centro, e alla sua destra l'abuna Cirillo, poco prima dell'attentato del 19 febbraio 1937 ad Addis Abeba: la successiva rappresaglia fascista causò la morte di migliaia di etiopi e la distruzione di centinaia di abitazioni della popolazione civile

Fino al 1929 la Società delle Nazioni sembrava avere la possibilità di garantire il mantenimento pacifico degli equilibri internazionali. Di fatto le volontà espansionistiche del Giappone, della Germania e dell’Italia condussero alla completa lacerazione della SdN e delle alleanze diplomatiche che la sorreggevano.

Nel 1933 il Giappone e la Germania uscirono dalla SdN, mentre nell’anno successivo l’URSS dichiarò la propria adesione, poiché di fronte al timore della Germania nazista l’Unione Sovietica sperava di potere usare a proprio vantaggio i contrasti tra i paesi capitalistici. Ma il vero affossamento della Società delle Nazioni si ebbe in occasione dell’aggressione italiana ai danni dell’Etiopia nel 1935: l’Italia intendeva creare un impero unendo nuovi territori a quelli già ereditati dallo stato liberale (Eritrea, Libia, Somalia). L’aggressione all’Etiopia maturò nel 1934, come soluzione per agevolare l’emigrazione italiana e per garantire materie prime a buon mercato per l’industria nazionale. Il contesto in cui questo succedeva era a dir poco imbarazzante: infatti l’Italia stessa aveva sostenuto, nel 1923, l’ingresso dell’Etiopia nella SdN. Si trattava allora di un atto in cui si contrapponevano due stati membri e al quale la Società delle Nazioni rispose unicamente con l’approvazione delle sanzioni economiche contro l’Italia che però vennero scarsamente applicate e che, di fatto, non proibivano la fornitura di beni fondamentali quali carbone, acciaio e petrolio. Nel 1936, quando la conquista dell’Etiopia fu portata a termine, la SdN votò per il ritiro delle sanzioni e i singoli paesi riconobbero l’annessione dell’Etiopia da parte dell’Italia.

Nel 1936 i tedeschi occuparono militarmente la Renania, che alla fine della prima guerra mondiale era stata dichiarata zona smilitarizzata; anche questo atto segnò l’affossamento della SdN: la Francia aveva un governo debole e non riuscì a impedire la militarizzazione di quel territorio a lei confinante e la SdN si limitò ad una condanna verbale nei confronti della Germania.

L’oppressione dei kulaki

Foto del 1930 in cui sono presenti: Stalin, Vorošilov, Molotov e Nikolaj Ivanovič Ežov, che venne ucciso nel 1940 e la foto fu in seguito ritoccata; questo tipo di falsificazione a scopo propagandistico fu ampiamente utilizzato durante il governo di Stalin

A partire dal 1930 Stalin mise in atto la sua offensiva contro i kulaki (l’élite economica e politica delle campagne) che vennero deportati di forza al fine di collettivizzare la terra mentre milioni di altre famiglie venivano avviate a vivere e lavorare all’interno delle aziende collettive. Il tutto avvenne in una cornice di proteste delle campagne che portarono ad un breve periodo di sospensione del programma di collettivizzazione e dekulakizzazione. Nel 1931 riprese nuovamente e provocò nuove opposizioni e malumori che si risolsero nella distruzione dei raccolti e del bestiame da parte dei contadini che intendevano così evitare di consegnarlo agli enti statali.

Le condizioni delle campagne si aggravarono ancora nel 1932 quando vi fu una carestia di enormi dimensioni che provocò milioni di morti. Al termine della crisi Stalin, che aveva rifiutato gli aiuti dall’estero negando che fosse in corso una carestia, utilizzò l’evento come lezione per coloro che non si erano voluti subordinare al sistema della collettivizzazione delle campagne. La lezione ebbe i suoi frutti se nel 1934 lo stato prelevò circa il 40% del raccolto delle campagne.

I piani quinquennali

Manifesto sovietico in onore di Lenin, inneggiante il primo piano quinquennale

Nel 1928 era stata lanciato il primo piano quinquennale per l’industria che produsse un ingente incremento di produzione e addirittura carenza di manodopera: obbiettivo del piano era stato triplicare lo sviluppo dei mezzi di produzione e dei prodotti dell’industria pesante, ciò che continuava a mancare, sebbene gli stipendi fossero così bassi da non permettere l’acquisto di numerosi beni, furono proprio i beni di consumo che vennero infatti razionati.

Nel 1933 partì il secondo piano quinquennale che vide l’incremento della produttività industriale del 121% rispetto a quello appena compiuto e che, in agricoltura, segnò un incremento del 51%, anche grazie al processo di meccanizzazione che investì l’agricoltura; ciò permise di interrompere il razionamento dei beni e consentì di abbassare i prezzi dei beni alimentari. Nonostante ciò la preminenza venne sempre data all’industria pesante soprattutto dopo l’affermazione del nazismo in Germania che rendeva necessario l’incremento degli armamenti. Con il secondo piano quinquennale, molte nuove industrie furono impiantate ad est del territorio sovietico (in Siberia, in Transcaucasia negli Urali) per tenerle al riparo da eventuali aggressioni ad occidente e per avere basi orientali nell’eventualità di una guerra con il Giappone. piano quinquennale terminò nel 1937 e nel 1939 venne progettata l’attuazione del terzo piano che doveva porre i presupposti fondanti per l’edificazione della società socialista premessa al successivo passaggio al comunismo. In realtà lo scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1939, rese necessario concentrare tutte le energie del paese nell’armamento e interruppe bruscamente lo svolgimento del piano.

Le “grandi purghe”

Rykov e Bucharin prima del processo a loro carico, 2 marzo 1938

Già a partire dal 1923 Stalin aveva eliminato duramente i suoi oppositori (Trotzkij, Zinov’ev, Kamenev, Bucharin) ma a partire dagli anni Trenta le vittime di Stalin furono anche i tecnici giudicati sabotatori o i responsabili di presunti insuccessi economici i quali venivano processati e usati come capri espiatori. Il terrore però venne affermato come pratica politica da Stalin nella seconda metà degli anni Trenta: nel ‘34 venne emanato un decreto che stabiliva l’arresto della famiglia di chiunque fosse stato individuato come “nemico del popolo”. Zinov’ev e Kamenev furono processati insieme a altri 16 “nemici” nel 1936 e finirono fucilati; nel 1937 venne compiuta l’epurazione dell’esercito eliminando tutti coloro che sembravano ostacolare il potere assoluto di Stalin e nel 1938 in un altro processo contro ex membri del partito fu ucciso anche Bucharin che rimaneva l’ultimo dei dirigenti della rivoluzione d’ottobre fatta eccezione per Trotzkij che si era rifugiato in Messico.

Ma il periodo delle grandi purghe colpì anche i semplici iscritti al partito che vennero ridotti drasticamente negli anni ‘33-‘38 al fine di eliminare ogni eventuale oppositore.

Il mito di Stalin

Stalin mentre supervisiona i lavori del canale Moscova-Volga che congiungeva i due fiumi: fu costruito interamente sfruttando fino allo stremo i prigionieri politici rinchiusi dei gulag dal 1932 al 1937

Fin dal 1921 il partito bolscevico era diventato il centro delle decisioni politiche tanto che anche lo stato era subordinato ad esso. L’organizzazione monolitica del partito aveva annullato ogni ipotesi di opposizione sia con strumenti terroristici sia attraverso il controllo della stampa, della produzione culturale, del cinema e così via. Stalin, ininterrottamente a partire dal 1927, “fu il partito” e dal 1930 si costruì un vero e proprio culto di Stalin. Egli aveva una base di consenso che gli riconosceva il merito di avere dato una direzione chiara alla rivoluzione e di procedere con fermezza alla costruzione di un paese potente. Proprio su questo consenso egli fece leva nell’imposizione di principi autoritari e repressivi poiché venivano riconosciuti come simboli di efficienza e portatori di successo.

Poco a poco Stalin assunse di fronte ai membri del partito e all’opinione pubblica l’immagine di infallibilità e di leader supremo del bolscevismo.

Tutto ciò fece sì che ogni momento di instabilità o di incertezza venisse affrontato da Stalin attraverso l’individuazione di “nemici” che fungevano da capri espiatori e sulle spalle dei quali si facevano pesare le responsabilità di eventuali fallimenti e insuccessi. I successi economici che l’URSS andava ottenendo in quegli anni, grazie al duro lavoro degli operai, radicavano l’orgoglio nazionale per l’incremento economico che il paese stava vivendo e il cui merito veniva attribuito a Stalin.

Il Komintern e il patto di non aggressione

Firma del trattato da parte di Molotov alla presenza di Ribbentrop e Stalin (Mosca, 23 agosto 1939)

Tra il 1928 e il 1929 anche nell’Internazionale comunista si ebbe una svolta in senso rivoluzionario: su indicazione di Stalin fu affermato che fosse necessario lottare contro le forze borghesi, contro i partiti socialdemocratici e contro i nemici trotzkisti e buchariniani. Tutto questo, e in particolare la lotta contro la socialdemocrazia, prendeva vita proprio mentre in Germania si stava affermando il nazismo e fu indirettamente un sostanziale aiuto proprio per la sua affermazione. L’intento dell’Internazionale era, combattere al contempo sia fascismo che socialdemocrazia e sconfiggerli con la rivoluzione: nel caso particolare della Germania questo comportò la mancata alleanza tra comunisti e socialdemocratici proprio negli anni in cui era necessario far fronte comune contro il nazismo.

Con l’affermarsi del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, l’Internazionale mutò rotta e nel 1934, affermando che non era giunta l’ora della rivoluzione, venne presentato il nuovo programma d’azione che consisteva nel garantire sostegno ai “Fronti popolari” (e cioè ai governi antifascisti borghesi, comunisti e socialdemocratici) in modo da isolare la Germania hitleriana: alla rivoluzione si sostituiva ora la ricerca della pace e della democrazia. La nuova strategia portò effettivamente alla vittoria dei “Fronti popolari” in Francia e in Spagna nel 1936.

Nell’ambito della nuova politica dell’Internazionale si collocarono anche gli accordi militari che l’URSS firmò, fino al 1939, con la Francia e la Gran Bretagna al fine di limitare la minaccia tedesca; dopo quella data però, non avendo ottenuto accordi solidi con francesi e inglesi, l’Unione Sovietica cambiò direzione e strinse il patto di non aggressione con la Germania.

Cina nazionalista e imperialismo giapponese

Mao Tse-tung nel 1931

Il Giappone, per effetto della crisi economica degli anni Trenta, aveva accentuato la propria concentrazione industriale e, allo stesso tempo, si era affermata una tendenza imperialista che vedeva solo nella conquista di nuove terre la possibilità di sopravvivenza del Giappone stesso. In questo contesto nacque un movimento nazionalista e autoritario sorretto dai militari i cui obiettivi si resero espliciti nel 1931 quando iniziò la guerra con la Cina. La Manciuria, regione cinese, venne occupata dalle forze militari giapponesi nel ‘31 e si estese poi nella regione di Shanghai. In Cina, tra il 1925 e il 1930, si era consumata la lotta tra il partito comunista e il partito nazionalista di Chiang Kai-shek che si era affermato ed era stato riconosciuto dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, mentre il Partito Comunista, capeggiato da Mao Tse-tung, nel 1931 aveva proclamato, nella regione del Kiangsi, la repubblica sovietica cinese. Si contrapposero così negli anni tra il 1930 e il 1935 le “campagne di annientamento” di Chiang contro i comunisti e la “lunga marcia” di Mao verso la regione dello Shensi dove venne posta la nuova capitale della Cina e Mao fu eletto presidente del partito. Nel 1935 il Partito Comunista cinese fece un appello a tutti i cinesi per rispondere all’aggressione giapponese e, nel 1937, fu stretto un accordo tra comunisti e nazionalisti di Chiang che si protrarrà fino alla fine della seconda guerra mondiale.

La nascita dell’Asse

Buoni amici in tre paesi» (1938): cartolina di propaganda giapponese per celebrare la partecipazione dell'Italia al patto anticomintern il 6 novembre 1937. In alto, Hitler, Konoe e Mussolini sono ritratti ciascuno in un medaglione

Italia e Germania erano intervenute fianco a fianco nella guerra civile spagnola in favore dell’esercito golpista di Franco, evento che aveva avvicinato i due paesi comportando in particolare l’allineamento italiano alla politica tedesca. Nel 1936, dopo una serie di colloqui che ebbero luogo a Roma, Ciano, ministro degli esteri italiano, firmò a Berlino l’accordo che prese il nome di “asse Roma-Berlino”. L’alleanza tra i due paesi si fondava sull’antibolscevismo, sul sostegno del regime franchista in Spagna, sul riconoscimento dell’Etiopia italiana da parte della Germania e ancora su una prospettiva di collaborazione economica nei Balcani. Si stabiliva anche che l’Italia rimanesse ancora a far parte della SdN ma in maniera strumentale. Sempre nel 1936 la Germania firmò anche un patto anti-Komintern con il Giappone al quale si unì anche l’Italia l’anno successivo. Nel 1937 si era costituita, così, l’asse Roma-Berlino-Tokio. L’Italia, che nel frattempo uscì definitivamente dalla Società delle Nazioni, era l’elemento debole tra le due potenze e infatti tentò anche di stringere al contempo buoni rapporti con la Gran Bretagna con la quale firmò un accordo che intendeva garantire il rispetto dei reciproci interessi nel Mediterraneo.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale

1º settembre 1939, soldati tedeschi rimuovono la barriera del confine tedesco-polacco

Dopo avere invaso e smembrato la Cecoslovacchia nel marzo 1939, la Germania si diresse verso la Polonia chiedendo Danzica e il diritto di extraterritorialità del “corridoio di Danzica”. Si trattava di una città popolata in maggioranza da tedeschi che divideva la Prussia orientale dal resto del Reich.

La richiesta di Danzica era in realtà solo una scusa per dare avvio alla guerra che, secondo Hitler, avrebbe permesso la conquista di terre secondo le necessità del popolo tedesco.

Nell’aprile dello stesso anno l’Italia era sbarcata in Albania con le sue truppe per continuare il suo progetto di espansione dando prova della debolezza del proprio esercito del tutto inadeguato all’ingresso nel secondo conflitto mondiale.

L’Unione Sovietica, che era stata esclusa dagli accordi di Monaco firmati da Francia, Inghilterra, Italia e Germania, venne ora contesa da una parte dalla Gran Bretagna e dalla Francia, nel tentativo di creare un fronte antitedesco, e dall’altra proprio dalla Germania che voleva evitare una guerra su due fronti e perciò intendeva firmare un patto di non aggressione con l’URSS. Il patto fu firmato alla fine di agosto e stabiliva l’immediata spartizione della Polonia tra i due paesi: la Germania non perse tempo e già il 1° settembre attaccò la Polonia.

Costume e Società

I caratteri dei totalitarismi

Hitler e Mussolini in parata a Monaco di Baviera dopo i famosi accordi del 1938

La costruzione del totalitarismo sia in Italia che in Germania era iniziata dopo la presa effettiva del potere: dopo aver conquistato il monopolio politico dello stato, il fascismo e il nazismo procedettero alla completa conformazione della società e dello stato in funzione della propria ideologia seppure con differenze e specificità anche notevoli. Mentre, infatti, il nazismo basò la sua ideologia sul mito della “razza” e considerò lo stato come mezzo per l’affermazione della comunità ariana, il fascismo, almeno fino al 1938, esaltò la tradizione di Roma antica e la potenza del suo impero e riconobbe nello stato il suo fine supremo.

I due regimi utilizzarono tuttavia strumenti equivalenti per la costruzione del totalitarismo: la repressione poliziesca delle opposizioni e la propaganda massiccia e capillare. La vita pubblica venne militarizzata e la società fu inquadrata in organizzazioni che inculcavano i valori della disciplina e diffondevano i principi ideologici fondanti. La cultura e l’arte furono piegate alle esigenze della propaganda, comunicando solo ciò che era ritenuto opportuno per lo sviluppo del regime e rispecchiandone la grandezza e la sacralità attraverso il culto del capo. I regimi totalitari, infatti, implicavano, a differenza dei regimi autoritari tradizionali, una partecipazione ed attivazione delle masse delle quali ricercavano il consenso e la “fede” in primo luogo attraverso la diffusione di un “credo”, fatto di obbedienza e culto del capo, che aveva le sue manifestazioni esplicite nelle grandi adunate, nelle parate, nella diffusione di slogan e canzoni capaci di accomunare il popolo alla figura del suo leader.

La capacità di penetrare nella società fu molto maggiore nel regime nazista rispetto a quello fascista, che si scontrò con degli ostacoli intrinseci alla struttura socio-economica italiana e alla presenza della chiesa e della monarchia. Il regime nazista non incontrò simili ostacoli e il processo d’integrazione ideologica giunse molto più a fondo.

Fascismo e società in Italia

Benito Mussolini alle porte di Tripoli (Libia), il 20 marzo 1937, innalza la "spada dell'Islam", la cui elsa è in oro massiccio, e si proclama "protettore dell'Islam", prima di entrare in città alla testa di 2.600 cavalieri

Se assai numerosi sono i punti di tangenza tra il regime nazista e quello fascista, rilevanti specificità, tuttavia, ne caratterizzano i percorsi, in primo luogo la differente presa reale sul complesso della società e la capacità di legare in maniera stretta ideologia e realizzazioni pratiche. Il tentativo del fascismo, protrattosi soprattutto durante gli anni Trenta, di edificare uno stato totalitario compiuto mostrò tutti i suoi limiti di efficacia durante la prova bellica: le tare che ne condizionavano la solidità erano comunque già presenti fin dall’inizio. A differenza del nazismo, infatti, le pretese di egemonia capillare e totale sui vari settori della società avanzate dal Pnf si imbatterono nella solida presenza della chiesa cattolica che, se da un lato metteva da parte, con i Patti Lateranensi, un conflitto che perdurava dall’Unità e sanciva un sodalizio col regime in nome dell’ordine e dell’antibolscevismo, dall’altro comunque non si fece mai ridurre ad un ruolo subalterno, come attestano i latenti conflitti sul ruolo nell’educazione giovanile insorti tra l’Azione Cattolica e il regime stesso e il ruolo ancora assai rilevante della presenza associazionistica cattolica ed ecclesiastica nella società. Inoltre la centralità accordata allo Stato quale fulcro del progetto totalitario implicava l’impossibilità di accantonare frettolosamente l’istituto monarchico (che per altro deteneva il controllo sull’esercito).

Dal punto di vista del consenso delle classi lavoratrici, industriali e rurali, il limite maggiore del processo di “fascistizzazione” risedette proprio nei modesti risultati ottenuti dalla gestione economica del regime, che nell’arco del decennio 1929-1938 fu in grado di garantire la crescita del prodotto nazionale lordo per abitante soltanto dello 0,7%. D’altra parte molto ampia fu l’adesione di quel ceto medio che l’enorme proliferazione burocratica (legata sia alla presenza tentacolare delle articolazioni del partito che all’allargamento dell’intervento economico dello Stato) aveva prodotto: in definitiva, come sanciranno tragicamente gli avvenimenti bellici e la caduta di Mussolini ad opera proprio della monarchia e dell’esercito, si trattava di un bilancio fallimentare, soprattutto in relazione al gigantesco sforzo di “fascistizzare” gli italiani, messo in atto dal regime.

Controllo e consenso

Mussolini annuncia la dichiarazione di guerra il 10 giugno 1940

Donne, uomini e bambini furono tutti inquadrati all’interno di organizzazioni che intendevano produrre consenso nella società italiana. Nel 1926 fu creata l’Opera nazionale balilla (Onb) che si divideva in gruppi maschili e femminili: in base alle età i bambini erano riuniti nei balilla, balilla moschettieri, avanguardisti e avanguardisti moschettieri, mentre le bambine facevano parte delle piccole italiane e giovani italiane.

Il percorso era il seguente: da piccoli bambini e bambine entravano a far parte di gruppi separati: i bambini dai di 6-7 anni facevano parte dei Figli della lupa, a 8 anni entravano nei “Balilla”, per passare poi alle Avanguardie giovanili o ai Gruppi universitari fascisti; le bambine passavano dalle Piccole italiane alle Giovani italiane dove rimanevano fino a 18 anni.

Nel 1937, i gruppi maschili e femminili vennero inglobati all’interno della Onb che passò dalle dipendenze del Ministero dell’educazione nazionale a quelle del partito col nome di Gioventù italiana del littorio. Tutte organizzazioni che si fondavano in primo luogo sulla preparazione fisica, che assumeva caratteri paramilitari per i maschi e di saggio ginnico per le ragazze.

Anche gli adulti erano inquadrati in organizzazioni specifiche: le donne facevano parte dei Fasci femminili e delle Massaie rurali: nelle prime si riunivano le donne della borghesia che si dedicavano ad attività assistenziali e caritative e nelle seconde le donne della campagna alle quali venivano diffusi semplici insegnamenti sulla cura dell’orto e degli animali da cortile.

Gli uomini erano invece organizzati nell’Opera nazionale dopolavoro fin dal 1925, che interveniva sulla gestione del tempo libero. Venivano offerti alcuni vantaggi materiali quali le bocciofile, i biglietti per teatro e cinematografo a prezzi ridotti, e le prime gite di massa. Ma l’intento principale rimaneva quello di far partecipare un gran numero di persone alle adunate e alle parate pubbliche organizzate dal regime.

Più in generale la propaganda intese diffondere un’immagine positiva del regime e ottenere il consenso della popolazione. In Italia nel 1934 fu fondato il Sottosegretariato per la stampa e la propaganda (che l’anno successivo divenne Ministero): esso controllava all’interno di un sistema centralizzato ogni elemento della comunicazione di massa. La radio, i giornali, il cinema furono piegati agli obiettivi di nazionalizzazione e di controllo del regime attraverso la diffusione filtrata di notizie. Venne fondata nel 1937 la Commissione per la bonifica libraria che sottoponeva a censura ogni opera prima della stampa; l’attività degli apparati di controllo divenne ancora più intensa a partire dall’entrata in guerra quando la mobilitazione per la propaganda bellica divenne totale.

Regime e lavoro

Roma 1934: Facciata di Palazzo Braschi, sede della federazione fascista di Roma, durante la campagna per le elezioni politiche del 1934.

Nel 1926 erano stati proibiti i sindacati di classe e messe fuori legge le organizzazioni dei lavoratori, quali la confederazione generale del lavoro. I cosiddetti sindacati fascisti vennero costituiti attraverso la Carta del Lavoro del 1927 che intendeva controllare l’economia nel “superiore interesse della nazione” senza lasciare spazio alle rivendicazioni dei lavoratori. I conflitti di classe dovevano essere conciliati per garantire una costante produttività dell’economia del paese all’interno di quello che fu chiamato sistema corporativo. Il Ministero delle corporazioni doveva controllare l’andamento economico delle varie categorie in cui dovevano essere riuniti sia produttori sia lavoratori. Le 22 corporazioni vennero istituite in realtà solo nel 1934 e riunivano, in ciascun settore, rappresentanze di lavoratori e di datori di lavoro con un’evidente abolizione della possibilità di influenza da parte dei primi. Le corporazioni erano abilitate ad intervenire nella stipula del contratto collettivo di lavoro ma ebbero capacità solo consultive e spesso non furono nemmeno messe a parte delle decisioni.

Frutto dell’opera del segretario delle corporazioni e del segretario dell’ufficio centrale del dopolavoro dei sindacati fascisti fu l’Opera nazionale dopolavoro che intendeva mobilitare i lavoratori offrendo loro vantaggi e facilitazioni e organizzando il loro tempo libero.

Nel 1936, a seguito delle sanzioni economiche imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni a causa dell’invasione dell’Etiopia che stabilivano l’embargo commerciale, venne lanciata la campagna autarchica le cui premesse erano già state fondate nel 1934. Autarchia significava autosufficienza economica: la politica protezionista fu attuata all’interno del sistema corporativo. Il regime intendeva difendere la propria produzione elevando i dazi doganali sulle merci straniere in entrata – mantenendo così competitivi i prodotti italiani – e diffondere le materie prime e le merci italiane all’interno del paese anche grazie alla creazione di Enti che li tutelassero attraverso campagne propagandistiche che miravano alla creazione di nuovi costumi alimentari invitando la popolazione a sostituire i prodotti di cui vi era carenza con altri più abbondanti e alla difesa del loro prezzo sul mercato nazionale.

Le donne

Gruppo di Piccole Italiane della GIL (Gioventù Italiana del Littorio)

Il regime fascista ebbe un atteggiamento piuttosto ambivalente nei riguardi delle donne che emerse in maniera piuttosto chiara dal confronto tra il ruolo femminile nell’ideologia fascista e dal tipo di attività e mansioni che poi le donne si trovarono, di fatto, ad affrontare negli anni tra le due guerre. Il regime propagandava l’immagine di una donna che fosse madre, sposa, dedita alla cura dei figli e della casa, ma allo stesso tempo non ostacolò l’impiego in attività extradomestiche, ma al contrario incoraggiò le donne a uscire di casa per occuparsi di interventi “sociali” attraverso organizzazioni di massa specificamente femminili.

Si deve segnalare un’indubbia penalizzazione delle donne sia dal punto di vista salariale che per quello che concerneva l’accesso alle scuole e alle carriere. Le donne furono estromesse dai luoghi di lavoro nei settori in cui si registrava un elevato tasso di disoccupazione maschile, secondo una politica che privilegiava l’impiego del capofamiglia. Il sistema fu però incapace di “rinunciare” alla forza lavoro femminile in maniera generalizzata, motivo per cui la tollerò pur facendo in modo che non si trasformasse in una fonte di autonomia e di indipendenza.

A partire dalla fine degli anni Venti, una serie di leggi esclusero le donne dall’insegnamento nei licei – e venne istituito un “liceo femminile” nel quale si insegnavano materie considerate adatte alle “signorine” – ridusse la loro presenza nei ruoli dirigenziali della pubblica amministrazione, fino a che nel 1938 la percentuale massima di donne ammesse agli impieghi in aziende di medie e grandi dimensioni fu fissato al 10%. A soli due anni di distanza, però, nel 1940 a causa delle esigenze belliche che avevano ridotto la manodopera maschile le donne furono nuovamente ammesse al lavoro. Si consideri poi che le donne che svolgevano attività a domicilio o che appartenevano a una famiglia contadina e che col proprio lavoro contribuivano al reddito familiare furono sempre considerate non lavoratrici ma ausiliarie del marito, un escamotage per considerarle fuori dal mercato del lavoro quando invece non lo erano.

Il nazismo in Germania

Proclamazione "davanti alla storia" dell'annessione dell'Austria al Terzo Reich (15 marzo 1938)

A differenza del fascismo, il regime hitleriano dimostrò una capacità spaventosa di repressione e di controllo della società, così come dall’altro lato di coagulare un livello tale di consenso e di compattezza attorno al proprio progetto imperialistico da costringere gli Alleati, nel 1945, ad occupare Berlino casa per casa. In effetti, ad eccezione di piccoli gruppi di opposizione, la società tedesca mantenne fino alla fine una costante disponibilità a svolgere il proprio dovere, sia nell’esercito che sul “fronte interno”. Senza dubbio determinante risultò il perfetto funzionamento degli apparati polizieschi e dei sistemi di spionaggio nello stroncare sul nascere qualsiasi spunto, se non di dissenso, di non aperto favore verso il regime: tuttavia molteplici furono anche i fattori di natura consensuale che determinarono questo fenomeno. Innanzitutto vanno annoverati i successi nazisti in politica estera che vennero valutati con favore anche da larghi settori del movimento operaio: dopo più di dieci anni di tentennamenti, i metodi brutali, ma efficaci di Hitler furono in grado di annullare, agli occhi dei tedeschi, le clausole “umilianti” di Versailles (occupazione della Saar, militarizzazione della Renania, ripristino della coscrizione obbligatoria) e di garantirgli quindi un favore sconosciuto ai governi di Weimar. In secondo luogo, ma altrettanto importanti, furono i risultati ottenuti dall’economia: nel 1936-1937 venne raggiunto l’obiettivo della piena occupazione, anche se i disagi nella vita quotidiana rimanevano rilevanti e, soprattutto, la crescita venisse alimentata inflazionisticamente puntando sul riarmo e quindi su una guerra imminente. Comunque, ad onta di ciò, l’uomo comune vedeva in Hitler il demiurgo capace di modellare una nuova Germania, prospera, potente e rispettata: poco importava dunque se i reali risultati conseguiti dal regime in vari settori la casa e la famiglia (attraverso i prestiti matrimoniali) i mezzi di trasporto privati (nascita dell’auto popolare, la Volkswagen, e autostrade), la formazione professionale etc. – fossero al di sotto di quelli propagandati; essi erano comunque sufficienti ad offrire garanzie per il futuro. In definitiva il nazismo, tra i regimi totalitari dell’epoca, rappresenta, dal punto di vista sociale ed economico, l’esempio più compiuto di convergenza tra rifiuto della democrazia e processo di modernizzazione.

Un popolo compatto dietro al suo Führer

Donne ebree fotografate dai soldati tedeschi fuori dal ghetto di Varsavia, mentre vengono condotte alla deportazione.

La diffusione dei principi nazisti nella società tedesca andò di pari passo con l’affermazione della figura del Führer come assoluta autorità e vide la contemporanea diffusione di organizzazioni del partito nelle quali i vari settori sociali vennero inquadrati. Dopo essere stati inseriti in organizzazioni preparatorie dai 6 ai 14 anni, i giovinetti entravano a quattordici anni nella gioventù hitleriana e dopo i 18 anni compivano un periodo di lavoro obbligatorio o entravano nell’esercito. La classe dirigente nazista si formava invece all’interno di specifiche scuole organizzate sotto il controllo delle SS.

Il controllo sulle arti, sulla cultura, sulla stampa veniva compiuto attraverso l’applicazione della censura da parte della Camera per la cultura del Reich, mentre al contempo il ministro della propaganda impartiva direttive ai giornalisti sulle notizie da stampare e da divulgare.

Il tutto era sotteso dall’ideologia della “comunità popolare” la quale stabiliva i criteri di uguaglianza in base alla razza. Erano considerati “uguali” tutti coloro che appartenevano alla stessa razza e che di conseguenza detenevano il diritto di cittadinanza.

Proprio gli esclusi, i “diversi”, vittime delle persecuzioni naziste, avevano l’effetto di rafforzare il senso di appartenenza al popolo tedesco, alla comunità stessa e su di loro venivano riversate e convogliate le tensioni e i potenziali conflitti sociali.

Riarmo e piena occupazione

Parata di truppe naziste a Berlino, 1939

La politica di riarmo perseguita in Germania, che assegnava le commesse pubbliche principalmente alle industrie militari, dette luogo alla ripresa economica tedesca e al quasi completo riassorbimento della disoccupazione fin dal 1936. L’aumento delle possibilità di impiego sviluppò consensi verso il regime nazista da parte delle masse operaie che peraltro erano state private di libertà di espressione e di organizzazione autonoma. Consenso venne anche da parte delle classi industriali, agevolate dalle commesse, e dalle forze armate che divennero, non a caso, i due punti forti di riferimento del nazismo. Tale consenso rimase solido ed intatto fino a quando l’andamento della guerra non assunse i tratti di un’imminente disfatta.

Nel 1936 venne proclamato il piano quadriennale del Reich che doveva rappresentare il punto finale della politica di riarmo e dell’autarchia. Attraverso l’autarchia il regime nazista voleva giungere all’autosufficienza anche sul piano delle costruzioni militari all’interno di un’economia di guerra. Fu necessario un più rigido controllo dello stato sull’economia che si tradusse in una completa mobilitazione economica e sociale in funzione della militarizzazione e in una politica di incremento degli investimenti industriali a scapito dei beni di consumo.

Per la realizzazione di questo obiettivo fu propagandata la necessità della “pace sociale” ai fini di una maggiore coesione collettiva e vennero inoltre attuati cambiamenti ai vertici dell’apparato politico-amministrativo. A Hermann Göring fu infatti affidata l’attuazione del piano quadriennale e venne così accentuata l’unione tra stato e partito. Nel 1938 gli organismi per l’attuazione del piano furono nuovamente riorganizzati ma i grandi gruppi privati (e in particolare la IG Farben) ebbero grande spazio e influenza. Si assistette, in definitiva, ad una sempre più fitta commistione tra settore pubblico e settore privato e alla collusione tra uomini del Partito nazista e importanti esponenti industriali.

Le donne sotto il nazismo

Foto di propaganda nazista. Una madre di due figlie e un figlio in uniforme della Gioventù hitleriana posa per la rivista SS-Leitheft nel febbraio 1943.

Secondo il Mein Kampf di Hitler, le donne dovevano essere madri e avere un ruolo subalterno e del tutto indirizzato all’incremento numerico della comunità popolare. L’unico vero canale di realizzazione della dignità femminile era la maternità: così le donne si videro parallelamente private del diritto di voto, che avevano conquistato con la Repubblica di Weimar, e premiate in quanto madri prolifiche. La manodopera femminile fu espulsa dal mondo del lavoro per dare posto agli uomini e combattere la disoccupazione maschile, e si ridusse il numero di ragazze che frequentavano le scuole e le università.

Al fine di nazionalizzare le donne alla fede nazista vennero create specifiche organizzazioni femminili che inquadravano le bambine a partire dai 10 anni; a 21 anni accedevano invece all’organizzazione “Fede e bellezza” che riassume, anche nel nome, tutta l’ideologia nazista verso le donne. Le donne ariane venivano considerate le “madri del popolo” e le altre “degenerate” al pari delle prostitute.

Le donne tedesche erano organizzate all’interno della Deutsches Frauenwerk che era l’Organizzazione delle donne non legata al partito in maniera ufficiale. Compito dell’associazione era educare le donne, e soprattutto le madri e le casalinghe che meno venivano in contatto con l’ideologia nazista, fornendo informazioni sulla cura e l’educazione dei figli, sul cucito, e sul folklore tedesco (mezzo efficacissimo per veicolare i dettami della “politica razziale e demografica” nazista).

Lo stalinismo in URSS

Fotomontaggio di Lenin e Stalin

La strada che era stata individuata dal gruppo dirigente bolscevico per giungere all’instaurazione di un nuovo regime (socialista prima e comunista poi) consisteva nella costruzione del primo sistema di industria statale della storia, nel quale tutte le attività economiche e ogni aspetto e settore della società dovevano essere plasmati in maniera “pianificata”, vale a dire modellati in base alle finalità stabilite dallo Stato stesso. Il regime sovietico, che prese forma proprio negli anni Trenta sotto la guida di Stalin, si caratterizzò per lo sforzo di irreggimentare la popolazione e per l’operazione di esaltazione delle qualità politiche ed umane del leader che venne in seguito “culto della personalità”. La collettivizzazione forzata delle campagne e la parallela industrializzazione forzata ebbero tra le loro conseguenze sugli assetti sociali quella di innescare enormi flussi migratori e una profonda mobilità sociale: se nelle campagne i modelli di vita venivano spezzati alla radice, si affermava al contempo una nuova società urbana, con una classe operaia in piena crescita e formata in gran parte da contadini sfuggiti alla collettivizzazione, con una nuova intellighenzia tecnica costituita da operai e contadini promossi, con infine una burocrazia di semplici impiegati che si ingrandiva a dismisura; tutto ciò all’interno di una gerarchia ancora fragile e instabile. Il decennio conobbe, in generale, varie ondate di vera e propria “guerra” scatenata dal gruppo dirigente staliniano all’interno del corpo sociale, con l’obiettivo di conformarlo ai propri indirizzi ideologici. Oltre ai kulaki, che vennero liquidati in quanto classe, le persecuzioni colpirono innanzitutto il clero, in particolare i preti delle parrocchie rurali, assimilati ad “elementi sfruttatori”, così come tutti quei settori di lavoro privato cresciuto durante la NEP (commercianti, artigiani, membri delle professioni liberali), che videro i propri beni confiscati e furono oggetto di misure discriminatorie come la perdita dei diritti all’alloggio e all’assistenza. Inoltre venne colpito anche il popolo di operai e contadini che si rifiutavano di piegarsi alla disciplina della fabbrica o del kolkoz: una persecuzione che giunse al culmine nel 1939-40 con una vera e propria penalizzazione del diritto del lavoro.

Le condizioni dei lavoratori

Il famoso kombinat metallurgico di Magnitogorsk negli anni trenta

La realizzazione dei piani quinquennali andò di pari passo con la subordinazione dei sindacati alle esigenze della pianificazione economica statale, con l’introduzione di incentivi per gli operai più produttivi e con una parallela riduzione complessiva del monte salari. La crescente necessità di manodopera nelle industrie venne affrontata attraverso la trasformazione di più di venti milioni di contadini in operai nel periodo tra il 1926 e il 1939, il che, se servì a sopperire alle necessità di produzione, diede luogo alla necessità di disciplinare il lavoro di uomini che non erano abituati ai ritmi industriali. La scarsa puntualità e la tendenza a cambiare lavoro di frequente erano le infrazioni più frequenti commesse dai neo operai; per evitare queste abitudini furono introdotte delle punizioni, a partire dal 1938: riduzione di ferie e di salario, licenziamento e, infine, internamento in campi di lavoro forzato. Di pari passo andò la dismissione dei sindacati che vennero completamente “statizzati” e smisero perciò di difendere gli interessi operai per occuparsi invece della qualificazione della manodopera e di stimolare la produttività degli operai stessi. Proprio dal momento in cui i sindacati divennero ponte di collegamento tra la politica economica statale e le masse operaie, l’iscrizione diventò obbligatoria per tutti.

Volontarismo e stakanovismo

Aleksej Stachanov, a centro foto

Il processo di consolidamento della leadership di Stalin durante gli anni Trenta, se da un lato si incentrò sull’utilizzo sistematico del terrore e sull’eliminazione politica e spesso fisica di tutti gli avversari, dall’altro comunque poté poggiare sull’entusiasmo non solo di centinaia di migliaia di comunisti sovietici, ma anche sull’orgoglio nazionale di un numero enorme di lavoratori, chiamati direttamente alla costruzione del “sistema nuovo”. Sotto i loro occhi e i loro sacrifici, infatti, cresceva una grande potenza industriale e militare, proprio mentre il sistema capitalistico si dibatteva nella sua crisi più profonda dopo il crack del 1929: il motivo del successo veniva da molti attribuito alla guida infallibile di Stalin e alla sua forza spietata. Al tempo stesso essi vedevano che l’industrializzazione andava di pari passo con la nascita di quei diritti e servizi sociali (scuola, assistenza e previdenza) di cui mai prima di allora avevano goduto.

D’altro canto, a partire dal 1930, venne stabilito il criterio di salari differenziati in base alla capacità produttiva di ciascun operaio. I lavoratori giudicati migliori venivano pagati di più, avevano l’accesso a mense e spacci aziendali migliori e ottenevano migliori abitazioni e assistenza. A poco a poco si creò una vera e propria aristocrazia operaia della quale facevano parte i lavoratori più produttivi che venivano anche elevati allo status di “eroi”. Dal 1935 l’esempio dato da Stachanov1.6.1 (minatore che in un solo turno aveva estratto una quantità superiore di 14 volte a quella dei colleghi) divenne un vero e proprio movimento, detto “stachanovista”, che si tradusse nell’ideologia ufficiale del produttivismo sovietico.

La condizione operaia peggiorò notevolmente tanto che la diseguaglianza di condizioni e di salari all’interno della classe operaia sovietica era superiore a quella di qualsiasi altro paese nel mondo. L’aristocrazia operaia aveva salari superiori fino a dieci volte di più rispetto a quelli che si collocavano ai livelli più bassi.

L’irregimentazione della cultura

Stalin di Isaak Brodskij (prima del 1939)

Così come negli altri regimi totalitari, anche nella Russia sovietica la cultura fu messa al servizio del partito. La censura si abbatté sulla storiografia, sulle scienze economiche e politiche ma anche sull’arte e sui letterati.

Gli artisti, infatti, dovevano farsi promotori dell’ideologia sovietica e esprimere valori antitetici a quelli dell’occidente e cioè l’esaltazione del regime staliniano attraverso i canoni del “realismo socialista”.

Nel 1932 venne creata l’Unione degli scrittori sovietici che doveva mobilitare artisti e letterati attorno agli obiettivi dell’edificazione socialista. Anche nel campo della scuola gli anni Trenta segnarono l’inizio di una lotta senza quartiere nei confronti della cosiddetta “didattica aperta”, vale a dire la sperimentazione nell’insegnamento, che durante i dieci anni precedenti il regime staliniano aveva conosciuto spunti di notevole interesse. Si tornò ad un insegnamento dal carattere sistematico, incentrato sulla disciplina e sulla completa autorità degli insegnanti sugli scolari: venne, tuttavia, compiuto un gigantesco sforzo di scolarizzazione, con un numero di alunni, nei vari ordini di scuole, che passò dai 9,5 milioni del 1914-15 agli oltre 38 milioni del 1940-41; sforzo che venne indirizzato a coprire le esigenze di formazione di quadri dettate dal processo di industrializzazione.

Le chiese e i regimi

Benedizione di gagliardetti fascisti

La firma del Concordato tra chiesa e Stato nel 1929 sancì il sostegno da parte della chiesa al regime mussoliniano. I patti lateranensi avevano assecondato le richieste della chiesa stabilendo che religione cattolica fosse insegnata in ogni scuola, attribuendo valore civile al matrimonio religioso cattolico e riconoscendo l’Azione cattolica, che conquistò grandi spazi nella società civile. D’altro canto molti dei dettami ideologici del regime erano condivisi dalla chiesa: l’antisocialismo, il corporativismo, i valori del ruralismo della famiglia e della maternità.

Nonostante il sostanziale accordo, vi furono due momenti di attrito tra regime e chiesa in merito all’educazione dei giovani e alle leggi razziali: nel 1931 venne ridotto il campo di intervento dell’Azione cattolica, e nel 1938 le leggi razziali furono criticate perché introducevano un vulnus nella politica matrimoniale.

In Germania le chiese furono utilizzate dal nazismo come strumento per conquistare consenso attraverso la loro influenza morale. Un Concordato con la chiesa cattolica fu firmato il 20 luglio 1933: la chiesa intese così preservarsi dalle ingerenze naziste, ma in contraccambio accettò lo scioglimento delle formazioni politiche cattoliche e l’astensione dalla vita politica. Divenne chiaro però, col passare degli anni, che il regime hitleriano intendeva marginalizzare sempre più la chiesa anche all’interno stesso delle associazioni cattoliche e scolastiche sostituendosi alla sua sfera d’influenza.

Nella chiesa protestante, in cui si riconoscevano la maggior parte dei cristiani tedeschi, venne incoraggiata la corrente dei “Deutsche Christen” poiché favorevole alla fusione di nazismo e cristianesimo. Per il resto la chiesa protestante non dichiarò mai pubblicamente la propria distanza dal regime nazista anche se una parte consistente del clero protestante rifiutò di adattarsi ai suoi principi ideologici.

Di fatto, entrambe le chiese, cattolica e protestante, accettarono, salvo rari casi di opposizione, di contribuire a creare intorno al regime un’area di consenso o al limite di passività.

Gli Stati Uniti durante la crisi

Murales evocativo della ripresa economica statunitense sotto il New Deal

Per contrastare la crisi economica che si era aperta nel 1929 con il crollo della borsa di Wall Street e che toccò il suo apice nel 1932, Franklin Delano Roosevelt lanciò nel 1933 il New Deal. Egli, già nei primi cento giorni d’amministrazione, decise la svalutazione del dollaro, al fine di fare rialzare i prezzi, una riduzione delle spese federali e una moratoria bancaria per dare fiducia ai consumatori. Ma la politica del New Deal andò più a fondo mutando le regole economiche che erano state applicate fino ad allora creando il National recovery act e il Wagner act che al contempo ostacolavano i monopoli e tutelavano le rappresentanze dei lavoratori. L’idea era che per far ripartire l’economia fosse necessario dare nuovo fiato ai consumi, e di conseguenza era necessario garantire stipendi migliori ai salariati attraverso il sostegno ai sindacati. Si affermò la contrattazione collettiva che fino ad allora non aveva mai trovato spazio nei maggiori gruppi industriali. Furono avviati grandi progetti di opere pubbliche (bonifiche, risanamento del territorio e così via) per assorbire manodopera e garantire livelli superiori di occupazione, e furono promosse politiche di riforma sociale che intendevano migliorare la distribuzione del reddito anche attraverso l’istituzione di misure di tipo assistenziale e di tutela sociale.

Il progetto del New Deal rientrava comunque all’interno di un modello di tipo corporativo poiché prevedeva un intenso livello di collaborazione tra il governo federale, grandi imprese e sindacati denominati: big government, big business, big labour. Tale programma ottenne notevoli successi, anche se ancora nel 1937 la disoccupazione toccava punte elevatissime, e nel 1938 il New Deal poté considerarsi concluso. Ciò che rimaneva di questa esperienza era la sostanziale accettazione dell’ingerenza dello stato a livello economico che fino ad allora non era stata mai contemplata dall’economia americana.

“Furore”

Henry Fonda in una scena del film

Del 1940 è Furore, il film di John Ford ambientato negli anni della grande crisi. E’ ispirato all’omonimo romanzo di John Steinbeck, e vede quale protagonista Tom Joad (Henry Fonda), un contadino che, uscito dalla prigione, scopre che la sua fattoria è stata espropriata dalle banche. Assieme alla sua famiglia si mette in marcia verso la California, quell’ovest che rappresenta anche un luogo-simbolo all’interno della cultura collettiva statunitense, il West delle terre vergini da coltivare, della “corsa all’oro”, della prosperità che si offre a chi abbia la tenacia e la capacità di cercarla. Il film ripercorre tutto il tragitto di quest’uomo che attraversa da una parte all’altra gli Stati Uniti, un tragitto che è anche viaggio di formazione, di presa di coscienza di una realtà profondamente e definitivamente mutata rispetto a prima della prigione. L’allontanamento dalla propria terra a bordo di un camioncino in pessime condizioni costituisce un richiamo alle immagini delle diligenze ben rappresentative dell’immagine americana degli spostamenti verso l’ovest in cerca di fortuna. A conclusione, la madre sintetizza a Tom la propria filosofia sulla vita, che corrisponde di fatto a quella del regista, “Siamo vivi. Siamo il popolo, la gente, che sopravvive a tutto. Nessuno può distruggerci. Nessuno può fermarci. Noi andiamo sempre avanti”.

Il decennio dello sport

Saggio ginnico del 1930 a Milano

Lo sport fu per i regimi fascisti un mezzo di aggregazione e uno strumento per giungere al consenso tra la popolazione. Nelle scuole e nelle organizzazioni giovanili lo sport assunse un ruolo centrale nell’educazione dei giovani.

Lo sport era simbolo di prestanza fisica e di efficienza e per questo furono costruiti stadi e diffuso il mito del corpo perfetto che rientrava nei modelli di aggressività e violenza che erano parte costitutiva dell’ideologia aggressiva e guerrafondaia dei regimi fascisti.

Il dinamismo, il coraggio, l’istinto guerriero, andavano a comporre lo stereotipo dell’uomo virile che il fascismo desiderava inculcare agli italiani.

Lo sport faceva parte di questo progetto, era il canale attraverso cui coltivare ed esprimere la forza dell’“uomo nuovo fascista”. Quest’immagine di uomo nuovo si legava al progetto di trasformazione della società che Mussolini e anche Hitler avevano in mente. Se Hitler voleva il livellamento delle coscienze (Gleichschaltung), Mussolini volle creare uno stile di vita fascista che si riassumeva nel motto “credere, obbedire, combattere” che esaltava il dinamismo, la velocità, la modernità. Al di là della retorica, comunque, questo progetto di costruzione dell’“uomo nuovo” non conobbe grande fortuna.

Le Olimpiadi di Berlino

L'Olympiastadion di Berlino durante lo svolgimento dei Giochi olimpici del 1936

L’edizione dei giochi del 1932, svoltasi a Los Angeles, rappresentò senza dubbio l’Olimpiade degli italiani, che riscossero una notevole popolarità negli Stati Uniti, grazie sia al notevole bottino di medaglie (36 in totale, un terzo delle quali d’oro, che collocarono l’Italia al secondo posto nella classifica per nazioni dietro ai padroni di casa), sia anche alla popolarità sportiva che Primo Carnera stava riscuotendo oltreoceano. I motivi di quest’inedito successo erano ascrivibili da un lato alle caratteristiche climatiche favorevoli della California, molto simili a quelle italiane, dall’altro all’impegno profuso dal regime mussoliniano, che accordava una centrale rilevanza ideologica e propagandistica alle imprese sportive. Infatti, era stata introdotta la consuetudine da parte dello stato fascista di “mantenere” gli atleti più promettenti, indirizzandoli verso impieghi di lavoro in enti e aziende molto disponibili in quanto a ferie e permessi, necessari per una buona preparazione.

Le Olimpiadi che si svolsero a Berlino nel 1936 furono invece precedute da un nugolo di polemiche, seguite all’emanazione delle leggi razziali da parte del regime nazista nel 1935. L’ipotizzato boicottaggio da parte degli Stati Uniti, comunque, non ebbe luogo e le Olimpiadi di Berlino costituirono così la possibilità per la Germania hitleriana di mostrare una facciata di moderazione ed efficienza che ebbe effettivamente una notevole eco a livello internazionale e furono un’occasione per “mostrare” la presunta superiorità della razza ariana. Se la Germania risultò prima nel medagliere per nazioni, fu tuttavia un atleta nero americano, Jesse Owens, a lasciare la propria impronta indelebile su quell’edizione dei giochi, vincendo ben quattro ori (100, 200, salto in lungo e staffetta) e suscitando il profondo disappunto da parte del Führer, che dovette assistere alla vittoria di un esponente di una delle “razze inferiori”.

I mondiali di calcio: l’Italia di Pozzo

L'Italia celebra il suo primo titolo mondiale

L’Italia vinse la Coppa del mondo nel 1934 e nel 1938, guidata da Pozzo, e grazie anche alla presenza di calciatori “oriundi” che giocavano in quella squadra. Grandi esponenti della nazionale italiana furono in quegli anni il centravanti Giuseppe Meazza, la mezz’ala Ferrari, l’ala sinistra Orsi (di nazionalità italo-argentina) e il centravanti Silvio Piola.

La squadra vinse anche alle Olimpiadi del 1936: nella semifinale l’Italia segnò ai tempi supplementari grazie a Frossi e si qualificò per la finale.

Il 15 agosto di quell’anno l’Italia si scontrò con l’Austria e al 25’ del secondo tempo fu di nuovo Frossi a segnare subito seguito da un gol dell’Austria. A Frossi andò comunque il merito della qualifica alle Olimpiadi segnando nuovamente all’inizio del primo tempo supplementare. La partita proseguì ancora per 28 minuti in cui la squadra dovette difendere il titolo fino alla vittoria.

Arte, Cinema e Letteratura

Cinema anni Trenta

Una famosa scena da "Via col Vento" con Clark Gable e Vivien Leigh

Nel 1932 fu istituito il primo festival internazionale del cinema a Venezia. Da allora molti altri festival internazionali si sono ispirati a quel modello per dare vita a incontri tra attori, registi, produttori, occasione per presentare le nuove pellicole ma anche per comprare e vendere diritti cinematografici. Precedente di pochi anni al Festival di Venezia era soltanto la cerimonia degli Oscar la cui prima edizione si tenne nel 1929, vinta da William Wellman con Ali. I criteri adottati nella cerimonia hollywoodiana per la premiazione dei film, furono fin dall’inizio prettamente commerciali privilegiando la spettacolarità e la commerciabilità del prodotto.

Negli stessi anni l’America si dotò di un codice di produzione dopo che si furono abbattute sul mondo cinematografico una serie di scandali che fecero scalpore. Sui giornali erano state pubblicate notizie relative alle orge di von Stroheim e alle violenze perpetrate dal comico Fatty Arbuckle su minorenni che sconvolsero l’opinione pubblica e danneggiarono la credibilità delle case di produzione. Così nel 1930 venne stipulato il codice di produzione detto anche “Codice Hays”, dal nome del promotore, nel quale venivano stabiliti dei criteri di autocensura da adottare nella confezione dei film. Venivano stabiliti parametri entro i quali muoversi in merito a scene di violenza, di sesso e in merito all’omosessualità, in modo da evitare risentimenti nell’opinione pubblica e al fine di dare nuovo lustro alla dignità americana nel mondo. I gangster movies furono allora oggetto di censura per ridurre l’impatto di scene torbide e “di strada” che, creando dei personaggi eroici, venivano considerate come un’istigazione alla violenza e alla criminalità. Ebbero questa sorte film quali, Nemico Pubblico di William Wellmann, Piccolo Cesare di Mervin LeRoy Scarface di Haward Hawks. Anche i film che rappresentavano eroine disinibite e sessualmente disinvolte vennero censurate poiché al lato ironico veniva fatto prevalere il valore diseducativo che quella condotta morale discutibile determinava.

La commedia americana

Charlie Chaplin ne "Il grande dittatore": la famosa scena del "globo", 1940

Con gli anni Trenta il cinema sonoro (esordito nel 1927 con Il cantante di jazz) si affermò completamente. Sono di questo decennio le commedie di Frank Capra che girò nel 1933 Accadde una notte, con Clark Gable e Claudette Colbert, dove il regista raccontava l’America nel tentativo di uscire dalla depressione economica; fu proprio questo film che consacrò Gable a ideale maschile del pubblico americano e che conquistò cinque Oscar. Ma anche nei successivi film gli attori che recitarono nei suoi film sono quelli che diventeranno i grandi attori del cinema americano: Gary Cooper in E’ arrivata la felicità del 1936 e James Stewart in Mr Smith va a Washington del 1939. Cary Grant, un altro dei grandi attori dell’epoca, recitò con Mae Wast in Non sono un angelo del 1933. Negli stessi anni uscirono i film musicali con Fred Astaire e Ginger Rogers, Cappello a cilindro (1935), Follie d’inverno (1936). I due attori, sempre impegnati nella parte di ballerini, divennero celebri per questi film in cui si susseguivano, più o meno ben accostati con la trama, sketch musicali e danzati. Nel 1937 fu proiettato Biancaneve e i sette nani, il primo lungometraggio animato della storia del cinema per la cui realizzazione furono necessari tre anni e il lavoro di più di trenta animatori. Durante gli anni Trenta Orson Welles, che si affermerà come regista cinematografico negli anni Quaranta, aveva già diretto spettacoli teatrali – fece scalpore, nel 1938, un Macbeth ambientato ad Haiti con attori tutti afroamericani – e si era fatto conoscere in tutta l’America con La guerra dei mondi di H.G. Wells che egli riadattò per la radio diramandolo come se si trattasse di un vero e proprio pezzo di cronaca. Occasione in cui diffuse il panico in milioni di ascoltatori che credettero fosse davvero iniziata l’invasione della terra da parte dei marziani.

L’“attrice bambina” fenomeno del cinema americano degli anni Trenta, fu Shirley Temple che interpretò nel 1935 Riccioli d’oro, in cui un’orfanella adottata da un ricco industriale gli combina un matrimonio e gli risolve gli affari. Sono del 1939 anche altri due immortali capolavori del cinema americano: Via col vento (1939), in cui recitano Clark Gable e Vivien Leigh, e Il mago di Oz, film con mille interpreti, e quattromila costumi, tratto dai libri per l’infanzia di L. Frank Baum.

Lo sperimentalismo francese

Jean Gabin in una scena del film "Il bandito della Casbah" (titolo originale "Pépé le Moko")

Il cinema francese degli anni tra le due guerre fu caratterizzato dalla mancanza di un’industria cinematografica ben strutturata come invece avevano non solo gli Stati Uniti ma anche l’Italia e l’Inghilterra. L’assenza di un sistema di produzione compatto e organizzato fece sì che i registi operassero in un clima di estrema flessibilità e sperimentazione.

Si ebbero infatti sperimentazioni in chiave surrealista e impressionista che costituirono la base delle successive tendenze del cinema d’autore francese. Salvator Dalì e Buñuel girarono in questi anni L’âge d’or e Un chien andalou che scandalizzarono pur diventando la premessa dei successivi lungometraggi nel corso degli anni Trenta firmati da Jean Vigo, Pierre Prévert e René Clair (Sotto i tetti di Parigi, 1930, e A me la libertà, 1931).

Una seconda scuola cinematografica francese che si sviluppò nel corso degli anni Trenta fu quella del realismo poetico francese con film quali, Pépé le Mokò (1936) di Julien Duvivier, Il porto delle nebbie (1938) e Alba Tragica (1939) di Marcel Carné. Jean Renoir raccontò di personaggi marginalizzati, di amori idealizzati, di nostalgie e descrisse situazioni agrodolci nei suoi primi film (La Cagna,1931, Boudu salvato dalle acque, 1932, La scampagnata, 1936) per passare poi a film di genere politico-sociale quali La grande Illusione (1937) e La regola del gioco (1939), in cui metteva in luce il conflitto sociale tra classi e il declino dell’aristocrazia.

Tre registi si dedicarono invece al cinema leggero e alla commedia di intrattenimento: Marcel Pagnol, Max Ophüls, Sacha Guitry, provenivano dal teatro e applicavano le norme dell’arte teatrale nella produzione di lungometraggi. In particolare Pagnol diede vita ad una vera e propria troupe e attori stabili che recitavano costantemente nei suoi film.

Il cinema in Italia e Germania

Vittorio De Sica in "Gli uomini, che mascalzoni…"

In tutt’altra direzione rispetto alla libertà del cinema francese si mosse la produzione cinematografica in Italia e Germania, dove i regimi totalitari avevano ben compreso le potenzialità di propaganda del cinema sfruttandole a proprio vantaggio.

In Italia venne creato l’Istituito Luce che si occupò prevalentemente della confezione dei cinegiornali volti a encomiare il regime e le sue politiche economiche e sociali.

Anche alcuni film propagandistici vennero prodotti dall’Istituto – Camicia Nera, 1932, di Gioacchino Forzano, o Vecchia Guardia, 1933, di Alessandro Blasetti – ma i temi prescelti si orientarono generalmente sul passato remoto (1860 di Alessandro Blasetti e Scipione l’Africano di Carmine Gallone) nell’intento di porre le basi del nazionalismo attraverso la celebrazione del passato glorioso della nazione.

Si ebbe comunque, anche durante gli anni del fascismo, una produzione di film di evasione nei quali si narravano storie d’amore, personaggi agiati e fortunati impegnati in storie di amore romantico. Esponenti di questo genere di produzione cinematografica, che venne definito “cinema dei telefoni bianchi”, furono Goffredo Alessandrini con La segretaria privata (1931) e Mario Camerini con T’amerò sempre (1933).

Ma anche Vittorio De Sica, che cominciava allora sia come attore che come autore e che nell’immediato dopoguerra sarà uno dei massimi rappresentanti della corrente neorealista, produsse commediole brillanti e romantiche come Gli uomini, che mascalzoni! e Il Signor Max (quest’ultimo di Mario Camerini con Vittorio de Sica).

In Germania il controllo totalitario della produzione cinematografica fu realizzato in maniera sotterranea poiché vennero acquistate, segretamente, una grande quantità di azioni delle case di produzioni di maggiori dimensioni e i film che vennero prodotti furono quasi esclusivamente di stampo propagandistico di matrice razzista e nazionalista e di scadente qualità. In siffatto panorama un’eccezione fu costituita da Leni Riefensthal, che, pur in maniera controversa, realizzò capolavori cinematografici quali Olympia e Il trionfo della Libertà.

Il realismo socialista

Una scena del film Aleksandr Evskij di Ejzensteijn (la carica dei cavalieri Teutoni durante la battaglia del lago ghiacciato)

In Unione Sovietica l’industria cinematografica, che era stata nazionalizzata nel 1919, produsse principalmente opere ascrivibili al cosiddetto “realismo socialista”, definizione che era nata, fondando un principio estetico, nel 1934, al Congresso degli scrittori sovietici. Basandosi su indicazioni ufficiali fornite dagli stipulatori dei piani quinquennali1.6.1, vennero prodotti film che celebravano la rivoluzione e che enfatizzavano e sottolineavano la necessità della guerra civile. I film, dall’intento chiaramente didascalico, presentavano personaggi che permettessero una immediata identificazione delle masse come accade, per esempio, in Ciapaiev,(1934) di Sergeij e Georgij Vasil’ev – che divenne il modello a cui attingevano gli altri registi sovietici anche grazie al successo tra il pubblico – nel quale un ufficiale bolscevico impara a subordinare le proprie esigenze a quelle del popolo.

Fu Ejzenstejn, anche durante gli anni Trenta, a rappresentare il miglior cinema sovietico. Nei suoi nuovi film (Aleksandr Nevskij e Ivan il terribile), egli applicò alle sue consuete ricerche sul montaggio le innovazioni delle avanguardie cinematografiche e le norme dell’espressionismo sulle geometrie spaziali.

Ivan Il terribile nasceva come primo di tre film sullo zar Ivan e, se con quest’opera egli si aggiudicò il premio Stalin del 1946, meno fortuna ebbe il successivo, La congiura dei Boiardi, che non trovò il favore del governo stalinista.

Da quel momento Ejzenstejn decise di non terminare il progetto della trilogia, di abbandonare il cinema e di concentrarsi, invece, sulla teoria del montaggio.

Lo swing

Fred Astaire in un numero di ballo con la sorella Adele

L’evoluzione del jazz durante gli anni Trenta fu lo swing, il che significò sostituire ai ritmi sincopati delle prime composizioni un nuovo e più agile ritmo. Le orchestre, le big band, dirette da maestri del jazz quali Ellington, Count Basie, Benny Goodman, fecero ballare gli americani al suono di sassofoni, trombe e tromboni.

Il 16 gennaio 1938 si tenne uno dei concerti storici del jazz alla Carnegie Hall di New York. La Carnegie Hall era nata nel 1891 come sede della New York Philarmonic Orchestra dove dirigevano i concerti maestri del calibro di Toscanini e Ciaikovskij: in quell’occasione, per la prima volta, musicisti bianchi e neri suonarono insieme ritmi swing.

L’idea era nata da Benny Goodman, uno dei migliori musicisti jazz, clarinettista, solista e direttore d’orchestra: egli volle fortemente quest’iniziativa grazie alla quale gli afroamericani potessero vedersi riconosciuta la paternità della nuova musica che i musicisti bianchi avevano diffuso e portata al successo. A quella serata vi fu una tale partecipazione di pubblico che fu necessario fare sistemare alcuni spettatori alle spalle dei musicisti direttamente sul palco.

Sperimentazioni di danza

Martha Graham e Bertram Ross, 1961

Martha Graham è considerata la madre di un nuovo periodo della danza e la prima realizzatrice del “teatro totale”. Ella mescolava sulle scene danza, musica, costumi fondando la modern dance americana.

Alla fine degli anni Venti mise in scena Heretic nel quale si delineava già lo stile scarno ed essenziale che avrebbe caratterizzato anche le coreografie successive. Durante gli anni Trenta essa faceva riferimento ai grandi miti e ai loro simboli per fare emergere il mondo dell’inconscio. Primitive Mysteries del 1931, considerato il suo capolavoro, mescolava alcuni misteri cristiani allo spirito di un popolo primitivo il tutto espresso con movimenti sulla base di musiche di ispirazione indiana. Nel 1935 Graham creò Frontier nel quale si rappresentava una pioniera nel continente americano. Durante la sua carriera, nella quale si schierò sempre a fianco delle donne e si scagliò contro ogni dittatura, riuscì a restituire al movimento la sua funzione primitiva di rivelatore dell’esperienza umana e mezzo per trasmettere i mutamenti in corso nella realtà.

In Germania la nuova scuola di danza fu rappresentata da Rudolf von Laban e la danzatrice Mary Wigman: egli era il teorico della nuova corrente della quale Mary Wigman, allieva e successivamente capo scuola, fu la più alta rappresentante. Nelle loro opere la coreografia non ha spazio e la musica non è più indispensabile: il corpo e l’espressività corporea non hanno più bisogno di nessun supporto per assurgere a protagonisti della scena. Mary Wigman fu la fondatrice della danza espressionista, basata su movimenti istintivi ed estremi, del tutto contrapposta alle ballerine eteree del balletto accademico.

La libertà espressiva della Wigman e dei suoi allievi venne però soffocata dal regime nazista, e sebbene la sua tradizione fu raccolta dall’Art of Movement Center fondato in Inghilterra nel 1938, si persero, di fatto, parte degli stimoli della prima corrente di danza moderna europea.

Arte tra le due guerre

Pablo Picasso, Guernica (Museo della Regina Sofia, Madrid)

Nel periodo tra le due guerre artisti quali Matisse, Bonnard, Morandi e De Pisis, rispettivamente in Francia e in Italia, operarono in maniera individuale senza costituire dei movimenti o delle correnti, rimanendo sostanzialmente isolati dalla realtà storica in una dimensione prettamente artistica.

Matisse studiò in maniera contemplativa i colori come mezzo di decorazione; altrettanto fece Bonnard che dipinse tele con paesaggi, nature morte o nudi in una dimensione che appare atemporale; Morandi e De Pisis, strettamente legati alla ricerca pittorica, riprodussero a lungo gli stessi soggetti ciascuno con un proprio stile che si mantenne immutato nel tempo.

Nei regimi totalitari – Italia, Germania e Russia - gli artisti furono costretti a rispondere delle proprie scelte stilistiche; infatti, tali regimi, che intendevano comunicare attraverso l’arte e l’architettura messaggi di grandezza della nazione e che contribuissero alla creazione di una comune identità nazionale, bandirono ogni tipo di sperimentalismo, e poté svilupparsi solo l’arte consona alle esigenze totalitarie.

Negli altri paesi gli artisti poterono proseguire sulla via della sperimentazione e dell’astrattismo: Brancusi, Julio Gonzales, Pablo Picasso, Hans Arp, Henry Moore, Barbara Hepworth, Alexander Calder, furono esponenti di correnti a cavallo tra il surrealismo e l’astrazione.

Le esperienze italiane

Giorgio de Chirico e Sandro Pertini

Con gli anni Trenta termina, sia per dissensi esterni che per le critiche di esterofilia sollevate dal regime, l’esperienza di Novecento che aveva costituito il momento di ritorno all’arte figurativa dopo la prima guerra mondiale. Il movimento si era formato nel 1922 e aveva incarnato di fatto la volontà di “ritorno all’ordine” propugnata dal regime. Poco a poco però anche gli artisti che inizialmente avevano aderito a Novecento se ne distaccarono, reputando sempre più intollerabili le limitazioni espressive imposte dal fascismo e cominciando ad elaborare una più precisa coscienza antifascista.

Ne derivarono diverse correnti artistiche divise tra coloro che privilegiavano la pittura cupa (Scuola Romana), quelli che preferirono l’evanescenza (i chiaristi lombardi), coloro che sperimentarono tratti impressionistici e fauve (Gruppo dei sei pittori di Torino), e ancora lo spirito di denuncia degli artisti di Corrente e l’astrattismo del gruppo de Il Milione. Tutti accomunati però da una diffusa aperura e attenzione alle esperienze culturali europee, cosa che li sottoponeva alle accuse di esterofilia da parte del regime.

La contrapposizione ai valori di Novecento fu quello che riunì, a partire dal 1927, Scipione, Mario Mafai, Antonietta Raphaël, e Marino Mazzacurati nel gruppo della Scuola Romana. Nonostante fossero stati definiti “scuola” dal critico Roberto Longhi, essi non avevano un programma ben preciso e, almeno inizialmente, ciascuno perseguì una propria ricerca. Nel corso del tempo però il punto comune fu rintracciato nella visione emotiva e al contempo drammatica dell’esistenza. Essi si caratterizzarono per il tonalismo del colore e per l’abbandono dei codici accademici.

Antonietta Raphaël Mafai (moglie di Mario Mafai) aveva studiato a Londra e fu un tramite, per tutto il gruppo, con le altre esperienze artistiche europee. La scuola ebbe vita breve poiché si sciolse già nel 1931, ma l’esperienza compiuta ebbe comunque un’importanza rilevante sia dal punto di vista morale sia dal punto vista artistico.

Appena un anno prima della conclusione dell’esperienza della Scuola Romana era stata aperta a Milano la galleria Il Milione con esplicito orientamento internazionale. Il fondatore Edoardo Persico aveva coniato il motto “L’Europa è la parola d’ordine del secolo” che descriveva sia gli intenti della galleria sia quelli dei pittori che ad essa facevano riferimento.

“Cercle et Carré” e “Abstraction-Création” erano le riviste predilette da Atanasio Soldati, Mauro Reggiani, Osvaldo Licini, Lucio Fontana, Luigi Veronesi, Fausto Melotti e Bruno Munari, i quali, dopo essersi formati sulla base delle avanguardie storiche, continuavano a seguire gli sviluppi e gli esiti dell’astrattismo attraverso riviste estere. Gli artisti che gravitavano intorno alla galleria Il Milione, pur adoperando linguaggi pittorici individuali, condividevano l’adesione alla teorizzazione formale che aveva elaborato il critico Carlo Belli nel saggio Kn , scritto intorno alla metà degli anni Trenta.

Kn fu punto di riferimento anche per Mario Radice e Manlio Rho, artisti che operavano a Como, anch’essi lontani dallo stile figurativo di Novecento e semmai tendenti ai principi dell’architettura razionalista.

L’arte totalitaria

Como, Casa del fascio di Giuseppe Terragni

Mussolini offrì agli artisti mezzi e spazi per affermarsi ma purché essi rientrassero nei canoni che il fascismo aveva fissato. Venne formato il Sindacato Fascista delle Arti, fu rilanciata la Quadriennale d’Arte di Roma, e molti furono incaricati di realizzare decorazioni murali su opere architettoniche. La pittura murale doveva contribuire all’edificazione morale dell’Italia fascista. Mario Sironi fu il principale interprete del “muralismo” curando la V Triennale di Milano dedicata proprio alla decorazione di pareti e, sempre nel 1933, scrisse il Manifesto della pittura murale. Ma furono molti gli artisti che si prestarono alle richieste del regime, anche al fine di non rimanere emarginati dalla scena nazionale e internazionale, in particolare Campigli, Funi, Severini, De Chirico realizzarono pitture murali che celebravano la nazione. Lo stile prescelto fu quello della tradizione italiana dell’affresco.

Il Movimento Moderno, o razionalismo architettonico, si diffuse in Italia quasi contemporaneamente all’affermarsi del fascismo che in un primo tempo non ne ostacolò la diffusione. Nel 1932 molti giovani architetti si ritrovarono sotto la denominazione di MIAR (Movimento razionalista italiano per l’architettura razionale) affermando che proprio questo genere di architettura rispondesse alle esigenze di ritorno all’ordine del fascismo. Durante gli anni Trenta il regime intervenne direttamente nella definizione di uno stile architettonico che rispondesse alle proprie esigenze di auto-celebrazione. Fu allora che il razionalismo architettonico venne considerato inadeguato soprattutto per quello che riguardava la progettazione di edifici pubblici e monumenti che il fascismo volle maestosi, imponenti e con caratteristiche artistiche sovratemporali che si rifacessero in particolar modo all’architettura classica. Il ricorso allo stile architettonico classico intendeva anche suggerire il ritorno alla grandezza dell’Italia imperiale, e fondare sulla storia più antica l’identità nazionale ancora in costruzione. Piacentini divenne l’architetto di regime colui che progettava e realizzava le opere urbanistiche e architettoniche del regime.

Entartete Kunst: il nazismo contro “l’arte degenerata”

Goebbels visita la mostra Arte degenerata nel 1937

L’architettura razionalista tedesca di cui si era fatto principale promotore Walter Gropius fu oggetto dei provvedimenti nazisti nel 1933. Hitler, infatti, fece chiudere il Bauhaus in cui si percorrevano linee di sviluppo orientate alla democraticità: Gropius aveva sostenuto fin dall’inizio l’idea di collaborazione tra docenti e studenti e si faceva promotore di un modello di società equa in cui gli esseri umani avessero equivalenti condizioni di vita.

Anche nella Germania nazista, come nell’Italia mussoliniana, l’architettura prediletta fu quella di stile neoclassico che diede luogo a edifici monumentali decorati con le croci uncinate naziste. Speer diventò l’architetto prediletto del regime hitleriano e anche altri (come per esempio Oud, disegnatore del palazzo della Shell all’Aja nel 1938) che avevano aderito precedentemente al razionalismo vennero coinvolti nella produzione di edifici in stile monumentale.

Stesso destino di censura ebbero altri generi artistici che vennero ritenuti responsabili di corrompere la moralità del popolo tedesco. Mondrian, Kandinskij, Beckmann, Dix, Grosz, Schwitters, Schlemmer furono tutti costretti a trasferirsi all’estero per poter continuare la propria attività.

Per contro, nel 1937, il ministro della Propaganda e dell’Educazione del popolo, P.J. Goebbels, organizzò una mostra Entartete Kunst, “arte degenerata”, nella quale vennero esposti più di 600 capolavori dell’arte moderna per mettere all’indice tutti gli esempi di arte deviata e deviante. Vennero esposte, in una mostra che circolò dal 1937 al 1941, in nove città della Germania e dell’Austria le opere degli espressionisti, degli esponenti del Bauhaus, dei dadaisti, e quelle degli artisti ebrei considerate devianti a prescindere dal genere che producevano.

Architetture europee

Museo d'Arte Moderna di Parigi

Anche i paesi che non erano stati investiti dal totalitarismo risentirono però nell’architettura della ripresa del classicismo di cui Germania e Italia si erano fatti promotori. In Francia, ad esempio, in occasione dell’esposizione universale del 1937 fu raso al suolo il palazzo del Trocadéro, già esistente, e fu bandito un concorso per la progettazione di un nuovo edificio. Il concorso fu vinto da J. Carlu, L.A. Boileau, L. Azéma che avevano presentato un progetto in stile neoclassico.

Nonostante le proteste di Cocteau, Picasso, Matisse, Chagall, Braque contro questa scelta, il progetto andò avanti nell’intento di ricollegarsi alle forme espressive di Speer, per la Germania, e di Jofan, per la Russia, che avrebbero partecipato con le loro monumentali costruzioni neoclassiche nei padiglioni nazionali dell’Esposizione universale.

Nonostante Le Corbusier tentasse di opporsi vivacemente a questa tendenza, proponendo idee architettoniche che andavano in altra direzione, lo stile neoclassico si affermò: nel 1937 fu costruito, secondo i canoni di questo stile, il Museo d’arte moderna.

I paesi scandinavi rimasero invece immuni da questa tendenza e il Movimento Moderno vi trovò spazio per le proprie sperimentazioni a partire dal 1930. In questi paesi i princìpi razionalisti non vennero recepiti con tutto la loro portata polemica di rottura col passato, ma si inserirono, invece, in una tendenza già in atto che privilegiava la sperimentazione. A. Aalto, E.G. Asplund, A. Jacobsen, considerarono perciò le sollecitazioni razionaliste come uno strumento formale in più cui fare riferimento. Essi ritenevano che l’architettura non dovesse esprimere principi ideologici ma piuttosto rispondere alle esigenze del fruitore. Per questo venivano considerate di fondamentale importanza la ricerca e l’uso di materiali naturali, tendenza che caratterizzò soprattutto Aalto, alla ricerca di nuove idee che rendessero meno freddi e più accoglienti gli edifici.

Il New deal nell’arte

Ben Shahn, Manifesto, 1943

Il George Washington Bridge di New York fu completato nel 1931 e costituisce una delle meraviglie dell’ingegneria moderna, così come anche il Goden Gate di San Francisco, definito il migliore esempio di Art decò, e che venne completato nel 1937. A differenza del secondo, inaugurato quando l’epoca delle depressione economica si stava chiudendo, il George Washington, al pari dell’Empire State Building, iniziato alla fine degli anni Venti, fu costruito nel pieno della Depressione. Proprio per riconquistare il sostegno dell’opinione pubblica dopo la crisi del 1929 il governo americano cercò il sostegno degli artisti. Venivano commissionati loro opere che spaziarono dall’astrattismo all’arte figurativa.

Gli artisti del Works Progress Administration/Federal Art Project (WPA/FPA) decorarono le pareti degli edifici pubblici con murales che con linguaggio realista descrivevano la vita delle metropoli americane. Essi si facevano portatori della politica capitalistica del New deal, così come anche gli artisti di A.A.A. (American Abstract Artists) i quali, ricollegandosi all’astrattismo geometrico europeo, vollero difendere questo stile da movimenti artistici opposti come il Social Realism e il Regionalism. Di questi ultimi il primo intendeva denunciare il capitalismo e i danni prodotti dal capitalismo a livello sociale, e il secondo si scagliava contro l’arte di importazione (come l’astrattismo appunto) e promuoveva una ripresa della cultura del Middle west americano individuata come l’area che incarnava meglio i valori americani.

Esponente del Social Realism fu Ben Shahn, il quale attraverso i suoi quadri denunciò ingiustizie sociali e politiche: dedicò a Sacco e Vanzetti una serie di opere che li facessero assurgere a simbolo dell’ingiusta condanna subita.

Non si inserirono, invece, in nessuna di queste tendenze Hopper e, i pittori “precisionisti” i quali elaborarono un linguaggio realistico che voleva riprodurre i paesaggi contemporanei in opere dalla precisione fotografica.

Letteratura anni Trenta

Pablo Neruda

Gli intellettuali si mossero, negli anni tra le due guerre, in due direzioni tra loro intrecciate: da una parte tentarono di conciliare marxismo e democrazia e dall’altra di mantenere uno spazio per la ricerca, e la libertà di critica. In Italia, a causa del fascismo, alcuni scrittori e poeti fecero una scelta di isolamento dalla realtà portando avanti una forma d’arte che sostanzialmente ignorasse il regime attraverso la trasfigurazione del dato reale in simbolo e rifugiandosi in una dimensione simbolica. Da questo punto di vista può essere considerata una letteratura che ha degli aspetti di opposizione al regime, perché il rifiuto della realtà veniva considerato tale.

Ci furono però anche forme di opposizione più nette come quella che emerge da Gli indifferenti di Moravia e quella che nasce, più o meno direttamente, dalla traduzione di opere straniere per mano di intellettuali italiani, Vittorini e di Pavese per esempio. Nonostante la creazione da parte del regime dell’Accademia d’Italia, e malgrado le censure, la letteratura italiana rimase piuttosto estranea agli intenti del regime. Guardando al panorama internazionale, troviamo alcuni scrittori che presero posizione sia con le proprie opere sia attraverso scelte di impegno personale contro il fascismo: Orwell, Hemingway, Malraux, per esempio si arruolarono nelle brigate internazionali in solidarietà con il popolo spagnolo per combattere il fascismo.

Le opere più significative di Pablo Neruda videro la luce negli anni Quaranta. Già nel 1933 aveva pubblicato una raccolta intitolata Residenza nella terra (1933) in cui la natura, luogo di emozioni e passioni, ha un posto di rilievo. Ma fu dopo la guerra civile spagnola e la seconda guerra mondiale che scrisse poesie in cui il suo stile si definisce nella descrizione della dura realtà umana. Egli aveva partecipato alla guerra civile, a favore della repubblica, e aveva aderito al comunismo: nelle sue poesie si registra l’esaltazione dei movimenti di liberazione contrapposti al colonialismo e allo sfruttamento. Nel 1947 scrisse Terza residenza (1947).

Le “Occasioni” di Montale

Eugenio Montale

Nel 1939 venne pubblicata la raccolta di poesie Occasioni di Eugenio Montale: ed è proprio il cupo e sinistro presagio di guerra, una guerra che appare oramai inevitabile quanto insensata, a imprimere con intensa, ma controllata drammaticità, il tenore e la cifra stilistica di questa seconda, importante opera di Montale. Rispetto ad Ossi di Seppia, infatti, la consistenza della realtà circostante, del paesaggio e dell’ambientazione, si fa più rarefatta, quasi impercettibile, per cedere il passo alle vicende della cronaca privata dell’autore e alla sua volontà di trovare, con fatica sempre maggiore, un “senso” per la propria esistenza. L’unica via in quel momento così universalmente tragico resta l’ostinata ricerca di ancore interiori, che assumono di volta in volta le forme di fantasmi femminili, di oggetti della vita quotidiana, che emblematicamente appaiono come casuali spiragli di salvezza provenienti da un mondo più umano, tuttavia distante. Il presente è sottaciuto, sostituito da evocazioni e apparizioni che restano come ultimi strumenti di resistenza disperata di fronte al dilagante “assurdo” della realtà. Ne nasce una poesia allusiva, ellittica e concentrata, che comunque non vuol caratterizzarsi come “lirica pura”, ma piuttosto come “un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiattellarli”, secondo la definizione dello stesso Montale. La poesia delle Occasioni costituì un bagaglio formativo importante per le generazioni cresciute sotto il fascismo, che vi riconobbero un pacato, ma netto rifiuto della degradata situazione storica del loro tempo.

Le riviste:“Solaria” e “Il primato”

Copertina della rivista "Solaria"

Il profondo mutamento verificatosi nel clima culturale e civile nel dopoguerra e cristallizzatosi durante gli anni Trenta - decennio nel quale il consolidarsi in regime del fascismo pervade in maniera sensibile e capillare il mondo letterario italiano - trovò nell’attività e nella storia delle riviste una delle proprie espressioni più fedeli e significative. L’impetuosa inquietudine iconoclasta e le reiterate fughe in avanti, proprie del panorama prebellico, lasciavano il posto a toni più pacati, ad una progressiva introflessione dello sguardo letterario che si tradusse talvolta in un recupero della tradizione comunicativa e “figurativa” com’era accaduto durante gli anni Venti nell’esperienza della “Ronda”, talaltra, come invece nel caso di “Solaria”, nella consapevole assenza di proclami e “manifesti” e nella volontà di costruire un ideale spazio aperto che potesse accogliere le contraddizioni di quella polis letteraria costituita dalla rivista stessa. In effetti, l’ampiezza e la levatura degli interventi caratterizzò “Solaria” fu, durante gli anni Trenta, un punto di riferimento essenziale della cultura italiana, per poeti - fra gli altri, Eugenio Montale, Umberto Saba, Sergio Solmi, Salvatore Quasimodo – prosatori (ad esempio Arturo Loria, Gianna Manzini, Carlo Emilio Gadda, Elio Vittorini) e critici letterari, come Giacomo Debenedetti e Gianfranco Contini. La natura pluralistica e sperimentatrice consentì inoltre alla rivista, pur nell’assenza di toni clamorosi, di svolgere una funzione culturalmente e ideologicamente antifascista, permettendo al panorama italiano di rimanere in contatto con le voci più innovative della letteratura internazionale.

Pur nata nel 1940 (per essere sospesa tre anni più tardi in piena guerra), la rivista “Il Primato” si inserisce culturalmente nell’orizzonte del decennio precedente. Voluta e fondata dal ministro dell’educazione Giuseppe Bottai, si contraddistinse per lo scarto tra l’obiettivo di rappresentare un’istanza di sintesi tra le varie espressioni della cultura italiana, anche quelle non allineate col regime fascista, e gli effettivi risultati, assai scarsi sia per la spregiudicatezza della cultura italiana più viva, sia per la crescente ottusità del regime fascista, oramai completamente appiattito sul modello nazista. Comunque nei tre anni di attività Bottai riuscì a raccogliere interventi di notevole livello nella letteratura (Cesare Pavese, Vasco Pratolini, Carlo Emilio Gadda, Vitaliano Brancati, Eugenio Montale, Mario Luzi, Alfonso Gatto, per citarne alcuni), nella critica (da Gianfranco Contini a Mario Praz) e nella filosofia (Enzo Paci, Antonio Banfi, Cesare Luporini).

In Francia: Gide

Andrè Gide

Appartengono agli anni Trenta il Diario di André Gide, che raccoglie scritti dal 1889 al 1939, e Ritorno dall’URSS del 1936. Gli altri suoi libri sono degli anni precedenti: del 1914 I sotterranei del Vaticano, della fine degli anni Venti i due saggi Ricordi della Corte di Assise e Viaggio al Congo. Gide influenzò notevolmente le generazioni che avevano iniziato a scrivere all’inizio del secolo, e nel periodo tra le due guerre divenne una sorta di vate della letteratura pura.

Ciò che caratterizzò la sua opera e che emerge chiaramente nel Diario, abilmente adattato e costruito e non frutto di una spontanea raccolta di appunti, è l’autobiografia. Il Diario è considerato l’opera più importante di Gide nella quale emerge tutta la sua poetica. Egli crebbe in una famiglia dai costumi molto austeri e sentì la necessità, per tutta la vita, di scagliarsi contro i pregiudizi, la morale borghese e in difesa dell’omosessualità, il tutto all’interno di un percorso in cui egli riconosceva l’infrazione come uno strumento di liberazione e emblema di intelligenza.

Il suo scritto del 1936 Ritorno dall’URSS segna l’allontanamento dalla sua, già fugace, adesione al comunismo. che seguiva le precedenti simpatie per la destra di “Action française”. Di fatto Gide si allontanò sempre più dalla politica del suo paese e rimase sempre uno scrittore alla ricerca della verità e alla ricerca di una soluzione per il problema della salvezza che angosciò gran parte della sua vita.

La sua disposizione all’infrazione, per lui fonte di liberazione, venne vista come strumento di corruzione delle giovani generazioni: fu per questo che nella Francia di Vichy fu accusato con intento moralizzatore della decadenza del popolo francese. Morì nel 1951 dopo essere stato insignito, nel 1947, del premio Nobel per la letteratura.

Scienza e Tecnologia

La scoperta del neutrone

James Chadwick

Nel 1921, Ernest Rutherford, divenuto capo del laboratorio di fisica nucleare, fu il supervisore del dottorato di ricerca del giovane fisico inglese James Chadwick, che poi volle come suo assistente.

La ricerca di Chadwick si focalizzava sulla radioattività. Nel 1919 Rutherford aveva scoperto il protone, una particella carica positivamente, dentro il nucleo dell’atomo, ma si era reso conto che non sembrava essere l’unica particella del nucleo.

Quando cominciarono a studiare la disintegrazione atomica, osservarono che il numero atomico, cioè il numero dei protoni nel nucleo, equivalenti alla carica positiva dell’atomo, erano inferiori alla massa atomica (massa media dell’atomo). Per esempio, un atomo di elio ha massa atomica di 4, ma un numero atomico (o carica positiva) di 2. Dato che gli elettroni non hanno quasi massa, ci doveva essere qualcos’altro nel nucleo che andava ad addizionarsi alla massa. Una delle spiegazioni correnti sosteneva che vi erano elettroni e protoni in numero superiore anche nel nucleo – i protoni contribuivano ancora con la loro massa ma la loro carica positiva era cancellata dagli elettroni caricati negativamente. Così nell’esempio dell’elio, ci potevano essere 4 protoni e due elettroni in un nucleo a produrre una massa di 4 e una carica di 2. Rutherford ipotizzò la presenza, nel nucleo, di una particella con massa ma senza carica. La chiamò neutrone e la immaginò come un elettrone e un protone appaiati, senza però avere nessuna prova che attestasse la propria teoria.

Chadwick ritenne questo pensiero a lungo nella sua mente mentre lavorava ad altre cose. Era attirato da altri esperimenti effettuati in Europa, soprattutto da quelli di Frederick e Irene Joliot-Curie che usavano un particolare metodo per seguire le particelle radioattive. Chadwick ripeté i loro esperimenti ma con l’intento di cercare una particella subatomica neutra – una con la stessa massa del protone, ma priva di carica. I suoi esperimenti ebbero successo; infatti, fu capace di dimostrare che il neutrone esisteva e che la sua massa era circa lo 0.1 % più di quella del protone. Pubblicò i suoi risultati in un primo lavoro intitolato Possible existence of neutron. Nel 1935 Chadwick ricevette il premio Nobel.

Le sue scoperte furono velocemente accettate e approfondite; Werner Heisenberg mostrò che il neutrone poteva non essere un appaiamento di protone-elettrone ma doveva essere un’unica particella – il terzo componente dell’atomo. Questa nuova idea cambiò drammaticamente l’immagine dell’atomo e accelerò le scoperte della fisica atomica. I fisici presto capirono che il neutrone era un proiettile ideale per bombardare altri nuclei. A differenza delle particelle cariche non veniva espulso da particelle similmente cariche e poteva colpire direttamente dentro il nucleo. A lungo termine, il bombardamento del neutrone fu applicato all’atomo di uranio, con lo “splitting”, cioè la divisione, del suo nucleo, operazione che rilasciava un enorme quantitativo di energia, come predetto dalla equazione di Einstein: E= mc².

Fermi e la fissione nucleare

Enrico Fermi

I coniugi scienziati Frederick e Irene Joliot-Curie nel gennaio del 1934, riuscirono a produrre sostanze artificialmente radioattive con le particelle alfa, allargando in tal modo le conoscenze sulla struttura e sul comportamento degli atomi. Enrico Fermi si rese subito conto che fenomeni analoghi potevano essere prodotti anche con i neutroni. I suoi primi risultati positivi furono ottenuti bombardando con neutroni l’alluminio e il fluoro. Durante il 1934, Fermi e collaboratori bombardarono sessanta elementi e scoprirono, in almeno trentacinque di questi, un nuovo corpo radioattivo. Quando arrivarono a bombardare gli elementi alla fine del Sistema Periodico, il torio e l’uranio, osservarono nuovi corpi radioattivi che imputarono appartenere a isotopi di elementi transuranici. I loro risultati furono confermati anche da Otto Hahn e Lisa Meitner di Berlino che successivamente scoprirono che bombardando l’uranio con neutroni si formano due gruppi di radioisotopi: il primo gruppo è costituito da sette elementi transuranici (due dei quali indicati da Fermi e collaboratori), il secondo gruppo formato da altri 9 radioisotopi del radio, attinio e torio, la cui produzione partendo dall’uranio presupponeva dei processi con emissione di particelle alfa fino ad allora sconosciute. Si scoprì quindi che sotto l’azione dei neutroni il nucleo di uranio si scindeva in almeno due nuclei di peso atomico intermedio, cioè subiva un fenomeno del tutto nuovo, che fu chiamato fissione.

Nel 1937 Enrico Fermi si recò negli Stati Uniti e lì rimase, continuando i suoi studi sulla radioattività dei minerali di uranio, studi che lo condussero ad ottenere la prima reazione atomica, controllata in una pila atomica, e nel 1938 il Nobel per la fisica.

La radioattività si può spiegare considerando che la forza attrattiva che tiene assieme i componenti del nucleo dipende dal rapporto neutroni/protoni in esso presenti e quando questo rapporto ha valori elevati si manifestano i fenomeni dell’emissione radioattiva. Sia le radiazioni che le particelle subatomiche sono usate come proiettili per bombardare gli atomi e indurre in tal modo la trasmutazione degli elementi. Quando l’isotopo uranio-235 è bombardato con neutroni lenti, il suo nucleo cattura un neutrone e si rompe in due nuovi nuclei di eguali dimensioni che si allontanano velocemente. Questo processo, che è la fissione nucleare, libera un’enorme quantità di energia. L’uranio naturale contiene solo lo 0.07 % del suo isotopo 235 più instabile. Se quest’ultimo, isolato in grosse quantità viene bombardato con neutroni, il suo nucleo instabile si può rompere in due masse più piccole, emettendo un certo numero di neutroni e liberando una grossa quantità di energia. I neutroni che vengono emessi possono ripetere e moltiplicare il processo di fissione rompendo altri nuclei in una reazione a catena. Per avere una reazione a catena è necessario avere una massa minima (massa critica) di materiale fissionabile perché, in caso contrario, i neutroni emessi sono troppo pochi per essere catturati dai nuclei vicini. L’energia contenuta nei moltissimi nuclei presenti in una massa di materiale fissionabile può peraltro essere liberata rapidamente o lentamente: mentre la liberazione rapida e incontrollata produce un’esplosione nucleare, la liberazione graduale permette di realizzare un reattore nucleare.

La fusione nucleare

Carl Friedrich von Weizsäcker, lavorerà per la Germania nazista per la ricerca della bomba atomica

La fissione è dunque il processo in cui il nucleo di un atomo pesante viene rotto per produrre nuclei di atomi più leggeri. Anche il processo opposto a questo si è dimostrato possibile e si è riusciti a produrre nuclei di atomi più pesanti a partire da nuclei di atomi più leggeri. Tale processo si chiama fusione nucleare e, come nella fissione, una piccola porzione di massa viene trasformata in un’enorme quantità di energia. La fusione fu scoperta nel 1939 da due scienziati, Bethe e Weizscker, indipendentemente l’uno dall’altro.

Le reazioni di fusione nucleare sono anche note come reazioni termonucleari perché il processo di fusione richiede, per aver luogo, temperature di milioni di gradi. Un processo di fusione richiede, così, un preliminare processo di fissione che produca l’elevata temperatura necessaria.

L’atomo di uranio bombardato

Lise Meitner, 1946

Dal 1935 in poi lo studio dei corpi radioattivi prodotti dai neutroni dell’uranio fu proseguito con notevole competenza e vigore a Berlino dagli studiosi Otto Hahn, Lisa Meitner e in seguito da Fritz Strassmann. Utilizzarono i metodi più raffinati della chimica per studiare le molte attività che si producono nell’uranio bombardato con neutroni, e confermarono ed estesero i risultati di Fermi e collaboratori in una serie di lavori pubblicati fino alla fine del 1938. Dato che la Meitner, per motivi razziali, fu costretta a scappare in Svezia, gli esperimenti furono continuati da Hahn e Strassmann che si misero a studiare i radioisotopi del radio. Il risultato apparve all’inizio del 1939 su “Naturwissenschaft”, e dimostrarono che il radioisotopo prodotto con neutroni nell’uranio aveva proprietà identiche al bario e poteva essere separato dal radio. Pertanto non poteva essere radio, ma doveva essere per forza bario. Fu quindi dimostrato che sotto l’azione dei neutroni il nucleo di uranio bombardato si scindeva in almeno due nuclei di peso atomico intermedio (fissione nucleare). Informata per lettera del fenomeno Lise Meitner, che si trovava in Svezia, affermava che il processo aveva luogo con emissione di una grande quantità di energia, e qualche mese più tardi Joliot e collaboratori a Parigi e Fermi con il suo nuovo gruppo di assistenti a New York, mostravano che oltre all’energia veniva emesso anche un numero di neutroni maggiore di due.

I radiosegnali e la radioastronomia

Il Reber Radio Telescope ia Wheaon, Illinois (1937)

I primi tentativi di captare emissioni radio provenienti dal cielo risalgono alla fine del XIX secolo, ma solo nel 1932, durante un esperimento per la localizzazione di sorgenti terrestri che potevano dare luogo a interferenze radio, Karl G. Jansky dei laboratori Bell Telephone riuscì a captare per la prima volta un rumore radio di fondo proveniente da una regione vicina al centro della Via Lattea, vicino alla costellazione del Sagittario, di una lunghezza d’onda piuttosto lunga, tra i 14 e i 20 metri. Si trattava di un disturbo che variava nell’arco della giornata e le cui punte massime o minime, ogni giorno, anticipavano di 4 minuti. Questo particolare fece ritenere che si trattasse di segnali radio provenienti da regioni poste fuori del nostro sistema solare. Infatti l’intero ciclo di perturbazioni si ripeteva con un tempo pari a 23 ore e 56 minuti, uguale a quello impiegato dalla Terra a fare un giro completo su se stessa. Durante tale giro il nostro pianeta si sposta rispetto agli altri corpi del sistema solare, mentre resta pressoché immobile rispetto alle stelle esterne.

La distribuzione spaziale di questa radioemissione galattica fu determinata dall’ingegnere statunitense Grote Reber, che utilizzò un paraboloide di 5 m, che aveva costruito nel giardino della propria casa nell’Illinois. Dopo lunghe ricerche, nel 1943 Reber scoprì anche la radioemissione solare. Grazie a queste prime osservazioni, è nata la radioastronomia, che studia i corpi celesti e i fenomeni astrofisici in base all’analisi delle loro emissioni elettromagnetiche.

La radioattività delle stelle

N49, un resto di supernova nella Grande Nube, ripreso dal Telescopio Spaziale Hubble

La produzione di energia che derivava dalla radioattività e dalle trasformazioni atomiche suggerirono quello che poteva accadere all’interno delle stelle le quali si presentavano come corpi a temperatura elevatissima. Proprio in virtù del loro calore si suppose che al loro interno i nuclei di determinati elementi chimici potessero trasformarsi, scindendosi in elementi più leggeri.

Le ipotesi contemplavano la possibilità che le stelle fossero composte di idrogeno e elio che davano luogo a processi di fusione atomica. Non tutti concordavano con questa ipotesi poiché il livello di temperatura necessario per la fusione pareva comunque più elevato rispetto a quello raggiunto dalle stelle.

La spiegazione venne nel 1931 dagli studiosi di fisica che compresero che non era necessario che i nuclei si muovessero tutti a una velocità elevata ma era sufficiente che alcuni nuclei avessero una velocità più elevata degli altri per dare luogo alla fusione liberando energia. La quantità di energia che emettevano, calcolata sulla base della formula di Einstein (E = mc2), era minima; motivo per cui essi conclusero che le stelle si consumavano lentamente bruciando gradualmente pezzi minuscoli della loro materia.

Sebbene si fosse accertato che le stelle producevano calore al loro interno, non era ancora chiaro come questo potesse venir trasportato all’esterno. Le teorie elaborate furono le più varie fino a che fu appurata la validità della teoria di Einstein che tra l’altro confermava la teoria dell’espansione dell’Universo.

Le galassie si muovevano. La direzione in cui andavano, il centro a cui facevano riferimento, venne indicato, nel 1931, da George Lemaitre.

Secondo Lemaitre l’universo è curvo e per di più si gonfia verso l’esterno, come un palloncino, quindi le galassie si allontanano diradandosi.

L’universo che veniva “disegnato” dalla teoria di Lemaitre è ben immaginabile come un corpo gassoso la cui pressione interna, determinata dalla radiazione, era molto intensa all’origine; secondo lo studioso, infatti, l’universo era ai primordi una sorta di “grumo” che poi, nei millenni, si è andato espandendosi.

La scoperta di Plutone e del Sagittario

Clyde Tombaugh, in Kansas

Plutone è stato scoperto nel 1930 dall’astronomo Clyde W. Tombaugh, del Lowell Observatory di Flagstaff, Arizona, usando un telescopio fotografico da 13 pollici (33 cm). La ricerca di Plutone a Flagstaff fu iniziata dal fondatore dell’osservatorio Percival Lowell, che dedusse la posizione del nono pianeta sulla base della sua presunta spinta gravitazionale su Urano e Nettuno. Gli scienziati ora sanno comunque che la massa di Plutone è insufficiente per influenzare le orbite di questi due pianeti. Il fatto che Plutone sia stato trovato relativamente vicino alla posizione indicata da Lowell, è dovuto ad un caso fortuito.

Dopo la scoperta, è stato velocemente determinato che Plutone era troppo piccolo (in effetti il suo diametro è stimato essere tra i 2000-2700 km, inferiore alla Luna) per rendere conto delle discrepanze nelle orbite degli altri pianeti. La ricerca di un decimo pianeta continuò, ma non fu trovato niente perché non esiste un decimo pianeta.

Il caso, invece, è stato l’artefice della scoperta del satellite di Plutone: Caronte è stato scoperto nel 1978 da James W. Christy su lastre fotografiche prese dal telescopio astronomico di Naal, vicino a Flagstaff, Arizona. Le fotografie erano state scattate con l’intento di dare la posizione esatta di Plutone per lo studio ulteriore della sua orbita, non per cercare un satellite. Il satellite, in effetti, è apparso semplicemente come una protuberanza a lato di Plutone.

Nel 1932 un ingegnere americano scoprì che dalla costellazione del Sagittario, zona vicina al centro della nostra galassia, arrivava un sibilo che disturbava le trasmissioni radio. In un primo tempo fu ritenuto addirittura come il segnale di una qualche presenza extraterrestre, ma l’evidenza faceva pensare alla possibilità che si trattasse di un fenomeno naturale. Ma solo intorno agli anni Quaranta finalmente gli scienziati presero coscienza dell’accaduto, e cominciarono a formulare le prime ipotesi, che portarono allo sviluppo della radioastronomia.

I motoreattori

Motoreattore Caproni-Campini

Alla fine degli anni ‘30, la tecnica degli aerei fu rivoluzionata dall’invenzione di due diversi tipi di motore, il motoreattore, realizzato in Germania, e in seguito il turbogetto, un motore capace di sviluppare potenze elevatissime pur restando di dimensioni modeste e di peso molto ridotto.

Il prototipo di motore a reazione fu realizzato dal francese René Leduc nel 1930; l’autoreattore, o statoreattore o ram-jet, è un reattore puro, privo di turbina e di compressore.

I motoreattori hanno la propulsione ottenuta mediante getti di gas caldissimi, che escono a gran velocità da appositi tubi di scarico.

Con questo nuovo sistema di propulsione, gli aerei poterono abbandonare le eliche per avventurarsi verso velocità ben superiori a quelle che il sistema tradizionale ad elica non era capace di oltrepassare.

Il primo volo di un aereo con motori a reazione avvenne in Germania il 24 agosto 1939 con un Heinkel He 178. Nell’agosto del 1940 l’ingegnere italiano Campini progettò un aereo a reazione munito di compressore azionato da un motore a pistoni, costruito dalla società Caproni, il “Caproni-Campini n. 1”. L’anno successivo, in Inghilterra si costruiva il primo aereo a reazione mosso da turbina a gas, il “Gloster-Whittle G 40”.

Ben presto il motoreattore azionato a pistoni venne sostituito da un modello del tutto nuovo: il turbogetto basato su un sistema che consentiva, per via di una turbina, di comprimere maggiormente l’aria rispetto a quanto non facesse il motoreattore, ottenendo uno scarico più potente.

Il turboreattore è infatti un congegno propulsivo a reazione ben diverso dal congegno motore-elica anche se, come questo, funziona nell’atmosfera. Fu realizzato da tecnici inglesi sotto la direzione di Frank Whittle; è composto di tre parti essenziali: il compressore d’aria, una o più camere di combustione(in cui il carburante è immesso e bruciato continuamente) e una turbina, che gira sullo stesso asse del compressore.

Per capire quanta potenza fu guadagnata con l’uso delle turbine, basti ricordare che il “Rolls-Royce Derwent”, uno dei primi turboreattori inglesi fabbricato negli anni 1945-1947, disponeva di una turbina capace di fornire 8200 HP, ma era lungo poco più di 2 metri, aveva un diametro di circa un metro e pesava attorno ai 600 chili. Per ottenere le stesse prestazioni con un motoreattore sarebbe stato necessario costruire un blocco meccanico di almeno 3000 chili.

La compagnia De Havilland costruì nel 1949 il Comet DH-106, il primo aereo passeggeri munito di motori a reazione che con i suoi 800 km orari batteva in velocità i tradizionali aerei.

Dirigibili

Il momento dell'esplosione del dirigibile Hindenburg

Nel 1930, il dirigibile inglese R101 precipitò durante il viaggio inaugurale Inghilterra-India; l’Inghilterra abbandonò la costruzione dei dirigibili, così come avevano già fatto la Francia, dal 1924, e l’Italia, dal 1928, dopo la caduta del dirigibile “Italia” durante la spedizione al Polo Nord. Nel 1935 la compagnia americana Douglas costruì i DC-3, chiamati poi comunemente “Dakota”, bimotori capaci di trasportare 20 passeggeri.

Il 6 maggio 1937, a Lakehurst, non lontano da New York, il grande dirigibile tedesco Hindenburg, lungo 250 metri, dopo aver compiuto la traversata atlantica, cadde rovinosamente e si incendiò per cause misteriose; tale ennesimo incidente segnò un ulteriore declino del dirigibile come mezzo di trasporto, lasciando il posto nel cielo agli aerei, molto più comodi e sicuri.

In America nel 1946, si iniziavano a costruire i quadrimotori, che permettevano l’istituzione di regolari linee transcontinentali e transoceaniche; un esempio, il Douglas DC-6, lungo 36 m, che portava 48 passeggeri e raggiungeva la velocità di crociera di 500 km orari.

L’etologia di Konrad Lorenz

L'etologo Konrad Lorenz

Lo zoologo austriaco Konrad Lorenz è stato il fondatore della moderna etologia, intesa come studio del comportamento animale attraverso metodi comparativi. Le sue idee hanno contribuito a mettere in relazione i moduli comportamentali al passato evolutivo.

Lorenz mostrò fin dalla tenera età interesse verso il mondo animale e quando era piccolo si occupava di nutrire gli animali malati del vicino Schönbrunner Zoo. Tenne anche quaderni dettagliati sul comportamento degli uccelli osservati allo zoo. Nel 1922, dopo la scuola superiore, si iscrisse, secondo il volere del padre, a medicina e passò due semestri alla Columbia University, a New York. Successivamente tornò a Vienna.

Durante i suoi studi di medicina Lorenz continuò a tenere osservazioni accurate sul comportamento animale; un diario che scrisse su una cornacchia fu pubblicato nel 1927 sul prestigioso “Journal for Ornithology”. Nel 1933 gli fu riconosciuto il titolo di Dottore in Zoologia.

Incoraggiato dalla risposta positiva al suo lavoro scientifico, Lorenz istituì colonie di uccelli, pubblicò una serie di lavori e presto si guadagnò una reputazione internazionale. Nel 1935 Lorenz descrisse il comportamento chiamato imprinting: a un certo stadio critico, poco dopo la schiusa dall’uovo, i pulcini imparano a seguire i genitori reali o estranei.

Nel 1936 fu fondata la Società Tedesca per la Psicologia Animale e Lorenz divenne coeditore della rivista omonima. Nel 1937, fu nominato lettore in anatomia comparata e psicologia animale all’Università di Vienna e dal 1940 al 1942 professore di psicologia generale alla Albertus University di Königsberg.

Dal 1942 al 1944 fu dottore nell’esercito tedesco e prigioniero di guerra in Unione Sovietica. Ritornò in Austria nel 1948 e fu a capo dell’Istituto di Etologia Comparata di Altenberg dal 1949 al 1951. Nel 1950 fondò un dipartimento di Etologia comparata al Max Planck Institute in Vestfalia. Dal 1961 al 1973 fu direttore del Max Planck Institute per la Fisiologia del Comportamento a Seewiesen. Nel 1973, insieme a von Frisch e Tinbergen, gli fu riconosciuto il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina per le scoperte sui modelli comportamentali degli animali.

I primi contributi scientifici di Lorenz riguardano la natura istintiva degli atti comportamentali; egli studiò come il comportamento stesso possa scaturire da una o più spinte fondamentali che vengono attivate contemporaneamente in un animale.

I concetti di Lorenz hanno anticipato la comprensione di come i moduli comportamentali si evolvano in una specie, particolarmente in relazione ai fattori ecologici e al valore adattativo del comportamento per la sopravvivenza della specie; ha, inoltre, avanzato l’ipotesi che le specie animali siano costruite geneticamente in modo da trarne un tipo di informazione specifica che si riveli importante per la sopravvivenza.

Lorenz ha applicato le sue idee al comportamento umano, con controverse implicazioni sociologiche e filosofiche. Nel suo libro del 1963, On Aggression, prova che l’aggressività e la spinta al combattimento sono innate nell’uomo. Ha osservato che il combattimento negli animali inferiori ha una funzione positiva per la sopravvivenza, cioè influisce sulla dispersione dei competitori e sul mantenimento del territorio. Lorenz afferma che le tendenze bellicose negli uomini possono essere ritualizzate in moduli di comportamento socialmente utili. In un altro lavoro del 1973, Behind the Mirror: A Search for a Natural History of Human Knowledge, esamina la natura del pensiero umano e dell’intelligenza.

La lobotomia

Rosemary Kennedy, sorella di J. F. Kennedy fu sottoposta a lobotomia all'età di 23 anni (nella foto è la prima a destra nella fila in basso): l'operazione la ridusse in stato vegetativo; probabilmete la causa deui suoi squilibri mental fu una dislessia non diagnosticata

Il neurologo portoghese Antonio Egas Moniz (1874-1955) era già conosciuto all’inizio degli anni Trenta per aver affinato alcune tecniche che permettevano ai medici di visualizzare i vasi sanguigni nel cervello, usando tracciati radioattivi. Nel 1935, durante una conferenza internazionale di neurologia, assistette ad una relazione sui lobi frontali del cervello e sugli effetti della loro rimozione negli scimpanzé. Nonostante le smentite di Moniz, è ormai entrato nella storia scientifica l’aneddoto secondo cui proprio gli esperimenti sugli scimpanzé di cui si era parlato a quella conferenza abbiano ispirato lo scienziato nella formulazione dell’idea della lobotomia per il trattamento delle malattie mentali.

Secondo Moniz, alcune forme di malattie mentali erano causate da una sorta di anormale ammassamento delle cellule nervose, che causavano il blocco degli impulsi neuronali e le conseguenti manie e fissazioni del paziente. Non vi era alcuna evidenza empirica per la sua teoria, ma Moniz continuò in modo determinato i suoi esperimenti, ritenendo che se le fibre nervose che provocavano queste fissazioni morbose potevano essere distrutte, il paziente doveva migliorare. Nel novembre 1935, Moniz e i suoi assistenti svolsero i primi esperimenti chirurgici. Inizialmente effettuarono ripetute iniezioni di alcool nel lobo frontale attraverso fori trapanati nel cranio. Dopo i primi interventi, su sette pazienti, modificarono l’operazione, tagliando il lobo con un filo metallico; quindi non veniva rimosso niente, ma solamente interrotte le connessioni.

Nel 1936 Moniz pubblicò i risultati molto positivi delle sue prime 20 operazioni su pazienti che soffrivano di ansia, depressione e schizofrenia. La sua pubblicazione fu ben accolta e sembrò offrire evidenti benefici alla psicochirurgia. Per esempio, la prima paziente risultò essere meno agitata e meno paranoica di quanto fosse prima, sebbene fosse molto apatica e più spenta di quanto Moniz aveva sperato. Negli anni ‘30 le diagnosi delle gravi malattie mentali stavano migliorando sempre di più, ma non la reale conoscenza delle loro cause o come curarle. I dottori spesso tentavano qualsiasi tipo di trattamento per aiutare i loro pazienti, accettando e utilizzando trattamenti radicali come l’elettroshock e la lobotomia.

Negli Stati Uniti, il neurologo Walter Freeman applicò più volte la lobotomia e la promosse con grande fervore. Dopo un anno dalle pubblicazioni dei risultati di Moniz, aveva effettuato 20 lobotomie. Freeman e i suoi assistenti notarono che in tutti e venti i loro pazienti i sintomi di preoccupazione, apprensione, ansia, insonnia e tensione nervosa, venivano più o meno diminuiti dopo l’operazione. Fu osservato che anche disturbi quali disorientamento, confusione, fobie, allucinazioni, erano diminuiti o addirittura risolti in alcuni pazienti. D’altro canto notarono che i pazienti perdevano la spontaneità, e la loro personalità risultava modificata. Nel 1942 fu pubblicato anche un libro che ebbe grande influenza negli anni successivi, portando il numero delle lobotomie effettuate da 100, nel 1946, a 5.000, nel 1949. In quest’anno Moniz vinse il premio Nobel in fisiologia e medicina. La popolarità della lobotomia diminuì sempre più negli anni Cinquanta e oltre. Con l’osservazione, a lungo termine, dei pazienti lobotomizzati fu evidente che vi erano pesanti effetti collaterali. L’uso del nuovo farmaco Torazina, il primo tranquillante, ha drasticamente ridotto l’uso della lobotomia.

L’elettroshock

Apparecchiatura per la terapia elettroconvulsivante

Fin dai tempi antichi venivano usati i pesci che potevano dare scariche elettriche, come torpedini e lamprede, per il trattamento del mal di testa e per le malattie mentali. La pratica fu ripresa nel 1937, quando, il neuropatologo e psichiatra Ugo Cerletti (1877-1963) e il suo assistente Luciano Bini, (1908) trattarono pazienti schizofrenici con applicazioni elettriche.

Le loro idee si basavano sul lavoro di uno psichiatra ungherese che aveva notato che l’epilessia e la schizofrenia sembravano avere effetti chimici opposti nel cervello. Lo psichiatra affermava che se poteva indurre un attacco epilettico in uno schizofrenico questo poteva trarne giovamento. Per far ciò, usò dei farmaci che non ebbero però alcun effetto.

Nel 1936, Cerletti e Bini condussero esperimenti su animali per studiare l’epilessia e si resero conto che l’elettricità poteva causare uno shock più facilmente di quanto potessero le sostanze chimiche. Per sperimentare la loro idea mettevano elettrodi su tutto il corpo degli animali, ma questi morivano. Bini si rese conto che se mettevano gli elettrodi ai lati opposti della testa si induceva ugualmente lo shock desiderato ma senza danneggiare il cuore, che restava fuori dal campo elettrico. Applicarono con successo questa tecnica su dei cani, e nell’aprile 1938 lo applicarono al loro primo paziente umano. Questo paziente era schizofrenico e dopo la terapia fu capace di condurre apparentemente una vita normale.

Cerletti sperava di trovare il modo di usare sostanze tratte dal cervello degli animali sottoposti agli shock per alterare, in modo positivo, la chimica del cervello umano. Ma questo metodo sembrò lento e non economico. Alla fine degli anni ‘30, la terapia elettroconvulsiva prese piede, e la sua popolarità fu aumentata dal sopravvento della lobotomia. Durante la seconda guerra mondiale l’interesse per questa terapia aumentò tanto da divenire parte integrante del training del personale medico militare.

Come per la lobotomia, gli effetti collaterali dell’elettroshock furono evidenti solo dopo una lunga osservazione dei pazienti sottoposti a tale terapia. Soprattutto con l’avvento della Torazina nei trattamenti psichiatrici dei primi anni Cinquanta, questa pratica passò fortunatamente in secondo piano. La sua popolarità è sempre più in declino e in alcuni paesi è stata addirittura messa fuorilegge.

Gli antibiotici e i sulfamidici

Gerhard Domagk, lo scopritore dell'azione dei sulfamidici (Nobel per la medicina nel 1939)

Nel 1929, nei laboratori del St. Mary’s Hospital di Londra, alcuni batteriologi si accorsero che nel mezzo di una piastra in cui stavano coltivando degli stafilococchi si era formata una muffa e intorno alla muffa non vi erano batteri. Successivamente il microbiologo inglese Alexander Fleming, osservò che la muffa, che era prodotta da un piccolo fungo del genere Penicillium, era in grado di distruggere i batteri senza essere tossica per l’uomo. Da qui la sostanza estratta dalla muffa prese il nome di penicillina e fu ampiamente usata per la cura di infezioni batteriche di qualsiasi tipo. I farmaci derivati furono chiamati “antibiotici” perché sono sostanze chimiche o prodotti del metabolismo di altri organismi che hanno un’azione inibitoria sulle funzioni vitali del batterio. Gli antibiotici non risultano però efficaci su virus, protozoi e su altri tipi di bacilli.

Nel 1932, il biologo tedesco Gerhard Domagk preparava un composto chimico, il Prontosil, capace di combattere le infezioni causate da streptococchi e stafilococchi. Aveva infatti osservato che tali batteri per riprodursi avevano bisogno di enzimi, nella fattispecie di acido para-amino-benzoico, del tutto simile al sulfamide, un preparato che era un composto organico dello zolfo con un gruppo amidico, legato a un nucleo di benzolo, chiamato sulfamidico. Si arrivò a preparare sulfamidici di vario tipo, capaci di agire su determinati batteri.

Il nylon

Wallace Carothers

Wallace Carothers aveva 32 anni quando fu nominato direttore del centro di ricerca della Du Pont Corporation. Fino ad allora aveva studiato ed insegnato chimica organica, specializzandosi in polimeri, cioè in molecole composte di lunghe catene di unità ripetitive di atomi. Quando Carothers iniziò i suoi studi, i polimeri erano ancora molecole poco conosciute.

Lo scopo della Du Pont era la ricerca delle possibili applicazioni industriali specialmente nel campo dei materiali artificiali. Per primo il laboratorio di Carothers analizzò gli acetileni, ottenendo e brevettando nel 1931 il neoprene, una gomma sintetica, attualmente usata per le mute da sub. La ricerca continuò verso una nuova fibra sintetica. Nel 1934 Carothers combinò insieme le ammine, l’esametilene diammina e l’acido adipico, creando fibre, che però risultavano ancora deboli e fragili. Queste fibre si erano formate attraverso un processo di polimerizzazione, conosciuto come reazione di condensazione, nel quale molecole individuali si uniscono tra loro, con acqua, come sotto prodotto. La realizzazione del fatto che l’acqua era d’intralcio alla polimerizzazione, portò Carothers ad effettuare i successivi esperimenti cercando di distillarla ed escluderla dal sistema. Con la rimozione dell’acqua riuscì a formare fibre che erano lunghe, forti e molto elastiche. La Du Pont dette a questo prodotto il nome di nylon; i chimici lo chiamarono nylon 66 perché l’acido adipico e l’esametilene diammina contengono entrambi 6 atomi di carbonio per molecola. Ciascuna molecola consiste di 100 e più unità ripetute di catene di carbonio, idrogeno e ossigeno concatenati. Un filamento di nylon può avere milioni di tali molecole.

Il nylon fu brevettato nel 1935 dalla Du Pont e raggiunse il mercato nel 1939, sostituendo in poco tempo la seta soprattutto nelle calze, ma anche in beni di consumo come spazzolini da denti, fili da pesca, biancheria intima, o in usi speciali come fili da chirurgia, paracaduti e tubi.

La xerografia

Chester F. Carlson

Con questo termine si indica il procedimento di duplicazione fotoelettrico a secco di immagini o documenti, usato dalle macchine fotocopiatrici. La xerografia è stata inventata dallo stampatore americano Chester F. Carlson nel 1937 ed è stata sfruttata commercialmente per la prima volta nel 1950 dalla Harold Company, che in seguito è diventata la Xerox Corporation. Il metodo si basa sul principio della fotoconduttività, cioè sulla proprietà che caratterizza determinate sostanze che divengono buone conduttrici di corrente elettrica quando sono illuminate. La xerografia utilizza, come sostanza fotoconduttiva, il selenio, i cui elettroni più esterni, se colpiti da radiazione luminosa, assorbono sufficiente energia per lasciare gli atomi e rendersi disponibili per la conduzione.

La xerografia è costituita da un tamburo rotante di alluminio, rivestito di uno strato di selenio, che conduce elettricità solo in presenza di radiazione luminosa. Si deposita in primo luogo elettrostaticamente uno strato di ioni positivi; in seguito un carrello mobile espone la superficie carica positivamente all’immagine luminosa del documento o immagine da duplicare, tramite un sistema di lenti e specchi. Con il passaggio del carrello e della luce, la carica passa attraverso il selenio e riproduce elettrostaticamente l’immagine desiderata. Questa immagine viene resa visibile con il deposito su una lastra esposta, di una polvere detta toner, composta da inchiostro, polvere di ferro e resina termoplastica, che è dotata di carica negativa ed impressiona le zone rimaste cariche positivamente. La lastra è coperta da un foglio di carta che viene a sua volta caricato in modo opposto, così che il toner vi aderisca. Per la successiva fissazione, la carta è esposta o a vapori chimici, o al calore.

Il microscopio elettronico

Microscopio elettronico costruito da Ernst Ruska nel 1933

Dalle esperienze dello scienziato Ernst Ruska e di altri studiosi, nel 1932 nasce il microscopio elettronico. E’ basato sulla possibilità di trasformare un fascio di elettroni in una differente forma di energia: la luce. La luce, infatti, forma un’immagine ingrandita dell’oggetto preso in analisi per mezzo degli elettroni che lo attraversano. Gli oggetti da esaminare devono essere quindi sottili e trasparenti agli elettroni o frammentati o tagliati in sezioni ultrasottili .

Il Pensiero

La Scuola di Francoforte

L’origine della scuola di Francoforte si colloca nell’epoca della Repubblica di Weimar, quando, a seguito dell’esperienza di settimane di studi marxisti, inaugurata nel 1922 a Ilmenau (Turingia), a cui avevano preso parte studiosi come G. Lukács e K. Korsch, venne deciso di istituzionalizzare il progetto originario, dando vita, il 3 febbraio 1923 a Francoforte, all’Institut für Sozialforshung (Istituto per la ricerca sociale). E’ comunque soltanto dal ‘24 gennaio 1931, quando la direzione venne assunta ufficialmente da Max Horkheimer, ordinario di filosofia sociale presso la locale università, che l’attività dell’Istituto assunse quelle caratteristiche che la storia del pensiero ha attribuito alla cosiddetta Scuola di Francoforte. L’entourage era costituito da alcuni dei più brillanti studiosi dell’area marxista europea, quali, tra gli altri, l’economista F. Pollock, i filosofi Theodore Adorno ed Herbert Marcuse, il politologo Franz Neumann, lo psico-socilogo Erich Fromm, il critico letterario e filosofo Walter Benjamin. La presa del potere da parte del nazismo ebbe immediate conseguenze per l’Istituto – composto per lo più da pensatori marxisti di origine ebraica – che, dopo essersi trasferito temporaneamente a Ginevra, emigrò definitivamente allo scoppio del conflitto negli Stati Uniti presso la Columbia University.

Già nella sua prolusione del 1931, Horkheimer individuava nella corrente del pensiero dialettico di Hegel e di Marx, e in un progetto interdisciplinare di ricerca al servizio delle generali riflessioni di filosofia sociale, le direttrici teoriche dell’attività dell’Istituto; attività che venne profondamente influenzata dalla contemporaneità con fenomeni che hanno costituito dei nodi fondamentali nella storia del Novecento: la crisi economica del 1929 e l’affermazione del “capitalismo di Stato”, il trionfo di fascismo e nazismo, lo stalinismo e la burocratizzazione del comunismo sovietico, l’espandersi della società industriale avanzata. Fenomeni che stimolarono numerose delle riflessioni fatte dai francofortesi: dall’analisi dei mutamenti del sistema capitalistico alla luce della nozione idealtipica di “capitalismo di Stato” coniata da Pollock, alla connessa interpretazione dell’avvento e radicamento del nazismo come “la manifestazione più significativa e terribile del crollo della civiltà occidentale”, elaborata in particolare da Marcuse e Horkheimer e integrata significativamente dalle riflessioni di matrice psicologico-ideologica sul tipo umano “autoritario” come altra base del consenso ai fascismi da parte di Fromm; per arrivare al giudizio profondamente negativo, giunto in verità in seguito alle “grandi purghe” staliniane, sulla deriva statalista, autoritaria e burocratica del comunismo sovietico, del cui “falso marxismo” si faceva aperta denuncia. A livello teorico le coordinate culturali dell’Istituto furono rappresentate dal marxismo “occidentale”, dalla già ricordata tradizione dialettica di Hegel e Marx, dalla psicanalisi e dall’arte di avanguardia. Il legame con le opere di Lukács e Korsch emerge in particolare per l’importanza attribuita alle categorie di “totalità” e di “alienazione”, per l’abbandono del determinismo economicistico e la valorizzazione degli aspetti umanistici e storicistici, per il rilievo conferito alla “sovrastruttura” e, in definitiva, per l’approccio antidogmatico ed “aperto” nei confronti del marxismo. Il pensiero francofortese assunse dunque una fisionomia di “teoria critica della società”, basata su un metodo di ricerca a carattere globale e interdisciplinare, che puntava sui lavori collettivi e multidisciplinari, con la precisa finalità di trasformare la società.

Max Horkeimer

Max Horkheimer (1895-1973), di famiglia benestante ed educato nello spirito dell’ebraismo, rappresentò una pietra miliare dell’Istituto per la ricerca sociale, sia come spunti teorici sia come spinta organizzativa. Nel 1931 ne diventò il responsabile, proponendo alle stampe, l’anno successivo, quella che sarà l’organo ufficiale della scuola francofortese, la “Rivista per la ricerca sociale”, nonché uno dei periodici più prestigiosi del marxismo radicale europeo. Gli articoli apparsi sulla rivista nel periodo 1932-1941 vennero raccolti nell’opera Teoria critica, mentre risalgono al decennio prebellico Studi sull’autorità e sulla famiglia (1936), Crepuscolo (1934), Hegel e la metafisica (1932) e Gli inizi della filosofia borghese della storia (1930). Appartengono al decennio successivo due tra le opere che più hanno reso famoso Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo (redatta a quattro mani con Adorno) e Eclisse della ragione, entrambe del 1947, ma concepite negli anni della guerra. Di fronte alla contemporanea alienazione dell’uomo, che prendeva la tragica forma dello sterminio scientifico nazista, del terrore staliniano e dell’indolore manipolazione dell’uomo-massa occidentale, egli si chiedeva quale fosse la radice di questo inedito genere di barbarie: essa risiede, secondo Horkheimer, nel concetto di razionalità che sta a fondamento della civiltà occidentale e che risulta malato alla radice. La ragione “soggettiva”, che ha scalzato quella “oggettiva” a partire dal Seicento, era costituita dalla capacità di calcolare le probabilità e di coordinare i mezzi adatti con un dato fine, prescindendo del tutto dalla bontà o meno del fine stesso, e diventando gradualmente lo strumento per dominare gli uomini e la natura. A partire da Bacone e da Cartesio era stato, infatti, fondato il principio di superiorità dell’uomo, e della ragione strumentale, sulla materia e sulla natura, che diventano oggetti di una continua manipolazione ordita tramite il “sapere”, la “scienza” come attività separata e in sé conchiusa. L’Illuminismo diventa in Horkheimer una categoria idealtipica che, al di là della sua caratterizzazione come specifico fenomeno della cultura europea del Settecento, rappresenta un’unica matrice di fondo di uno sviluppo del pensiero che da Cartesio e Bacone passa attraverso l’empirismo inglese ed il kantismo per giungere al positivismo, al pragmatismo e al neopositivismo otto-novecenteschi: un pensiero per eccellenza “borghese” e di dominio. Le risultanti di questo secolare sviluppo del pensiero sfociano dunque nell’inutilità delle elaborazioni non funzionali ad un gruppo di potere costituito, nella deificazione senza limiti dell’attività industriale e nella condanna senza appello dell’ozio, in una cultura di massa che vende all’uomo ciò che è indotto a desiderare e che inconsciamente odia, a partire dal genere di vita che egli conduce, nella rottura del legame tra produzione e reali necessità degli uomini.

Walter Benjamin

Autore enigmatico, tormentato e di ardua interpretazione, difficile da ascrivere ad una precisa ed univoca scuola filosofica, Walter Benjamin (1892-1940) conobbe nella propria opera, che inizia nel 1919, tre fasi a grandi linee abbastanza distinguibili: la prima risulta caratterizzata da un interesse per le tematiche linguistico-speculative, con frequenti suggestioni cabalistiche (Benjamin era di origine ebraica); la seconda, che si dispiega soprattutto negli anni Trenta, è invece segnata da una forte vicinanza col marxismo e da grandi saggi di argomento prevalentemente estetico (del 1936 è il suo lavoro più famoso L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica), nonché dall’amicizia col drammaturgo Bertold Brecht e soprattutto col gruppo dei francofortesi, in particolare Theodore Adorno; la terza infine, tra il 1939 e il 1940, anno della sua morte, è quella del tormentato ripensamento proprio delle tesi di filosofia della storia. La fase centrale e teoricamente più matura risente dell’estendersi dei suoi interessi per il teatro e per la letteratura, che lo conducono alla composizione della sua opera più nota del 1936. In questo saggio Benjamin individua alcune caratteristiche proprie dell’età contemporanea per ciò che riguarda la possibilità di riproduzione (ma anche di produzione vera e propria) dell’opera d’arte: esse fanno capo alla funzione svolta dalla tecnica, dalla macchina, che vanno a sostituire la mano dell’autore, come avviene ad esempio nel campo della fotografia e del cinema. Quest’ultimo caso è, infatti, emblematico dello “strappo” introdotto dalle possibilità tecniche rispetto al teatro: un film non può essere “guardato” come un’opera teatrale, poiché nasce in modo diverso, in quanto l’ultima scena può anche essere girata per prima e successivamente montata. Se tutto ciò, nell’ambito di una società di massa, può generare, secondo Benjamin, un maggior livello di accessibilità, fa comunque perdere quel quid di unico, quell’“aura” di autenticità di ogni opera d’arte: un’aura che coincide con l’inscindibile legame dell’opera stessa col contesto in cui è stata prodotta. Attualmente, e non a caso, l’opera d’arte ha perso quei legami con le necessità del culto che la caratterizzavano in passato, per assumere, invece, un deciso “valore espositivo”, connesso invece ad una finalità di ammirazione: infatti essa trova la propria sede naturale nei musei, nelle gallerie, nel mercato dell’arte. Queste considerazioni acquistano nella riflessione di Benjamin una valenza non soltanto negativa (come invece nei francofortesi, ad esempio Adorno): egli infatti, così come Brecht, ritiene che sia possibile, grazie alla nuova sensibilità estetica acquisita dalle masse tramite le nuove tecniche, contrastare quell’estetizzazione della politica invalsa con i totalitarismi (Benjamin scrive nella Germania nazista) attraverso l’utilizzazione dell’arte per finalità politiche progressive.

L’Esistenzialismo negli anni Trenta

Pensiero della finitudine umana, della possibilità così come dell’incertezza e del dubbio, affossatore di ogni ottimismo positivistico, l’esistenzialismo si è fin dall’inizio ricollegato a manifestazioni letterarie e filosofiche nelle quali particolarmente vivo era il senso della problematicità della vita umana. Gli anni Trenta coincisero con un momento tra i più bui che la storia ricordi, con le conseguenze terribili della grande crisi, col trionfo dei totalitarismi, delle persecuzioni di massa, delle discriminazioni razziali e politiche, con la definitiva affermazione di una società e di una cultura per certi versi banalizzanti ed atomizzanti nei confronti dell’individuo: in questo contesto la riflessione esistenzialista riuscì ad esprimere e a riprodurre un vero e proprio clima culturale, che si pose in maniera per lo più avversa ai grandi fenomeni dell’epoca (fa eccezione la quanto mai controversa e discussa adesione, seppur di breve durata, di Martin Heidegger al nazismo). Non era infatti casuale il riferimento tanto alle opere di Dostoevskij e di Kafka quanto a quelle di Kierkegaard: nel primo infatti è sempre presente ed operante il problema dell’uomo che continuamente sceglie, realizza e conduce a termine le possibilità della sua vita, portandone interamente il peso e la responsabilità, e che vede davanti a sé continuamente risorgente l’enigma delle altre possibilità da scegliere e realizzare. In Kafka, così come in Kierkegaard, emerge come terribile e paralizzante il senso negativo delle possibilità umane: sull’intera esistenza aleggia la minaccia di una condanna imminente ed incomprensibile, inafferrabile eppure certa ed ineluttabile, che si conclude, come nel Processo, con la morte. I temi dell’insicurezza della vita, nonché della caduta nell’insignificanza e nella banalità quotidiana, che tolgono all’uomo il suo carattere umano furono così al centro del tentativo di chiarimento concettuale operato dall’esistenzialismo.

L’opera di Karl Jaspers (1883-1969) si collega strettamente alla riflessione kierkegaardiana sul singolo uomo quale tema di fondo della filosofia. A partire dal 1916 occupò la cattedra di filosofia all’università di Heidelberg, fino al 1937, anno in cui la perse a causa della sua opposizione al nazismo. Un’opposizione, con rilevanti implicazioni sul piano filosofico, che ha costituito sempre una delle direttrici del suo pensiero. Le sue opere principali vennero pubblicate, e per lo più composte, negli anni Trenta: Filosofia (1932), Ragione ed esistenza (1935), Filosofia dell’esistenza (1938), così come alcuni saggi su Weber, Nietzsche e Descartes. Alla riflessione della fenomenologia lo legavano i concetti dell’intenzionalità della coscienza e della apofanticità (vale a dire il carattere rivelativo) della ragione: tuttavia quest’ultimo consisteva per Jaspers nella capacità della ragione di chiarire l’esistenza e di condurla alla comunicazione consapevole con le altre esistenze. Lo sforzo di comunicazione, di autocomprensione e di universalizzazione fa parte integrante (e ricade nei limiti) dell’esistenza vista nella sua eccezionalità e irripetibilità (così come l’avevano concepita Kierkegaard e Nietzsche) e su questo problema si è concentrata la riflessione di Jaspers. Esistenza e ragione costituiscono dunque i due poli del nostro essere: essi devono necessariamente compenetrarsi se vogliono rappresentare due istanze autentiche (né un’esistenza senza ragione né una ragione senza esistenza hanno valenza di autenticità). Solo con la loro reciproca penetrazione l’esistenza singola si apre alla comunicazione, ossia alla sua verità; una verità che tuttavia non consiste nella verificazione empirica, oppure nell’evidenza necessitante a carattere logico o ancora nella persuasione. Pur rappresentando queste ultime tre forme gradualmente superiori di verità, tuttavia non riescono ad esaurire l’esigenza di una comunicazione assoluta e totale, che potrà realizzarsi solo in un movimento continuo e infinito nel quale essa si manifesti sempre più. Un movimento in cui coincidono l’essere sé stesso e l’essere autentico, ossia comunicante, ma che non giungerà mai al suo compimento: ogni tentativo di compiutezza si scontrerà inevitabilmente con lo scacco, in quanto la comunicazione totale risulterà impossibile e non potrà che aprire la strada alla trascendenza, ossia al silenzio.

Pensiero giuridico e autoritarismo: Carl Schmitt

La filosofia giuridica e politica del Novecento trova in Carl Schmitt (1888-1985) uno dei rappresentanti più originali e discussi. Docente universitario di diritto, prima a Bonn e poi a Berlino, all’inizio degli anni Trenta Schmitt era oramai una delle figure più influenti della cultura tedesca: propenso ad una soluzione autoritaria ed anticomunista, ma non estremista, della crisi tedesca, apparve inizialmente critico verso il partito nazista, ma dopo la presa del potere aderì in modo sconcertante al nuovo regime. Ad una fase di forte coinvolgimento intellettuale e politico, perdurata fino al 1936, seguì, fino alla fine della guerra e al crollo del regime, una graduale estromissione dalla vita pubblica: processato a Norimberga, venne assolto ma privato a vita della cattedra. Schmitt si ritirò nella cittadina natale scrivendo fin quasi alla morte. Fin dalle prime opere, egli si caratterizzò per le sue critiche radicali nei confronti di quella concezione di parteienstaat (stato fondato sui partiti) sulla quale si reggeva la costituzione di Weimar. Prima nella sua Dottrina della costituzione, poi ne Il custode della costituzione (1931), egli partiva dalla distinzione tra stato e società, definendo quest’ultima in negativo (“ciò che non è Stato e non è Chiesa”) e riallacciandosi al dualismo alla base della costituzione moderna, quella cioè tra un popolo-società, contrapposto ad un forte stato burocratico: il parlamento diventa il rappresentante del popolo-società contro il governo, che rappresenta la controparte. Ma negli anni Trenta, notava Schmitt, tale dualismo non esisteva più, dato che lo stato abbracciava l’intero ambito sociale e che l’ipotesi di uno stato neutrale aveva perso ogni significato in favore di uno stato “totale”. Nascono così partiti che non sono più, come nell’età liberale, formazioni sociali instabili e transitorie, ma strutture permanenti di funzionari stipendiati, con relative istituzioni ausiliarie: conseguentemente essi diventano la base della costituzione e la loro reciproca correlazione regge lo stato pluralistico. Si realizza dunque, secondo Schmitt, l’impossibilità per i partiti di trasformare le richieste particolaristiche in volontà sovrapartitica: si genera così un pluralismo di obblighi morali e di fedeltà, da cui consegue un pluralismo di concetti di legalità che distrugge il rispetto per la costituzione, poiché i membri di ciascun partito vivono la legalità in base alla posizione del loro partito nello stato. Dato il male, a Schmitt parve che la guarigione fosse da rintracciare nell’eliminazione di questa pluralità: democrazia assumeva quindi il significato di omogeneità, radice comune del potere politico, in luogo della distinzione tra governanti e governati. Il parteienstaat non poteva più garantire questo risultato, né del resto era più possibile tornare al modello classico di liberalismo.

Il Marxismo: l’irrigidimento dottrinario in URSS

Già l’elaborazione di Lenin in merito al contenuto della dottrina marxista aveva contribuito in larga parte ad eliminare, in nome degli obiettivi e delle esigenze strategiche, ogni carattere di problematicità e di incertezza, soprattutto riguardo alla concezione della storia. La filosofia veniva infatti esplicitamente intesa come strumento di azione del partito e indirizzata da un lato a sbarrare la strada all’“idealismo”, quale presupposto delle credenze religiose, e dall’altro a difendere una “verità oggettiva” che costituisse una solida base ideologica per il partito stesso e che riconoscesse come assolutamente valida la diagnosi di Marx sullo sviluppo della società borghese. Negli anni Trenta gli scritti di Stalin, metro sempre più indiscusso dell’ortodossia, rafforzarono ulteriormente la concezione della storia come processo necessario e necessariamente progressivo e, soprattutto, il carattere “partitico” della filosofia: in tutto il mondo comunista tese dunque ad affermarsi una sorta di scolastica di partito, vale a dire un lavoro filosofico non autonomo e finalizzato alla giustificazione delle direttive del partito stesso. Ne erano capisaldi concettuali la concezione della dialettica engelsiana, quale struttura generale di tutta la realtà, il suo carattere necessitante, e quindi tale da consentire la previsione infallibile degli eventi, e infine l’esistenza di potenzialità, dalla realizzazione necessaria, di cui fa parte l’azione del partito. Gli sviluppi più fertili ed interessanti del marxismo si svolsero al di fuori di questa scolastica, nel tentativo si rifarsi agli elementi più genuini della dottrina di Marx.

Filosofia della scienza

La teoria della scienza che ha preso il nome di operazionismo (o operativismo) deve la sua nascita al fisico americano Percy W. Bridgman (1882-1961), premio Nobel ed autore de La logica della fisica moderna e de La natura della teoria fisica (1936): egli sosteneva l’esigenza di un approccio alla fisica in termini puramente empiristi, rifiutando qualsiasi principio a priori che potesse determinare o limitare nuove possibili esperienze. L’esperienza è determinata soltanto dall’esperienza: ciò implica la completa rinuncia alla pretesa di abbracciare l’intera realtà della natura con una formula onnicomprensiva, semplice o complessa che sia. Affinché solo l’esperienza sia guida di sé stessa, Bridgman suggerisce l’utilizzo del medesimo approccio che, secondo lui, avrebbe adottato Einstein, cioè ridurre il significato dei concetti scientifici ad un’operazione empirica o ad un insieme di operazioni. In generale dunque per concetto va inteso, seguendo Bridgman, un gruppo di operazioni, vale a dire un sinonimo di un corrispondente gruppo di operazioni. L’adozione del metodo operazionista consentirebbe, secondo il suo autore, di far risultare privi di significato tutta una serie di concetti e di problemi, quali ad esempio molte delle questioni inerenti a oggetti sociali e filosofici (vista l’impossibilità di utilizzare generalizzazioni e idealizzazioni). In La natura della teoria fisica, Bridgman scandaglia il concetto stesso di operazione, i principi elementari della logica, i rapporti tra pensiero e linguaggio e tra matematica ed esperienza, arrivando ad impostare ulteriori riflessioni sulla relatività e sulla meccanica ondulatoria. D’altra parte, era inevitabile che una concezione epistemologica, per certi versi piuttosto radicale come quella di Bridgman, sollevasse numerose critiche, da parte di scienziati come Hempel, Mathieu e Popper, prima fra tutte, quella di solipsismo: infatti, se il significato di un termine è raggiungibile solo attraverso operazioni e se le operazioni sono proprie di un soggetto, come sfuggirvi? Per Bridgman, in tutta risposta, la scienza detiene un carattere sostanzialmente “privato”, anche se “la storia linguistica della razza umana è una storia della deliberata soppressione delle evidenti differenze operazionali fra le mie sensazioni e le tue sensazioni, fra il mio pensiero e il tuo pensiero.”

Gaston Bachelard

Personaggio schivo e solitario all’interno del “mondo” scientifico, Gaston Bachelard (1884-1962) presentò una riflessione sulla scienza dai tratti assai innovativi, proponendo, durante gli anni Trenta, nei quali il neopositivismo rappresentava la teoria “ufficiale”, un approccio radicalmente e consapevolmente non positivista. I nuclei tematici fondanti delle opere di Bachelard (tra le quali Il nuovo spirito scientifico del 1934, La dialettica della durata del 1936, La filosofia del non del 1940) sono costituiti innanzi tutto dal riconoscimento dell’incapacità sia dell’empirismo di matrice baconiana che del razionalismo idealistico di giustificare la reale pratica scientifica; dalla concezione della scienza come evento sostanzialmente storico e di carattere sociale; dall’esigenza della “contemporaneità” del filosofo nei confronti della scienza del proprio tempo. Profondamente insoddisfatto dalla “filosofia dei filosofi”, egli ne criticò gli attributi di unità, immobilità e chiusura, contrapponendole una filosofia del dettaglio epistemologico, una filosofia “differenziale” al posto di quella “integrale”, una filosofia “aperta” in luogo dei sistemi chiusi. La scienza dunque deve porsi come istruttrice della ragione, ed è la sua storia che deve costituire lo strumento principale nelle indagini di filosofia della scienza, non, come volevano i neopositivisti, la logica: una storia della scienza intesa come individuazione delle fasi attraversate dallo sviluppo del sapere scientifico. Rispetto al neopositivismo, Bachelard non accetta il rifiuto della storia così come non reputa del tutto priva di senso la metafisica: egli, infatti, non aveva pregiudizi antifilosofici ed antimetafisici, bensì avversava una concezione della filosofia secondo lui assai in ritardo rispetto alla scienza contemporanea. Fondamentale, nell’ambito dell’epistemologia di Bachelard, è il concetto di rottura: ogni conoscenza avviene contro quelle anteriori, le successive contraddizioni del passato rappresentano dei momenti di rottura (epistemologica) nei confronti di precedenti metodi presupposti come categorie fondanti. Le teorie della relatività e della quantistica avevano messo, infatti, in discussione i concetti di tempo, di spazio, di causalità: la storia della scienza avanza grazie a queste rotture. Rottura che era avvenuta, secondo Bachelard, anche tra sapere comune e conoscenza scientifica: mentre, infatti, la prima è costituita da risposte, la seconda vive continuamente agitata dai problemi e dai programmi d’esperienza.

Tarski

Nel campo degli studi di logica, notevole rilievo occupa il saggio Il concetto di verità nei linguaggi formalizzati, pubblicato da Alfred Tarski nel 1934, a proposito della semantica dei sistemi formali, che egli definiva come “disciplina che tratta di certe relazioni tra le espressioni di un linguaggio e gli oggetti (o stati di fatto) ai quali quelle espressioni si riferiscono”. Precisando il concetto di “verità” come accordo con i fatti, e quello di “conseguenza logica”, che è una nozione semantica e non sintattica, Tarsky analizzò le relazioni che possono intercorrere tra linguaggi formalizzati e gli insiemi di oggetti ai quali tali linguaggi si riferiscono, in maniera da generare proposizioni vere su quegli oggetti. La semantica logica acquisisce dunque un rilievo sempre più centrale, data la possibilità di dimostrare che se un calcolo implica un modello, ha allora una sua coerenza. Si tratta così di una prova di coerenza di tipo semantico.

La filosofia del linguaggio ordinario della Scuola di Oxford

La corrente di filosofia analitica sviluppatasi in Inghilterra a partire dagli anni Trenta, in particolare ad Oxford, concentrava la propria attenzione sulla struttura del linguaggio, ed in particolare sull’uso cosiddetto “ordinario”: un concetto che prendeva le mosse dalla seconda fase filosofica di L. Wittgenstein, basata sui concetti di “principio d’uso” (“il significato di una parola è il suo uso nella lingua”) e di “giochi di lingua”, vale a dire quei meccanismi che operano su uno sfondo di bisogni umani nell’ambito di un ambiente determinato. Nel 1937, nel suo studio Categorie, Gilbert Ryle (1900-1976) sosteneva che il mestiere del filosofo dovesse applicarsi al linguaggio, per scoprire, prevenire e correggere gli errori logici, o categoriali, che consistono nell’assegnare un concetto ad una categoria cui esso non appartiene e con la quale intrattiene un’affinità solo grammaticale. Ryle faceva inoltre distinzione tra uso del linguaggio ordinario e uso ordinario del linguaggio, vale a dire tra analisi del linguaggio che viene utilizzato quando non si ricorre a linguaggi tecnici, e analisi degli usi ordinari, cioè tecnici, del linguaggio. La filosofia analitica in quanto filosofia del linguaggio ordinario, suscitò numerosi attacchi, venendo accusata di praticare una sorta di “culto” dell’uso comune del linguaggio, a detrimento dei linguaggi tecnici, nonché di occuparsi in maniera sterile del senso delle parole piuttosto che cercare il senso delle cose e della realtà. In effetti, va riconosciuto che gli “analisti” non concepiscono né il senso comune né il linguaggio ordinario come alcunché di assoluto, bensì come oggetti di indagine in quanto ambiti dotati di una ricchezza derivata loro dalla sedimentazione delle esperienze fatte dall’uomo nell’arco della sua storia.

Filosofia e teologia

Se uno degli eventi che ha maggiormente caratterizzato la seconda metà del Novecento è rappresentato dalla fioritura delle cosiddette “nuove teologie”, d’altra parte questo fenomeno affonda le sue radici nella riflessione teologica della prima metà del secolo e vede quali precursori e ispiratori figure come quelle di Paul Tillich e di Dietrich Bonhoeffer. Una rinascita questa che riguarda da vicino il pensiero filosofico: il rapporto tra filosofia e teologia è stato, infatti, interpretato secondo una gamma di possibilità teoriche e storiche differenti, che vanno dalla coincidenza alla reciproca elisione, dovuta alla loro strutturale dissomiglianza. Durante gli anni Trenta ad esempio il radicale razionalismo di Carnap oppure di Hans Albert induceva ad identificare la “verità” dalla parte della filosofia o della ragione critica e la “falsità” dal lato della teologia; tuttavia prendeva corpo anche un’altra tesi, secondo la quale le due discipline non si identificano del tutto né si escludono completamente, ma si richiamano almeno in parte. In altri termini, la teologia incontra la filosofia in quella specifica sezione rappresentata dalla teologia razionale o fondamentale o apologetica.

La corrente neoscolastica: Maritain

La delusione provocata dalla speculazione positivistica occupa un posto di rilievo nella genesi dell’opera di Jacques Maritain (1882-1973), il filosofo francese più conosciuto tra quelli che riproponevano il sistema tomistico come risoluzione dei problemi del nostro tempo. Tra le sue opere principali, Umanesimo integrale (1936) e Distinguere per unire: i gradi del sapere (1932), scritto quest’ultimo che sintetizza la filosofia di Maritain, nella sua concezione dell’essere come comprensivo di tutta la realtà, e tuttavia analogico, permettendo l’unità del tutto insieme alla distinzione delle parti. Riprendendo dunque San Tommaso, egli individuava nell’analogia la legge della somiglianza tra i diversi esseri, che permette da un lato di non naufragare di fronte all’infinita molteplicità, dall’altro di sfuggire ad un’unità indistinta e fallace. Una legge che guida la ragione alla comunicazione con la realtà tutta, e al tempo stesso le consente di non confondere nature diverse: il processo di conoscenza non consiste nello “spettacolo” della propria coscienza, bensì in una presenza originaria dell’ente, essendo la cosa immediatamente presente al soggetto che conosce. Dunque non una rappresentazione, ma la cosa stessa, colta sotto questa o quella determinazione, è l’oggetto della conoscenza umana. Dal punto di vista politico, affrontato in Umanesimo integrale, Maritain distingueva chiesa e stato come due soggetti con fini distinti e autonomi campi d’azione: le istituzioni laiche devono mantenere la propria autonomia, all’interno di una civiltà nuova, nella quale l’ispirazione cristiana sia il principio fondante e il motivo animatore. Dio soltanto rimane la sorgente della sovranità, della quale investe il popolo che a sua volta si serve dello stato per la realizzazione dei fini sociali.

Dietrich Bonhoeffer

Bonhoeffer, teologo protestante tedesco, nacque all’inizio del Novecento e fu conosciuto solo nella seconda metà del XX secolo. Il filo conduttore dei suoi scritti è l’idea di una partecipazione gioiosa e attiva alle vicende del mondo che dà vita alla tesi della “fedeltà al mondo” che alcuni studiosi hanno collegato a Nietzsche pur riconoscendo il suo carattere teologico anziché ateo.

Il culto della terra – che si esplicita anche nel suo considerare il sole come qualcosa che risveglia l’anima e il corpo, e di cui lui vorrebbe “gustarne qualche briciola” – si contrappone ad ogni cristianesimo ascetico che rifugge il corporeo e il contatto con la terra. Egli affermava, infatti, che coloro che stanno sulla terra su un solo piede staranno su un solo piede anche in paradiso. Egli elabora perciò l’idea di un cristianesimo fortemente critico verso il cristianesimo istituzionalizzato e ufficializzato dalla chiesa, ma nonostante ciò la sua fedeltà al mondo non ha niente del vitalismo o dell’immanentismo di Nietzsche poiché viene fatto poggiare su Dio. Egli rifiutava che Cristo e il mondo fossero visti come due entità separate poiché l’uomo che avesse accolto solo Cristo (o solo il mondo), sarebbe stato in ogni caso nell’errore poiché queste due realtà sono, in effetti, una sola, “la realtà di dio che in Cristo si è rivelata nella realtà del mondo”.

Bonhoeffer, che faceva parte della chiesa evangelica tedesca ed insegnava alla facoltà di teologia di Berlino, visse nel periodo del fascismo, e fu radiato dall’insegnamento nel 1937. Nel 1943 entrò nella Resistenza e fu ucciso in un campo di sterminio a soli 39 anni nel 1945.

Lo strumentalismo di Dewey

Fu lo stesso John Dewey (1859-1952), uno dei massimi filosofi americani del Novecento, a definire la propria filosofia come “strumentalismo”: un pensiero che, se da una parte si pone nell’alveo della tradizione empirista, dall’altra tuttavia se ne distacca riguardo al problema dell’esperienza. Se, infatti, per l’empirismo quest’ultima era riducibile a stati di coscienza chiari e distinti, per Dewey, invece, essa consiste nella storia ed include elementi tra loro profondamente contraddittori ed ambigui. Egli parte dalla constatazione che l’uomo vive in questo mondo, nel quale l’uomo e la natura si implicano vicendevolmente; per garantirsi contro l’instabilità dell’esistenza, l’uomo si è gradualmente rifugiato in quelle che Dewey chiama “filosofie della paura”, vale a dire entro sistemi, come ad esempio quello hegeliano, caratterizzati dalla razionalità, dalla necessità e dalla perfezione, escludendone ciò che risulta accidentale e epifenomenico. Ma in realtà ciò che è stato sospinto fuori da queste “metafisiche consolatorie” va accettato, dominato e controllato, rimanendo comunque nella consapevolezza della sua irriducibilità. Se dunque il mondo è instabile, l’esistenza piena di rischi e le cose umane incerte, sono necessarie da parte dell’uomo, dei comportamenti, e delle operazioni intelligenti e responsabili: la conoscenza innanzi tutto deve caratterizzarsi come indagine che parta da problemi, da situazioni che implicano dubbio e oscurità, e si incammini, tramite il ragionamento, verso un tentativo di soluzione. I fatti, al contrario dell’empirismo, non sono dati puri, bensì esiti di operazioni di organizzazione e di scelta condotte dagli uomini e che come tali vanno analizzati: lo strumento di analisi è costituito dalle idee. In quanto strumenti per risolvere problemi, le idee non sono né vere né false, ma solo efficaci o meno, dannose o economiche, e provano il loro valore soltanto nella lotta con i problemi reali: si tratta di una concezione che, dunque, pone l’etica di Dewey su un piano prettamente relativistico, di natura storica e sociale.

Pensiero economico: Schumpeter

L’economista austriaco J. Schumpeter teorizzò il cambiamento del sistema economico contrapponendo ad un approccio “statico”, un approccio “dinamico”. La differenza sostanziale tra i due modelli era relativa al fatto che il primo affermava che le preferenze dei consumatori, la tecnologia, le istituzioni, i caratteri demografici fossero caratteri esterni al sistema economico ai quali il sistema stesso si adattava basandosi principalmente sulla disponibilità di capitale; mentre il secondo, detto “dinamico”, del quale Schumpeter si faceva sostenitore, riteneva che proprio le innovazioni introdotte dagli imprenditori innescassero lo sviluppo economico e che queste fossero possibili grazie al credito bancario e il capitale finanziario. Secondo questo modello il saggio di progresso tecnico e il saggio di profitto erano strettamente connessi: egli sosteneva, cioè, che non vi fosse profitto senza sviluppo e nessuno sviluppo senza profitto. Spostandosi dall’analisi economica a quella delle conseguenze sociali della sua teoria, egli affermò che le innovazioni avrebbero condotto ad alti livelli di benessere e alla crisi dell’egemonia borghese, divenendo la premessa per il passaggio da una società in cui le questioni economiche erano attinenti alla “sfera privata”, ad una in cui sarebbero diventate relative alla “sfera pubblica” e quindi al socialismo. Egli scrisse nel 1939 Cicli economici.

Il corporativismo economico

Il pensiero economico corporativo elaborato in periodo fascista si rifà alle teorie di G. Bottai, G. Gentile, A. Rocco e U. Spirito (Critica dell’economia liberale, 1930; I fondamenti dell’economia corporativa, 1932; Capitalismo e corporativismo, 1933; Dall’economia liberale al corporativismo, 1939) e si fonda sulla critica delle teorie del liberismo economico che attribuisce al singolo individuo la libertà di conseguire i propri obiettivi agendo in maniera concorrenziale nel sistema economico. Il corporativismo afferma l’impossibilità di agire ignorando la società, poiché al suo interno l’interesse del singolo, che coincide con quello degli altri membri, è di assicurare il migliore funzionamento della società stessa. L’esistenza stessa della società è vincolata all’esistenza di un comune interesse tra i singoli e non può fondarsi sulla concorrenza di tutti i suoi membri. Secondo questa linea teorica il corporativismo afferma che gli interessi economici del singolo e delle organizzazioni cui esso fa parte coincidono o si subordinano al più globale beneficio dell’economia nazionale. Anzi, proprio per evitare che piani finanziari e produttivi, attuati in maniera indipendente dalle singole imprese, siano tra loro incompatibili e divergenti e diano luogo allo squilibrio del sistema economico, è necessario che lo stato intervenga a pianificare l’economia in modo da garantirne l’equilibrio.

Si tratta di una prospettiva economica diametralmente opposta a quella della “concorrenza perfetta”, che si basava proprio sulla non ingerenza dello stato nei processi economici e sulla capacità del mercato di auto-regolarsi.

Il sistema corporativo non vide la sua rigida applicazione negli anni del fascismo poiché il regime si occupò, di fatto, dell’ampliamento dell’intervento pubblico attraverso la stabilizzazione della lira, del riordinamento del sistema bancario, della bonifica integrale, della fondazione dell’Imi, Iri, Rai e della creazione del nucleo fondante del sistema previdenziale; tutti provvedimenti che somigliano in modo rilevante alla politica economica seguita negli stessi anni nel mondo anglosassone.

Il pensiero delle donne sulle donne: Virginia Woolf

Il pensiero di Virginia Woolf sulle donne è esplicitato nelle sue due opere saggistiche Una stanza tutta per sé (1929) e Le tre ghinee (1939), nelle quali si sofferma sull’analisi dell’estraneità in cui sono tenute le donne rispetto alla cultura e nell’elaborazione di un modello di azione femminile che sia differente da quello maschile.

La suggestione del suo pensiero è data, da una parte dall’analisi che essa fa delle condizioni di vita delle donne – anche delle aristocratiche – costrette per secoli, e per lo meno fino al Settecento ad avere di rado il tempo o la disponibilità di autonomia per scrivere e per studiare, subordinate com’erano ai padri ai mariti ai fratelli, e dall’altra dalla ricostruzione del ruolo sociale maschile che proprio dall’inferiorità della donna traeva potere.

Nel saggio Le tre ghinee la Woolf si sofferma sulla necessità di superare le conquiste liberal-democratiche, che le donne avevano ottenuto a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, per elaborare un modello tutto femminile in cui i valori dominanti non fossero la guerra, il predominio, la competitività, ma piuttosto la collaborazione e l’arricchimento culturale.

Essa sostiene, con esempi diversi, nelle tre parti del libro la necessità delle donne di non essere uguali agli uomini ma di salvaguardare la propria differenza pur giungendo agli stessi risultati e superando ogni discriminazione; essa sostiene la necessità di trovare nuove parole e nuovi metodi che permettano alle donne di non entrare nella società degli uomini, cioè, di non assumerne linguaggio e modelli, pur condividendone il fine.

Il titolo Le tre ghinee è relativo all’incipit del libro nel quale Virginia Woolf immagina di rispondere a un avvocato pacifista che le chiedeva con quali iniziative intervenire contro la guerra imminente e proponeva tre possibilità: scrivere sui giornali in favore di un’associazione pacifista, iscriversi all’associazione o offrirle un contributo in denaro. La Woolf supponendo di poter spendere tre ghinee, appunto, esamina punto per punto ciò che dovrebbe fare una donna proponendo la costruzione di una società femminile, anziché accettare la richiesta di partecipazione alla “società maschile” che veniva dall’avvocato.

Il dibattito filosofico in Italia

Gli anni Trenta, in particolare a partire dalla loro metà, vedono il dibattito filosofico italiano riaprirsi, sia a causa della cosiddetta “diaspora dell’attualismo” sia in seguito alla comparsa di una generazione di filosofi che avevano avuto scarsi rapporti con l’attualismo stesso. Infatti a studiosi come Spirito, Della Volpe e Carlini, nonché i più giovani Calogero, Cantimori e Luporini, che cercavano diverse vie di uscita rispetto all’attualismo della loro formazione, si affiancarono in quegli anni, oltre a pensatori come Banfi e Abbagnano, dei giovani filosofi su posizioni lontane da quelle degli attualisti quali ad esempio Geymonat, Garin, Bobbio, Preti e Paci, tutti riconducibili al settore laico. Al di fuori di queste correnti, si situano alcuni esponenti del pensiero cattolico che cercavano percorsi differenti rispetto al neotomismo (ad esempio Bontadini) e allo spiritualismo (come Pareyson). Riguardo ai principali luoghi di formazione, elaborazione e organizzazione di queste due principali correnti filosofiche, si devono ricordare, innanzi tutto, l’Università Cattolica di Milano, con le sue riviste e case editrici, le sue numerose iniziative e istituzioni legate alla persona e al potere di Giovanni Gentile; in secondo luogo la Scuola Normale di Pisa, che negli anni Trenta passò sotto la direzione amministrativa e culturale di Gentile stesso. In questa scuola operarono docenti che esprimevano le diverse e contrastanti anime dell’attualismo: Antonio Saitta, studioso anticlericale della filosofia rinascimentale moderna, e l’attualista cattolico Carlini, solo per fare alcuni esempi. Alcune città si distinsero per il loro clima particolarmente fervido: Firenze, dove Lamanna teneva in piedi un’efficace resistenza a padre Gemelli e a Gentile; Milano, dove furono molto attive le scuole di Piero Martinetti e di Banfi; Torino, dove dal 1936 si trasferì Abbagnano dando origine ad una propria scuola di stampo laico; Napoli, infine, con la scuola dello sperimentalista Aliotta.