Gli Anni Novanta

1990-99

Cronologia

1990

  • 25 febbraio: elezioni libere in Nicaragua: si afferma la coalizione di centro-destra, guidata da Violeta Chamorro.
  • 11 marzo: la Lituania si proclama indipendente dall’URSS.
  • 18 marzo: la CDU vince le prime elezioni libere nella Repubblica Democratica Tedesca.
  • 30 marzo: l’Estonia si proclama indipendente dall’URSS.
  • 4 maggio: la Lettonia si proclama indipendente dall’URSS.
  • 18 maggio: viene varato un sistema monetario comune tra Repubblica Federale e Repubblica Democratica Tedesca.
  • Viene raggiunto l’accordo tra Siria e Israele sul Libano: fine della guerra civile libanese.
  • 2 agosto: l’Iraq invade l’emirato del Kuwait, rovesciandone il governo.
  • 6 agosto: l’ONU proclama l’embargo contro l’Iraq in seguito all’invasione del Kuwait.
  • 8 agosto: l’Iraq dichiara l’annessione del Kuwait.
  • 29 novembre: l’ONU autorizza l’intervento della forza multinazionale per liberare il Kuwait.
  • Dicembre: in seguito alle proteste provocate dall’adozione della poll tax, il primo ministro inglese Thatcher rassegna le dimissioni e, alla guida del governo e del Partito conservatore, sale John Major.
  • Inizio dello smantellamento del regime di apartheid in Sudafrica.
  • Liberazione di Nelson Mandela dopo ventisette anni di carcere.
  • Accordo per l’indipendenza della Namibia.
  • In Jugoslavia si dissolve la Lega dei comunisti.
  • Viene eseguito il primo impianto di un polmone artificiale in un essere umano.
  • La terapia genica viene sperimentata per la prima volta sugli uomini.
  • A Ginevra si tiene la prima conferenza sul clima.
  • Octavio Paz (Messico) riceve il premio Nobel per la letteratura.
  • Esce Nikita di Luc Besson.
  • Esce Ci sono dei giorni e delle lune di Claude Lelouch.
  • Esce Il marito della parrucchiera di Paul Leconte.
  • Il film Il portaborse, di Daniele Luchetti, che denuncia la corruzione politica, sembra anticipare il ciclone di Tangentopoli che, due anni dopo, travolgerà i partiti di governo italiani.
  • Riunificazione tedesca.
  • Da un’indagine risulta che le quattro più importanti banche del mondo sono giapponesi. Nel 1970 le prime banche del mondo erano tutte statunitensi.
  • La popolazione mondiale supera i cinque miliardi di persone. Di questi il 57,8% vive in Asia, il 18,8% in Africa e 4% in America Latina. Si calcola che gli abitanti della terra saranno oltre otto miliardi nel 2025.
  • Si tiene la Coppa del mondo di calcio in Italia. Vittoria della Germania, che prevale in finale sull’Argentina.
  • In Italia sono messi in vendita i telefoni cellulari.

1991

  • 17 gennaio: primo attacco degli Stati Uniti, alla testa di una forza militare multinazionali, contro l’Iraq di Saddam Hussein.
  • 18 gennaio: missili Scud iracheni contro Israele, stato ufficialmente estraneo al conflitto.
  • gennaio-febbraio: il Partito Comunista Italiano si scioglie e dà vita al Partito Democratico della Sinistra (PDS), mentre una minoranza si stacca e fonda il partito della Rifondazione comunista.
  • 24 febbraio: iniziano le operazioni militari terrestri contro l’Iraq. In pochi giorni le truppe della forza multinazionale raggiungono Kuwait City.
  • marzo: sbarcano in Puglia, sulle coste italiane, circa ventimila albanesi. La gestione governativa attuata all’arrivo degli albanesi, sistemati in condizioni di estrema precarietà, provoca polemiche e dibattiti sull’immigrazione. Una parte degli albanesi sbarcati rimane in Italia.
  • 2 marzo: la risoluzione 686 dell’ONU fissa le condizioni per il “cessate il fuoco” provvisorio, accettate da Saddam.
  • Giugno: si giunge all’accordo Start I firmato da Gorbaciov e dal presidente americano George Bush che prevede la riduzione del 40% delle testate nucleari.
  • Giugno: l’Albania diventa una Repubblica parlamentare.
  • 25 giugno: Slovenia e Croazia si proclamano indipendenti. Ha inizio la guerra tra Croazia e Serbia.
  • 1 luglio: firmata a Praga la dissoluzione del Patto di Varsavia.
  • 12 dicembre: ad Alma Ata viene disciolta l’Unione Sovietica e viene creata la Comunità di Stati Indipendenti (CSI).
  • 25 dicembre: Gorbaciov dà le dimissioni da presidente della Repubblica; al suo posto viene eletto Boris Eltsin.
  • 10-11 dicembre: viene siglato, nella cittadina olandese di Maastricht, il Trattato sull’Unione Europea.
  • Dicembre: l’indipendenza di Croazia e Slovenia viene riconosciuta dalla Germania.
  • Aung San Suu Kyi, la leader della Lega nazionale per la democrazia birmana, vince il premio Nobel per la pace.
  • Nel laboratorio inglese di Culham, viene riprodotta, per la prima volta, la fusione nucleare.
  • Nadine Gordimer (Sudafrica) riceve il premio Nobel per la letteratura.
  • Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme vince l’Oscar come miglior film e per la miglior regia.
  • Esce Thelma & Louise di Ridley Scott.
  • Esce Riff Raff del regista inglese Ken Loach.
  • Esce Toto le hèros di Van Dormael.
  • Esodo di circa due milioni di curdi, in fuga dalle guerre al confine tra Iraq, Iran, Afghanistan e Turchia.
  • Esce l’enciclica papale dal titolo Centesimus annus sulle questioni sociali.
  • Città del Messico raggiunge i venti milioni di abitanti, San Paolo diciassette milioni, Calcutta dodici milioni, Bombay undici milioni, Rio de Janeiro dieci milioni.
  • Esce Nevermind , il primo disco dei Nirvana, il gruppo che diviene il simbolo del grunge.
  • Si afferma la notorietà di un gruppo di top model, quali Carla Bruni, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Claudia Schiffer.

1992

  • 25 gennaio: a Milano duecentomila persone manifestano contro il razzismo, per la costruzione di una società multietnica. Nei mesi precedenti si erano registrati diversi episodi di xenofobia su tutto il territorio nazionale.
  • aprile: dopo la proclamazione della Repubblica, divampa la guerra civile in Bosnia-Erzegovina.
  • 27 aprile: Serbia e Montenegro proclamano la costituzione della Repubblica federale di Jugoslavia.
  • Giugno: in Israele le elezioni segnano la vittoria dei laburisti: governo a Rabin.
  • L’ONU rafforza il contingente di caschi blu inviati in Bosnia-Erzegovina.
  • Novembre: il democratico Bill Clinton viene eletto presidente degli Stati Uniti.
  • Prende avvio l’inchiesta giudiziaria “Mani pulite” che travolge l’intero sistema politico italiano.
  • Inizia la missione dell’ONU e di una forza militare multinazionale in Somalia, devastata dalla guerra civile.
  • A Rio de Janeiro, nel corso della seconda conferenza mondiale sul clima, vengono presi accordi sulla riduzione delle emissioni di CO2.
  • Esce Le iene dell’esordiente Quentin Tarantino.
  • Esce Heimat 2. Cronaca di una giovinezza di Reitz.
  • Nelle elezioni regionali nei distretti di Baden-Wurttenberg e Schleswig-Holstein, in Germania, la formazione dei Republikaner, partito di estrema destra dichiaratamente xenofobo, ottiene il 10,9% dei suffragi.
  • Mercato unico europeo: abolizione delle restrizioni nel transito di capitali, lavoro, beni e servizi.
  • Blocco elettorale in Algeria e successiva messa fuori legge del Fronte Islamico di Salvezza (FIS).
  • 23 maggio: in un attentato muore Giovanni Falcone, con la moglie e cinque uomini della scorta, magistrato-simbolo della lotta alla criminalità mafiosa internazionale.
  • 19 luglio: un’autobomba esplode nel centro di Palermo in via D’Amelio uccidendo il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della scorta.
  • Agosto: a Rostock, nell’ex DDR, si scatena una serie di violentissimi attacchi contro immigrati turchi, organizzati dai neonazisti con la partecipazione della popolazione locale. La cittadina è per alcuni giorni teatro di un e vero e proprio pogrom (incendi di abitazioni, cacce all’uomo, spedizioni armate contro interi quartieri) contro gli immigrati extracomunitari, e sarà al centro di episodi di analoga violenza nei mesi successivi.

1993

  • 1 gennaio: nasce l’Unione Europea.
  • 1 gennaio: si scioglie la Cecoslovacchia e vengono fondate le due Repubbliche Ceca e Slovacca.
  • 15 gennaio: è arrestato a Palermo Totò Riina, considerato il boss del clan mafioso siciliano dei Corleonesi, potentissimo in Italia e all’estero.
  • Marzo: secondo i dati forniti dall’International narcotics strategy report, la produzione di papavero nel 1992 è stata di 2.534 tonnellate nel Triangolo d’Oro, di 1.115 tonnellate nella Mezzaluna d’Oro, mentre la produzione di cocaina nel solo Perù è stata di 223.900 tonnellate. Le cifre attestano una complessiva stabilità della produzione di eroina, addirittura in diminuzione in alcune aree rispetto ai dati dell’ultimo decennio, e un forte aumento della produzione di cocaina.
  • Marzo: nelle elezioni in Assia, regione tedesca, i Republikaner raggiungono l’8% dei suffragi.
  • 29 marzo: Jiang Zemin diventa presidente della Repubblica cinese.
  • Maggio: l’ONU crea cinque zone di sicurezza nella Bosnia-Erzegovina.
  • 13 settembre. Accordi di Oslo: il leader dell’OLP Arafat e quello israeliano Rabin siglano a Washington, con la mediazione degli Stati Uniti, la “dichiarazione di principio su accordi transitori di autonomia”.
  • Nuova costituzione democratica in Sudafrica.
  • Gli astronauti Covey e Bowersox guidano lo Space Shuttle Endeavour (STS-61) in una missione che ha come fine la rimessa a regime del telescopio spaziale Hubble.
  • Esce Tre colori. Film Blu di Kieslowski. Seguono l’anno dopo Film Bianco e Film Rosso.
  • Esce Caro diario di Nanni Moretti.
  • Dicembre: viene presentato in Germania un pacchetto di leggi che inasprisce la legislazione sui crimini xenofobi e la repressione delle forme di riorganizzazione del Partito nazista.
  • Esce in Germania La grande migrazione di Ensberger, pamphlet sull’importanza dei fenomeni migratori per lo sviluppo della società europea e sui rischi e le cause della xenofobia.
  • La holding giapponese Agache acquista le “seconde linee” della Dior.
  • Un’indagine sui guadagni degli sportivi più famosi rivela che il giocatore di basket Jordan ha guadagnato in un anno trentasei milioni di dollari, diciotto il pilota di Formula Uno Senna, quindici il boxeur Foreman, dodici il tennista Courier, dieci il giocatore di golf Nicklaus.

1994

  • Messico: tensioni nella regione del Chiapas, dove opera il movimento guerrigliero guidato dal comandante Marcos.
  • Prime elezioni a suffragio universale in Sudafrica. Nelson Mandela è eletto presidente.
  • Assedio di Sarajevo.
  • Il film Il re leone mostra i risultati raggiunti dalla computer graphic, in grado di elaborare e di simulare realtà tridimensionali.
  • Esce Cattiva maestra televisione, uno degli ultimi scritti del filosofo Karl Popper.
  • Pulp fiction di Quentin Tarantino vince la Palma d’oro a Cannes.
  • 25 marzo: viene incendiata la sinagoga di Lubecca, in Germania. Restano illese le sei famiglie presenti all’interno.
  • 2 luglio: in Colombia viene assassinato dai narcotrafficanti il calciatore della nazionale Escobar. La sua “colpa” è aver provocato l’autogol che elimina dal campionato mondiale di calcio la squadra della Colombia, sulla quale i narcotraficcanti avevano puntato milioni di dollari nelle scommesse clandestine.
  • Novembre: la Norvegia per la seconda volta è fermata dal risultato negativo di un referendum e ritira la propria adesione all’Unione Europea.
  • 16 dicembre: un’operazione congiunta della polizia di Italia, USA, Spagna e Canada provoca l’arresto di centinaia di persone appartenenti a un’organizzazione internazionale di commercio di cocaina. Il presunto leader è l’italiano Pasquale Locatelli, proprietario di quattordici compagnie navali.
  • Si rafforza in Afghanistan la fazione dei taliban.
  • Il leader dei Nirvana, Kurt Cobain, si suicida.
  • Si diffonde il WWW (World Wide Web), ossia un sistema che consente di trasmettere in rete immagini dalla grafica pressoché perfetta.
  • Il pilota di Formula Uno Senna muore in un incidente durante il Gran Premio di San Marino. Grande commozione in Brasile.

1995

  • Accordo in Guatemala tra governo e opposizione guerrigliera su un programma di riforma agraria, scolastica e sanitaria.
  • Il presidente della Repubblica francese Chirac annuncia la ripresa degli esperimenti atomici presso l’atollo di Mururoa.
  • Esce Terra e libertà di Ken Loach.
  • Underground di Emir Kusturica vince la Palma d’oro al festival di Cannes. Polemiche per la posizione del regista sul dramma della Bosnia. Nato a Sarajevo, da padre serbo, vive a Belgrado negli anni dell’assedio della capitale bosniaca.
  • 26 marzo: gli accordi di Schengen entrano in vigore in Francia, Germania, Olanda, Belgio, Portogallo, Lussemburgo, Spagna: prevedono la libera circolazione all’interno dei sette paesi dei rispettivi cittadini.
  • Da un’indagine risulta che il 90% delle transazioni in denaro negli Stati Uniti viene effettuato elettronicamente.
  • Estate: in Francia si sussegue una serie di attentati rivendicati dal Gruppo Islamico Armato (GIA).
  • Settembre: a Cuba, per la prima volta dall’inizio della rivoluzione castrista, una legge permette investimenti esteri nel paese.
  • Sette monaci trappisti francesi vengono rapiti dal monastero di Notre-Dame de Atal a Tibeherine e assassinati dai fondamentalisti islamici.
  • I militari assumono ufficialmente il potere in Algeria grazie alle elezioni vinte dal presidente Liamine Zèroual.
  • Diana concede un’intervista sul suo matrimonio alla televisione inglese.
  • Esce Prét-à-porter di Robert Altman, una feroce ironia sul mondo della moda.
  • 4 novembre: un giovane estremista di destra uccide, alla fine di un comizio, il primo ministro israeliano Rabin.
  • 21 novembre: vengono firmati gli accordi di Dayton che pongono fine al conflitto nella Bosnia-Erzegovina.
  • 14 dicembre: a Parigi i tre presidenti Slobodan Milosevic, Tudjman e Izetbegovic pongono la firma ufficiale sugli accordi di Dayton.

1996

  • Maggio: le elezioni israeliane vedono la vittoria della destra. La guida del governo passa quindi a Benjamin Netanyahu. Inizia un rallentamento nel processo di pace.
  • Sconfitti alle elezioni, i socialisti spagnoli, dopo quattordici anni, lasciano il potere. Governo di centro-destra guidato da Aznar.
  • Sono più di diecimila i bambini nati con la fecondazione in vitro.
  • Estate: in Francia gruppi di immigrati non regolarizzati, ribattezzati dalla stampa sans papier, occupano una cattedrale nel centro di Parigi per protestare contro le norme restrittive su permessi di soggiorno e cittadinanza, e per chiedere diritti sociali e politici. Gli occupanti vengono sgombrati dalla polizia dopo due settimane.
  • Estate: Olimpiadi ad Atlanta; la città, in seguito alle pressioni degli sponsor, ha prevalso su Atene. Trionfo dello sport in funzione delle esigenze commerciali e televisive. Il colosso televisivo statunitense NBC sborsa 456 milioni di dollari per aggiudicarsi i diritti televisivi dell’evento.
  • Agosto: divorzio tra Diana e Carlo d’Inghilterra. Diana continua a far parte della famiglia reale inglese. Risiede a Kensington Palace e riceve venti milioni di dollari di indennizzo.
  • 26 settembre: i taliban assumono il potere in Afghanistan e instaurano un regime di forte integralismo.
  • Esplode la moda del Tamagotchi, il pulcino virtuale.
  • Novembre: Clinton viene rieletto presidente.

1997

  • 15 gennaio: in seguito alla crisi finanziaria in Albania cominciano le manifestazioni di protesta.
  • 2 marzo: viene dichiarato lo stato d’emergenza in Albania. Berisha è rieletto capo dello Stato.
  • 13 marzo: il leader politico albanese Fatos Nano scappa dal carcere.
  • 15 aprile: in Albania inizia la missione Alba a guida italiana voluta dall’ONU.
  • In Gran Bretagna, vittoria elettorale dei laburisti. Blair è primo ministro.
  • In Iran viene eletto presidente il riformista Khatami. Inizia un braccio di ferro con le componenti più tradizionaliste del regime islamico.
  • Crisi economica dei nuovi paesi industrializzati dell’Asia (Hong Kong, Singapore, Malesia, Filippine, Indonesia). In Indonesia si apre una grave crisi politica.
  • La sonda statunitense Mars Pathfinder, partita nel dicembre 1996, atterra sul suolo di Marte e invia sulla terra immagini del “pianeta rosso”.
  • Nel laboratorio del Rosin Institute di Edimburgo nasce Dolly, la pecora clonata.
  • L’effetto serra determina problemi climatici in varie parti del globo.
  • Riapre a Roma la Galleria Borghese.
  • 12 aprile: Giovanni Paolo II arriva a Sarajevo, dilaniata dalla guerra civile appena conclusa.
  • Luglio: Gianni Versace, per motivi ancora in gran parte da chiarire, è assassinato a Miami.
  • 1 luglio: Hong Kong viene restituita dall’Inghilterra alla Cina.
  • 24 agosto: “Giornata mondiale della gioventù” a Parigi: il papa è accolto da un milione e mezzo di giovani.
  • 31 agosto: Lady Diana muore a Parigi in un incidente d’auto. La Mercedes a bordo della quale viaggiava, insieme al suo nuovo compagno Dodi Al Fayed, braccata dai paparazzi, si schianta lungo una strada del centro di Parigi.
  • Tornato sul ring, dopo aver scontato una condanna per stupro, il pugile americano Tyson strappa con un morso un pezzo di orecchio al suo avversario.
  • Gli utenti della telefonia cellulare sono ormai 133 milioni; 9 milioni sono italiani.

1998

  • 21 gennaio: Giovanni Paolo II si reca a Cuba dove incontra Fidel Castro
  • 10 aprile: sottoscritto a Belfast l’“accordo sulla pace nell’Ulster”.
  • Proteste della minoranza albanese in Kosovo. La sanguinosa repressione serba porta alla nascita dell’UCK (esercito di liberazione del Kosovo).
  • Istituzione della Banca centrale europea con sede a Francoforte.
  • Crollo delle borse asiatiche e delle monete tailandese, coreana e indonesiana.
  • In Indonesia gravissimi disordini per protesta contro il dittatore Suharto che è costretto a dimettersi dietro pressione americana.
  • In Cina diviene primo ministro il tecnocrate Zhu Ronji. Capo dello stato é Jiang Zemin.
  • Morte di Pol Pot.
  • Inizia nei confronti del presidente USA Bill Clinton la procedura di impeachment per uno scandalo a sfondo sessuale (il cosiddetto sexgate).
  • In Congo, l’ex Zaire, la rivolta dei congolesi tutsi di origine ruandese si trasforma in insurrezione generale contro il regime del presidente Kabila.
  • Mondiali di calcio in Francia: vittoria della Francia che batte in finale il Brasile.
  • Avvio della prima fase della moneta unica europea (euro).

1999

  • 1° Gennaio: L’euro diventa moneta legale in undici paesi dell’Unione Europea, compresa l’Italia.
  • Febbraio: Muore re Hussein di Giordania, gli succede il figlio, il principe Abdallah bin Hussein.
  • Febbraio: A Nairobi, in Kenya viene arrestato Abdullah Ocalan, presidente del Pkk. Ocalan sarà condotto nella prigione dell’isola di Imrali, nel mar di Marmara (Turchia).
  • Marzo: La Nato inizia un’offensiva aerea di bombardamenti contro la federazione jugoslava per costringere il governo di Belgrado a concedere l’autonomia alla provincia del Kosovo, cessando le persecuzioni contro la popolazione di etnia albanese.
  • Marzo: Col film La vita è bella, Roberto Benigni vince l’Oscar come miglior film straniero. A Benigni va anche il premio come miglior attore protagonista, a Nicola Piovani il premio per miglior colonna sonora.
  • Marzo: Il Consiglio europeo designa Romano Prodi alla presidenza della Commissione europea.
  • Aprile: Negli Stati Uniti due giovani uccidono 13 studenti della Columbine High School a Littleton a Denver, e poi si suicidano.
  • Aprile: Nel cinquantesimo anniversario della Nato, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca entrano nell’Allenza atlantica.
  • 8 Maggio: Missili della Nato colpiscono l’ambasciata cinese a Belgrado. Il presidente Clinton chiede scusa alla Cina.
  • 13 Maggio: Carlo Azeglio Ciampi è eletto presidente della Repubblica al primo scrutinio.
  • 20 Maggio: Le Brigate Rosse uccidono Massimo D’Antona, funzionario del Ministero del Lavoro impegnato nella riforma delle regole sulla rappresentanza sindacale.
  • 8 Giugno: La Nato annuncia la sospensione dei bombarmenti sulla Federazione jugoslava.
  • Agosto: Il presidente russo Boris Eltsin designa Vladimir Putin come primo ministro.
  • Agosto: Violenta scossa di terremoto in Turchia, perdono la vita oltre 20.000 persone.
  • Settembre: Milizie filo-indonesiame scatenano il terrore tra la popolazione dopo i risultati del referendum per l’indipendenza dell’isola.
  • Settembre: Guerriglieri islamici all’attacco in Cecenia e Daghestan, per la Russia si riapre il conflitto ceceno.
  • Ottobre: In Austria alle elezioni politiche successo del leader dell’estrema destra Haider.
  • Dicembre: Manifestazioni a Seattle contro l’accordo internazionale sul commercio estero.
  • 18 Dicembre: Il presidente del consiglio D’Alema si dimette ma ottiene un nuovo mandato.
  • 24 Dicembre: Giovanni Paolo II inizia il Giubileo del 2000.
  • 31 Dicembre: Boris Eltsin si dimette da presidente della Russia, il premier designato è Putin.

Nel mondo

Una sola superpotenza

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/35/ONU21.jpg)

Sede dell’Assemblea Generale e del Segretariato Generale delle Nazioni Unite a New York

Dopo un momento di acuta tensione nella prima metà degli anni ‘80, la guerra fredda può considerarsi conclusa nel 1989. Esauritasi la contrapposizione globale tra USA e URSS, si è aperta una fase nuova caratterizzata dalla presenza di una sola superpotenza a livello internazionale, gli USA, che ha cercato di stabilire un nuovo ordine mondiale. Persistono o si aprono nuove aree di crisi locali: è il caso dell’America Latina, dove le dittature sono state sostituite da regimi democratici, ma dove perdura una situazione economica e sociale difficile. L’Africa è stata coinvolta in guerre fratricide in Algeria e in Ruanda e, soprattutto, in Medio Oriente, dove abbiamo le guerre di Saddam Hussein, il conflitto tra palestinesi e Stato d’Israele. La stessa Europa, in pace da quasi mezzo secolo, ha visto esplodere un sanguinoso conflitto nell’area balcanica che ha portato all’intervento militare della NATO contro la Serbia nel 1999.

Sono riapparsi fenomeni terribili, quali lo sterminio etnico e lo spostamento coatto di intere popolazioni. Con l’avallo dell’ONU, gli USA hanno provato a svolgere il ruolo di “gendarme del mondo” ma, per diversi motivi, non sono riusciti a assolvere tale compito.

L’ultimo decennio del secolo è stato caratterizzato dalla crescente internazionalizzazione dei rapporti economici. Questa parziale mondializzazione dell’economia capitalista, assecondata dalla fine del blocco socialista, è stata accompagnata dalla realizzazione di reti di comunicazione globali sempre più capillari. Inoltre, la diffusione di una monocultura, costruita sui simboli occidentali del benessere e del consumismo, ha travalicato i confini nazionali e sembra schiacciare le diversità culturali. Tali processi di globalizzazione e, soprattutto, le nuove dinamiche dell’economia, rendono particolarmente problematico il ruolo degli stati nazionali. Questi sono sempre più incapaci di governare processi che si sviluppano al di fuori dei loro confini, alimentando spesso gravi tensioni sociali e conflitti internazionali.

WWW

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/1/10/The_World_Wide_Web_project_-_Conkeror.png/800px-The_World_Wide_Web_project_-_Conkeror.png" title=“Home page del primo sito web della storia, pubblicato il 20 dicembre 1990” >}}

WWW è l’acronimo di World Wide Web, un termine di lingua inglese che indica la “ragnatela mondiale” formata dal collegamento attraverso le reti telematiche di un numero altissimo di computer diffusi in tutto il mondo. L’origine della rete risale alla fine degli anni Sessanta, quando i militari americani progettarono un sistema di comunicazioni ritenuto inattaccabile in caso di conflitto, grazie alla sua diffusione capillare in un numero imprecisato di supercalcolatori piuttosto che in unico centro facilmente individuabile e quindi vulnerabile. In pochi anni la rete si diffuse negli uffici statali e nelle università americane. Nuovi strumenti tecnici (come il modem), nuovi sistemi e programmi di elaborazione dati, nuovi e più agili computer permisero la progressiva e sempre più semplice diffusione dei collegamenti tra banche, aziende, privati cittadini. Nei primi anni Novanta le informazioni disponibili sulla rete Internet (di tipo multimediale e con una concezione ipertestuale, cioè senza una sequenza rigida tra le diverse informazioni) sono diventate accessibili ad un numero sempre maggiore di utenti, a loro volta in grado di arricchire la quantità di informazioni presenti sulla rete.

A fine Novecento, Internet sembra poter diventare il luogo ideale per la creazione di “piazze virtuali” per comunicare, lavorare, divertirsi. Parte integrante del mondo “globalizzato”, il World Wide Web è la realizzazione tecnica che più di ogni altra sembra dare corpo all’utopia del “villaggio globale”.

La guerra del Golfo

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e2/Bush_troops.jpg" title=“Il presidente George H. W. Bush incontra le truppe americane in Arabia Saudita durante il giorno del ringraziamento del 22 novembre 1990” >}}

La prospettiva e l’utopia delineata nel “nuovo ordine mondiale” viene immediatamente messa alla prova, nell’agosto 1990, dalla grave crisi aperta nel Golfo Persico dall’invasione irachena del confinante emirato del Kuwait.

Terminata la guerra con l’Iran, risoltasi senza vantaggi per il suo paese, il dittatore iracheno Saddam Hussein si impegna in una nuova avventura bellica. Nell’agosto del 1990 l’Iraq invade il Kuwait, uno dei maggiori paesi produttori di petrolio, minacciando di compiere la stessa operazione contro l’Arabia Saudita. Il conflitto militare che ne consegue oppone l’Iraq ad una coalizione di stati organizzata e gestita dagli USA, e si inserisce all’interno del contesto di tensioni, guerre e conflitti che caratterizzano le vicende politiche della regione mediorientale negli ultimi trent’anni, in particolare nell’area del Golfo Persico. In questa regione vengono, infatti, a sovrapporsi tensioni di tipo religioso, conflitti politici e, soprattutto, forti interessi economici derivanti dall’abbondante presenza di giacimenti petroliferi (il 30% circa di tutta la produzione mondiale).

Un ruolo di primo piano nella guerra del 1990-91, così come nelle vicende degli anni precedenti, ha svolto la politica di supremazia praticata dall’Iraq, governato dal regime autoritario e dittatoriale presieduto da Saddam Hussein, sull’area circostante. Egli era stato il protagonista negli anni 1980-88 della guerra contro l’Iran, appoggiata e finanziata dalle potenze occidentali e dall’URSS, preoccupate dal ruolo svolto nella zona dall’Iran stesso. A due anni dalla conclusione di questa guerra, terminata senza che nessuno dei contendenti avesse riportato vantaggi, Saddam Hussein, armato per anni dall’Occidente, imposta nel 1990 la campagna di espansione militare ai danni del Kuwait.

L’invasione del Kuwait provoca un forte aumento della tensione politica internazionale. In difesa del piccolo emirato, infatti, oltre alle nazioni occidentali preoccupate per il controllo del mercato petrolifero, si schierano anche alcuni paesi arabi, come Egitto e Siria, mentre l’OLP di Arafat, sensibile all’appello di liberazione dei popoli islamici proveniente da Saddam Hussein, si schiera in difesa dello stato iracheno. L’ONU condanna l’invasione irachena, minacciando in un primo momento l’embargo economico nei confronti dell’Iraq e intimando il ritiro delle truppe dal Kuwait entro il 15 gennaio 1991. In un crescendo continuo di tensione politica e mobilitazione diplomatica e militare, gli USA decidono la spedizione di un contingente di circa quattrocentomila uomini in Arabia Saudita. Ventiquattro ore dopo lo scadere dell’ultimatum imposto dall’ONU, nella notte tra il 16 e il 17 gennaio, la forza multinazionale militare organizzata attorno agli USA inizia a bombardare zone dell’Iraq e obiettivi militari del Kuwait occupato, mentre gli iracheni rispondono lanciando missili su Arabia Saudita e Israele. Dopo un mese e dieci giorni di bombardamenti aerei quotidiani e continui su Iraq e Kuwait, alla fine di febbraio cominciano le operazioni di terra. Nel giro di poche settimane l’esercito iracheno è costretto a ritirarsi dalle zone occupate, con una perdita notevole di vite umane. Smentendo le previsioni e resistendo a molteplici pressioni politiche interne e internazionali il presidente americano Bush, dopo il ritiro iracheno, decide di bloccare l’offensiva della forza multinazionale, senza intervenire direttamente in Iraq: Hussein resta quindi a Capo dello Stato mediorientale.

L’importanza strategica degli interessi petroliferi, e i pericoli di destabilizzazione dell’intera area mediorientale hanno fatto della crisi kuwaitiana il banco di prova del funzionamento del nuovo sistema, garante dell’ordine internazionale. L’abile gestione della crisi da parte della diplomazia americana sancisce l’incontrastata supremazia politica e militare degli Stati Uniti, e il riallineamento della politica estera dell’URSS. La scelta prioritaria degli Stati Uniti di agire attraverso l’ONU ne ha rivitalizzato il ruolo. Il rifiuto iracheno di ritirarsi, nonostante le durissime sanzioni economiche stabilite dall’ONU, ha portato all’intervento di un contingente di quasi mezzo milione di uomini, per quasi tre quarti statunitensi, che hanno sconfitto rapidamente le truppe di Saddam Hussein. Il significato politico della crisi è, però, ancora più importante della vittoria militare. Gli Stati Uniti dimostrano la loro leadership, scongiurando azioni unilaterali da parte di Israele, nonostante le provocazioni militari irachene, evitando così una pericolosa estensione della crisi a tutto il Medio Oriente. La decisione di non abbattere il regime di Saddam Hussein, inoltre, ha contribuito a mantenere l’equilibrio sostanziale nella regione, aprendo la strada all’avvio di un processo di pace, pur contrastato, tra Israele e l’OLP.

Instabilità e crisi dell’Europa dell’Est

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1a/Mauer_Park_Berlin.JPG/800px-Mauer_Park_Berlin.JPG" title=“Pezzo della Hinterlandmauer, ancora in piedi nel Mauerpark” >}}

La dissoluzione, praticamente incruenta, del blocco socialista, tra 1989 e 1991, è stata accolta con un’euforia generalizzata. Molti pensavano che quegli sconvolgimenti sancissero la fine di un’epoca non solo segnata da momenti di grave tensione internazionale, ma su questa addirittura strutturata. Nonostante la confusa consapevolezza che l’equilibrio bipolare aveva, di fatto, garantito una pace globale, le tensioni degli anni Ottanta tra USA e URSS erano troppo vicine per non accogliere la fine della guerra fredda, come una liberazione dalla paura per i rischi di un conflitto nucleare. Tuttavia, negli anni successivi, si è constatato che la dissoluzione del sistema socialista, tanto politicamente quanto sotto il profilo economico, ha creato nuove instabilità estese in quasi tutta l’area a est dell’Unione Europea, a includere la neonata Confederazione di Stati Indipendenti (CSI).

La grave crisi economica di molti paesi dell’area, prima compresa nella sfera d’influenza sovietica, si è intrecciata con la rinascita dei nazionalismi e delle rivalità etniche, creando crisi ricorrenti. Tale situazione è stata aggravata dalla mancanza di una politica, volta a favorire la ripresa economica e il riassetto politico della regione. Le valute e le economie dell’Europa dell’Est, già in condizioni difficili, hanno dovuto, sostenere il passaggio alla competizione capitalista internazionale senza mediazioni, con risultati spesso disastrosi in termini d’impoverimento e disoccupazione.

Nella seconda metà degli anni Novanta, mentre alcuni stati dell’area stavano registrando l’inizio di una lenta ripresa economica, gli alleati occidentali hanno intrapreso una politica di estensione della NATO a est, nell’intento di stabilizzare strategicamente la regione di fronte alla continua instabilità della CSI. Lanciata nel 1994, tale “partnership per la pace” ha recentemente portato alla formale adesione all’Alleanza atlantica di molti stati dell’ex patto di Varsavia.

Eltsin al potere

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/15/Yeltsin_inauguration_1991.png/684px-Yeltsin_inauguration_1991.png" title=“Boris Yeltsin presta giuramento per il suo primo mandato presidenziale, 1991_

Con l’avvio delle riforme da parte di Michail Gorbaciov si era creato, in Unione Sovietica, un clima per alcuni versi contraddittorio: se da una parte il paese vedeva con favore la democratizzazione in atto, premendo anzi per un’ulteriore accelerazione, dall’altra la vecchia nomenclatura del partito e dell’apparato statale considerava la politica gorbacioviana pericolosa per la sua sopravvivenza e si riorganizzò al fine di tentare un’inversione di marcia rispetto alle ultime scelte politiche.

Nell’agosto del 1991 un gruppo formato da esponenti del partito, dell’apparato statale e delle forze armate decise di agire contro il nuovo corso e, approfittando della mancanza di Gorbaciov dalla capitale, compì un colpo di stato. Gorbaciov si trovava in Crimea e da lì apprese la notizia della sua esautorazione, e non fu in grado quindi di prendere in mano la rivolta popolare che immediatamente, alla notizia del colpo di stato, si stava propagando a Mosca. La funzione di leader di quella che sarà chiamata la “rivoluzione d’agosto” veniva assunta da Boris Eltsin, già in contrasto con Gorbaciov quando era segretario del Partito comunista di Mosca per le sue posizioni radicali e, dal 1990, come presidente del Parlamento russo.

La popolazione il 19 e il 20 agosto si radunò nei punti cruciali della capitale per presidiare le libere istituzioni da poco conquistate. Eltsin fu acclamato come un eroe e come il salvatore delle libertà. Il fallimento del golpe, d’altra parte, dovette molto anche al fatto che l’esercito si rifiutò di seguire i generali che avevano promosso il colpo di stato. Questo avvenimento, a differenza di quanto era accaduto in passato, con l’esercito schierato a fianco della popolazione, era un segno tangibile di quanto il clima politico in URSS fosse cambiato e di come il processo fosse irreversibile. In conseguenza di una così netta reazione del paese, i golpisti si trovavano di fronte a due scelte: retrocedere o fare una strage dei cittadini radunati nelle piazze. Scelsero la prima possibilità e, su pressione dello stesso Eltsin, il presidente Gorbaciov venne liberato potendo rientrare nella capitale.

Nonostante il fallimento subito, il golpe rivestì per la vita politica dell’Unione Sovietica un ruolo significativo: dopo tale avvenimento il peso politico di Gorbaciov fu ridimensionato. Boris Eltsin, al contrario, utilizzò l’avvenimento per accelerare la sua ascesa al potere. Nel 1991 si presentò, infatti, alle elezioni per la presidenza della Repubblica, le prime a suffragio universale per questa carica, e, sconfiggendo Gorbaciov, diventò Capo dello Stato.

La fine dell’URSS

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c1/Mass_grave_in_Chechnya.jpg" title=“Seppellimento in fossa comune di ceceni con mani e gambe legate da fili giustiziati in Cecenia dalle truppe russe” >}}

Il 12 dicembre del 1991, ad Alma Ata, in Kazakistan, l’Unione Sovietica venne formalmente sciolta e sostituita da una nuova forma di unione fra gli stati componenti: la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Questo nuovo organismo non ha un presidente, né una capitale; il suo centro amministrativo è Minsk, una città della Bielorussia di modeste dimensioni. Alla CSI non aderiscono né le repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania), né la Georgia, che tra il 1990 e il 1991 si erano proclamate indipendenti. I componenti della Comunità sono dunque i seguenti: Bielorussia, Ucraina, Moldavia e Russia, a Occidente; Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, a Oriente.

Gorbaciov ha tentato fino all’ultimo di mantenere in vita l’URSS come stato, come entità militare e dunque come protagonista della politica internazionale, ma senza successo e contro il volere dei presidenti di Russia, Bielorussia e Ucraina che hanno avuto la meglio nella decisione finale. In seguito a questo fallimento Gorbaciov, il 25 dicembre, dà le dimissioni e con un’elezione a suffragio universale viene eletto presidente della Repubblica Boris Eltsin.

La crisi dell’Unione Sovietica e la sua successiva dissoluzione hanno portato alla nascita di una serie di nuovi problemi, che hanno profondamente condizionato la politica internazionale e la carta geografica del mondo. Sul fronte esterno, la caduta del muro di Berlino, accolta senza reazioni militari da parte dell’URSS, ha condotto alla riunificazione delle due Germanie. Ugualmente, tutti gli altri paesi appartenenti al Patto di Varsavia si sono svincolati dall’egemonia russa e si sono avvicinati all’Occidente chiedendo di entrare nella Comunità Europea.

In passato, la presenza dell’Unione Sovietica serviva anche da deterrente rispetto alle rivendicazioni autonomiste delle diverse componenti etniche interne agli stati satelliti. Il timore di un intervento militare sovietico in caso di guerra civile rendeva, infatti, molto cauti i paesi del blocco sovietico. La dissoluzione dell’URSS ha aperto gli argini alle rivendicazioni di tutti questi paesi. Se in alcuni casi l’indipendenza è stata raggiunta in maniera incruenta - in particolare si pensi alle Repubbliche baltiche (1990-91), ma anche alla separazione della Cecoslovacchia in Repubblica Ceca e Slovacchia (1993) - in Jugoslavia si è scatenata una sanguinosa guerra civile che ha lasciato aperti molti problemi in relazione alle norme di diritto internazionale sull’autodeterminazione dei popoli.

Per quanto riguarda la situazione interna dell’impero sovietico, l’irrompere del nazionalismo è stato ugualmente sanguinoso. In Georgia, sotto la presidenza dell’ex ministro degli Esteri gorbacioviano Eduard Shevarnadze, si sono acuiti i dissidi fra alcune Repubbliche autonome, aprendo una guerra civile che si è andata complicando in seguito alle rivendicazioni della provincia di Ossezia, desiderosa di unirsi alla Repubblica autonoma settentrionale di Ossezia interna alla federazione russa.

Il conflitto senza dubbio più grave è quello che si è andato sviluppando in Cecenia, dove la spinta indipendentista è stata combattuta aspramente dalla Repubblica russa. L’esercito russo ha invaso la Cecenia nel dicembre del 1994 e il 1° gennaio 1995, ingaggiando un’aspra battaglia, che ha coinvolto l’intera popolazione civile, con gli autonomisti, ha occupato la città di Grozny. Mosca, dopo aver respinto una proposta di trattativa del leader ceceno Dudaev, in concomitanza con le elezioni presidenziali del 1996, ha promesso il ritiro delle sue truppe, promessa disattesa dopo la vittoria di Eltsin. D’altra parte nell’agosto dello stesso anno l’esercito russo ha dovuto abbandonare molte delle più importanti città alle forze indipendentiste. Il conflitto si è protratto ancora a lungo, ma attualmente è stato raggiunto un fragile equilibrio fra le due parti che ha portato al ritiro delle armate russe.

È evidente che mancando un centro politico forte, in grado di tenere sotto controllo tutte queste spinte indipendentiste, il rischio è che si moltiplichino focolai di conflitti etnici, verso ovest così come verso est.

Per quanto riguarda il presidente Eltsin, il suo governo è andato avanti fra alti e bassi, fra tentazioni populiste e tentativi autoritari volti a creare una condizione di maggiore ordine nel paese. Uno dei momenti di crisi più aspri si è avuto nel settembre del 1993 quando i parlamentari occupano il Parlamento che dopo diversi giorni di occupazione viene bombardato dall’esercito. Il 5 ottobre vengono arrestati i capi della rivolta, Ruckoj e Khasbulatov.

Con lo smembramento dell’URSS, Eltsin diventa, volente o nolente, l’unico referente affidabile per i paesi occidentali che, pur riconoscendone i difetti, ritengono che sia l’unica persona in grado di garantire una certa stabilità e un relativo controllo sulle questioni internazionali e sugli armamenti nucleari dell’ex URSS.

D’altronde, dopo i grandi consensi ricevuti alla sua prima elezione presidenziale, Eltsin ha perso progressivamente la fiducia del paese. I neocomunisti, guidati da Ghennadi Zjuganov, hanno conquistato molti consensi, ma non sufficienti per vincere la tornata elettorale del luglio 1996, che ha riconfermato Boris Eltsin Capo dello Stato.

Il rischio del nucleare

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/fb/George_Bush_and_Mikhail_Gorbachev_sign_the_START_1991.jpg)

_George H. W. Bush e Mikhail Gorbachev firmano START 1 per la riduzione dell’uso e sviluppo di armi nucleari, 1991” >}}

Il problema del controllo sulla diffusione degli armamenti nucleari costituisce uno dei nodi più inquietanti della fine del secolo. La prima questione riguarda la diffusione degli armamenti nucleari in un numero crescente di nazioni. A tutt’oggi, otto nazioni sono potenze nucleari riconosciute (nove se si considerano le divisioni interne alla CSI), e, tra esse, figurano stati come Israele, India e Pakistan, protagonisti di scenari di forte tensione internazionale. Esiste, inoltre, il pericolo di una diffusione incontrollata delle tecnologie nucleari, per effetto della dissoluzione dell’URSS. Già ora gli arsenali nucleari sovietici sono divisi tra Russia e Kazakistan, e dislocati vicino alle aree fortemente instabili del Caucaso. Ma, al di là del problema del controllo degli arsenali già esistenti, la fine dell’URSS ha significato la disoccupazione di un numero elevato di scienziati e tecnici, prima impegnati nei programmi militari di Mosca, tra i quali circa duemila in grado di fornire il know-how necessario allo sviluppo di armi atomiche. Esiste, quindi, il rischio di un loro impiego da parte di stati che vogliano acquisire una capacità atomica, quali Algeria, Corea del Nord, Iran, Iraq, Libia e Sud Africa, che non hanno sottoscritto il trattato sulla non proliferazione degli armamenti nucleari. Infine, è noto che la malavita russa è da tempo impegnata in un proficuo commercio clandestino di materiali e tecnologie necessarie alle ricerche nucleari, né si può escludere che, in futuro, il terrorismo internazionale, con l’appoggio di qualche nazione, possa fare uso del ricatto atomico, se non anche servirsi degli ordigni nucleari.

L’uso di gas nervini da parte di una setta terroristica in alcuni attentati nelle città del Giappone, che ha destato enorme impressione in tutto il mondo, segnala che il problema della diffusione delle capacità di utilizzare armi non convenzionali, con intenti destabilizzanti, è estremamente serio.

Le guerre nella ex Jugoslavia

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0d/War_in_kosovo_1999_2.jpg)

_ _Villaggio distrutto durante la guerra in Kosovo” >}}

Malgrado una certa ripresa economica nel corso degli anni Settanta, alla morte del maresciallo Tito, nel 1980, sono riemersi i conflitti di tipo nazionalistico. Al di là del partito, non vi sono altre forze in grado di tenere insieme le diverse nazionalità. A questo si deve aggiungere un’obiettiva predominanza dei serbi all’interno della classe dirigente, fatto che ha acuito le recriminazioni di zone come la Croazia che sentivano di essere la forza economica del paese, ma che non si vedevano adeguatamente rappresentate sul piano politico. Il comunismo era l’unico legame che teneva insieme il paese: era evidente che una volta che questo fosse venuto a mancare i diversi nazionalismi avrebbero preso il sopravvento.

Il Kosovo è la prima zona in cui esplode il nazionalismo, nel 1981, scatenando il risentimento serbo. Ma ciò che è deflagrante è la dissoluzione della Lega dei comunisti nel 1990 che porta alla nascita dei partiti nazionalisti e al processo che conduce alla dichiarazione d’indipendenza da parte di Slovenia e Croazia e alla conseguente guerra civile.

Alla fine del 1990 si fanno più forti le spinte indipendentiste in Croazia e Slovenia e nel 1991, in seguito allo svolgimento di plebisciti, i due paesi dichiarano l’indipendenza. La Germania, da poco riunificata e desiderosa di estendere la sua sfera di influenza nell’Europa balcanica, è la prima a riconoscere l’indipendenza delle due Repubbliche, seguita poco dopo dalla Santa Sede, favorevole all’autonomia dei due paesi a maggioranza cattolica dalla Serbia ortodossa. È quindi il turno della Comunità Europea di riconoscere Slovenia e Croazia anche se avrebbe preferito attendere.

La Serbia reagisce negativamente alla dichiarazione di indipendenza di due aree della Jugoslavia fra le più avanzate dal punto di vista economico. Le istituzioni federali, che sono controllate, così come i vertici militari, dai serbi, accettano sostanzialmente l’indipendenza slovena, ma si oppongono alla creazione della Repubblica croata basandosi soprattutto sul fatto che all’interno dei confini, che la Croazia si è data autonomamente, vi è una minoranza di popolazione serba piuttosto consistente specialmente nella regione Krajina. È questa minoranza, forte dell’appoggio di Milosevic, leader del governo neocomunista di Belgrado, la prima ad impugnare le armi contro la neonata Croazia, dando inizio ad una vera e propria guerra civile, che si protrae per diversi anni estendendosi poi alle altre etnie presenti nel paese. Anche la Macedonia, infatti, segue Croazia e Slovenia sulla via dell’indipendenza, ma il conflitto più forte in questo primo anno di guerra rimane quello fra serbi e croati. I primi sono guidati dal postcomunista Milosevic, i secondi da Tudjman, eletto presidente della nuova Repubblica.

La comunità internazionale assiste impotente all’inasprirsi delle rispettive posizioni e allo scoppio della guerra, rifiutandosi di intervenire, incapace di vedere la gravità della situazione che si va determinando. Con la guerra civile, inoltre, si assiste ad un processo di estremizzazione delle rispettive nazionalità. Ricompaiono, infatti, formazioni che sembravano essere definitivamente scomparse con la fine della seconda guerra mondiale: cetnici e ustascia, i primi simbolo del nazionalismo serbo, i secondi di quello croato. Entrambi questi movimenti contribuiscono a radicalizzare il conflitto, in cui viene coinvolta in prima persona la popolazione civile, vittima di atrocità inaudite.

La tragedia della Bosnia

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/13/DaytonAgreement.jpg/800px-DaytonAgreement.jpg" title=“La firma dell’Accordo di Dayton, con la quale ebbe termine la guerra in Bosnia ed Erzegovina” >}}

Nel 1992 anche la Bosnia-Erzegovina dichiara la propria indipendenza. La Bosnia è una zona in cui la maggioranza della popolazione è di fede musulmana, ma dove esistono anche consistenti minoranze serbe e croate. La sua posizione centrale ne fa una terra di conquista sia per i croati, desiderosi di estendere il loro territorio, sia per i serbi che temono di perdere l’accesso al mare. Si mette in atto un tragico meccanismo per cui tutti combattono contro tutti trasformando la Bosnia in un vero e proprio campo di battaglia.

Il 27 aprile 1992 viene proclamata la Repubblica serba della Bosnia-Erzegovina, presieduta da Radovan Karadzic. Ad essa si contrappone la Repubblica musulmana sotto la guida di Izetbegovic che ottiene, in seguito, il riconoscimento dell’ONU. Karadzic è appoggiato dalla Federazione Jugoslava di Milosevic, che non è stata riconosciuta dagli USA e dalla Comunità Europea perché ritenuta responsabile dell’avvio della guerra civile. La città di Sarajevo viene di volta in volta bombardata dai diversi schieramenti (ma in primo luogo dai serbo-bosniaci) e diventa così un ammasso di macerie dove si combatte casa per casa.

Non sono solo gli eserciti a combattere, ma è tutta la popolazione ad essere coinvolta nella guerra. Una nuova figura, quella del cecchino, assurge tristemente all’onore della cronaca: si spara a chiunque, incondizionatamente e spesso le alleanze sono così incostanti e contraddittorie che non si sa più quale sia il nemico e quale no. Enormi masse di cittadini si spostano da una parte all’altra del paese a seconda del prevalere della loro fazione. Se in alcune regioni prevale l’alleanza fra serbi e croati contro i musulmani, in altre ognuno combatte autonomamente contro i musulmani. Inoltre, il conflitto talvolta è anche tra gli abitanti delle campagne e i quelli delle città, indipendentemente dalla religione professata o dal gruppo etnico di appartenenza. Nella regione di Bihac si assiste poi alla paradossale situazione in cui musulmani combattono contro musulmani. La città di Mostar è un altro punto nodale: l’antico e celebre ponte che collega le due parti della città viene abbattuto e assurge a simbolo della tragedia del conflitto.

Con il coinvolgimento di quest’altra parte del paese, la guerra assume inoltre nuove caratteristiche: da conflitto essenzialmente etnico diventa anche religioso radicalizzandosi ancor più di prima. Il momento più tragico è rappresentato dalla “pulizia etnica”, che viene avviata in Bosnia dai serbi e che, pur condannata da una risoluzione dell’ONU del luglio del 1992, continua per tutta la durata della guerra. Nel timore che le popolazioni conquistate alla fine del conflitto possano rivendicare alla loro etnia quella zona, i militari che conquistano nuove aree decidono di eliminare fisicamente la popolazione di interi villaggi e città. Nel luglio del 1995, si assiste a Srebrenica e Zepa ad uno dei massacri più sanguinosi da parte delle forze militari serbe contro i musulmani. In altri casi, i soldati procedono allo stupro collettivo di moltissime donne, segnando un altro drammatico capitolo di questa guerra. Data anche la loro maggiore forza militare, le stragi più cruente, accertate fino ad oggi, sono quelle compiute dai serbi. Per queste stragi Karadzic è ricercato dal tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità.

La guerra civile si è protratta per alcuni anni e solo nel 1996 si è giunti alla fine del conflitto. Malgrado la presenza nella regione delle forze di pace dell’ONU, la diplomazia internazionale non è stata in grado di fermare la guerra. Le uniche iniziative parzialmente efficaci sono state l’embargo imposto a Belgrado, che ha portato la Serbia ad abbandonare i suoi alleati bosniaci, e il blocco delle forniture di armi a coloro che combattevano in Bosnia-Erzegovina. Ovviamente le armi hanno continuato a circolare in maniera illegale, ma se non altro ne sono state limitate le forniture.

Una data importante è il maggio 1993, quando l’ONU crea cinque zone di sicurezza e autorizza i caschi blu all’uso della forza in caso di violazione delle zone stesse. È sicuramente un passo significativo, ma non sufficiente per concludere il conflitto. Il 1995 è un anno durissimo per la popolazione civile: Sarajevo viene più volte bombardata e si infittiscono le incursioni delle forze aeree della NATO contro i serbo-bosniaci. Se all’inizio dell’anno la superiorità delle forze serbe sembra incontrovertibile, la perdita dell’appoggio della Repubblica federale di Jugoslavia segna un parziale rovesciamento della situazione militare, a vantaggio dell’esercito bosniaco (Abh) e del Consiglio di difesa croato (Hvo).

Se alla fine del 1996 si è arrivati finalmente ad una tregua è stato essenzialmente per l’estenuante protrarsi della guerra e per l’impossibilità di risolvere i contrasti fra le parti impegnate in una lotta senza quartiere, che avendo ormai coinvolto tutta la popolazione in una battaglia per la pura sopravvivenza, non faceva intravedere la fine del conflitto.

La tregua viene siglata, dopo lunghi negoziati, nella base militare statunitense di Dayton, in Ohio, il 21 novembre 1995. Ufficialmente la firma agli accordi è stata posta a Parigi il 14 dicembre dal presidente bosniaco Alija Izetbegovic, dal serbo Slobodan Milosevic e dal croato Franjo Tudjman. Con tali accordi si sancisce la divisione della Bosnia-Erzegovina in due zone determinate dalla prevalenza etnica: la Federazione croato-musulmana (49% del territorio bosniaco) e la Repubblica serba (51%). Le due nuove realtà hanno costituzioni separate, polizie separate e il diritto di stabilire relazioni bilaterali con gli stati vicini. Vi sono però organi collegiali comuni: una presidenza, un Parlamento bicamerale, una corte istituzionale e una banca federale, che gestiscono la politica estera e monetaria. La Federazione croato-musulmana è stata creata formalmente con gli accordi di Washington del marzo 1994 ed è composta da nove cantoni: quattro musulmani, due croati, tre misti. Con gli accordi di Dayton si è inoltre stabilito di perseguire i criminali di guerra con azione penale presso il Tribunale internazionale per la ex-Jugoslavia, istituito dall’ONU nel febbraio 1993.

L’Albania e la guerra in Kosovo

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/df/Defense.gov_News_Photo_990628-M-5696S-025.jpg/800px-Defense.gov_News_Photo_990628-M-5696S-025.jpg" title=“Marine marcia assieme a bambini albanesi per le strade di Zegra, 1999” >}}

Per tutti gli anni Novanta, l’area balcanica è stata segnata dalle guerre scaturite dallo smembramento della Jugoslavia, e da una crisi istituzionale in Albania, che ha quasi portato alla dissoluzione virtuale delle strutture statali. L’Albania, che aveva reciso i legami con Mosca negli anni Sessanta, avviando rapporti molto stretti con la Cina maoista, versava alla fine degli anni Ottanta in gravi condizioni economiche. La transizione al pluralismo si verificò senza particolari traumi politici, e il paese finì per essere dominato da un sistema corrotto, crollato nel 1997 per effetto di estesi scandali finanziari. L’emigrazione in massa verso la Grecia e l’Italia, iniziata nei primi anni Novanta per effetto della diffusa povertà (nonostante gli ingenti aiuti forniti dall’Italia dopo il 1991), divenne un fenomeno incontrollabile, mentre il paese piombò nell’anarchia più totale, favorendo l’ascesa di gruppi malavitosi locali. Ciò ha portato all’invio di un forte contingente militare italiano, che ha consentito una certa stabilizzazione politica e lo svolgimento di nuove elezioni; la situazione del paese rimane, in ogni caso, molto instabile.

La minoranza albanese della Jugoslavia, concentrata nella provincia del Kosovo, che aspirava all’indipendenza, nel 1998, ha subito la politica serba di repressione e questo ha innescato una nuova guerra, che ha provocato migliaia di morti, con veri e propri eccidi di massa della popolazione civile albanese.

Gli alleati occidentali, di fronte al rifiuto serbo di concedere una larga autonomia alla popolazione kosovara e di cessare le persecuzioni etniche, hanno iniziato, nel marzo 1999, una campagna di bombardamenti aeronavali che, però, non ha piegato l’avversario che, anzi, ha espulso in massa la popolazione albanese verso le nazioni confinanti, in particolar modo verso la Macedonia. La breve ma violenta guerra aerea della Nato rimarrà famosa per i molti errori commessi durante i bombardamenti, come le bombe che hanno colpito l’ambasciata cinese, provocando un grave incidente diplomatico e la distruzione, questa volta voluta, della sede della televisione serba, che ha scatenato una serie di proteste da parte di molti paesi e di molte personalità all’interno dell’alleanza atlantica stessa.

Al termine dei bombardamenti, si è decisa una tregua, con il ritiro delle truppe serbe dal Kosovo e l’arrivo di truppe ONU che devono mantenere la pace e consentire il ritorno di migliaia di profughi alle loro case. La situazione è ancora di estrema tensione e i regolamenti di conti tra gli albanesi e la minoranza serba rimasta sono all’ordine del giorno.

Una sola Germania

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/11/Bundesarchiv_Bild_183-1990-1003-008%2C_Berlin%2C_Brandenburger_Tor%2C_Vereinigungsfeier%2C_Feuerwerk.jpg" title=“Festeggiamenti per la riunificazione della Germania” >}}

Il 3 ottobre del 1990 segna una data storica per la Germania: la riunificazione delle due Repubbliche Federale e Democratica. Il processo che porta alla riunificazione, per quanto celere, non avviene tuttavia senza difficoltà. L’idea di una Germania unita e forte economicamente porta ancora con sé le immagini luttuose del periodo hitleriano, e gli altri paesi occidentali non possono fare a meno di interrogarsi sulle conseguenze di questo atto politico. La più preoccupata è ovviamente la Polonia, timorosa per la sicurezza dei suoi confini, ma viene rassicurata da una solenne dichiarazione dei due Parlamenti tedeschi, in cui si proclama di non intendere in nessun modo violare i confini stabiliti alla fine del conflitto mondiale. Per quanto riguarda i paesi uniti nella CEE, ciò che maggiormente preoccupa è il peso economico, e di conseguenza politico, che una Germania unita può far valere in vista dell’unificazione europea. Ciononostante, rassicurato anche dalla garanzia di Michail Gorbaciov di una non opposizione dell’Unione Sovietica, il cancelliere Kohl, congiuntamente al capo del governo della Germania Est e grazie alla vittoria dei cristiano-democratici nelle elezioni del marzo nella Repubblica Democratica, procede spedito sulla via della riunificazione, che avviene appunto già nell’ottobre del 1990.

Kohl, nell’accelerare tale processo, sembra convinto del fatto che la Germania sappia affrontare senza eccessivi costi il peso di un’unione con la parte orientale del paese, che si trova in gravi condizioni economiche. Il cancelliere conta sulla capacità del sistema economico della Repubblica Federale di assorbire facilmente al suo interno anche la DDR. In realtà questo processo si è rivelato molto più lento del previsto: la Germania Est ha visto crescere vertiginosamente il tasso di disoccupazione e, al tempo stesso, il malcontento popolare di chi pensava che la semplice riunificazione avrebbe portato un immediato miglioramento delle condizioni di vita. Tale malcontento ha portato anche ad un rafforzamento della xenofobia, in special modo fra le classi meno abbienti, che vedono negli immigrati dei concorrenti sul piano lavorativo. Ugualmente ci sono stati rigurgiti di vero e proprio razzismo, come dimostrano le profanazioni delle tombe ebraiche in diversi cimiteri tedeschi. A ridosso della riunificazione, la Germania ha dunque subìto costi sociali molto alti che hanno avuto una ricaduta sul piano internazionale. I problemi tedeschi hanno, infatti, rallentato il processo di unificazione europea e hanno reso particolarmente delicata la situazione sul piano monetario, con un marco sganciato, di fatto, dalle altre valute europee.

Nel 1993, e di nuovo nel 1995-96, la Germania ha subito una forte recessione che ha spinto Kohl a varare una politica di forti economie suscitando il malcontento dei sindacati e dei lavoratori. Nonostante le contraddizioni che caratterizzano questa fase della sua storia, è innegabile che la Germania rimanga comunque per il suo peso politico ed economico uno dei più influenti e potenti stati europei, così da determinare in buona parte le sorti della nuova Europa Unita.

Dal 1998 il paese è guidato dal cancelliere Gerard Schroder, che è a capo di una coalizione composta dalla SPD (il partito social-democratico tedesco) e dai verdi.

Un nuovo politico: Bill Clinton

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/18/Clinton_Yeltsin_1995.jpg" title=“Bill Clinton e Boris Eltsin ridono assieme” >}}

In politica estera Bush si era mostrato molto attivo e impegnato a cercare nuove vie, mentre sulle questioni interne il suo operato non si era discostato molto dalla linea reaganiana. In particolare, non aveva offerto delle soluzioni a molti dei problemi ereditati dal predecessore e aggravatisi nel corso del suo mandato, complice la recessione iniziata col nuovo decennio: il deficit pubblico, in primo luogo, salito a livelli insostenibili; le crescenti tensioni tra i diversi gruppi etnici; il disagio di sempre più ampi settori della popolazione, compresi i ceti medi. I repubblicani arrivarono, quindi, alle elezioni presidenziali del 1992 in forte difficoltà, pressati sia dal giovane candidato democratico William (Bill) Clinton e, cosa quanto mai insolita nel sistema bipartitico americano, anche da un terzo candidato, Ross Perot. Vinse Clinton, che consentì al suo partito di tornare al potere dopo dodici anni.

Il nuovo presidente, al contrario di Bush, afferma il ritorno della centralità della politica interna, facendosi interprete con ciò dei disagi e del malcontento di gran parte della popolazione. In decisa rottura con i principi del reaganismo, la politica di Clinton si è fondata su un forte richiamo all’esperienza rooseveltiana del New Deal, e sul conseguente rilancio delle politiche sociali e dell’iniziativa assistenziale dello stato. L’aumento dell’imposizione fiscale e dei vincoli sociali e ambientali alle attività economiche hanno generato, tuttavia, forti reazioni da parte dei ceti medi e di quelli abbienti, principali beneficiari del reaganismo. Alle elezioni di metà mandato per la nomina del Senato, nel 1994, ci fu una schiacciante vittoria dei repubblicani e, in particolare, della loro corrente di destra, guidata da Newt Gingrich. Per recuperare i consensi dei ceti medi e alti, Clinton ha dovuto attuare uno spostamento al centro, rinunciando agli aspetti più progressisti del proprio programma e cambiando i ministri ad essi maggiormente legati. Questo deciso spostamento verso posizioni più moderate gli ha garantito la rielezione nel 1996.

Tra relazioni private e relazioni internazionali

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/43/Senate_in_session.jpg)

_Il processo a Bill Clinton nel 1999, il Giudice Capo della Corte Suprema Chief Justice William H. Rehnquist presiede la seduta” >}}

Il secondo mandato presidenziale di Bill Clinton è stato contrassegnato dai progressi compiuti dall’economia americana (diminuzione della disoccupazione, aumento del prodotto interno lordo, etc.) e da un recupero di autorità da parte degli USA sulla scena internazionale; in particolare il mercato borsistico ha conosciuto una crescita record durante tutto il decennio, aiutato anche dalla cosiddetta new economy, legata alle aziende informatiche. Un’altra guerra lampo, dopo quella del 1991, ha visto gli USA in prima fila nel 1999 contro la Serbia. Ma il secondo mandato clintoniano è stato caratterizzato anche dallo scandalo dovuto alla relazione extra coniugale che ha visto come protagonista il presidente, accusato dal procuratore Kenneth Starr di aver avuto una relazione sessuale con la stagista Monica Lewinsky e, soprattutto, di aver tentato di coprire la verità inducendo la stessa Lewinsky, e persone a lui vicine, a mentire. I repubblicani hanno approfittato della vicenda per tentare di porre Clinton in stato d’accusa ma quest’ultimo, grazie ad un accorto uso dei media e agli errori degli esponenti politici del partito rivale (tutt’altro che moralmente irreprensibili), è riuscito ad evitare di essere giudicato. Appellandosi direttamente al paese e chiedendo pubblicamente scusa alla tv, Clinton ha chiuso il suo secondo mandato con indici di popolarità altissimi.

La crisi del sistema italiano

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/59/Antonio_Di_Pietro_-_Trento.jpg/321px-Antonio_Di_Pietro_-_Trento.jpg" title=“Antonio Di Pietro” >}}

L’Italia è stata violentemente scossa, all’inizio degli anni Novanta, da una serie di avvenimenti. Il sistema politico viene messo in crisi, oltre che dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine del ruolo storico della contrapposizione DC-PCI, anche dalla serie di inchieste giudiziarie che nel 1992-93 hanno portato alla luce l’esistenza di un complicato intreccio tra politica e affari, tra partiti, pubblica amministrazione e grandi imprese pubbliche e private, la cosiddetta “tangentopoli”. L’indagine, partita dalla procura di Milano, ha preso il nome di “Mani pulite” e si è estesa rapidamente a livello nazionale, cancellando una parte consistente della vecchia classe dirigente e aprendo una fase di estrema fluidità e incertezza nella vita politica italiana, con la creazione di nuovi partiti e la scomparsa di quelli tradizionali.

Lo Stato viene messo gravemente in crisi anche dall’estensione che il potere mafioso aveva assunto in Italia. Il culmine della strategia mafiosa è raggiunto nel 1992, quando Cosa Nostra riesce ad eliminare, con due sanguinosi attentati dinamitardi, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due simboli della lotta alla mafia dello stato durante gli anni Ottanta. Si sono susseguiti, poi, nel 1993, attentati a Roma, Firenze e Milano, che hanno colpito alcuni dei principali monumenti e simboli dello Stato italiano. Da allora, però, molto è stato fatto nella lotta contro la mafia, e lo Stato italiano è riuscito a catturare molti dei boss sfuggiti per anni alla giustizia e ad incrinare la solidità dei poteri criminali.

Dalla prima alla seconda repubblica

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/f/fe/Romano_Prodi_Lamberto_Dini_Massio_D%27Alema_1996.jpg/711px-Romano_Prodi_Lamberto_Dini_Massio_D%27Alema_1996.jpg" title=“Lamberto Dini (a sinistra), Romano Prodi (al centro) e Massimo D’Alema (a destra)” >}}

La caduta del muro di Berlino e la fine dei regimi comunisti nell’Europa orientale, hanno avuto un forte impatto in Italia, mettendo in crisi i comunisti e determinando la fine dell’anticomunismo come valore fondante del sistema politico italiano. Negli stessi anni molti elettori nel Nord d’Italia si sono orientati verso nuove formazioni di tipo autonomistico emergenti (la Lega Veneta e, soprattutto, la Lega Lombarda - poi Lega Nord - di Umberto Bossi). In questo quadro il pool di “Mani pulite”, a partire dal 1992, incrimina per corruzione molti degli esponenti di spicco della vita politica italiana. Si chiude così la fase apertasi dopo la guerra, caratterizzata dall’ininterrotta permanenza al governo della DC, e inizia la cosiddetta “seconda Repubblica”.

I principali partiti vivono una profonda crisi, strettamente legata all’evoluzione del quadro internazionale. Il PCI, guidato da Achille Occhetto, dà vita ad una nuova formazione, il PDS, subendo con ciò una scissione al suo interno con la nascita di Rifondazione comunista. Il PSI vede ridursi in maniera rilevante il numero dei voti, e la DC vive un forte travaglio interno, che la porta prima a cambiare nome (in “Partito Popolare”), poi a una spaccatura in tre gruppi (Popolari, Centro Cristiano Democratico e CDU). Nel frattempo, i governi presieduti da Amato e da Ciampi, i primi della nuova fase, intraprendono una decisa azione volta a ridurre il debito pubblico, operazione necessaria per garantire all’Italia un posto nella futura moneta unica europea.

Con la nascita di Forza Italia, promossa dall’imprenditore Silvio Berlusconi nel 1994, e la trasformazione, l’anno successivo, del partito neofascista MSI in Alleanza Nazionale, si completa l’attuale quadro politico. Nelle elezioni del marzo 1994, il Polo delle libertà e del Buongoverno, la coalizione che fa perno su Forza Italia, alleata con Alleanza Nazionale nel Centro-Sud, e con la Lega di Bossi al Nord, vince le elezioni: Berlusconi è presidente del Consiglio, ma il governo entra in crisi dopo pochi mesi a causa dell’uscita dalla coalizione della Lega di Bossi. Dopo una fase di transizione (governo Dini), vengono indette nuove elezioni che portano alla vittoria, nell’aprile del 1996, della coalizione di centro-sinistra (L’Ulivo), guidata da Romano Prodi, che è tuttavia costretta a contare anche sui voti di Rifondazione comunista per avere la maggioranza alla Camera. Quando i voti di Rifondazione vengono a mancare, nell’ottobre del 1998, si assiste a una crisi di governo e alla possibilità di elezioni anticipate. Prodi si dimette ma la maggioranza si ricompatta con la guida di Massimo D’Alema e grazie ai voti del Partito dei comunisti italiani di Armando Cossutta, nato dalla scissione con Rifondazione, e a quelli di un gruppo di ex membri del CCD, guidati da Clemente Mastella e dall’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga (che, staccandosi dal Polo andavano a formare il gruppo dell’Udeur), riesce a raggiungere una ristretta maggioranza nel Parlamento. Dopo la sconfitta elettorale nelle regionali del 2000, D’Alema da le dimissioni da presidente del Consiglio e l’incarico passa a Giuliano Amato.

Nel maggio 2001 con la vittoria elettorale della Casa delle Libertà, Silvio Berlusconi è nuovamente presidente del Consiglio.

La Francia delle coabitazioni

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6a/Clintonchirac.jpg" title=“Bill Clinton e Jacques Chirac, 17 giugno 1999” >}}

All’inizio del suo secondo mandato, Mitterrand scioglie le camere, così da poter indire nuove elezioni, che gli consentano di avere una maggioranza di sinistra anche nel Parlamento. Vinte le elezioni legislative, Mitterrand si trova a dover designare a capo del governo Rocard, esponente dell’ala più liberale del Partito socialista. Rocard porta avanti una politica di rigore economico, che finisce spesso per colpire le classi più deboli e porta ad una rottura con il Partito comunista. D’altra parte non si arriva mai ad uno smantellamento dello Stato sociale, che viene al contrario difeso energicamente dallo stesso Mitterrand. Ciò che contribuisce ad appannare l’immagine del Partito socialista e, in parte, dello stesso presidente, è invece una serie di scandali che lasciano intravedere un sottobosco di corruzione e di interessi economici poco legali.

Mitterrand cerca di porre un limite alla crisi politica, sostituendo Rocard con Edith Cresson, cui affida il 15 maggio 1991 l’incarico di formare un nuovo governo. Dopo l’insuccesso elettorale del 30 marzo 1992, Mitterrand è costretto a cambiare politica e a nominare capo del governo Pierre Beregovoy, che porta avanti una politica di grande rigore economico. Il 1992 è anche l’anno di ascesa del Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen, che facendo leva sul nazionalismo xenofobo, ottiene un significativo avanzamento (anche se meno netto di quanto si temesse) alle elezioni amministrative e regionali. Nel 1993 si assiste ad un vero e proprio rivolgimento: Mitterrand, in seguito alla schiacciante vittoria elettorale della destra, è infatti costretto a nominare primo ministro il neogollista Eduard Balladur dando vita ad una seconda coabitazione, presidente di sinistra e governo di destra anche in questo caso, dopo quella avuta con Chirac nel 1986.

Sul piano della politica estera la Francia di Mitterrand si distingue per la netta scelta europeista, rafforzatasi ulteriormente dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione della Germania. Mitterrand, infatti, comprende con grande lucidità che l’unico modo per contrastare la potenza della Germania unita è quello di ancorarla strettamente alla scelta europeista. Insieme al cancelliere tedesco Kohl, è quindi il promotore di un’accelerazione per le trattative relative all’unità europea e alla moneta unica e di un progetto di esercito europeo, che però viene accolto freddamente dagli altri stati. L’asse Mitterrand-Kohl porta alla firma del trattato di Maastricht alla fine del 1993. Inoltre, nel 1991, la Francia svolge un ruolo centrale nelle trattative per scongiurare la guerra del Golfo, e fino all’ultimo cercherà di evitare la soluzione militare.

Mitterrand ha lasciato un’impronta di grande rilievo anche in campo culturale, promovendo in particolare la costruzione di grandi opere pubbliche come la “Pyramide” di fronte al Louvre e la nuova Bibliothèque Nationale, opere progettate da architetti di levatura internazionale.

Mitterrand, malato gravemente a causa di un tumore (morirà l’8 gennaio 1996), esce di scena con le elezioni presidenziali del 17 maggio 1995, nelle quali il leader socialista Lionel Jospin viene battuto dal gollista Chirac. La vittoria della destra non è però di lunga durata: il nuovo primo ministro Alain Juppé viene costretto alle dimissioni in seguito ad una forte ondata di proteste sociali che vede il suo punto più alto nel dicembre del 1995, con gli scioperi nel settore dei trasporti che paralizzano l’intera Francia. Anche il movimento degli studenti scende in piazza più volte negli ultimi anni costringendo Chirac a recedere in parte dalle sue rigide posizioni ultraliberiste in campo scolastico.

Le nuove elezioni politiche del 1997 vedono una nuova vittoria del Partito socialista, in seguito alla quale Chirac deve nominare proprio il segretario di quel partito, Jospin, primo ministro, dando vita, nell’arco di un decennio, alla terza coabitazione politica che dura tuttora. Jospin avvia una nuova fase della politica francese, con una maggiore attenzione ai problemi del paese e a quelli delle classi meno agiate, con il varo di provvedimenti come quello sulle “trentacinque ore” lavorative. Sul piano internazionale Chirac continua, sulle orme di Mitterrand, la politica europeista, rafforzando il legame con la Germania.

L’Inghilterra verso il continente europeo

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b6/Tony_Blair_crop.jpg" title=“Tony Blair” >}}

Nel 1990, in un clima già contrassegnato da un diffuso disagio sociale, l’adozione della poll tax, un tributo che sostituisce la tassa sulla proprietà e che colpisce nella stessa misura tutti i redditi, suscita una vasta opposizione. Indotta dalla protesta popolare e dalle critiche provenienti da molti esponenti del suo stesso partito, che le rimproverano l’intransigente chiusura verso ogni progetto di integrazione europea, la Thatcher rassegna le dimissioni, dopo undici anni passati alla guida del governo. Il suo successore, John Major non realizza nessuna svolta politica e si colloca sulla linea della continuità. Anche nei rapporti con la CEE, pur decidendo l’ingresso nello SME e smorzando certe asprezze antieuropeiste, non apporta grandi cambiamenti alla linea della Thatcher. Nel 1992 i conservatori vincono nuovamente le elezioni e, dopo pochi mesi, si trovano alle prese con la recessione internazionale. Contemporaneamente, importanti cambiamenti si registrano nel Partito laburista dove, in seguito alla sconfitta elettorale, la quarta consecutiva, diventa segretario John Smith. In seguito alla morte di quest’ultimo, nell’ottobre ‘94, sale al vertice del partito Tony Blair, un giovane leader che imprime una svolta storica. Abbandonati i residui del marxismo e allontanatosi da ipotesi di trasformazione radicale, il nuovo Partito laburista inizia a conquistare crescenti consensi presso l’elettorato moderato. Ha così avvio il lungo cammino verso le elezioni del 1997, che vedono la vittoria dei laburisti guidati da Blair.

Per quanto riguarda quella sorta di guerra civile che si combatte oramai da anni nell’Irlanda del nord non si sono avuti sostanziali miglioramenti. Major, constatata l’impossibilità di una sconfitta dei repubblicani, ha avviato, dal 1993, trattative col Sinn Fein. Si apre così un difficile processo di pace. La vittoria alle elezioni britanniche del 1997 dei laburisti, e in seguito quella del Sinn Fein, ha reso possibile l’importante accordo dell’aprile 1998, prospettando una concreta, anche se non certa, soluzione del conflitto.

Gli Stati Uniti d’Europa: da Maastricht a Schengen

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/b9/Stone_memorial_in_front_of_the_entry_to_the_Limburg_Province_government_building_in_Maastricht%2C_Netherlands%2C_commemorating_the_signing_of_the_Maastricht_Treaty_in_February_1992.jpg/450px-thumbnail.jpg" title=“Memoriale davanti al Government Building of the Province of Limburg a Maastricht, dove fu firmato l’accordo_

Per completare i processi avviati con l’Atto Unico, viene siglato l’11 dicembre 1991, nella cittadina olandese di Maastricht, il Trattato sull’Unione Europea, che fissa tre tappe che dovrebbero condurre alla realizzazione della moneta unica e alla creazione della Banca centrale europea. In particolare, vengono fissati criteri di convergenza che ogni paese deve rispettare per giungere all’ultima fase. Sono stabilite alcune condizioni (concernenti il deficit pubblico, il debito pubblico, l’inflazione, il tasso d’interesse e la stabilità della moneta) cui ogni stato si deve uniformare, al fine di armonizzare le diverse situazioni finanziarie. Con il trattato di Maastricht, inoltre, la CEE cambia denominazione, diventando Unione Europea.

Nonostante gli innegabili risultati raggiunti nell’ultimo ventennio, l’Europa incontra ancora molti ostacoli sulla via della piena integrazione. In primo luogo, diventa sempre più problematica la preminenza degli aspetti economici su quelli politici; benché si tratti di una tendenza che ha caratterizzato la Comunità europea sin dall’inizio, sta crescendo il numero di coloro che mettono in evidenza gli squilibri derivanti da ciò. L’insufficienza delle istituzioni comunitarie ben rappresenta questo stato di cose. Le decisioni di maggior rilievo vengono prese nei vertici dei capi di governo dei singoli paesi in mancanza di un’effettiva autorità sovranazionale. Il Parlamento europeo, infatti, si è dimostrato un’entità poco più che simbolica. In secondo luogo, non tutti i paesi sembrano disposti ad un aumento dei vincoli comunitari e ad una conseguente limitazione della sovranità nazionale. Le resistenze dell’Inghilterra costituiscono l’esempio più evidente. Infine, un grosso ostacolo è costituito dalle profonde differenze tra le condizioni economiche dei vari stati, accentuatesi con i mutamenti produttivi generati dal declino del fordismo e dalla globalizzazione. Ciò comporta una diversità nell’approccio con cui si affronta il processo d’integrazione e una differente capacità di parteciparvi. A tal proposito si parla di “Europa a due velocità”. Sono questi gli ostacoli più rilevanti che si stanno ponendo per la costruzione di un’Europa unita.

La questione curda

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/8/86/Children_puppy_sulaimania.jpg/755px-Children_puppy_sulaimania.jpg" title=“Bambini curdi a Sulaymaniyya” >}}

Gli anni Novanta pongono all’attenzione del mondo il dramma del popolo curdo che, in realtà, vive la sua tragedia dall’inizio del ‘900.

I curdi sono un popolo con una propria lingua e con un’autonoma tradizione culturale e religiosa. Per la maggioranza sono musulmani sunniti. Dopo il crollo dell’Impero Ottomano, si trovarono divisi prevalentemente fra Iraq, Iran, Siria, Turchia e URSS. In varia misura, questi paesi attuarono una politica volta ad annientare l’identità nazionale curda e a fiaccarne la capacità di resistenza. Fra le cause dell’ostilità verso qualunque progetto di autonomia o indipendenza è la presenza nel Kurdistan di notevoli risorse naturali e petrolifere. Il trattato di Sèvres, stipulato dopo la fine della prima guerra mondiale (agosto 1920), prevedeva la formazione di uno stato nazionale curdo, il Kurdistan, appunto. Ma esso non fu mai attuato per l’opposizione dei nazionalisti turchi di Kemal. Il trattato di Losanna, che nel 1923 stabilì i moderni confini della Turchia, ignorò completamente i diritti dei curdi e smembrò il Kurdistan.

In Iraq i curdi dettero vita, fin dagli anni ‘30, ad un movimento di guerriglia, guidato da Mustafà Barzani. Nel secondo dopoguerra, dopo una fase di distensione, essi furono di nuovo colpiti dalla repressione nel 1961, proseguita dopo l’insediamento al potere di Saddam Hussein. Le trattative per un accordo furono compromesse dall’intervento di USA e Iran, che promisero a Barzani un appoggio politico e militare. Questa strategia portò il governo iracheno a scatenare una feroce repressione; i tentativi di rivolta condussero Hussein ad usare nell’88 micidiali gas nervini. In seguito alla sconfitta irachena dopo la guerra nel Golfo, l’ONU impose la costituzione di una regione autonoma del Kurdistan.

In Iran la minoranza curda fu sottoposta ad una dura repressione sia sotto la dinastia dei Pahlavi (1925-1979), sia dopo la rivoluzione khomeinista, che pure essa aveva appoggiato. Un’analoga situazione si verificò in Turchia dopo l’avvento al potere di Mustafà Kemal. Dopo un periodo di maggiore apertura nel dopoguerra, si riaccesero forti tensioni, in seguito all’intransigenza dei militari al potere dal 1960.

La guerriglia curda, organizzata in vari partiti tra loro in forte competizione, in Turchia è guidata dal PKK di Abdullah Ocalan che viene arrestato a Roma il 12 novembre del 1999, aprendo un caso internazionale e un violento contenzioso tra Italia e Turchia per la sua estradizione. È stato infine consegnato alle autorità turche e condannato a morte, anche se la sentenza non è stata ancora eseguita. La vicenda ha movimentato tutta la folta comunità curda, presente soprattutto in Germania, che si è mossa nel tentativo di impedire l’estradizione di quello che viene da loro visto come una delle figure di maggior rilievo e il punto di riferimento fondamentale della lotta contro i turchi. Dopo la vasta eco internazionale che nel ‘99 la vicenda ha avuto, il popolo curdo e la sua odissea sono nuovamente caduti nella dimenticanza.

L’eterna questione mediorientale

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f2/Bill_Clinton%2C_Yitzhak_Rabin%2C_Yasser_Arafat_at_the_White_House_1993-09-13.jpg" title=“Accordo di pace tra Clinton, Arafat e Rabin (Washington, 1993)” >}}

Per la questione mediorientale, una data molto importante è quella rappresentata dal giugno 1992 e dalle elezioni che segnano in Israele la vittoria dei laburisti e il ritorno al potere di Rabin, dopo che aveva detenuto la carica di primo ministro già a metà degli anni Settanta. Questi si contraddistingue per una decisa inversione di rotta rispetto alla linea dura praticata dal governo del Likud, e giunge l’anno successivo a una svolta di enorme rilevanza: il reciproco riconoscimento e un accordo preliminare con l’OLP. Il processo di pace viene bruscamente interrotto il 4 novembre 1995, quando un giovane estremista israeliano uccide lo stesso Rabin, alla fine di un comizio. Dopo alcuni mesi in cui il governo viene retto nuovamente da Peres, il 26 maggio 1996 le elezioni vedono la vittoria della destra, e la guida del governo passa a Benjamin Netanyahu, fautore di un ritorno alla linea dura nei confronti dei palestinesi. Il ritorno dei laburisti al potere nel 1999 con Barak non ha portato a miglioramenti nel processo di pace che, al contrario, ha visto il prevalere della violenza rispetto alla mediazione facendo svanire le speranze nate nel 1995.

L’inizio del processo di pace tra Israele e OLP avviato nel 1993 costituisce indubbiamente una svolta di enorme rilevanza storica. Dopo una serie di incontri segreti tenutisi a Oslo nei primi mesi dell’anno, il primo ministro israeliano Rabin e il leader dell’OLP Arafat giungono il 9 e il 10 settembre al reciproco riconoscimento. Tre giorni dopo, di fronte alle telecamere di tutto il mondo, siglano a Washington, con la mediazione degli Stati Uniti, e di Bill Clinton in particolar modo, un importante accordo di pace, con cui ognuno riconosce il diritto dell’altro ad avere uno stato indipendente e sovrano.

La “dichiarazione di principio su accordi transitori di autonomia” (questo il nome ufficiale del trattato) definisce i termini generali di un’autonomia di cinque anni nei territori occupati nel 1967, a cominciare dalla striscia di Gaza e dalla zona di Gerico in Cisgiordania. La mancanza di una chiara e precisa definizione dei confini territoriali e delle modalità dell’autonomia, inducono tuttavia a rinviare l’applicazione del trattato, inizialmente prevista per il 13 dicembre. Nel maggio successivo si insedia nelle zone di Gaza e Gerico la polizia palestinese, ma vengono rinviate tanto le elezioni dirette di un consiglio palestinese dell’autonomia, quanto il progressivo ritiro dell’esercito israeliano. La realizzazione degli accordi e la progressiva cessione dei poteri civili da parte dello Stato ebraico incontrano poi sempre maggiori difficoltà. Da un lato, la destra israeliana non vuole rinunciare ai territori occupati né riconoscere diritti e legittimità ai nemici storici; dall’altro, si intensificano le azioni dei gruppi palestinesi estremisti contrari all’operazione politica intrapresa da Arafat. La situazione è nuovamente sfuggita al controllo, alla fine del decennio, con l’ennesima esplosione di una guerra non dichiarata tra i due eterni contendenti.

La fine dell’apartheid

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/27/Bill-Clinton-with-Nelson-Mandela.jpg" title=“Nelson Mandela in visita negli Stati Uniti, con Bill Clinton” >}}

Nel quadro del continente africano, il Sudafrica emerge come un paese complesso, con una storia del tutto peculiare. Il vergognoso sistema dell’apartheid, fondato sulla segregazione razziale, è andato incontro alla contestazione sempre più vivace da parte della maggioranza nera e al boicottaggio in campo internazionale. “Free Nelson Mandela”, la battaglia per liberare il leader nero in carcere da oltre vent’anni, si è propagata nel mondo.

A dare contenuto politico alla protesta dei neri sudafricani è stato l’African National Congress. Il protagonista di questo cambio di rotta è Nelson Mandela. Nel 1961 fondò il braccio armato dell’ANC, la “lancia della nazione”, che compì numerosi attentati a Johannesburg. Mandela, che aveva già conosciuto più volte il carcere, fu definitivamente arrestato nel 1962 e condannato all’ergastolo. Diventa tuttavia il simbolo della lotta per l’abolizione dell’apartheid. In tutto il mondo prende vita un movimento d’opinione, sostenuto da intellettuali, politici, rockstar e sindacalisti, che chiede la liberazione di Mandela. Al suo fianco, pur se su posizioni nettamente più moderate, si schiera anche un coraggioso vescovo anglicano sudafricano, Desmond Tutu, al quale nel 1984 era stato assegnato il premio Nobel per la pace, proprio in virtù del suo impegno contro l’apartheid. Ma l’avvenimento che segna l’inversione di tendenza in Sudafrica sono le elezioni presidenziali del 7 settembre 1989, in cui viene eletto il nazionalista Friederik De Klerk. Consapevole dell’isolamento in cui il Sudafrica ormai si trova, e anche dell’insostenibilità economica del regime dell’apartheid, De Klerk annuncia di voler mettere fine alla segregazione razziale. Nel febbraio 1990 legalizza l’opposizione nera e l’ANC, e fa scarcerare Nelson Mandela dopo ventisette anni di prigionia. Quest’ultimo dichiara di rinunciare definitivamente alla lotta armata, il 7 agosto dello stesso anno. Ai due leader viene assegnato nell’ottobre 1993 il premio Nobel per la pace.

La dissoluzione del sistema dell’apartheid è veloce anche se non scevra di difficoltà. Dopo la liberazione di Mandela viene indetto un referendum per sottoporre all’approvazione popolare la nuova costituzione sudafricana. Il referendum viene rinviato fino al 1992, e ad avere diritto di voto sono ancora solo i bianchi. Ma le forze riformiste riescono ad avere la meglio e nel 1993 il Sudafrica si dota di una nuova costituzione che garantisce parità di diritti civili e politici a bianchi e neri. La situazione nel paese è tuttavia tesa: le vecchie élite bianche temono di subire la vendetta della maggioranza nera e sono restie a rinunciare ai privilegi acquisiti. Sul fronte opposto entrano in conflitto le diverse etnie nere degli xhosa e degli zulu. È proprio il Partito nazionalista zulu, Inkatha, ad assumere posizioni estremiste, contrarie al dialogo con gli uomini del vecchio regime. Sia Mandela che De Klerk devono fare numerosi sforzi per far procedere la via del negoziato e arginare chi cerca lo scontro. Le prime elezioni libere del Sudafrica, a cui partecipano anche i neri, si svolgono il 10 maggio del 1994. Ci sono numerose irregolarità e si avanza il sospetto di brogli, ma il risultato è inequivocabile. L’ANC di Mandela ottiene il 62% dei voti mentre il National Party di De Klerk deve accontentarsi del 20,3%. L’anziano leader, il cui prestigio attira sul Sudafrica l’attenzione e il sostegno di tutto il mondo democratico, diventa presidente della Repubblica, mentre il suo rivale viene poi nominato vice. Insieme cercano di portare alla normalità la convivenza tra bianchi e neri e di risolvere i problemi del nuovo Sudafrica, primo fra tutti la crisi economica che attanaglia il paese, anche a causa di mezzo secolo di apartheid.

Nel febbraio 1997 è stata approvata una nuova costituzione, che prevede la compartecipazione alla vita civile di tutte le minoranze. Nel 1999, in seguito alle elezioni del maggio che hanno riconfermato l’ANC come primo partito con la maggioranza assoluta dei voti, Mandela si è ritirato a vita privata lasciando a Thabo Mbeki la guida del paese.

Guerre civili e fondamentalismo. Il caso afgano e quello algerino

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b7/Afghan_Muja_crossing_from_Saohol_Sar_pass_in_Durand_border_region_of_Pakistan%2C_August_1985.png" title=“Guerriglieri talibani al confine pakistano” >}}

Il fondamentalismo islamico è un fenomeno che, nei suoi aspetti estremisti, legati spesso a violenza e ad atti terroristici, si afferma soprattutto in quest’ultimo decennio. In alcuni paesi, come l’Afghanistan e l’Algeria, il fondamentalismo ha assunto un ruolo così centrale da farne dei casi esemplari.

L’Afghanistan dopo il ritiro delle truppe sovietiche e l’inizio della guerra civile (1992) ha visto rafforzarsi nel 1994 la fazione dei taliban, il movimento fondamentalista sunnita degli “studenti del Corano”. I taliban, nel settembre del 1995, si sono impadroniti della città di Herat e sono arrivati alle porte della capitale afgana Kabul, sostenuti dal Pakistan. Per la loro intolleranza, rafforzata in seguito all’appello alla “jihad” (guerra santa) contro Kabul (3 aprile 1996), i taliban sono avversati da tutte le altre fazioni afgane. Ciononostante, grazie anche all’appoggio degli Stati Uniti, cinicamente interessati come il Pakistan alla costruzione di un oleodotto in Afghanistan al fine di emanciparsi dalla dipendenza da Teheran, Kabul è caduta senza opporre resistenza il 26 settembre 1996 permettendo ai taliban di assumere il potere. Si è così instaurato un regime strettamente integralista che ha stabilito l’obbligo per gli uomini di portare la barba e il divieto di lavorare e andare a scuola per le donne.

Il paese in cui negli ultimi anni con più drammaticità si è manifestato il fondamentalismo è l’Algeria. Nel 1992 il blocco elettorale e la successiva messa fuori legge del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) hanno portato il paese alla guerra civile. Nel 1995 i militari hanno assunto ufficialmente il potere grazie alle elezioni vinte dal presidente Liamine Zéroual. I militari hanno instaurato di fatto un regime autoritario e hanno cercato con tutte le loro forze di combattere contro il terrorismo islamico, in particolar modo cercando di sradicare dal territorio la sua ala più radicale, il Gruppo Islamico Armato (GIA). Simili tentativi non hanno tuttavia portato alla pacificazione del paese; vi è stata anzi una recrudescenza della spirale di violenza che insanguina l’Algeria, e che ha condotto negli ultimi anni a numerose stragi, soprattutto tra i civili. Il GIA ha poi rivendicato nell’estate del 1995 una serie di attentati che si sono susseguiti in Francia, nonché l’uccisione di sette monaci trappisti francesi, rapiti dal monastero di Notre-Dame de Atal a Tibeherine, nei pressi di Medea. Il GIA ha accusato, infatti, la Francia, di cui l’Algeria è stata a lungo colonia, di sostenere la giunta militare algerina. A tutt’oggi la soluzione della guerra civile in Algeria, così come la fine della violenza fondamentalista, sembra lontana.

Sotto un altro versante, la condanna a morte da parte dell’Iran dello scrittore Salman Rushdie, accusato di blasfemia in seguito alla pubblicazione del libro Versetti satanici, è l’ennesima forma dell’estremismo di un certo fondamentalismo islamico, incapace di avere un approccio tollerante sulle questioni religiose.

Le guerre africane e la crisi dell’ONU

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/db/Rwandan_Genocide_Murambi_skulls.jpg" title=“I teschi delle vittime del genocidio ruandese mostrano sfregi e segni di violenze” >}}

Infuria ancora la guerra del Golfo quando cominciano i disordini in Somalia. È il mese di gennaio del 1991 e si scontrano i guerriglieri del “Congresso dell’unità somala” e l’esercito di quello che fino ad allora è stato l’uomo forte del paese, Siad Barre. Il dittatore, al potere da ventisette anni, è costretto a riparare all’estero. Il regime cade ufficialmente il 27 gennaio. La situazione degenera e si apre una sanguinosa guerra tra bande: a novembre il conflitto coinvolge le truppe del generale Aidid e quelle del nuovo presidente Ali Mahdi.

La comunità internazionale assiste inerte al divampare degli scontri e delle violenze. Le popolazioni sono ridotte alla fame; i “signori della guerra” investono tutte le risorse a disposizione per acquistare le armi dai paesi occidentali. Sono gli Stati Uniti a egemonizzare l’iniziativa internazionale. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affida, infatti, agli americani la guida di una missione di pace (che fa capo alla forza multinazionale denominata Unosom) che dovrebbe disarmare e condurre alla mediazione le parti in lotta. L’operazione, denominata “Restore hope”, inizia il 12 agosto del 1992, e ad essa partecipa anche un contingente italiano.

Nell’estate del 1993 gli attacchi delle truppe del generale Aidid finiscono per coinvolgere anche i caschi blu e i soldati della forza di pace dell’ONU, facendo numerose vittime. La guerriglia continua ad oltranza e l’ONU, con l’abbandono della missione da parte delle truppe americane (il ritiro si completa il 2 marzo del 1995), è costretta a registrare un clamoroso fallimento. Si riesce, infatti, ad arginare il degrado, anche alimentare, in cui vivono i somali coinvolti, ma non a disarmare i contendenti e a far cessare le ostilità.

Sempre l’Africa e l’ONU sono coinvolte in un’altra sanguinosa guerra. Precari sono, all’inizio degli anni Novanta, gli equilibri nell’Africa centrale. Nella zona che comprende Ruanda, Burundi, Uganda e un’area periferica dello Zaire, si fronteggiano due etnie: gli hutu (i “corti”) e i tutsi (i “lunghi”). La situazione precipita il 6 aprile del 1994, quando in un incidente aereo restano uccisi i presidenti di Ruanda e Burundi. Gli estremisti hutu, in Ruanda, sferrano un’offensiva che porta allo sterminio metodico di migliaia di tutsi, e di hutu stessi che collaborano con il governo.

A sollecitare un intervento questa volta è la Francia, che nella zona ha esercitato da decenni una forte influenza: scatta l’operazione “Turquoise”, il cui obiettivo è proteggere le popolazioni hutu che si rifugiano nello Zaire, incalzate dai tutsi prevalenti in Uganda. Anche in Ruanda intanto i tutsi hanno la meglio, fatto che provoca l’aumento del numero di profughi che affollano il confine zairese. La situazione esplode. Nell’area in cui sono confinati, i profughi hutu instaurano un violento regime che minaccia la popolazione locale e i banyamulenge, la minoranza tutsi dello Zaire. Sono questi ultimi a ribellarsi, scatenando anche un’offensiva contro il governo centrale del dittatore Mobutu Sese Seko, dalla quale trae vantaggio uno storico oppositore del regime, Kabila, che assume in breve tempo la leadership nel paese. Nell’area si registrano atrocità e massacri senza precedenti. L’ONU è divisa: la Francia preme per un intervento; gli Stati Uniti invece non vogliono lasciarsi coinvolgere in un’impresa sfortunata come quella somala. Nel novembre del 1996 le Nazioni Unite autorizzano l’intervento militare per portare aiuti alle popolazioni civili hutu e separarle dai miliziani, che invece si cerca di disarmare. Viene anche inviata una forza multinazionale guidata dai canadesi e formata da americani e inglesi. Il conflitto tuttavia non si placa: è l’ennesima prova dell’inefficacia dell’ONU nella risoluzione degli eventi bellici di fine millennio.

L’Estremo Oriente tra sviluppo e crisi

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/14/Suharto_resigns.jpg/800px-Suharto_resigns.jpg" title=“Mr. Suharto, presidente ella repubblica indonesiana, rassegna le dimissioni (21 maggio 1998)” >}}

La storia del “miracolo orientale” non è stata del tutto positiva durante gli anni Novanta. Ai successi in campo economico dell’inizio del decennio non corrispondono miglioramenti sociali e politici. Il rispetto dei diritti umani e le garanzie democratiche sono ancora ampiamente insufficienti, mentre i vantaggi dello sviluppo non coinvolgono tutta la popolazione. L’aspra conflittualità sociale (prima studentesca e poi operaia) esplosa nell’autunno del 1996 in Corea del Sud non è altro che il più recente sintomo di questo squilibrio.

Nel corso del 1997 è iniziata una crisi economica, ma anche politica e sociale, che ha raggiunto il suo acme nel 1998 con rilevanti crolli borsistici, proseguiti inoltre negli anni seguenti. È sembrato essersi esaurito il lungo “miracolo economico”. In particolar modo in Giappone la crescita economica è stata quasi nulla, le esportazioni sono crollate e si è registrato, per la prima volta dopo decenni, un considerevole aumento della disoccupazione. L’eccessiva esposizione finanziaria di queste “economie giovani”, così come la crisi di modelli politici fondati sull’autoritarismo politico con accenti paternalistici (come nel caso dell’Indonesia), ha messo in discussione la rapida ascesa di questi paesi. Secondo molti economisti si tratta probabilmente soltanto di uno stop che permetterà di renderne più trasparenti le economie.

Tra comunismo e capitalismo: la Cina

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f1/Vladimir_Putin_with_Jiang_Zemin-1.jpg" title=“Jiang Zemin con Vladimir Putin” >}}

Grazie alla politica riformista adottata all’inizio degli anni Ottanta, la Cina si è trovata ad essere negli anni Novanta la più dinamica entità economica all’interno del continente asiatico. Hanno contribuito a creare questa situazione particolarmente fortunata il crollo dell’Unione Sovietica, nonché la rallentata espansione del Giappone, soprattutto sul piano industriale. Attualmente la Cina è, infatti, il terzo paese al mondo per reddito nazionale e ha potenzialità ancora del tutto inespresse. In particolare si è avuto un progressivo sviluppo nelle regioni costiere e nelle province meridionali del paese, le cosiddette “zone speciali”, aperte al libero mercato. L’annessione di Hong Kong, inoltre, lascia presagire un ulteriore rafforzamento economico.

Nonostante il nuovo corso, alcune caratteristiche proprie di tutti i paesi in cui il potere dello stato e del partito non ha lasciato spazio ad altre istanze politiche perdurano nella Cina degli anni Novanta; in primo luogo la corruzione, contro la quale afferma di voler combattere Jiang Zemin, Capo dello Stato e segretario del Partito comunista. In realtà, Zemin ha approfittato della lotta alla corruzione per eliminare alcuni oppositori, mostrando la faccia del fustigatore dei costumi. Oltre tutto sconfiggere la corruzione si è dimostrato molto arduo, per la sua presenza pressoché in tutti gli apparati dello stato, così da suscitare l’opposizione di molti dirigenti del partito.

Contemporaneamente Zemin ha dato un’ennesima stretta alla politica repressiva: il 13 dicembre 1995 uno dei più noti dissidenti cinesi, Wei Jingsheng è stato condannato per cospirazione contro il governo a quattordici anni di carcere. Molte sono state le esecuzioni di criminali e si sono rafforzati la censura e il controllo contro le attività religiose eterodosse.

La Cina è all’undicesimo posto in materia di scambi con l’estero, è cresciuta la produzione industriale, specie dell’industria leggera, e ugualmente quella agricola. Di grande importanza per comprendere lo sviluppo economico cinese sono gli investimenti di capitali esteri che sono continuati a crescere in questi ultimi anni. D’altra parte le riforme cosiddette “di struttura”, sempre annunciate e mai realizzate, continuano ad essere carenti e la maggior parte delle industrie è ancora di proprietà statale. Più volte è stata predetta una privatizzazione delle industrie, ma non è stato un fenomeno di grande peso, almeno per il momento. Questo fa prevedere difficoltà per il futuro dovute ad una gestione deficitaria, dal punto di vista dell’efficienza, delle industrie statali.

Sul piano internazionale, la Cina ha poi adottato un atteggiamento piuttosto aggressivo, accusando i paesi occidentali, e in particolar modo gli Stati Uniti di volere contrastare la sua crescita economica applicando forti dazi ai prodotti cinesi. La Cina vede inoltre con timore la concorrenza della produzione straniera nel campo dei beni di consumo. D’altra parte si rende conto di aver bisogno dell’Occidente, e di conseguenza tale aggressività finisce per avere più che altro un carattere dimostrativo.

Costume e Società

L’ambiente minacciato e “l’effetto serra”

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/69/Fiume_santo_power_station.jpg/640px-Fiume_santo_power_station.jpg" title=“La Centrale termoelettrica di Fiume Santo a Porto Torres” >}}

A distanza di qualche anno, Chernobyl costringe tutti a riconoscere che nessuno è al riparo da rischi e che le questioni ambientali in genere, e quella nucleare in particolare, non conoscono confini, assumendo un’importanza e una rilevanza nelle società contemporanee mai avute prima. Per questo, forti apprensioni hanno recentemente suscitato la decisione, assunta nel 1992 dal Parlamento ucraino, di riattivare i reattori 1 e 3 della centrale di Chernobyl, e la scelta della Francia di riprendere, nel 1995, gli esperimenti atomici presso l’atollo di Mururoa. Soprattutto, allo stato attuale, desta forti preoccupazioni il destino della grande quantità di materiale fissile presente nei depositi dei paesi ex URSS, destinata ad aumentare ulteriormente con lo smantellamento delle testate nucleari in applicazione dell’accordo Start I sulla riduzione degli armamenti.

Nel 1995 si sono avuti preoccupanti segnali di un cambiamento nel clima della terra. Inusuali ondate di caldo, infatti, hanno investito soprattutto vaste zone nordamericane, provocando la morte di numerose persone, mentre vari sono stati gli episodi di inaspettati distacchi di immensi blocchi di ghiaccio dalle banchise artiche. Tutto ciò sarebbe dovuto all’innalzamento della temperatura media della terra, causato dal cosiddetto “effetto serra”, ossia all’ipotesi, già avanzata nel 1960 dal climatologo sovietico Mikail Budyko, secondo la quale il nostro pianeta si starebbe riscaldando per l’eccessiva presenza nell’atmosfera di alcuni gas, tra cui principalmente l’anidride carbonica e i Cfc (i clorofluorocarburi di uso industriale, ritenuti responsabili anche del cosiddetto “buco dell’ozono”), in grado di assorbire e mantenere per lungo tempo le radiazioni termiche solari. Responsabili dell’incremento di CO2 sono l’aumento dei processi di combustione e il dissennato disboscamento delle zone verdi del pianeta: la biomassa, infatti, invece di “catturare” anidride carbonica, ne diviene una fonte se viene bruciata. La ritardata dispersione del calore, provocato dall’irraggiamento solare, provocherebbe così un innalzamento della temperatura media della superficie terrestre. Tutto ciò ha fatto aumentare in media la temperatura di circa 2°C, con conseguenze quali lo scioglimento di parte delle calotte polari e l’innalzamento del livello del mare. Si è calcolato che dal 1860 ad oggi la temperatura media della terra sarebbe cresciuta di 0,5 - 0,7 gradi centigradi. Se tale crescita, che ha subito una forte accelerazione nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, dovesse portare ad un ulteriore aumento di un grado, le conseguenze sarebbero devastanti: lo scioglimento dei ghiacci provocherebbe un innalzamento degli oceani di circa 65 centimetri con il conseguente allagamento delle pianure costiere e la scomparsa di interi paesi, la diminuzione delle riserve di acqua dolce, la recrudescenza di fenomeni meteorologici eccezionali come uragani, alluvioni, cicloni e, infine, siccità e crisi agricole catastrofiche.

Un esempio recente, giudicato da alcuni scienziati un effetto delle attività umane, è stato “El Niño”. Questo è un sistema di circolazioni atmosferiche osservato dal 1997, che ha l’effetto di riscaldare le acque tropicali del Pacifico, provocando forti perturbazioni climatiche con effetti catastrofici nelle Americhe.

L’“effetto serra” evidenzia come questione ambientale e questione energetica non siano altro che due aspetti dello stesso problema. Non a caso della questione si è occupato, nel 1992, il WEC (World Energy Council), mettendo in luce la stretta connessione tra i livelli futuri di emissione di anidride carbonica e quelli di consumo di fonti energetiche. Dall’assise è venuto il monito, rivolto soprattutto ai paesi industrializzati, a rivedere i propri modelli di sviluppo e le proprie politiche energetiche.

L’inquinamento dell’ecosfera

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/96/SmogNY.jpg" title=“New York completamente avvolta da una coltre di smog” >}}

L’estensione delle attività di trasformazione industriale delle risorse naturali, l’adozione generalizzata di tecniche agricole moderne, e l’aumento della popolazione mondiale, hanno portato ad un notevole aumento dell’inquinamento. Il rilascio di sostanze chimiche sotto forma di fumi industriali, di residui di lavorazione e di fertilizzanti agricoli ha prodotto un notevole deterioramento dell’ambiente. Il livello di contaminazione è aumentato ovunque, restringendo seriamente la disponibilità delle acque e dei suoli, e peggiorando la qualità dell’aria con gravi effetti sulla salute.

La contaminazione delle acque è causata tanto dall’inquinamento atmosferico quanto dagli scarichi dei residui delle società umane. L’inquinamento atmosferico produce le cosiddette “piogge acide”, cioè precipitazioni cariche di particelle inquinanti, assorbite nell’atmosfera e scaricate sul terreno, alterandone la composizione chimica, corrodendo i suoli e i monumenti e danneggiando estesamente le specie vegetali. Si tratta di un fenomeno assai esteso, che produce, però, effetti sostanzialmente reversibili. Assai più gravi sono i danni causati dallo scarico diretto, nel terreno o nelle vie d’acqua, di grandi quantità di agenti inquinanti, prodotti dai processi industriali, dall’attività agricola e dalle grandi concentrazioni urbane. Attraverso tali scarichi, il terreno e l’acqua assorbono notevoli quantità di metalli pesanti altamente tossici, sostanze minerali insolubili, fosfati, pesticidi e liquami di vario genere. L’effetto cumulativo dell’inquinamento, così prodotto, si manifesta sia nella contaminazione dei cibi prodotti per il consumo umano sia nell’alterazione degli equilibri ecologici. Ne sono un esempio le eutrofizzazioni dei grandi laghi americani, del Baltico e dell’Adriatico, che hanno modificato la fauna ittica, e le catastrofi ambientali seguite ai ripetuti incidenti che hanno coinvolto grandi petroliere oceaniche. Le attività delle industrie chimiche sono state anch’esse causa di notevoli danni, con alcuni picchi disastrosi.

Nel 1992, la conferenza sull’ambiente, svoltasi a Rio de Janeiro, ha costituito un primo tentativo di negoziare la limitazione delle attività inquinanti su scala internazionale, precisando politicamente il concetto di “sviluppo sostenibile”. Tuttavia, le indicazioni generali di Rio hanno avuto limitato effetto sulle politiche nazionali, e la più recente conferenza del 1997, a New York, non sembra avere prodotto risultati migliori. Gli ostacoli maggiori all’introduzione di serie misure di limitazione del danno ambientale provengono dai settori economici, che ne pagherebbero i costi diretti, e da molti paesi in via di sviluppo, che temono che una legislazione in tal senso ne rallenti la già precaria crescita economica.

La biodiversità

{{ < figure src=“https://c1.staticflickr.com/3/2312/2037098785_c81a855bf2_z.jpg?zz=1)

Cormorano ricoperto di petrolio

La biodiversità, cioè la varietà delle forme di vita sulla terra, è seriamente messa in pericolo dall’inquinamento e dalle attività umane. Benché la comprensione dei meccanismi che regolano nel lungo periodo i cicli di esistenza delle specie viventi sia ancora limitata, è indubbio che la scomparsa di molte forme di vita sia causata dall’uomo e, principalmente, dalla distruzione degli habitat naturali. Tale processo ha subito una forte accelerazione negli ultimi decenni, in concomitanza con l’esplosione demografica e l’estensione dei sistemi industriali. Il ritmo odierno di estinzione delle razze è probabilmente pari alla scomparsa giornaliera di un numero di specie compreso tra 50 e 100, più di quante non ne scomparissero precedentemente in cento anni. Ciò porta a gravi conseguenze sotto il profilo ecologico non ancora ben comprese dalla gran parte dell’opinione pubblica. Il problema della difesa della biodiversità, infatti, non riguarda solo l’etica del comportamento e il rispetto per le forme di vita diverse dall’uomo; esso riveste anche grande importanza nel mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema, nel quale viviamo. Il cambiamento e la diversità (genetica e di funzionalità in ambito di un determinato ecosistema) sono, infatti, alla base dell’esistenza della vita sulla terra. Non si tratta, quindi, tanto di simpatizzare con le specie animali, o di deplorare la scomparsa di specie vegetali, quanto di comprendere l’importanza delle forme di vita più microscopiche, come i batteri e gli altri microrganismi, che costituiscono la base della piramide biologica dell’intero pianeta. Essi hanno un ruolo essenziale persino nel mantenimento degli equilibri climatici, come è il caso delle barriere coralline del Pacifico, che mostrano attualmente segni preoccupanti di deterioramento irreversibile. L’esistenza degli elementi più disparati, che compongono l’equilibrio ecologico in grado di permettere la sopravvivenza dell’uomo, altera, anche se in modo impercettibile l’equilibrio stesso. A rischio non è la sopravvivenza del pianeta, ma la stabilità delle condizioni che guidano la nostra vita associata.

I mutamenti climatici e la diminuzione dello strato di ozono

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f3/Antarcitc_ozone_layer_2006_09_24.jpg/600px-Antarcitc_ozone_layer_2006_09_24.jpg" title=“Il buco nell’ozono” >}}

E’ stato dimostrato che l’uomo è largamente responsabile di fenomeni specifici, come l’avanzamento del deserto, dovuto in gran parte all’estensione delle coltivazioni intensive, e il mutamento del regime delle precipitazioni atmosferiche, sicuramente collegato alla deforestazione. Negli ultimi anni, la fascia di ozono che protegge il globo dai raggi ultravioletti si va rapidamente riducendo, esponendo il pianeta a variazioni climatiche dalle conseguenze imprevedibili. Quello che sappiamo sul clima conferma come l’ecosistema terrestre si fondi su un equilibrio delicato, che rispecchia l’interazione di tutti i fattori; come si afferma nell’ambito della scienza ecologica, il battito di un’ala di farfalla può provocare un uragano.

La diminuzione dello strato di ozono stratosferico, per effetto di sostanze emesse dall’uomo, fu prevista dagli scienziati negli anni Settanta e si è, in effetti, verificata, con gravi rischi per la salute delle specie viventi sulla terra. Le misurazioni effettuate negli anni Novanta hanno confermato un danno assai esteso, che ha imposto l’adozione di comportamenti prudenziali nell’esposizione solare nei paesi del continente australe. L’ozono stratosferico, situato in una fascia tra i 15 e i 40 km di altitudine, svolge, infatti, una funzione essenziale di schermo ai raggi ultravioletti, la cui dannosità potenziale a carico del patrimonio genetico è ben nota. Principali responsabili del danno all’ozono stratosferico sono i clorofluorocarburi, estesamente utilizzati nelle bombolette spray, nei sistemi di refrigerazione e nella fabbricazione delle materie plastiche espanse. Alla fine della guerra mondiale, il loro impiego era pressoché nullo, ma, nel 1974, la quantità emessa nell’atmosfera superava le 400.000 tonnellate. L’impegno della comunità internazionale a ridurre il loro impiego, nonostante l’opposizione di alcuni paesi in via di sviluppo, è stato uno dei primi provvedimenti adottati su larga scala per limitare i danni ambientali. Alla fine del secolo, tali emissioni sono state più che dimezzate, e se ne prevede un’ulteriore riduzione nei prossimi anni.

Il razzismo europeo

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/16/Skinhead88_graffiti_in_Turin.jpg/800px-Skinhead88_graffiti_in_Turin.jpg" title=“Graffito skinhead” >}}

Nell’ultimo decennio il razzismo è stato profondamente legato alle trasformazioni culturali e sociali che hanno caratterizzato lo sviluppo delle società occidentali. Nell’Europa centrale e orientale postcomunista sono sorti movimenti neonazisti che hanno trovato un punto di riferimento culturale nel cosiddetto revisionismo storico, che, nelle sue punte estreme, nega l’esistenza stessa del genocidio del popolo ebraico da parte dei nazisti.

La diffusione di ideologie razziste e xenofobe e la presenza di forme di organizzazione politica (o di semplici comportamenti e atteggiamenti) animate da sentimenti razzisti, possono essere considerate delle costanti nella storia dell’Europa moderna; in forme nuove e particolari, sono ampiamente riscontrabili anche nel corso della storia del XX secolo, pur con fondamentali differenze caso per caso e periodo per periodo. Di recente il razzismo, sia sul piano politico-ideologico che in una prospettiva di analisi dei comportamenti collettivi, è stato veicolato e proposto secondo forme e caratteristiche nuove, legate alle trasformazioni culturali e sociali che hanno caratterizzato lo sviluppo del mondo occidentale.

In una situazione in cui i singoli stati nazionali vanno perdendo la propria sovranità economica di fronte ai processi di globalizzazione, la crescita dell’immigrazione extracomunitaria, con le contraddizioni e le novità che l’hanno caratterizzata, costringe, oggi, la società occidentale a rivedere in maniera inedita la nozione di cittadinanza, in altre parole le garanzie sociali e i diritti di partecipazione politica. Questa è sicuramente una delle principali ragioni del diffondersi del razzismo.

Lo sviluppo di diverse forme di fondamentalismo e integralismo religioso e culturale, il disagio sociale di tante realtà periferiche e marginali orientate a cercare nel “diverso” la causa del proprio malessere, rappresentano inoltre alcune delle cause della rinascita di sentimenti e movimenti di tipo razzista. Accanto a questo, non si possono dimenticare il generale disorientamento politico-culturale causato dalla dissoluzione dei vecchi equilibri ideologici e politici, la confluenza nei movimenti dell’estrema destra di diverse tendenze culturali e politiche, la riscoperta di identità locali parallelamente allo sviluppo dei processi di interdipendenza. Anche questi sono stati alcuni dei mezzi che hanno portato alla definizione e alla diffusione dei nuovi razzismi, tutti incentrati, in linea generale, sulla protezione, anche violenta, di identità etniche, religiose o nazionali da presunte contaminazioni esterne, e sul contrasto e la diffidenza verso ogni forma di “diversità”.

Negli anni ‘90 i movimenti politici di ispirazione neonazista (legate in molti casi alle organizzazioni internazionali di copertura dei criminali nazisti ancora attive) hanno incentrato le proprie mobilitazioni su azioni di violenza organizzata contro immigrati extracomunitari o organizzazioni politiche e sindacali di sinistra. Queste organizzazioni si appellano a presunti “valori tradizionali” di sacralità, ruralità e comunità, riproponendo direttamente anche con episodi di violenza, l’antisemitismo. I gruppi neonazisti si sono diffusi principalmente negli Stati dell’Europa centrale, come Olanda, Germania, Austria, Danimarca e Polonia, e, in misura minore, in Francia, Gran Bretagna e Italia. Ramificatisi anche attraverso le reti telematiche e gruppi e movimenti musicali, i neonazisti individuano il loro nemico principale, oltre che negli ebrei, nella popolazione immigrata, accusata di corruzione e contaminazione della cultura e della società occidentale e ripetutamente vittima di attacchi e aggressioni, in alcuni casi mortali. Il fenomeno desta molta preoccupazione dal momento che esponenti di movimenti a carattere neonazista hanno ottenuto discreti successi elettorali, soprattutto in occasione di elezioni locali e amministrative in Austria e in Germania. Queste formazioni sono riuscite a catalizzare varie forme di malessere e malcontento della popolazione; i gruppi neonazisti sono ad esempio molti forti nelle città dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, penalizzate economicamente dall’unificazione della Germania.

I flussi migratori

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9b/Profughi_della_Vlora_in_banchina_a_Bari_8_agosto_1991.jpg/800px-Profughi_della_Vlora_in_banchina_a_Bari_8_agosto_1991.jpg" title=“La Vlora attraccata al molo di levante del porto di Bari, piena di migranti albanesi” >}}

Nel corso degli ultimi anni l’intensità e la diffusione dei fenomeni migratori hanno contribuito allo sviluppo di processi di trasformazione culturale, sociale ed economica sia nelle molte aree investite dalle migrazioni, sia nelle zone dalle quali, per le più diverse motivazioni politiche ed economiche, gli immigrati sono partiti.

In molti stati dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti (la nazione “degli immigrati” per eccellenza), nel corso dell’ultimo quindicennio, si è progressivamente definito un contesto di convivenza multirazziale, caratterizzato dalla presenza sempre più massiccia di comunità di immigrati provenienti dai paesi in via di sviluppo del sud del mondo (in seguito all’apertura delle frontiere agli inizi degli anni ‘90, anche dall’Europa orientale ex comunista), portatori di culture, forme di socialità e comunità profondamente diversi da quelli prevalenti nell’area europeo-occidentale. Con lo sviluppo dei fenomeni migratori si è quindi diffuso e affermato un modello di società multietnica, caratterizzato dalla sovrapposizione e dal mescolamento di culture (che gli americani chiamano “melting pot”) e dal progressivo inserimento degli stranieri nel contesto economico delle realtà di immigrazione (all’inizio, generalmente in settori di manodopera poco specializzata o manovalanza). Un modello di società, contraddistinto anche, in molti casi, dalla collocazione dei “nuovi arrivati” in una condizione di esclusione e marginalità e dalla diffusione di vere e proprie “reti” di comunicazione e socializzazione basate sulla condivisione di culture, religioni, tradizioni caratteristiche di popolazioni africane, sudamericane e asiatiche. Il “melting pot” comporta una doppia tendenza coincidente, molto evidente già da alcuni decenni negli USA e in rapida diffusione in Europa occidentale: una spinta all’integrazione degli immigrati nel contesto economico, sociale e culturale dei paesi di accoglienza, e una tendenza alla formazione di comunità e realtà marginali di minoranze, costruite sulla diversità etnica, religiosa o culturale rispetto al quadro sociale dominante.

L’emigrazione è da collegarsi strettamente alla situazione di difficoltà nel processo di sviluppo e arretratezza in molti paesi di Africa, Asia e Sudamerica. La scelta dell’emigrazione avviene nella maggior parte dei casi per ragioni di necessità economica, a causa delle ristrettezze del mercato del lavoro di molti stati e per un vero e proprio bisogno di sussistenza; non mancano tuttavia gruppi rilevanti di emigranti fuggiti dai loro paesi per la presenza di guerre, rivolgimenti militari, invasioni di eserciti stranieri, molto frequenti nelle aree di instabilità politica del Terzo Mondo. Se fino ad alcuni decenni fa l’emigrazione, almeno in dimensioni massicce, era circoscritta all’interno di rapporti tra stati ex coloniali ed ex colonizzati (è il caso ad esempio di Francia, Gran Bretagna, Spagna), nell’ultimo decennio ha interessato, indistintamente, tutti i paesi industrializzati.

In Europa, si tratta di un flusso che raggiunge in primo luogo la Germania, ma che investe visibilmente anche l’Italia con frequenti arrivi dall’altra sponda dell’Adriatico, come nel 1991 quando più di 20.00 albanesi sbarcano sulle coste italiane. Un’ulteriore corrente è quella che dai paesi dell’Africa nera e dalla costa meridionale del Mediterraneo raggiunge l’Europa passando per l’Italia, alla ricerca di occupazione e ricchezza. I diversi flussi migratori si caratterizzano per la diversità delle forme di approccio e integrazione nei paesi occidentali e per le strategie adottate dalle comunità al fine di costruire il proprio percorso migratorio. Si definiscono così specifiche qualità di tipo lavorativo: i filippini sono particolarmente occupati nel lavoro domestico, i senegalesi nel commercio ambulante, i pakistani nel commercio al dettaglio, polacchi e rumeni nella manovalanza nel settore edilizio, ecc. Si articolano variamente inoltre le forme di insediamento e di aggregazione in determinati quartieri delle città di immigrazione; si stabiliscono specifici rapporti con le amministrazioni e le diverse legislazioni; si instaurano collegamenti con i paesi d’origine. Si tratta di fenomeni complessi e difficilmente documentabili con statistiche precise, data la condizione di clandestinità di molti immigrati, ma che hanno profondamente inciso sulla vita politica dei paesi di immigrazione. Alla fine del ‘900, in quasi tutti gli stati europei si sono dovute affrontare “politiche dell’accoglienza”, sono sorti movimenti per la chiusura delle frontiere e l’aumento dei controlli sugli arrivi, si sono innescati fenomeni di tipo xenofobo e vari movimenti antirazzisti.

Tra emarginati e “melting pot”: la Francia multietnica

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/d/d6/Nazionale_di_calcio_della_Francia%2C_Napoli%2C_1994.jpg/800px-Nazionale_di_calcio_della_Francia%2C_Napoli%2C_1994.jpg)

_La Nazionale francese nel 1994” >}}

Molti sono stati i cambiamenti che hanno caratterizzato la società francese in questi ultimi anni. Senza dubbio il più significativo è stato la massiccia immigrazione sia dalle ex colonie francesi (in particolare dall’Algeria) sia, più in generale, da tutti i paesi africani. Questo fenomeno ha assunto proporzioni così massicce da far diventare la società francese una società effettivamente multirazziale. Se da una parte i nuovi arrivati hanno sostituito i francesi in una serie di occupazioni umili, che questi ultimi non avevano più intenzione di svolgere, dall’altra la crisi occupazionale ha fatto concentrare sugli immigrati l’ostilità di una parte della popolazione che ha trovato nel Fronte nazionale di Le Pen il suo più fedele rappresentante.

Nei primi anni ‘90 suscita grande preoccupazione l’avanzata elettorale (fino al 15%) del Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen, nonostante che il suo leader incontrastato si faccia portavoce di idee filonaziste, antisemite e xenofobe e definendo le camere a gas naziste un “dettaglio della storia”. La sua ostilità nei confronti dei neri lo porta ad assumere posizioni spesso impopolari, come nel 1991 quando in occasione della vittoria francese della Coppa Davis di tennis dichiara vergognoso che la squadra francese sia diretta da un africano, il tennista di origine camerunese Yannick Noah. Ma negli ultimi anni il FN ha perso molti consensi, in parte a causa della ripresa economica, in parte grazie ad un avvenimento sportivo, come la vittoria della Coppa del mondo ai Mondiali del 1998 giocati in Francia. Nella formazione transalpina giocano, infatti, diversi calciatori originari delle ex colonie o figli di emigrati: Thuram, Desailly, Zidane, Djorkaeff, Lizarazu.

Particolarmente difficile è la situazione nelle periferie (banlieux) delle grandi città, che hanno visto esasperarsi le tensioni sociali anche fra le diverse etnie presenti sul territorio. La stessa sinistra, che pure ha sempre denunciato la xenofobia e il razzismo, dopo il successo del Fronte Nazionale ha modificato la legge sull’immigrazione. In alcuni momenti la situazione è giunta all’esasperazione, come nel 1995 quando i cosiddetti sans papier, cioè gli immigrati che non erano in possesso di un regolare permesso di soggiorno, sono stati costretti a lasciare il paese. In quell’occasione un gruppo di essi ha occupato alcuni edifici a Parigi. Lo sgombero delle occupazioni da parte della polizia ha suscitato la protesta anche di molti intellettuali ed esponenti del mondo dello spettacolo.

La difficile situazione delle periferie ha innescato anche altri fenomeni di protesta sociale, come quello dei casseurs, giovani senza lavoro ed emarginati, che infiltrandosi nelle manifestazioni degli studenti, hanno distrutto in più occasioni macchine, vetrine dei negozi e saccheggiato i negozi stessi. Infatti, anche gli studenti francesi, sia liceali che universitari, hanno espresso, nel corso di quest’ultimo decennio, un forte disagio e sono scesi più volte in piazza per protestare contro i pochi finanziamenti pubblici destinati alle scuole.

La criminalità organizzata

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/bb/Cigarettes_hidden_in_a_concrete_block_BA1.jpg/800px-Cigarettes_hidden_in_a_concrete_block_BA1.jpg" title=“Carico di sigarette cinesi di contrabbando nascosto in un blocco di cemento” >}}

Il problema della criminalità organizzata è uno dei più gravi della società contemporanea. Le mafie non sono più realtà che si muovono a livello locale o nazionale, ma sono diventate delle grandi multinazionali del crimine con ramificazioni nell’ambiente finanziario. Esse prosperano soprattutto attraverso il controllo del narcotraffico. La produzione di oppiacei è diffusa, infatti, in molte aree del mondo, ma specialmente in Asia, nella zona del cosiddetto triangolo d’oro.

Negli ultimi venticinque anni le organizzazioni criminali hanno attraversato varie fasi di trasformazione e sviluppo, che hanno progressivamente contribuito a rendere sempre più fitta e articolata la trama delle relazioni nazionali e internazionali basate su attività illegali. Sinteticamente si possono individuare due filoni che hanno caratterizzato lo sviluppo di reti internazionali di organizzazioni criminali: il commercio della droga e il traffico illegale di armi.

Nell’articolazione e nell’attività delle mafie internazionali una cesura fondamentale è rappresentata dalla dissoluzione dei regimi comunisti nell’Europa orientale, che, parallelamente al dilagare del processo di frammentazione geografica ed economica dell’intera area eurasiatica, ha aperto molte strade e nuovi canali alla criminalità internazionale. La guerra nella ex Jugoslavia è stata, ad esempio, un’occasione di sviluppo eccezionale per le attività illegali ed è stata la base per la definizione di rapporti ed equilibri nuovi tra le mafie orientali e occidentali. Analogamente, l’intera zona dell’ex URSS, in particolar modo le città (Mosca ad esempio), è diventata terreno di conquista e insediamento per moltissimi clan.

Le organizzazioni criminali hanno ampliato, soprattutto nell’ultimo decennio, le forme e le aree di riferimento delle loro attività. Hanno intensificato la propria presenza internazionale, come nel caso dell’area del Mediterraneo, grazie all’organizzazione dell’immigrazione clandestina dai paesi del sud del mondo o grazie all’introduzione di nuove sostanze stupefacenti sui mercati occidentali. E’ importante sottolineare come nell’ultimo decennio lo sviluppo degli additivi chimici alle droghe abbia comportato delle modifiche nell’organizzazione mondiale del narcotraffico: da un lato, si sono diffuse nei paesi occidentali sostanze stupefacenti più a buon mercato e di qualità sempre peggiore (è il caso del “crack”, ricavato dalla cocaina); dall’altro, la raffinazione e le varie fasi di lavorazione della droga tendono ad avvenire direttamente nei paesi produttori.

Le mafie internazionali appaiono sempre più come autentiche multinazionali della criminalità, con complicità nelle istituzioni economiche e politiche nazionali e internazionali. Le organizzazioni criminali si muovono ormai, in molti casi, su di un filo sottile che sta tra la legalità e l’illegalità.

L’incubo della pedofilia

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/6b/Maison_Marc_Dutroux_-_Avenue_Philippeville_128%2C_Marcinelle_-_murals.jpg/800px-Maison_Marc_Dutroux_-_Avenue_Philippeville_128%2C_Marcinelle_-_murals.jpg" title=“Scritte sui muri davanti l’abitazione di Dutrux” >}}

Il tema arriva all’attenzione dei mass media e dei governi dopo una serie sconcertante di episodi che costellano le cronache nazionali in tutti gli anni ‘90. Nel febbraio del 1992 a Rio de Janeiro viene arrestato Marcelo Costa Adrade. Confessa quattordici omicidi di piccoli mendicanti: dava loro l’elemosina, li baciava, li uccideva e ne beveva il sangue. Nel settembre dell’anno successivo a Parigi finisce in manette Nordine El Kheir, un immigrato maghrebino accusato di aver stuprato undici bambine che aveva adescato offrendo loro caramelle. A Siviglia, in Spagna, il 4 marzo del 1994 viene arrestato il rampollo di una nobile casata iberica, Rafael Medina: è colto in flagranza mentre molesta una bambina che ha fatto rapire da due prostitute. Lo scandalo si allarga a macchia d’olio fino a far venire allo scoperto un giro di pedofili nell’alta società spagnola.

Il fatto più sconcertante risale all’autunno del 1996. In Belgio finisce agli arresti Marc Dutroux, accusato di aver ucciso due bambine dopo aver abusato di loro. Nella sua abitazione la polizia trova videocassette pornografiche che hanno come protagonisti bambini. Si scopre anche una rete di connivenze con il “pedofilo di Marcinelle”, che finiscono per coinvolgere numerose alte autorità dello stato. L’indignazione è generale: il 20 ottobre in 300.000 scendono in piazza a Bruxelles con i palloncini bianchi per protestare contro la pedofilia. La campagna contro gli abusi sessuali sui minori porta la discussione non solo sui giornali e nei tribunali, ma anche nelle aule parlamentari. Numerosi paesi europei si dotano di normative severe sulla sessualità dei bambini. Ma i casi continuano e la repressione si trasforma talvolta in caccia alle streghe: diverse accuse di presunta pedofilia, soprattutto nell’ambito familiare, si rivelano infondate.

Le vacanze tra sesso e salute

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/0b/197306_aruba_naturalbridge.jpg/800px-197306_aruba_naturalbridge.jpg" title=“Ponte naturale ad Aruba” >}}

L’incremento del turismo di massa sembra non conoscere alcuna sorta di crisi. Secondo alcune statistiche internazionali (fonte: OMT), gli arrivi alle frontiere nel 1950 furono poco più di 25 milioni, 69 milioni nel 1960, 166 milioni nel 1970, 286 milioni nel 1980 e 459 milioni nel 1990. Era una tendenza ascendente che sarebbe proseguita (567 milioni di arrivi nel 1995) e che riguarda in primo luogo paesi come la Francia (61 milioni di arrivi nel 1995), gli Stati Uniti e la Spagna (45 milioni), e anche l’Italia (29 milioni).

Alle classiche vacanze, estive o invernali, verso luoghi d’arte o paesaggistici, negli anni ‘90 prendono piede e si sviluppano nuovi generi: quello, cosiddetto, a luci rosse e quello della salute. Dall’Europa e dagli USA partono migliaia di uomini in cerca di avventure erotiche a pagamento nei paesi sottosviluppati. I viaggi sono spesso collettivi e organizzati dalle compagnie di viaggio. Tra le mete più ambite i paesi dell’Est europeo, l’Estremo Oriente, Cuba e l’America Latina dove la crisi economica e la povertà fanno aumentare in modo vertiginoso la prostituzione, anche minorile.

Gli ultimissimi anni vedono in crescita le vacanze-salute, una sorta di paradosso dell’era del consumismo. Dopo un anno passato sotto stress, i facoltosi uomini d’affari occidentali si chiudono per due o tre settimane in lussuose cliniche della Mitteleuropa e di conosciute località turistiche. Approfittano per perdere i chili di troppo, o per curare i malanni accumulati o, ancora, per sottoporsi a interventi di chirurgia estetica. Vicino a questo genere, ma indirizzato anche ai giovani e a chi dispone, in generale, di somme più basse, si sono sviluppati gli agriturismo: in amene località di campagna, ma non solo, il turista trova un’oasi di pace dove compiere sport immerso nella natura e dove ristorarsi con cibi genuini e prodotti locali.

Il cellulare

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/b5/Collection_of_old_phones_and_PDA-BlackBerry.jpg/597px-Collection_of_old_phones_and_PDA-BlackBerry.jpg" title=“Il primo palmare Blackberry” >}}

Gli anni ‘90 vedono la nascita e la diffusione di un nuovo strumento tecnologico, divenuto ormai un must: il telefono cellulare, o telefonino. Più che strumento utile si configura come il nuovo status symbol di questi anni cambiando radicalmente alcune abitudini della popolazione: ad esempio, le forme di comunicazione orale, a cominciare dalla classica risposta allo squillo passata da “come stai?” a “dove sei?”. Il primo modello di telefono cellulare, vale a dire in grado di trasmettere il segnale senza passare attraverso la linea a terra, viene testato nel 1978. Nella seconda metà degli anni Ottanta i telefonini cominciano ad essere prodotti e commercializzati. In Italia sono messi in vendita nel 1990. Vanno praticamente a ruba: nel breve volgere di pochissimi anni il cellulare diventa prima uno status symbol poi, a causa dell’enorme calo dei costi, uno strumento di comunicazione a disposizione di tutti. Oggi il mercato mondiale della telefonia supera il volume di affari di un milione di miliardi l’anno; il 15% di questa somma riguarda i cellulari. Nel lasso di tempo tra il 1994 e il 1997 il numero di abbonati quasi triplica, passando da 55 a 133 milioni. Secondo una stima fatta alcuni anni fa, basata sui 9 milioni di utenti del ‘97, gli abbonati del 2000 dovevano essere circa 15 milioni. La previsione si è rivelata completamente errata, come tutte le altre, poiché nel 2000 gli utenti sono oltre 30 milioni. In alcune aree addirittura la telefonia mobile si rivela più diffusa e conveniente di quella fissa. In Cambogia il 60% di coloro che hanno un telefono, utilizza un cellulare, in Libano il 30%, nelle Filippine il 25%. Il business dei telefonini è tra i più vantaggiosi di fine secolo. Per questo vi si avventano i più grandi gruppi industriali e finanziari, che si fanno la guerra per ottenere la concessione e installare le antenne (delle quali da più parti, fra l’altro, si denuncia la pericolosità a causa delle onde elettromagnetiche emesse) e distribuire gli apparecchi. Aumenta, al contempo, l’evoluzione tecnologica. I nuovi telefoni cellulari sono di dimensioni sempre più ridotte, sono sempre più potenti e ricchi di accessori: dalla segreteria telefonica ai messaggi scritti SMS, dal fax alla possibilità di collegarsi a Internet e, ben presto, di uno schermo visivo.

Lady D

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/cc/%D0%9C%D0%B5%D0%B6%D0%B4%D1%83%D0%BD%D0%B0%D1%80%D0%BE%D0%B4%D0%BD%D0%B0%D1%8F_%D0%9B%D0%B5%D0%BE%D0%BD%D0%B0%D1%80%D0%B4%D0%BE-%D0%BF%D1%80%D0%B5%D0%BC%D0%B8%D1%8F_18.jpg/435px-%D0%9C%D0%B5%D0%B6%D0%B4%D1%83%D0%BD%D0%B0%D1%80%D0%BE%D0%B4%D0%BD%D0%B0%D1%8F_%D0%9B%D0%B5%D0%BE%D0%BD%D0%B0%D1%80%D0%B4%D0%BE-%D0%BF%D1%80%D0%B5%D0%BC%D0%B8%D1%8F_18.jpg" title=“Principessa Diana, 1995” >}}

Lady Diana Spencer muore la notte del 31 agosto 1997. La Mercedes a bordo della quale viaggiava insieme al suo compagno Dodi Al Fayed, braccata dai paparazzi, si schianta lungo una strada del centro di Parigi. Nessuno dei due amanti riesce a salvarsi e Diana diventa oggetto di venerazione. I funerali sono seguiti in diretta da milioni di telespettatori in tutto il mondo; i giornali sprecano pagine e inserti speciali per ricordare la figura della principessa sfortunata e filantropa. La storia mediatica di Diana Spencer comincia, però, sedici anni prima. Il 29 luglio 1981, ovviamente in mondovisione, sposa il principe Carlo, erede al trono di Inghilterra. Il “matrimonio del secolo” fa parlare di sé tutto il mondo. Diana riesce immediatamente ad attirare l’attenzione dei media e l’affetto dei cittadini inglesi. Non ha ancora compiuto vent’anni ma riesce ad accattivarsi l’attenzione delle cronache mondane. Il matrimonio non è tuttavia felice, anche se dà loro due figli, William ed Henry: troppo legato alla tradizione essenziale e un po’ inamidata di casa Windsor, Carlo; esuberante e desiderosa di vita, Diana. Nel 1984, dopo la nascita del secondogenito, il matrimonio con Carlo comincia ad entrare in crisi. Diana si mostra sempre più insofferente, mentre Carlo appare invece troppo legato al ruolo di futuro monarca. Cominciano i tradimenti, dapprima insinuati dai giornali scandalistici, infine ammessi apertamente dai due coniugi (nel caso di Diana, in una celebre intervista televisiva alla BBC nel ‘95). Nel 1992 il primo ministro Major annuncia al Parlamento che Carlo e Diana si stanno separando e nel corso dell’anno il giornalista scandalistico, “esperto” sulla famiglia reale inglese, Andrew Morton pubblica il libro Diana: Her True Story, nel quale rivela dettagli drammatici sul menage familiare dei principi di Galles. Le loro vicende si intrecciano con quelle dell’altra coppia della casa reale: il figlio minore della regina Elisabetta, Andrea, e la moglie Sarah Ferguson. Entrambi i matrimoni sono destinati a fallire. Ottenuto il divorzio nel ‘96, Diana, ormai detestata dalla casa reale ma amata dalla gente d’Inghilterra, si impegna a fondo per grandi cause umanitarie, dai giovani senza tetto londinesi alla lotta contro le mine antiuomo. Frequenta le palestre e veste abiti alla moda. Grazie alla sua abilità nel gestire i media, riesce a mettere in ombra l’ex marito, che comunque è destinato a diventare re d’Inghilterra. Negli ultimi mesi della sua vita, la storia d’amore con il miliardario di origini arabe Dodi Al Fayed viene tormentata dalla morbosa attenzione dei mass media. Una foto dei due che si baciano fa la fortuna del fotografo che l’ha scattata. Dopo la sua morte in tutto il mondo si apre un dibattito sul ruolo dell’informazione e sul rispetto della privacy. Il primo ministro laburista Tony Blair alla notizia della morte commenta: “E’ stata la principessa della gente”.

Il trionfo del minimalismo nella moda

{{ < figure src=“https://i.pinimg.com/736x/73/3f/3e/733f3ef38329b894ffb4705f77c451da---beverly-hills-fashion-jason-priestley.jpg" title=“Il cast della celeberrima serie TV \“Beverly Hills 90210\” incarna perfettamente la moda anni ‘90” >}}

A metà degli anni Ottanta, in contrasto con la moda delle “passerelle” milanesi e parigine, ormai aridamente incentrata su continui revival, fiorisce una moda assolutamente eccentrica rispetto alle grandi firme classiche e al perbenismo imperante. Una delle piazze più creative, in tal senso, si rivela Londra, percorsa com’è da una forte ventata di rinascita musicale neo-pop e artistica. Qui, fra le altre, emerge la figura di Katharin Hammet, le cui enormi magliette di seta bollita, semplici e rivoluzionarie insieme, sulle quali sono stampati a caratteri cubitali messaggi di pace (“Stop War”, “No Drug”, “Save the Life”), raccolgono grande popolarità. Queste nuove mode, che moltiplicano e stravolgono i codici di riconoscimento e gli oggetti del desiderio, cercano di rispondere ecletticamente ai canoni estetici di ciascuno dei gruppi sociali e culturali in cui si è frammentata la società. Un posto importante lo occupano i riferimenti etnici, a testimonianza di quanto forte sia il desiderio di svincolarsi da ogni condizionamento e attingere a piene mani dalla ricchezza di tutto il mondo. Perfettamente in linea si pone il movimento rucup chic che nasce a Parigi per iniziativa dello stilista africano Lamine Kouyatù, il quale nella sua Funkin Fashion mescola capi di saldo e del mercato delle pulci con virtuosismi orientali, come i tessuti leggeri e trasparenti delle donne del Rajastan. Sono soprattutto i giovani ad essere influenzati da queste nuove tendenze, dal momento che le più incisive arrivano proprio dalla “strada”; o meglio dall’effervescente mix che si scatena tra moda, costume, movimenti sociali, film, libri e musica. E’ il caso, ad esempio, dell’improvviso successo degli abiti dello stilista tedesco Hugo Boss, asceso fulmineamente alla notorietà nel 1986, grazie all’apparizione del suo nome su di una maglietta indossata da Sylvester Stallone in Rocky IV. E’ il caso anche delle cosiddette “nasty girls”, ragazze tra l’etereo, il morboso e il punk, un fenomeno esploso nel 1993 sull’onda del successo di Tilda Swinton nel film Orlando.

I trend più recenti sono quelli dei cosiddetti “techno-bohémien” (innamorati di multimedialità e della rivista “Wired”, e caratterizzati da un abbigliamento che mescola cascami beatnik e classiche grisaglie) e delle “cyborg femministe” di Donna J. Haraway, che con i loro abiti di vinile, ispirati ai fumetti di Tank Girl, vogliono esprimere una sorta di ribellismo ultramoderno.

Il “caso” Prada

{{ < figure src=“https://speakerdata2.s3.amazonaws.com/photo/image/888763/prada-4.jpg" title=“Miuccia Prada” >}}

Fulgido esempio dell’imprenditoria e del gusto italiani, la compagnia Prada nasce nel 1913 come produttrice di borse e pelletteria, ingrandendosi negli anni dalla struttura artigianale a quella industriale. E’ nel 1985, però, che il marchio acquista richiamo internazionale e potenza economica con la presentazione di un nuovo modello di borsa sportiva e chic, in un rivoluzionario tessuto sintetico, lo stesso usato per i paracaduti dell’esercito italiano. Sono modelli pratici e sobri, e si adattano perfettamente al modello vincente di donna proposto dai media negli anni ottanta: una “working-woman” longilinea e scattante che predilige i colori scuri, veste sobrio, ma non rinuncia al guardaroba firmato e di buon taglio. La borsa Prada diviene così uno status symbol tra accorti conoscitori delle tendenze; nel 1996-97 la borsa nera in nylon è l’accessorio più richiesto. L’introduzione del triangolino in metallo con il logo della ditta rende il fenomeno di massa. Le vendite sono alle stelle in tutto il mondo, mentre i falsi proliferano in ogni paese.

Miuccia Prada, nuova direttrice dell’azienda, rivoluziona l’immagine della ditta conquistandosi di collezione in collezione le lodi di pubblico e stampa. Prada si avventura nel trattamento di tessuti di qualità con un approccio modernissimo e tecnologico: il risultato è una moda lineare ed elegante, fatta di capi semplici e tagli sartoriali, di colori tenui e accostamenti raffinati, sempre caratterizzati dalla praticità, con qualche guizzo di romantica classe (lo chiffon, l’uso del ricamo e dei jais, che si risolvono sempre in tagli puliti e in linee dritte, o il tweed bagnato di lurex della collezione 1998). Dal 1988 è nata Miu Miu, linea “giovane” della maison, dai tagli più sbarazzini, e dai colori più arditi, che ha creato l’immagine di una giovane donna-bambina smaliziata e vagamente intellettuale, che alterna al minimal chic, punte di artistica vanità.

Il mondo dell’arte e del cinema ha consacrato il successo della ditta Prada, come già per Armani o Jean Paul Gautier (che hanno anche creato costumi per il cinema, collaborando con vari registi, da Scorsese a Peter Greenaway): attrici, attori e personaggi in vista hanno cominciato ad adottare lo stile techno-understatment estremamente contemporaneo della ditta. Nel 1995 Uma Thurman, icona del cinema “intelligente”, si presenta alla cerimonia degli oscar in un Prada color lavanda. Il marchio è in continua espansione: nel luglio del 1999 ha aperto un enorme show room a Tokyo, nel cuore della città più “fashion victim” del mondo, dove lo stile di Prada è particolarmente apprezzato.

Le top-model

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/77/Diane_von_F%C3%BCrstenberg_Spring-Summer_2014_07.jpg/678px-Diane_von_F%C3%BCrstenberg_Spring-Summer_2014_07.jpg" title=“Naomi Campbell sfila per Versace” >}}

Negli anni ‘90 raggiunge l’apice (e contemporaneamente inizia il suo declino) l’era delle top-model, così definite dai mass media per la loro incredibile bellezza, il loro “carisma” sulle passerelle e per i quasi impagabili compensi giornalieri per le sfilate. In particolare il costo raggiungeva prezzi ben oltre i 10.000 dollari giornalieri se gli stilisti ne chiedevano l’esclusiva. Nel corso degli anni ‘80 erano diventate il simbolo della gloria, della bellezza, del potere: però qualsiasi abito o accessorio indossato passava in secondo piano. Infatti, le riviste e i telegiornali si soffermavano più sugli ultimi pettegolezzi delle top-model che non sui tagli sui tessuti e sui colori degli abiti che indossavano. Perfino le star del cinema e della musica cedevano il passo alle nuove icone della moda, oggetto del desiderio dell’universo maschile e punto di riferimento da imitare per quello femminile. Molte di loro, Carla Bruni, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Claudia Schiffer, Christy Turlington, Cindy Crawford, Elle MacPherson cominciarono a fare spot pubblicitari per prodotti di qualunque genere, servizi fotografici per calendari, videocassette dove “insegnavano” l’aerobica; qualcuna provò anche altre carriere, spesso fallendo.

Complice il cambio delle tendenze, specialmente quelle giovanili, e dei gusti del pubblico, nella seconda metà degli anni ‘90 vennero alla ribalta giovanissime modelle, pallide e fragili, dal look più discreto, “minimalista” in tono con lo stile grunge, dove era “obbligo” la trascuratezza: le nuove Kate Moss, Stella Tennant, Jenny Shimizu, Devon si affiancarono alle già affermate top-model.

Una generazione senza eredità

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/73/Woman_smoking_marijauana.jpg/800px-Woman_smoking_marijauana.jpg" title=“Giovane fuma uno spinello” >}}

Anche gli adolescenti degli anni Novanta, come quelli del decennio precedente, sono giovani privi di grandi passioni politico-sociali; a differenza dei loro fratelli maggiori, non nutrono tuttavia alcuna passione neanche per le questioni estetiche. Proprio per la difficoltà di decifrare l’animo di questa generazione, qualcuno, prendendo in prestito il titolo di un libro dello scrittore americano Douglas Coupland, l’ha ribattezzata “generazione X”. L’atteggiamento disilluso dei giovani degli anni Novanta trova la sua espressione in un genere musicale che esplode a Seattle, e che viene battezzato grunge da un giornalista inglese del Melody Maker. In breve “grunge” diventa anche sinonimo di un codice di vestiario trasandato e di un modo di comportarsi pigro e indolente. L’unica cosa che accende l’attenzione del grunge sembra l’informatica; o meglio la “rete”.

Gli anni Ottanta avevano visto l’arrivo dei personal computer (PC): ora il modem (modulatore-demodulatore) permette di collegare il PC a un mondo affatto nuovo, Internet. Nella rete dall’estensione planetaria, che qualcuno ribattezza “cyberspazio”, è possibile “navigare”, raggiungendo i cosiddetti “siti”, dove è possibile consultare banche dati, usufruire di centinaia di applicazioni, “conversare” con un proprio coetaneo: è questo forse l’unico luogo in cui l’adolescente di questo decennio si sente pienamente a proprio agio. Quando poi compare sulla scena la più moderna tecnica di grafica computerizzata interattiva, la cosiddetta “realtà virtuale”, tutto l’universo dei cyber teen-ager va in fibrillazione. Esplode il fenomeno dello scrittore americano William Gibson, autore del romanzo Neuroamante, il cui eroe, Case, è un cowboy elettronico del cyberspazio. Nel 1993 è il gruppo irlandese degli U2 a chiedere la collaborazione di Gibson per la preparazione del nuovo tour mondiale, lo “Zoo TV Tour”, che più che un concerto musicale, si trasforma in un evento multimediale in cui si fondono il mondo del computer, della TV, dei satelliti e del rock. Dal 1994 la febbre di Internet dilaga. In quest’anno, infatti, si diffonde il WWW (World Wide Web), ossia un sistema che consente di trasmettere in rete immagini dalla grafica pressoché perfetta, e permette ai giovani navigatori di trasformare il monitor del proprio PC in una grande finestra sul mondo.

Il grunge

{{ < figure src=“https://peopledotcom.files.wordpress.com/2016/08/kurt-cobain-01-800.jpg?w=800" title=“Kurt Cobain” >}}

La nuova produzione americana della seconda metà degli anni Ottanta, a parte un fenomeno più di costume che musicale come quello di Madonna, esprime una certa ansia di ricerca, che trova una delle sue culle a Seattle. Qui, per iniziativa del giovane Bruce Pavitt e della sua etichetta indipendente SubPop, inizia a muovere i primi passi quello che verrà definito il “suono di Seattle”: gruppi come i Melvins, i Green River e i Mother Love Bone danno vita a canzoni punk dall’andamento lento e cadenzato, con forti influenze “metal”. Questa ricerca giunge all’approdo nell’autunno del 1991, quando esce Nevermind dei Nirvana, un disco toccante, duro e melodico allo stesso tempo, in cui sono fusi alla perfezione punk e rock. L’album vende milioni di copie in tutto il mondo, dando avvio all’esplosione di un genere che viene battezzato grunge. Seguirà l’album In utero. La popolarità del gruppo è macabramente aumentata con il suicidio del leader dei Nirvana Kurt Cobain. Anche dopo la morte di uno dei suoi simboli il grunge continua a condizionare il panorama musicale, grazie a gruppi come i Pearl Jam e i Soundgarden che diventano nel giro di poco tempo conosciuti in tutto il mondo. Lo stile musicale del grunge non segna nessuna novità sostanziale dal punto di vista musicale, visto che rappresenta la ripresa di suoni e melodie classiche del rock and roll, riprese in chiave più moderna, ma la carica di energia e di rabbia portata da queste band, quasi tutte delle zona di Seattle, segna una tappa importante nello sviluppo della musica contemporanea, dopo l’artificiosità e la pochezza musicale degli anni Ottanta.

Suoni e stili degli anni Novanta

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/7e/Marilyn_Manson_-_Omega.jpg/568px-Marilyn_Manson_-_Omega.jpg" title=“Marilyn Manson nei panni del suo alter ego Omega” >}}

Gli anni Novanta rappresentano un grande crogiolo di stili e musicalità che si combinano, creando così nuovi generi di musica. Accanto ad autori da considerarsi “classici” come Elton John, Michael Jackson, Sting, Prince, Paul McCartney, che non hanno sostanzialmente cambiato il loro stile, hanno continuato il loro successo e la loro poliedricità Madonna, David Bowie e gli U2 che, attraverso i loro nuovi lavori sono riusciti a “far tendenza” influenzando i suoni e gli stili di un’intera generazione. Oltre al grunge, alcune nuove tendenze si sono affermate. Dalla Gran Bretagna sono venuti le maggiori novità: il Trip-hop, musica ampiamente debitrice all’elettronica e alle musicalità tetre e cupe, ha nei Massive Attack, nei Portishead e in Tricky i suoi maggiori esponenti. La novità di maggior successo del decennio inglese è stata sicuramente l’esplosione del “Brit-pop”, uno stile che si richiama fortemente alla tradizione dei Beatles. I maggiori gruppi di questa tendenza, che alla fine del decennio sembra comunque in declino, sono gli Oasis, dei rissosi fratelli Gallagher, i Blur e i The Verve, scioltisi da poco. Dall’Inghilterra è venuto un altro stile musicale che, mischiando musica da discoteca al rock, ha creato uno stile musicale che ha avuto un enorme successo. Gruppi simbolo di questo stile misto sono i Chemical Brothers e i Prodigy. Ma il fenomeno del decennio più rilevante espresso dal mondo musicale, diventato soprattutto un fenomeno di costume, sono state le cinque scatenate Spice girls.

Il mondo del rock, oltre agli inossidabili AC/DC, alla grande vena creativa dei Rem, e al breve ma grande successo dei Guns N’Roses, vanno sicuramente ricordati i Red Hot Chilli Peppers che con il loro stile particolare, fatto di rock duro cantato come se si trattasse di una canzone rap o hip hop hanno riscosso un crescente seguito di pubblico.

Meritano una menzione a parte i Metallica, che con il loro Black Album costituiscono una pietra miliare nella storia del rock e dell’Heavy Metal, e il fenomeno, più di costume che musicale, di Marylin Mansion, una particolare commistione di stile “neo-gothic” e rock, famoso più per la sua stravaganza che per le sue canzoni.

L’acid jazz e i giovani leoni

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a2/ThePolice_2007.jpg" title=“Sting con i The Police durante un concerto al Madison Square Garden di New York” >}}

Nei club e nelle discoteche più chic di Londra, a metà degli anni ‘80, prende piede il fenomeno dell’acid jazz. Dietro questa sigla vi era il recupero da parte di tanti disc-jockey della musica e del clima del soul jazz degli anni ‘60, un jazz ritmico ed intenso, creato per far ballare la gente con i suoi riff trascinanti. Questa musica ha avuto una grande diffusione, ed i rifacimenti che i disc-jockey fanno dei classici del jazz sono diventati nuovi successi, grazie all’attualizzazione condotta usando tecniche elettroniche, ricorrendo a campionatori e computer. Il disc-jockey Gilles Peterson, che si è imposto tra i più ispirati, ha fondato l’etichetta Talkin’Loud alla quale fanno riferimento le migliori band dell’acid jazz.

Con diverse modalità una riscoperta del jazz si è sviluppata contemporaneamente anche negli Stati Uniti quando una pattuglia di giovani musicisti si è dedicata ad un recupero delle tracce salienti della tradizione afroamericana. Una famiglia di New Orleans ha fornito due dei protagonisti di questa scena, i fratelli Wynton e Brandford Marsalis, trombettista il primo, sassofonista il secondo. Wynton è il paladino di un sentimento che vuole preservare lo spirito più puro del jazz, guardando alla ricchezza della pagine dei suoi maestri, in particolare Duke Ellington e Louis Armstrong. Seguendo le loro orme, Wynton Marsalis ha creato le sue pagine più convincenti, tra cui l’opera Blood In The Fields, del 1996, in cui si celebra la vicenda afroamericana dalla fine del secolo scorso. Al rispetto per la tradizione Brandford ha unito l’attenzione per i ritmi contemporanei, unendo jazz ed hip hop, accettando di buon grado collaborazioni pop tra cui quella celebre al fianco della rockstar Sting.

Altri musicisti che fanno rivivere i fasti del grande jazz sono i sassofonisti Joshua Redman, James Carter ed il giovane Mark Turner.

La musica italiana

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/c0/Luciano_Ligabue_%281991%29.jpg/800px-Luciano_Ligabue_%281991%29.jpg" title=“Ligabue nel 1991 in concerto a Venezia” >}}

Anche per la musica italiana gli anni Novanta segnano una ripresa e un progresso rispetto alla stasi degli anni Ottanta e alla crisi che la concorrenza straniera aveva portato all’interno del panorama discografico nostrano. Alcuni cantanti, infatti, come Ivana Spagna e Raf si erano orientati a cantare in inglese per cercare di scuotere l’apatico successo di pubblico che la canzone italiana riscuoteva. Gli anni Novanta vedono l’affermazione della musica italiana anche in Europa e in America Latina, visto il successo internazionale di artisti come Eros Ramazzotti, Laura Pausini e Nek che incidono i loro album anche in altre lingue e talvolta danno vita a collaborazioni con le maggiori star internazionali. Il cantante italiano più famoso fuori dai confini è comunque Andrea Bocelli, una voce lirica capace tuttavia di reinventarsi anche nel mondo della musica leggera: il successo di questo interprete ha rinverdito il “bel canto” di schietta tradizione italiana, dando spazio a nuove “voci” quali Anna Oxa e Giorgia.

Oltre ad artisti già affermatisi in precedenza, come Baglioni, De Gregori, Dalla, Morandi, che hanno continuato con successo la loro produzione, si sono affermati nuovi autori, come il trascinante rocker Ligabue, e nuove tendenze e gruppi. Dal mondo del rap, dell’hip hop e dei centri sociali sono venuti gli Almamegretta e i 99 posse che hanno trasportato, specialmente in realtà di disagio sociale come quelle dell’Italia del Sud, sonorità e rabbia tipiche dei neri d’America, creando un singolare stile.

Lo sport malato: il doping

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/0f/Marco_Pantani.jpg/433px-Marco_Pantani.jpg" title=“Marco Pantani” >}}

L’organizzazione dei giochi olimpici diventa un business. Le città che presentano la candidatura programmano grossi investimenti in strutture sportive e ricettive, per ottenere poi un ritorno di immagine e un aumento dei flussi turistici economici e commerciali. I voti dei membri del Comitato olimpico internazionale, che decide l’assegnazione, vengono ricercati con mezzi ai confini della liceità. Contano moltissimo le pressioni degli sponsor, per i quali le grandi manifestazioni sportive rappresentano l’occasione per lanciare nuovi prodotti, nuove “linee sportive”. Non è un caso, dunque, se le Olimpiadi del 1996 (cento anni dopo le prime dell’era moderna, tenutesi ad Atene nel 1896) vedono l’americana Atlanta prevalere sulla stessa Atene per l’intervento di un colosso economico come la multinazionale della Coca-cola.

Il professionismo, già presente in vari sport, entra nell’atletica e negli sport “poveri” con effetti devastanti: se da un lato, questo interesse ha un riflesso positivo poiché aumentano le infrastrutture, specie nei paesi in via di sviluppo, dove poter praticare gli sport, dall’altro si diffonde in modo abnorme il doping poiché vincere adesso significa diventare ricchi. Si rafforza, per esempio, una serie di meeting dotati di un ricchissimo montepremi per chi vince o, ancor di più, per chi riesce a vincere più volte nel corso della stagione e per chi batte i record mondiali. Dopo il caso di Ben Johnson, nel 1988, gli anni ‘90 vedono molteplici casi di atleti trovati positivi a sostanze dopanti proibite: le atlete cinesi, che avevano fatto crollare di parecchi secondi i record mondiali in molte discipline del mezzofondo, sono l’esempio più vistoso. Nel ciclismo, uno sport in cui le sostanze illecite sono sempre state presenti, si è assistito nel 1998 al Tour de France, la corsa a tappe più importante del mondo, ad un’esclusione in massa di una squadra con conseguenze anche penali per atleti, allenatori, medici e dirigenti di quella formazione. In seguito, molti altri corridori sono stati trovati positivi: dopo le fantastiche vittorie al Giro d’Italia e al Tour, proprio il più famoso ciclista italiano, Marco Pantani, capace di imprese strepitose in salita che ricordavano i tempi eroici del ciclismo, è stato trovato positivo nel 1999 quando si apprestava a vincere il suo secondo Giro.

Oggi sono in molti a chiedersi quale sia la vera natura degli sport e se valga la pena di credere nei campioni, a cui gli adolescenti si ispirano, oggi osannati e domani condannati.

L’era di Jordan e del Dream Team

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f0/BudLightDaredevils_and_Michael_Jordan.jpg" title=“Michael Jordan (al centro)” >}}

Gli anni Novanta vedono il definitivo successo mondiale del basket americano. Questo successo è dovuto principalmente a due fattori: al “fenomeno Jordan” e al “Dream team” delle Olimpiadi di Barcellona del 1992.

Michael Jordan, da molti considerato il miglior giocatore di basket di ogni tempo, fa la sua comparsa già negli anni Ottanta, risultando subito un giocatore di grandissima spettacolarità, con azioni fulminee e schiacciate a canestro mai viste prima. Nel 1991 porta la sua squadra, i Chicago Bulls a vincere il campionato e viene proclamato come Most Valuable Player (MVP), miglior giocatore della stagione, riconoscimento che otterrà anche in seguito. La sua popolarità è tale che diviene un simbolo e un riferimento anche per chi non ha mai seguito il mondo del basket e, inoltre, diventa ben presto lo sportivo più pagato del mondo, visto anche l’infinito numero di contratti pubblicitari che riesce a firmare. Ritiratosi nel 1993, in circostanze non molto chiare, dopo una breve parentesi nel baseball, è ritornato nei Bulls nel 1995, riportandoli alla vittoria del campionato americano. In tutto Jordan è riuscito a vincere ben 6 titoli NBA.

L’altro grande avvenimento che segna il successo planetario del basket sono le Olimpiadi di Barcellona del 1992, vista la presenza del mitico “Dream team”, prima squadra statunitense composta dai giocatori della NBA a partecipare ai giochi olimpici. La squadra, composta tra gli altri dallo stesso Jordan e da “Magic” Johnson e Larry Bird, vince la medaglia d’oro con irrisoria facilità ma fu la risonanza prodotta dalla creazione di questa squadra, composta da alcuni dei giocatori più forti di ogni tempo, che contribuì all’aumento della popolarità di questo sport nel mondo.

Il tennis verso il 2000

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/6/68/Internazionali_d%27Italia_1989%2C_Andre_Agassi_e_Gigi_Riva.jpg/800px-Internazionali_d%27Italia_1989%2C_Andre_Agassi_e_Gigi_Riva.jpg" title=“Agassi agli Internazionali d’Italia 1989, assieme all’ex calciatore italiano Gigi Riva” >}}

Le racchette metalliche super leggere, facilissime da maneggiare e capaci di imprimere una velocità incredibile, specie nel servizio, hanno reso il tennis schiavo della potenza atletica dei colpi. Le forme delle racchette (mid size, mid over, over size), i nuovi materiali (alluminio, grafite, boron, vetro, fibra di carbonio, titanio), il tipo di incordatura sempre più sofisticata e tirata (da quella in budello, al sintetico di varie qualità, poi al carbonio), la diffusione di tornei indoor e di superfici più veloci, con l’unica eccezione della terra rossa, hanno reso quasi impossibile assistere al gioco del tennis, oramai ridotto a pochissimi scambi se non a un solo colpo: il servizio, che può raggiungere i 237 km/h. Come ricordato, resiste la terra rossa in Europa e in Sud America, mentre in Nord America, Asia e Oceania si gioca solo sul duro e veloce; anche il torneo del Grande Slam di Melbourne ha cambiato superficie e adesso non è più in erba, al contrario di Wimbledon e di pochissimi altri tornei. In tutto questo turbinio di cambiamenti resistono le regole anche se ci sono serie proposte per modificarne alcune, in modo da restituire la possibilità agli spettatori di vedere un po’ di gioco. Infatti, come non bastasse, il tennis soffre di crisi televisiva da quando è “criptato” in tv, e da quando proprio i “servizi bomba” hanno fatto diventare rari gli scambi rendendo noiosa la visione del gioco. In Italia, in particolare, la crisi è stata clamorosa sotto l’aspetto del ricambio generazionale dei campioni rispetto ai decenni precedenti: dopo Sirola e Pietrangeli, Panatta e Barazzutti, non c’è più stato alcun giocatore nei “top ten”. La flessione si è accentuata nel corso dell’ultimo decennio, e per la prima volta l’Italia è andata nella “serie B” della Coppa Davis.

La valanga Tomba

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/8/8e/Alberto_Tomba_%28Madonna_di_Campiglio%2C_1996%29.jpg/800px-Alberto_Tomba_%28Madonna_di_Campiglio%2C_1996%29.jpg" title=“Alberto Tomba” >}}

Nel 1995, dopo diverse annate in cui era andato vicino alla conquista della Coppa del Mondo, Alberto Tomba riesce a conquistare l’ambito trofeo. Rivelatosi nella stagione 1987-88, in cui inanellò un’impressionante serie di vittorie in slalom speciale e in gigante, culminata con la doppietta di ori alle Olimpiadi di Calgary, il giovane fenomeno diventa subito un personaggio capace di rubare le prime pagine dei quotidiani per le sue avventure in pista e fuori, così come per alcune “guasconate”. Per anni Tomba non riesce a conquistare la coppa generale e cede il passo ad atleti polivalenti, quali Zurbriggen e Girardelli, prevalendo solo nelle discipline “lente” dello sci. Una sciata tecnicamente quasi perfetta e una notevole forza atletica, per essere uno slalomista, lo hanno reso capace di vincere ben 50 gare, secondo assoluto di tutti i tempi, 3 medaglie d’oro e 2 d’argento alle Olimpiadi, 2 d’oro e 2 di bronzo ai Mondiali. In particolare Tomba si è reso protagonista di alcune delle più belle rimonte: spesso indietro nella prima manche, era capace di fare delle furibonde quanto esplosive seconde manche riuscendo a risalire posizioni su posizioni. A fianco di Tomba “la bomba” lo sci italiano ha “prodotto” un’altra atleta di eccezionale qualità tecniche: Deborah Compagnoni. La sciatrice valtellinese è riuscita nell’impresa di conquistare tre medaglie d’oro in tre diverse edizioni dei Giochi Olimpici invernali, oltre a numerose vittorie nella Coppa del Mondo, alternando grandi risultati a gravi infortuni atletici. Al contrario di Tomba, la Compagnoni si è distinta per una vita misurata e tranquilla al di fuori delle piste.

Negli anni ‘90 anche lo sci di fondo, sia maschile sia femminile, ha dato risultati brillanti: le vittorie delle due atlete femminili Di Centa e Belmondo e della staffetta maschile nella gara della “4x10” nel 1994, davanti ai padroni di casa norvegesi, sono le imprese più esaltanti da ricordare.

Se non paghi non vedi: lo sport “criptato”

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d7/JO_Atlanta_1996_-_Drapeau.jpg" title=“Le olimpiadi di Atlanta” >}}

L’exploit dello sport come fenomeno di massa deve molto alla televisione. Grazie alle evoluzioni tecniche e ai satelliti è possibile seguire in diretta le più importanti competizioni sportive. Le Olimpiadi di Roma del 1960 fecero segnare un aumento enorme della vendita dei televisori e da allora le aziende produttrici di apparecchi televisivi aspettano le grandi manifestazioni sportive per lanciare sul mercato i nuovi modelli. La diffusione televisiva muta anche il modo di organizzare le gare. Nel 1988, per le Olimpiadi di Seoul, la rete statunitense NBC che ha acquistato i diritti per la trasmissione, impone lo svolgimento delle gare negli orari che più assecondano il suo palinsesto e le esigenze del pubblico americano. Così in buona parte dell’Europa le gare più interessanti vengono trasmesse di notte. Il dispiegamento di forze per seguire i giochi (regia, telecamere, telecronisti) rende il salotto di casa più adatto a seguire le manifestazioni sportive rispetto allo stadio. La copertura è totale: per le Olimpiadi di Atlanta, i 170 paesi collegati hanno avuto a disposizione ben 3.000 ore di immagini e telecronache.

Dall’inizio degli anni ‘90 nascono, in tutto il mondo, reti a pagamento (“Pay-tv”) che, via satellite o via cavo, si dedicano esclusivamente alla programmazione di eventi sportivi. L’offerta diventa di anno in anno sempre più vasta e personalizzata: lo sport è ormai il più richiesto prodotto televisivo. Questo stato di cose ha fatto diventare frenetica la corsa per accaparrarsi i diritti di trasmissione che garantiscono alle televisioni sempre crescenti introiti pubblicitari. Nelle tabelle di fine anno sugli ascolti televisivi ai primi posti in tutto il mondo ci sono sistematicamente le partite di calcio (o di football, basket e baseball in America) o le grandi manifestazioni di atletica.

Il calcio italiano

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/e/e6/Gol_di_Baggio_contro_la_Cecoslovacchia.jpg" title=“Baggio, vanamente contrastato da Kadlec, sigla il definitivo 2-0 alla Cecoslovacchia nella fase a gironi del campionato del mondo 1990” >}}

In questi anni il calcio italiano domina a livello di club le competizioni europee: più volte Milan, Juventus, Inter, Parma, Lazio vincono o sono finaliste nelle coppe europee, forti delle loro squadre piene di talenti e assi italiani e stranieri. La nazionale, invece, fallisce sempre di poco le vittorie finali. Nel 1990 l’Italia è l’organizzatrice dei Mondiali ed è anche una delle squadre favorite alla vittoria finale: tuttavia, dopo una serie di vittorie che la portano alla semifinale, l’Italia perde ai rigori contro i campioni in carica (gli argentini), a loro volta sconfitti in finale dalla Germania Ovest. Anche nel 1994 l’Italia, seppur con alcune partite mal giocate all’inizio, riesce a giungere addirittura alla finalissima contro il prestigioso Brasile, tornato ai vertici dopo diversi anni di oblio. Per la prima volta nella storia della Coppa del mondo, la finale si conclude in pareggio e dopo i tempi supplementari sono i rigori a decretare il successo dei verde-oro sugli azzurri. La “maledizione dei rigori” colpisce ancora nel 1998 quando in casa dei transalpini, e proprio di fronte ai cugini francesi, l’Italia viene sconfitta nei quarti di finale ai rigori: la Francia diventa poi campione del mondo per la prima volta.

Il decennio si è caratterizzato per l’incredibile aumento del costo del cartellino dei campioni: partiti dai 20-25 miliardi per Roberto Baggio sborsati dalla Juventus nel 1990, negli ultimissimi anni si è passati ai 48 miliardi per Ronaldo pagati dall’Inter e poi ai 90 per Vieri sempre pagati dalla squadra nero-azzurra milanese. Il 2000 vede i faraonici acquisti di Figo passato dal Barcellona al Real Madrid per 140 miliardi e di Crespo che approda alla Lazio per 110 milardi. Di pari passo sono aumentati gli ingaggi: Batistuta, Raul, Beckham, Totti, Del Piero, Rivaldo e Zidane guadagnano ben oltre i 10 miliardi netti a stagione.

Arte, Cinema e Letteratura

Momenti dell’arte alla fine del millennio

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/2b/Three_Ball_Total_Equilibrium_Tank_by_Jeff_Koons%2C_Tate_Liverpool.jpg/800px-Three_Ball_Total_Equilibrium_Tank_by_Jeff_Koons%2C_Tate_Liverpool.jpg" title=” \“Three Ball Total Equilibrium Tank\” di Jeff Koons” >}}

Nell’ultimo decennio del secolo, assistiamo all’emergere di tante e diverse individualità artistiche. La varietà delle singole esperienze, difficilmente riconducibili a delle vere e proprie tendenze, è l’espressione di una frantumazione dello scenario dell’arte contemporanea. Alle soglie del terzo millennio le parole d’ordine sembrano essere globalizzazione, complessità e contaminazione. I cambiamenti degli assetti geopolitici, il disequilibrio internazionale che si è generato, la nuova importanza del mercato dell’Est, la velocità delle informazioni, hanno portato ad una percezione diversa del pianeta e, di conseguenza, dell’arte. L’Europa riflette sempre più sulla propria identità e sulla sua molteplice complessità dopo anni in cui l’America aveva dettato le mode e le leggi del mercato. Negli anni Ottanta, soltanto quando si esaurì la totale attenzione nei confronti della pittura, poterono emergere ed essere pienamente visibili le contemporanee ricerche artistiche. In America l’interesse nei confronti dell’arte concettuale, minimal, pop, non si era in realtà mai esaurita. Gli artisti attingono alle forme e ai linguaggi precedenti e se ne appropriano, apportando significative variazioni; nascono così una serie di “neo” tendenze tra cui il Neo Geo (neo concettualismo geometrico che ha come protagonista Peter Halley), Neo Pop, Neoconcettuali, Neominimalisti, che si confondono tra loro in una generale riaffermazione del concetto a discapito dell’espressione e della rappresentazione. Il critico Germano Celant accomuna molte di queste ricerche sotto il termine “inespressionismo” con il quale definisce una tendenza tesa a svuotare di ogni significato e connotazione l’opera d’arte; egli considera inespressionisti Jeff Koons, Sherrine Levine, John Armlender, Cindy Sherman, Haim Steinbach, Jan Vercruysse.

Gli artisti che sono emersi negli anni Sessanta e Settanta sono ancora attivi negli anni Ottanta e Novanta e in alcuni casi hanno dato vita a creazioni tra le più originali della loro carriera; contemporaneamente coloro che hanno compiuto la loro formazione negli anni Ottanta, dimostrano la capacità di svincolarsi dai “maestri” e di apportare contributi singolari e del tutto personali. La regola aurea per molti di loro è partire da sé, dall’elaborazione della propria irriducibile esperienza ed individualità che, in alcuni casi, conduce alla formulazione di un progetto di ricreazione critica della propria azione. Ricordiamo solo alcuni dei protagonisti di questi anni: Thomas Schutte e Reinhard Mucha, Thomas Ruff, Candida Hofer, Thomas Struth, Katherina Fritsch in Germania; Jan Vercruysse, Guillaume Bijll in Belgio; Fortuyn O’Brien, Henk Visch, Niek Kemps in Olanda; Tony Cragg e Anish Kapoor in Inghilterra; Susanna Solano e Juan Munoz in Spagna; Pedro Cabrita Reis in Portogallo; Franz West in Austria; il giapponese Hidetoshi Nagasawa, Ettore Spalletti, Marco Bagnoli, Remo Salvadori, Nunzio, Luigi Mainolfi, Eva Marisaldi in Italia; Ilya Kabakov in Unione Sovietica.

La Video Art

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/fb/Grazia_Toderi%2C_Orbite_Rosse.jpg/800px-Grazia_Toderi%2C_Orbite_Rosse.jpg" title=“Grazia Toderi” >}}

Le prime esperienze di Video Art - termine con il quale si indicano quelle ricerche artistiche fondate sull’uso della video camera collegata al monitor - si individuano all’interno del movimento fluxus, in particolare per opera di Nam June Paik e Wolf Vostell. Successivamente i video sono stati utilizzati per documentare le performances della Land art. Si parla di video-sculture di Bruce Nauman, delle video-performances di Vito Acconci, del video-cinema-verità di Scherrie Levine. Il progredire della tecnologia ha condotto ad un superamento degli sperimentalismi in bianco e nero degli anni Settanta in favore di realizzazioni sempre più complesse e costose. E’ l’americano Bill Viola ad usare per primo schermi estesi e a realizzare video che utilizzano sofisticati mezzi tecnologici per ottenere opere di grande forza immaginativa. Dopo gli studi compiuti con il noto compositore David Tudor, il suono diviene un elemento essenziale delle sue ricerche artistiche; in alcune opere egli inserisce perfino le registrazioni musicali realizzate nelle isole Salomone nel sud del pacifico, a Giava in Indonesia, nei monasteri buddisti in Tibet. Il video è per lui un mezzo per esplorare la mente dell’uomo come fenomeno sia fisiologico sia psicologico e spirituale. Egli crea e offre l’opportunità di sperimentare degli stati dell’essere (sensazioni fisiche e spirituali) che oscillano tra due poli: sonno e veglia, calma e violenza, ordine e caos, vita e morte. Lo spettatore subisce, guardando i suoi video, le aggressioni sonore di un individuo colpito al cranio (Reasons for Knocking at an Empty House, 1982), scopre le visioni del sogno di un dormiente (The Sleep of Reason, 1988); partecipa ad eventi reali di vita e di morte (Nantes Triptych 1992).

Con l’installazione Hole in the wall del 1974, Gary Hill legittima il video come opera d’arte. Sfruttando le nuove possibilità offerte dalla tecnologia egli cerca di istituire uno stretto rapporto tra immagine, suono, parola e linguaggio; in alcune installazioni Hill unisce più fonti di immagini, utilizzando spesso dei sincronizzatori, per indagare l’impatto della simultaneità televisiva. Nel 1992 partecipa a Documenta 9 a Kassel dove realizza Tall Ships un lungo corridoio in penombra dove lo spettatore cammina su dei contattori che provocano l’apparizione, su dei grandi video, di personaggi che si avvicinano lo fissano per poi voltarsi e scomparire lentamente.

Molti artisti usano i video parallelamente o insieme ad altri linguaggi (per esempio Matthew Barney, Liliana Moro). Tra gli artisti che privilegiano il video citiamo Fabrizio Plessi, Grazia Toderi, e il gruppo Studio Azzurro per l’Italia, Judith Barry per l’America, Pipilotti Rist per la Svizzera. Rist Pipillotti lavora esclusivamente con le videoinstallazioni e produce, con uno staff numeroso, dei “baby-film”. I suoi video si caratterizzano per le immagini psichedeliche, visioni tratte da fluidi, sogni surreali che, pur riallacciandosi ad un’estetica “flow” e pop degli anni 60, non sono esenti, nei colori acidi e artificiali e nelle vertiginose angolazioni, da rapporti con la cultura visiva della Video-Music di MTV. Elementi tipici dei suoi video sono l’uso di fluide inquadrature sott’acqua, piccoli effetti speciali, montaggio che non sopravanza mai l’andamento ritmico, testi rudi, sonoro studiatissimo. A Firenze nella sede di Pitti Immagine Discovery presenta la video installazione Slip My Ocean.

Fin dall’inizio Grazia Toderi ha usato il video come mezzo espressivo per evidenziare il suo interesse per il senso del tempo e la percezione. Ogni suo video è basato su una sola immagine. Senza fare movimenti la telecamera inquadra un solo oggetto, fissa un’azione che si sviluppa lentamente o si ripete nel tempo. La scelta di una modalità percettiva lenta suggerisce una certa resistenza a una contemporaneità basata sulla velocità delle informazioni e delle immagini dei media. Nel 1998 presenta un trittico Il cratere 8 (il numero 8 ricorre spesso nella sua opera per il suo legame con l’infinito) alla Galleria Giò Marconi di Milano, partecipa alla mostra “Voyager” (con Eva Marisaldi e Liliana Moro) al Palazzo delle Papesse a Siena.

Alla Biennale di Venezia del 1995 il padiglione svizzero ospita l’opera di Peter Fischl e David Weiss che consiste in una raccolta di circa 90 videofilm, un archivio di oltre 80 ore proposto su più schermi nello stesso tempo, che riempie l’arco di tempo di un’intera giornata espositiva. L’interesse per questa forma di espressione è ben evidenziata nel corso del 1996 da due rassegne internazionali quasi totalmente dedicate ai video e alla tecnologia multimediale: la terza Biennale di Lione e la Documenta 10 a Kassel.

Post Human: la manipolazione del corpo

{{ < figure src=“https://i0.wp.com/www.guggenheim.org/wp-content/uploads/2015/12/art_MB094_Barney.jpg?w=870" title=“Matthew Barney: The Cremaster Cycle” >}}

Nel 1992 Jeffrey Deitch, una figura eclettica del mondo dell’arte contemporanea (critico, mercante, curatore di mostre e di collezioni) cura la rassegna itinerante “Post Human” che dà una chiara visione di un ampio settore delle ricerche artistiche degli anni Novanta. “Post Human” si propone di cominciare a guardare come le tecnologie - la biotecnologia, l’ingegneria genetica, la scienza del computer -, e i cambiamenti sociali che ne derivano, interagiscono con l’arte. “La tecnologia - scrive Deitch - ci darà la possibilità di rimodellare i nostri corpi, e ricaricare le nostre menti, ma l’arte ci dovrà dare l’ispirazione per capire a cosa i nostri corpi dovranno assomigliare e cosa le nostre menti dovranno fare”. Il corpo è il protagonista assoluto della mostra. Gli artisti lo usano in maniera differente dalla generazione della Body Art. Attraverso il tema e la manipolazione del corpo essi pongono problemi legati alla tecnologia, alle nuove malattie (AIDS), alla chirurgia plastica, alla saturazione dei media, all’inquinamento, e ai quesiti relativi all’alienazione sociale e sessuale. Il corpo è spesso assente all’interno della mostra, o presentato solo attraverso ciò che lo avvolge, gli abiti, che hanno acquistato un significato maggiore anche della pelle e dell’anima (John Armalender, Rober Gober, Sylvie Fleury, Susan Etkin); altre volte è descritto attraverso oggetti, che hanno una funzione reale e non metaforica, che evocano, con sentimento di pessimismo e di angoscia, la sua assenza (la grande gabbia-ufficio realizzata da Damien Hirst; la pedana per ballare di Felix Gonzales Torres).

Le modalità con cui Matthew Barney combina attrezzi sportivi, clinici, travestimenti, video e spettacolo rendono effimera qualsiasi definizione di identità sessuale e sociale. Esordisce giovanissimo nel 1991 con una mostra personale presso la prestigiosa galleria Barbara Gladstone di New York, in cui fonde scultura e performance psico-sessuali in video. Quattro monitor trasmettono delle performance di cui l’artista è protagonista mentre nella galleria sono presentati oggetti realizzati con materiali come plastica lubrificata dall’interno, saccarosio liquido refrigerante e vasellina. I riferimenti alla medicina, di cui ha studiato i fondamenti, e allo sport che ha sempre praticato, giocano un ruolo fondamentale nel suo immaginario. Dal 1993 è intento a realizzare una saga epica Cremaster formata da 5 film legati da una comune simbologia ma sostenuti da una struttura narrativa indipendente. Il lavoro di Matthew Barney assume il ruolo di una nuova mitologia; il corpo viene usato come luogo simbolico e geroglifico dove la trasformazione dell’individuo muta la storia e la società.

Artista trasgressivo e filosofico, Mike Kelley nasce all’interno della performance americana degli anni Settanta. In seguito fa entrare nella sua opera ogni tipo di influenza (cinema, musica, letteratura psicologia, politica) creando installazioni cariche di elementi ambigui ed equivoci. Nel 1987 dichiara: “Mi piacciono le caricature e le cose distruttive”. Gli obiettivi della sua arte distruttiva sono alcuni miti americani, come il maschilismo che egli vede imperante nell’arte e nella religione. Nelle sue installazioni fa uso di oggetti altamente simbolici come pupazzi di pezza, bambole e altri oggetti, per lanciare messaggi sociologici contro la mercificazione culturale.

Il corpo sentito come luogo di erotismo violento o oggetto di desiderio sterile e volgare è messo in luce dai lavori delle artiste già impegnate sul fronte femminista: Kiki Smith, Karen Kilimnith, Marlene Dumas, Pia Staudtbäumer, Janine Antoni, Cindy Sherman.

La quantità di mostre e di artisti che fanno riferimento al corpo è via via aumentata nel corso degli anni Novanta e l’ultima Biennale di Venezia dimostra che molti artisti dell’ultima generazione fanno di questo tema il centro della loro ricerca artistica.

L’arte al femminile

{{ < figure src=“https://d32dm0rphc51dk.cloudfront.net/WIOL8zlHf0h1KA8BJJvbuQ/larger.jpg" title=“Cindy Sherman” >}}

Un fatto nuovo dell’arte tra i secondi anni Ottanta e gli anni Novanta è la grande presenza di artiste donne. Se per anni l’arte, a parte casi sporadici, è stata appannaggio maschile, la situazione cambia radicalmente nell’ultimo decennio. Le artiste introducono nuove tematiche al femminile all’interno del contesto dell’arte contemporanea: si raccolgono nella propria singolarità per sondarla, leggerla, e saperla raccontare con strumenti propri al loro mondo. Barbara Bloom, Jenny Holzer, Sherrie Levine, Cindy Sherman, sono tra le prime a mettere a fuoco il ruolo della donna e gli stereotipi imposti dalla società dei consumi. Jenny Holzer usa il display - insegne led - per far scorrere scritte in luoghi pubblici - da lei chiamati “contro slogan” - o nelle esposizioni private: “E’ il consumatore che viene consumato”, “Proteggetemi da ciò che voglio”, “L’abuso di potere arriva senza sorprendere” o lunghe poesie intitolate Laments.

Cindy Sherman indaga i ruoli che la donna ha avuto negli anni Cinquanta e Sessanta nella società americana, attraverso l’uso di fotografie in bianco e nero, raccolte in cicli tematici (Film still) - di un ipotetico repertorio di un’attrice, interpretata da lei stessa - o di vecchi film di secondo ordine. Ella interpreta successivamente, nei suoi quadri fotografici, ruoli sempre diversi che sono dati come modello di comportamento alle donne dal cinema, dalle riviste e in generale dalla società. La protagonista delle fotografie è sempre lei truccata e trasfigurata grazie ai costumi e alle maschere usate. Il suo studio si trasforma in una scenografia realizzata con oggetti raccolti durante il lungo periodo di preparazione; l’artista non ha assistenti: lei stessa è fotografa, attrice, regista, sceneggiatrice, stilista, truccatrice, tecnico delle luci. Nel 1982 si impone all’attenzione internazionale grazie alla partecipazione alla Biennale di Venezia, a Documenta a Kassel e a una mostra personale itinerante in Europa. Dal 1985 usa le maschere e il ritratto-modello diventa il soggetto dominante. Nei Tableaux Vivants (1989) l’attenzione per i ritratti si accentua, rivisitando quadri famosi (di Raffaello, Caravaggio) in cui il soggetto è sempre impersonato dall’artista stessa truccata e vestita in modo da diventare irriconoscibile e da identificarsi con il personaggio.

I problemi legati alla condizione femminile sono stati affrontati in Europa con grande attenzione dalle artiste tedesche. Già negli anni Settanta emerge il lavoro di Rebecca Horn, soprattutto nell’ambito della Body Art ma la sua ricerca esprime un costante arricchimento negli anni Ottanta e Novanta. Tra le altre ricordiamo Rosemarie Trockel, con i suoi lavori a maglia e a telaio su cui vengono riportate scritte del tipo “Faccio quindi sono”, Katherina Fritsch, presente anche all’ultima Biennale di Venezia del novecento con dei giganteschi topi neri in ferro e poliestere, The Rat King, che sono diventati il simbolo stesso della Biennale. Anche in Italia la presenza femminile diventa preponderante negli anni Novanta, tra le prime ad emergere nel panorama nazionale ed internazionale Daniela De Lorenzo, Liliana Moro, Eva Marisaldi, Vanessa Beecroft, Grazia Toderi. Le vesti appese (Suspence, 1993), tessuti adagiati su scheletri-strutture, con ricordi barocchi caratterizzano le sculture di Daniela De Lorenzo. Di Eva Marisaldi invece ricordiamo Lieto fine, opera nella quale il desiderio di imitare una platea cinematografica è realizzato attraverso l’eclettismo dei mezzi utilizzati: al video ella accosta la fotografia, il disegno ed il ricamo. Nel 1999 la Galleria d’Arte Moderna di Bologna ospita una sua personale A4 extra.

Figure emergenti nel panorama italiano degli anni ‘90

{{ < figure src=“https://eventiculturalimagazine.files.wordpress.com/2012/05/411.jpg" title=“Spiaggia 1, Ruggero Savinio” >}}

La scena artistica italiana dell’ultimo decennio del secolo è ricca ed articolata, anche se le emergenze effettivamente forti non sono molte; in consonanza con quanto avviene a livello internazionale: caoticità e frantumazione rappresentano il minimo comune denominatore. Artisti che sperimentano ricerche nell’ambito del non-figurativo sono Carmen Gloria Morales, Claudio Olivieri, Claudio Verna, Marco Gastini, Piero Ruggeri, Vasco Bendini e Luigi Pagano. Complesse strutturazioni spaziali, prevalentemente ortogonali sono realizzate, a Bologna, con un’ampia libertà di linguaggio da Marcello Jori; a Milano accanto agli elementi segnici dal semplice cromatismo di Pino Pinelli, Renata Boero esegue grandi tracce cromatiche con un segno elementare (Conchiuso, 1992). Una pittura d’impianto geometrico caratterizza Gianfranco Anastasio (Anno luce, 1990) operante a Messina, mentre un tendenziale monocromatismo contraddistingue Ignazio Gadaleta (Raggio d’azione, 1991). In campo figurativo ampio spazio è dato ad una pittura di carattere espressionista e visionaria, ricordiamo: Ruggero Savinio, Arcangelo (Mille e non più mille, 1990), Salvatore Garau, Santo Tomaino, Claudio Marullo (La fontana incantata, 1990), Emilio Tadini, Aldo Mondino (Venditore di cappelli a Williamsburg, 1990), Beppe Devalle (Palestra, 1991), Marco Cingolani, Stefano Arienti e Gianfranco Baruchello.

Mauro Staccioli, Remo Salvadori, Luigi Mainolfi, Giuseppe Maraniello, Vittorio Messina, Nunzio e Nagasawa Hidetoshi animano invece il panorama scultoreo italiano.

La volontà di recuperare la dimensione artigianale, nell’uso della terra che manipola in forme di allusione antropomorfica, distingue la figura di Luigi Mainolfi in rapporto con l’arte povera, per il materiale utilizzato ed il rapporto che con esso instaura. Mauro Staccioli intende denunciare il degrado e la disumanizzazione sempre crescenti attraverso la realizzazione di strutture elementari costituite con materiali edili (cemento, legname e mattoni). La prima opera significativa di Remo Salvadori, composta nella casa studio di Via Corio a Milano, è il Tavolo d’angolo (1972), una forma circolare in legno attorno a uno spigolo del muro della cucina: una trasformazione spaziale di uno spigolo in una curva. La volontà di modificare il proprio habitat e la propria vita nel segno dell’arte qualifica la sua ricerca; mediante l’utilizzo di forme geometriche, interpretate come simboli di stati esistenziali ed entità cosmiche (il quadrato come elemento stabile che rimanda alla terra, il cerchio al cosmo e alla trascendenza) esprime l’esigenza di percepire e di far percepire l’opera d’arte ponendola nello spazio; è importante per Salvadori porre il lavoro individuale in relazione al contesto e alle più ampie energie universali. Nel biennio 1985-86 crea una serie di opere Tazze, Anfora e Modello, Ecce Homo, Continuo infinito presente che espone alla gallerie Pieroni di Roma e Locus Solus di Genova. Nel 1992 partecipa a Documenta 9 e nel 1993 alla Biennale di Venezia con l’opera Nel Momento un lavoro che si incentra sulle infinite possibilità di plasmare una superficie di piombo attraverso l’azione (l’artista taglia un quadrato di piombo, lo piega e crea delle aperture), e la diversa incidenza della luce. Nel 1997 il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato gli dedica un’ampia personale.

Accanto a Salvadori grande eco produce lo scultore giapponese Nagasawa Hidetoshi, operante a Milano. Il motivo del “viaggio” assume una dimensione emotiva che segna fortemente il suo lavoro; il “tema della barca”, che costituisce un continuum nella sua opera, diviene la testimonianza visiva del rapporto arte-viaggio. Nel 1973 espone alla Biennale de Paris una piroga scavata in un tronco d’albero con il fuoco e l’accetta come settemila anni fa; nel 1981 la forma della barca riappare in una mostra a Torino: è di marmo di Carrara ed è piena di terra dove è piantato un salice. In seguito il “viaggio della barca” diventa sempre meno fisico e più mentale. Nel 1986 partecipa alla mostra Chambres D’Amis a Gand: una barca leggera, trasparente, un semplice profilo di ottone, è appesa alla parete esterna di una casa. Contemporaneamente a Sonsbeek, in Olanda, un gruppo di barche dai profili di ferro avvolti in carta giapponese, con la punta rivolta verso Ovest, è posato su un prato e ognuna ha al centro un albero di salice. Il tema del viaggio si lega a quello della natura e del paesaggio, del luogo e del tempo. Nelle sue opere sul “tema del giardino” (Luogo dei Fiori, 1985, Mito, Japan, Contemporary Art Center; Jardin,1996, Palma de Mallorca, Fondazione Mirò) si evince la differenza tra il concetto di natura occidentale e orientale: l’artista stesso afferma più volte che “ il giardino in Oriente è scultura e senso della scultura”.

Tony Cragg, Jan Vercruysse e Jeff Koons: protagonisti della scultura internazionale

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/4e/Cragg_tony_skulptur_ferryman_1997_bronzeguss_wien_bank_f%C3%BCr_arbeit_u_wirtschaft.jpg/800px-Cragg_tony_skulptur_ferryman_1997_bronzeguss_wien_bank_f%C3%BCr_arbeit_u_wirtschaft.jpg" title=“Ferryman Bronze, Tony Cragg” >}}

Uno dei principali rappresentanti della cosiddetta “new generation” inglese è Tony Cragg. Le sue prime opere sono realizzate con scarti e rifiuti, come Combination of Found Beach Objects (combinazione di oggetti trovati sulla sabbia), fatta di oggetti raccolti sulla riva del mare posti su una griglia tracciata con il gesso, con pezzi di legno sparpagliati sul pavimento o arrangiati in cumuli verticali. Cragg tiene la sua prima personale presso la Lisson Gallery di Londra, nel 1979, dove compone un rettangolo con centinaia di piccoli oggetti di plastica colorata, alcuni macerati dal tempo e irriconoscibili, altri ben identificabili; nel disporli per terra l’artista osserva con rigore il digradare dei colori secondo lo spettro cromatico di Newton. Con lo stesso procedimento in seguito Cragg lavora appendendo sul muro i pezzi di plastica che sfociano spesso nella figurazione unitaria di una silhouette o di una narrazione (Aeroplane 1979). Il suo interesse si sposta in seguito su altri materiali di recupero: vecchi tavoli, sedie e biciclette. A partire dal 1984 appaiono sculture a tutto tondo alcune delle quali sono combinazioni di oggetto d’uso con tubi di plastica o pietra, mentre altre sono composizioni architettoniche di forme geometriche in legno, di varia altezza, accostate in modo tale da suggerire case o paesaggi montuosi. Nella seconda metà degli anni Ottanta, Cragg partecipa a un simposio sulla lavorazione del vetro e realizza ampolle di vetro prima soffiato, poi liso e bucato (Eroded Glass, 1988). L’attenzione costante ai processi di trasformazione delle cose evidenzia la valenza alchemica del suo lavoro che più che sottolineare l’atto del recupero dell’oggetto vuole tendere a far riflettere sull’impossibilità di decretarne la morte.

Le prime opere del belga Jan Vercruysse, costituite da sequenze fotografiche in bianco e nero (spesso recanti l’autoritratto dell’artista) e pensate come frasi di un discorso (“sonetti di un componimento poetico” – egli dichiara), mirano a rappresentare il ruolo dell’artista nel nostro sistema sociale e culturale. A partire dal 1983 egli crea le Chambres, altissime scatole di mogano dall’interno cupo, che creano degli ambienti illuminati da lampade fluorescenti o da aperture alle pareti, in cui il visitatore è invitato ad entrare; il passaggio dall’esterno all’interno costringe l’osservatore a ridefinire lo spazio attorno a sé. Dal 1985 è la volta di Atopies (non luoghi), insiemi di basamenti, comignoli, cornici, specchi che mostrano uno spazio senza realtà e assumono l’identità di illusioni. Dalla fine degli anni Ottanta Vercruysse crea la serie Tombeaux, traducibile con cenotafio, monumento funebre, in onore di qualcuno che non è presente neppure come spoglia; il richiamo è quindi all’assenza intesa come spazio mentale e dimensione non vincolata ai fenomeni. Il lavoro acquisito dal Museo d’arte contemporanea Castello di Rivoli, Tombeaux III (1991) è un esempio della sua nuova ricerca: nove strumenti musicali a fiato e mensole realizzati in vetro di Murano blu. Gli strumenti sono appesi tramite cinture di cuoio alla parete, le mensole sono applicate al muro attiguo molto in alto; non c’è nessuna funzionalità, sono macchine sonore messe a tacere. Solo così, quando il mondo delle funzioni si eclissa, si può aprire uno spazio alla meditazione; per questo distacco che non dà spazio neppure all’espressione personale dell’artista, Germano Celant parla, a proposito della sua opera, di inespressionismo.

L’americano Jeff Koons ha come lontani referenti il Dadaismo di Duchamp e la Pop Art; tuttavia il rapporto che instaura con gli oggetti è diverso. L’esibizione di una serie di oggetti di consumo nuovi o di antiquariato, che sono esposti senza subire delle modificazioni oppure in copie di acciaio (ninnoli, coniglietti, nani, pastorelle), mira a svolgere una critica violenta contro il livellamento tra cultura alta e cultura di massa. La sua esperienza lavorativa in borsa a Wall Street lo influenza nel rapporto con l’arte; egli, infatti, cerca di applicarvi le strategie del mercato. Koons vuole incarnare la figura dell’artista imprenditore che lavora per alimentare il mercato dell’arte avido di consumare e di speculare. Scatole di plexiglas contengono aspirapolvere, palle da baseball ed altri oggetti che subiscono in questo modo una “santificazione”. Alla fine degli anni Ottanta dirige e interpreta il film pornografico Made in Heaven insieme alla moglie, la porno star Ilona Staller, ed espone alla Biennale di Venezia grandi foto tratte dal film; partecipa alle maggiori mostre internazionali e i maggiori musei in America e in Europa gli dedicano mostre personali.

“dAPERTutto”: l’ultima Biennale del Novecento ed alcune manifestazioni

{{ < figure src=“https://artscenter.vt.edu/content/dam/artscenter_vt_edu/1718exhibitions/pia-fries.jpg.transform/xl-medium/image.jpg" title=“Opera di Pia Fries” >}}

Harald Szeemann, curatore dell’ultima Biennale di Venezia del novecento, così la definisce: “una passeggiata di sorpresa in sorpresa”, perché volutamente priva di un’unica tendenza. L’unico filo conduttore sembra essere la giovinezza dei partecipanti. La Biennale ha un titolo visivo “d’APERTutto” che richiama “Aperto”, la sezione dedicata agli “emergenti”, creata da Szeemann alla Biennale del 1980 con Achille Bonito Oliva; nel 1999 tuttavia non appaiono percorsi tematici né distinzioni tra artisti affermati e poco conosciuti. Szeemann, infatti, sceglie gli artisti, in tutto 102, rivendicando coscientemente il proprio gusto personale. E’ una Biennale che cerca di rompere il monopolio e l’egemonia statunitense ed europea delle precedenti edizioni, per creare un percorso dell’arte contemporanea il più libero e disincantato possibile. Si scopre subito che la presenza cinese conta 20 artisti (quasi un quinto del totale); la maggioranza delle loro opere, se non fosse per i caratteri somatici dei personaggi dei video o delle fotografie, sarebbe difficile da targare come orientale. Una percentuale significativa è inoltre rappresentata dalla presenza delle donne, alla quale è dedicato ampio spazio: non si era mai avuta precedentemente parità numerica tra artisti ed artiste. Grazia Toderi, Paola Pivi, Monica Bonvicini, Luisa Lambri e Bruna Esposito sono le cinque giovani protagoniste, vincitrici del Leone d’oro, che rappresentano il padiglione italiano. Grazia Toderi vi partecipa con due video – che testimoniano l’importanza assunta da questo genere espressivo nel mondo dell’arte: Il decollo ed Il fiore delle Mille e una notte.

Negli ultimi anni del secolo sono invece da ricordare alcune manifestazioni artistiche che hanno ricevuto particolare attenzione: nel 1997 si rammentano le mostre itineranti di Bill Viola e di Cindy Sherman, nel 1998 la grande retrospettiva di Magritte a Bruxelles e, nel 1999 quella organizzata a Milano per il centenario della nascita di Lucio Fontana. Dal Museum of Contemporary Art di Los Angeles parte invece, nel 1998, la mostra itinerante Out of Actions-Between performance and object 1949-1979, la maggiore retrospettiva mai organizzata sul tema della performance.

Le tendenze degli anni Novanta: alcune esperienze di high-tech

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/de/Guggenheim-bilbao-jan05.jpg/800px-Guggenheim-bilbao-jan05.jpg" title=“Sole riflesso sul Museo Guggenheim di Bilbao, progettato da Frank Gehry” >}}

La consapevolezza della perdita di riferimenti unitari a cui appellarsi ha coinvolto anche l’architettura; i manifesti programmatici attraverso i quali le avanguardie avevano dichiarato il proprio pensiero rivoluzionario perdono significato nel mondo contemporaneo, caratterizzato da un completo individualismo e, in cui ogni espressione artistica esalta la pura sperimentazione e l’autonomia dell’atto creativo. Anche il decostruttivismo che, forse più di ogni altra forma d’arte attuale rispecchia la frammentarietà della cultura metropolitana, è più una tendenza che un vero e proprio movimento, e del significato del progettare decostruttivista ogni architetto dà la propria personale interpretazione. Si assiste ad esasperazioni paradossali e a coesistenze, sovente nell’operato di uno stesso architetto, di realizzazioni non confrontabili le une con le altre: a proposito del citazionismo di Arata Isozaki la critica parla di “eclettismo schizofrenico”. L’architettura di Alvaro Siza è stata, di volta in volta, chiamata “contestualista”, “regionalista”, “neo-modernista”. E così via, sino alle frange di opposizione alla diffusione della ancora incerta cultura universale, individuate da Kenneth Frampton nel “regionalismo critico”, oppure percorse personalmente da architetti (ad esempio Moneo) che sono riusciti a rielaborare diverse tradizioni formali in una nuova e raffinata sintesi.

Il computer, che aveva inizialmente in campo architettonico un ambito ristretto di applicazione - era poco più che uno strumento di elaborazione grafica in grado di restituire il progetto secondo un linguaggio codificato, chiaro e trasferibile – acquisisce in questo decennio grande importanza. I nuovi programmi di progettazione offrono oggi possibilità infinitamente più ampie che addirittura modificano la logica stessa della progettazione: le forme “blobbose” di Frank Gehry, o le scatole “esplose” di Zaha Hadid non potrebbero nemmeno essere ideate senza il supporto dei sofisticati sistemi di calcolo dei nuovi elaboratori elettronici.

Negli anni ‘90 l’architettura strutturalista e high-tech si evolve di pari passo con l’avanzamento delle ricerche sul risparmio energetico. Ai grandi studi è affidato il compito di escogitare soluzioni ingegnose, non solamente per le loro qualità formali, ma anche per ottimizzare lo sfruttamento di risorse energetiche non inquinanti e auto-rigeneranti. Esemplare, a tale proposito, è la cupola realizzata da Norman Foster a coronamento dell’ottocentesco edificio del Parlamento tedesco di Berlino (1993-99), che è in realtà un sofisticato sistema di autoventilazione e di conversione dell’energia solare. Fra il 1988 e il 1992 egli realizza la torre delle comunicazioni di Collserola (Barcellona): una svelta e trasparente struttura alta 288 metri, sorretta da un imponente pilone centrale in calcestruzzo armato a cui sono addossate le scale di emergenza ed un spettacolare ascensore panoramico su tutta la città. I tredici livelli della torre sono a pianta triangolare, con i lati convessi: una configurazione particolare studiata per resistere ai moti oscillatori causati dal vento. Altri edifici high-tech significativi realizzati alla fine del secolo appartengono al francese Jean Nouvel e al giapponese Arata Isozaki. Del primo rammentiamo il progetto di ristrutturazione del Teatro dell’Opera di Lione (1986-93) in cui il volume dell’edificio esistente viene raddoppiato da una grande copertura a botte, realizzata da lamelle in vetro serigrafato che cambiano colore a seconda delle condizioni del cielo. Del secondo invece, ricordiamo il padiglione dell’amicizia per l’Expo di Osaka del 1990; Isozaki partecipa inoltre, al fianco di Renzo Piano, Kohlbecker, Rogers e Moneo al progetto di ricostruzione della Potsdamer Platz di Berlino, realizzando un imponente edificio per uffici (1996-99).

Il Decostruttivismo

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/30/Holocaust-mahnmal.jpg" title=“Uno scorcio del Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa a Berlino” >}}

Nel 1988 viene allestita, presso il Museum of Modern Art di New York, la mostra “Deconstructivist Architecture”, a cura di Johnson e Wingely. In tale occasione vennero esposti i lavori di sette architetti (Rem Koolhass, Zaha Hadid, Peter Eisenman, Frank Gehry, Daniel Liebeskind, Bernard Tschumi, il gruppo Coop Himmelblau) che, per quanto non rappresentassero una corrente dai contorni precisi, erano avvicinabili gli uni agli altri per il comune riferimento al linguaggio formale del costruttivismo (movimento d’avanguardia affermatosi in Russia negli anni ‘20). I protagonisti del decostruttivismo, ciascuno a suo modo, si confrontano e tentano di esprimere le contraddizioni della società contemporanea: la cultura stessa del progetto, inteso come insieme di regole (compositive o formali che siano), viene negata in nome di una libertà espressiva più aderente alla complessità della cultura metropolitana. “La forma segue la funzione”, assioma imprescindibile del moderno, non ha più significato in un mondo che annulla gerarchie e verità assolute. Rem Koolhaas, animatore del gruppo OMA (Office for Metropolitan Architecture), che giunge all’architettura da una formazione di scenografo e giornalista, vuole che l’atto stesso del progettare registri l’impatto della cultura metropolitana sull’architettura. Il decostruttivismo rivendica l’autonomia dell’atto creativo: l’operazione di “smontaggio strutturale” a cui viene sottoposta l’unità della scatola muraria, determina un successivo rimontaggio, che però avviene attraverso forme irregolari, pareti sghembe, assemblaggi imprevedibili, accorpamenti vivaci e liberi di elementi e materiali diversi.

La scomposizione dei volumi diventa il tema portante di Frank Gehry: la vitalità dinamica di cui partecipano i suoi lavori, che presentano uno spazio frammentato in mille giochi prospettici, hanno fatto parlare di “cubismo in architettura”. Tra le opere più recenti si segnalano il Vitra Design Museum a Well am Rhein (1989), la Walt Disney Concert Hall a Los Angeles (1989), il Museo d’arte all’università di Toledo (Ohio, 1989-92), il complesso di Euro Disney a Marne-la-Vallée (1992), la pergola a forma di pesce per i giochi olimpici celebrati a Barcellona ‘92. Il Guggheneim Museum di Bilbao, un esempio di eccezionale fusione fra architettura e scultura, inaugurato nell’ottobre del 1997, documenta la sempre maggiore confidenza con l’uso delle linee curve già sperimentata nel precedente Chiat/Day Building di Venice in California.

Peter Eisenman è considerato, invece, il più “concettuale” degli architetti americani. Le sue raffinate case individuali, realizzate per una committenza sofisticata, esprimono al meglio la sua volontà di creare uno “spazio simbolico e di intenso significato culturale”: le sue case-gioiello (si pensi alla casa III - casa Miller -, Lakeville 1970; casa VI - casa Frank- Cornwall 1972-73), numerate progressivamente come se fossero entità astratte, sono strutture leggere ed eleganti, quasi simboli dell’architettura. Nel Wexner Center for the Visual Art per il campus dell’Ohio State University (Columbus, 1982-89), due griglie reticolari, orientate l’una sulla direttrice del campus e l’altra su quelle di Columbus, si incontrano a indicare l’importanza della vita universitaria per la crescita culturale della città. Il Wexner Center insieme al progetto per Cannareggio a Venezia (1978) segnano l’inizio di una nuova fase, per molti aspetti vicina alla tendenza decostruttivista. Fra le ultimissime realizzazioni si ricordano il Greater Columbus Convention Center a Columbus (1989-93) e il College del Daap dell’università di Cincinnati, Ohio (1990-1996).

L’iracheno Zaha Hadid partendo dalla rivisitazione del costruttivismo russo giunge a stravolgerne i caratteri linguistici fino ad una completa “esplosione” dell’oggetto architettonico. I piani vengono riassemblati con un voluto disordine, a cui collabora l’accostamento contrastato dei materiali e dei colori, secondo un gusto forse ereditato dalla cultura orientale. Nel progetto per Trafalgar Square di Londra (1985) sono già presenti i temi fondamentali della sua architettura: ogni concezione di spazio unitario viene negata, la quinta prospettica dello scenario urbano si frammenta, riflettendo la complessità della contemporanea realtà metropolitana. Nel bar ristorante Moon-Soon a Sapporo (Giappone, 1990), l’ortogonalità dei piani verticali e orizzontali viene negata, a favore di una espressività volumetrica, quasi scultorea, delle singole parti. Nel 1998 gli viene commissionato il Contemporary Art Center a Cincinnati (Ohio).

Il cinema americano

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/c6/Jurassic_Park_Tyrannosaurus.jpg/800px-Jurassic_Park_Tyrannosaurus.jpg" title=“Il \“testone\” del tirannosauro usato nel film \“Jurassic Park\” di Steven Spielberg” >}}

Negli anni ‘90 il cinema americano ha continuato a produrre film con budget sempre più ricchi, pieni di strabilianti e costosi effetti speciali che diventano il tratto caratteristico delle produzioni americane. Continua il filone dei “film denuncia”, che mette sotto accusa la corruzione dei pubblici poteri, e quello che magnifica l’uomo comune, l’eroe per caso “della strada”, in un’escalation di violenza e spettacolarità (pensiamo, ad esempio, ai recenti Heath, con Bob De Niro e Al Pacino o Giochi di potere, con Harrison Ford).

Tuttavia, i filoni principali sembrano essere tre: quello dei grandi film spettacolari di fantascienza come la serie di Batman, Independence day o Armageddon; le commedie, pensiamo a film come Pretty woman, e i soliti ripetitivi action movie, come ad esempio i film di Sylvester Stallone, o quelli interpretati da Arnold Schwarzenegger o da Bruce Willis.

Una menzione a parte merita l’opera prima girata da un attore già affermato: Balla coi lupi, diretto con felice mano da Kevin Costner che, nell’occasione, ridà lustro al genere western. Il film ha avuto un clamoroso successo di critica e di pubblico risultando vincitore di ben 7 premi Oscar.

Steven Spielberg continua a reinventare il cinema spettacolare, mischiando fantascienza e fiaba, fumetto e film di guerra. Pressoché tutti i suoi film diventano campioni d’incasso in tutto il mondo. E’ considerato “il” regista di Hollywood. Spielberg ha sempre alternato film a carattere strettamente spettacolare (come Hook, o Jurassic park, Salvate il soldato Ryan) a film più impegnati sul piano sociale e drammaturgico (Schindler’s list, Amistad).

Accanto alla cinematografia più patinata e sempre più codificata nell’ambito di generi ben definiti, nel corso degli anni ‘90 sono emersi, o hanno continuato a produrre opere di grande rilevo, molti grandi registi. Sono questi ultimi a esser stati capaci di reinventare i “generi”, di produrre grandissimi film. Basta citare solo qualche nome: Robert Altman, Francis Ford Coppola, Ridley Scott, Martin Scorsese, Jonathan Demme e Quentin Tarantino.

Oltre agli inossidabili mostri sacri dei precedenti decenni, De Niro, Hoffman, Nicholson, Redford, emerge una generazione di nuovi divi, come Kevin Costner, Tom Cruise, Julia Roberts, Keanu Reeves, Jhonny Depp, Andie McDowell, Sharon Stone, Daniel Day-Lewis, Hugh Grant, George Clooney, Sandra Bullock che permette al cinema americano di continuare a predominare a livello internazionale.

Al di là di Hollywood

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/0/0e/Pulp_Fiction.JPG/800px-Pulp_Fiction.JPG" title=“Harvey Keitel, John Travolta e Samuel Jackson in una scena del film \“Pulp Fiction\” di Quentin Tarantino” >}}

I film di David Lynch e quelli di Quentin Tarantino presentano molti punti in comune, con realizzazioni spesso disparate ma che muovono da una rivisitazione e riorganizzazione postmoderna dell’immaginario culturale popolare: i fumetti, la letteratura pulp, le soap-operas ed i telefilm, il cinema di serie B e la musica rock. Entrambi, spregiudicatamente, lavorano per il cinema e la televisione. Proprio con una serie TV, Twin Peaks, Lynch ha conosciuto il suo massimo successo, incollando ai televisori milioni di spettatori negli Stati Uniti e nel mondo. Suggestioni degli anni Cinquanta, atmosfere torbide di provincia da film noir, esoterismo e oniricità, lotte fra il bene e il male sono gli ingredienti di uno spettacolo televisivo che realizza in definitiva uno dei compiti strutturali del cinema: la popolarizzazione di un “messaggio” artistico, di una visione del mondo complessa e strutturata composta in un linguaggio suggestivamente pop ma profondamente significante. Cuore Selvaggio, del 1990, e il recente Strade Perdute, realizzati in collaborazione con lo scrittore Barry Gifford, proseguono l’indagine tra i fantasmi dell’immaginario americano approdando a soluzioni formali e narrative di alto livello. Quentin Tarantino ha un esordio d’autore da enfant prodige nel 1992 con Le Iene. Il film è una cronaca a ritroso di una rapina con sparatoria, dove i salti temporali, il montaggio serrato, l’uso magistrale della macchina da presa e la direzione degli attori denotano le dinamiche specifiche del cinema di Tarantino, che testimonia le influenze di decostruzione del linguaggio e dell’immagine alla Godard, quanto quelle del cinema “splatter” e dei film d’azione. Pulp Fiction, palma d’oro a Cannes nel 1994, è un esercizio di stile che amplifica e perfeziona con immagini formalmente perfette le sincronie narrative di una sceneggiatura da Oscar. Per più di due ore il film si snoda seguendo vicende parallele e tangenti. Montaggi alternati, flashback, anacronismi, cambi di prospettiva, raccontano storie crude e violente, emozioni forti e umorismo cinico, e citazioni di tanto grande cinema.

Spike Lee

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/3e/Denzel_Washington.jpg/752px-Denzel_Washington.jpg" title=“Denzel Washington interpreterà uno dei suoi ruoli più acclamati dalla critica in Malcolm X. L’interpretazione dell’attivista per i diritti degli afroamericani gli valse una nomination all’Oscar al miglior attore” >}}

Le avventure sentimentali dell’avvenente ed indecisa Lola Darling (She’s gotta have it) hanno rivelato nel 1986 il talento di Spike Lee, il primo regista indipendente afroamericano che approdava nei mercati della distribuzione internazionale con un’innovativa pellicola in bianco e nero interpretato da un cast all black. Un racconto moderno, che impegnava Spike Lee anche come attore co-protagonista, usciva dal ghetto e rivelava un autore sensibile e ‘cinèphile’, conoscitore dei maestri ma profondamente radicato nella cultura afroamericana, uno sguardo lucido e ironico che offre al grande pubblico una prospettiva inedita sui processi dei rapporti tra le culture. Fà la cosa giusta (Do the right thing) è la cronaca di una torrida giornata a Brooklyn, nel ghetto di Bedford Stuyvesant. Lee ne approfitta per rappresentare in un affresco corale i caratteri più tipici delle strade del ghetto, procedendo con uno sguardo poeticamente partecipe, rivelando influenze dal cinema di Cassavetes a quello della Nouvelle Vague, con un occhio al cinema di Hollywood. Rinvigorita dal successo del film, la 40° Acres and a Mule, la società di produzione da lui fondata, e così chiamata per ricordare la fine della schiavitù negli Stati Uniti, produce il film Mo’ better blues, 1990, ambientato nel mondo del jazz, la musica della tradizione della cultura afroamericana, una concessione autobiografica per Spike, figlio del contrabbassista e compositore Bill Lee, collaboratore di John Coltrane ed autore delle musiche per i film del figlio. Jungle Fever 1991, è un film ben composto, drammatica vicenda urbana sulle difficili relazioni tra le etnie, che racconta una New York dura con fotografia patinata e un uso sciolto della macchina da presa. Discusso rappresentante dell’intellighenzia afroamericana, gli osteggiatori gli rimproveravano di aver ceduto alle lusinghe del cinema commerciale. Tra molte difficoltà e polemiche si concluse la realizzazione di Malcolm X, 1992, lunga biografia in forma di colossal del leader politico degli anni Sessanta.

La Nouvelle géneération del cinema francese

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/4/49/Notti_selvagg%D0%B5.png" title=“Cyril Collard in una scena a inizio film” >}}

Jeanne Moreau ha detto che la Nouvelle vague era morta e che bisognava capirlo una buona volta per sempre. Di fronte a un cinema francese relativamente convenzionale e conformista (gli anni ‘80 vedono la realizzazione di diversi film di buona fattura, ma principalmente in costume e di opere essenzialmente immagine della borghesia), appare una nuova generazione di giovani registi. Si tratta di un cinema che si piega sui problemi più gravi della società, con uno sguardo generazionale giovane dunque nuovo.

Questo cinema indipendente, fatto cioè di piccoli produttori, di soggetti d’epoca e di stili nuovi è stato risvegliato nel 1992 dal film di Cyril Collard, Notti selvagge. Il progetto è ambizioso e i temi abbordati, finalmente, riflettono la nostra società urbana, i suoi costumi, la nostra epoca insomma. Attraverso il racconto di una doppia storia d’amore si parla infine dell’AIDS che entra nelle paure comuni, della bisessualità, dell’omosessualità, del sadomasochismo, dell’estrema destra razzista, dei problemi di comunicazione. Opera controversa, tali ‘rivelazioni’ hanno turbato la morale e i tabù di molti.

Come per L’odio di Mathieu Kassowitz più tardi. L’uscita del film è in perfetta simbiosi con un problema profondo della società. Kasso, come è talora soprannominato, è uno dei giovani talenti, nato nel 1967, più riconosciuti del cinema francese di questi anni, quello della Nouvelle génération. Ne L’odio, Kassowitz focalizza l’attenzione sulla vita di una piccola banda di giovani della banlieu parigina, soggetto raramente trattato nel cinema francese. Kasso analizza, al ritmo della musica urbana rap, i meccanismi che spingono questi tre giovani, un musulmano, un africano e un bianco d’origine ebraica, all’odio verso il sistema e alla violenza, e capta la paura trattenuta tra i giovani della città e la società. La scelta presa dal realizzatore di filmare in bianco e nero aggiunge intensità e veridicità al soggetto.

Di tutta la ‘famiglia’ dei giovani realizzatori si devono ricordare: Eric Rochant (Un mondo senza pietà), Cédric Klapisch (Ciascuno cerca il suo gatto) e Guédiguian (A la vie à la mort; Marius et Jeannette).

Guédiguian con Marius et Jeannette, ‘ambientato’ nel quartiere popolare l’Estaque, a Marsiglia (quartiere del regista nella realtà) denuncia l’integralismo della destra lepenista, il fanatismo religioso, la mancanza del lavoro, l’insolenza dei ricchi. Questo film della Nouvelle génération adotta il principio della piccola produzione, dunque senza alcuna pretesa o qualità tecnica particolare. La Nouvelle génération è in ciò quella “dell’anti” Besson.

Il cinema italiano

{{ < figure src=“https://pbs.twimg.com/media/CrRsDibXYAAIgPg.jpg" title=“Philippe Noiret e Massimo Troisi in una scena del film” >}}

In Italia il cinema degli anni ‘90 vive soprattutto di continuità con il precedente decennio: in generale, ci sono pochi film che tentano di “raccontare” qualcosa di nuovo, anche se il filone della commedia di svago, più o meno ‘brillante’, ha proposto autori provenienti dal cabaret, transitati nel piccolo schermo, che hanno incontrato un clamoroso successo ai botteghini. Si pensi ai film di Leonardo Pieraccioni (I laureati, Il ciclone, Fuochi d’artificio) e a quelli dei Aldo, Giovanni e Giacomo (Tre uomini e una gamba, Così è la vita) che sono risultati fra i maggiori incassi di tutti i tempi.

Un caso a parte è rappresentato dai film di Roberto Benigni, che con Johnny Stecchino e Il mostro è forse il punto di riferimento degli autori citati in precedenza; tuttavia Benigni come attore aveva già interpretato dei copioni di ben altro genere, fra il surreale e l’onirico, come Daunbailò (Down by law) e La voce della luna. Tutte queste caratteristiche si ritrovano nel suo ultimo film La vita è bella con il quale il comico toscano ha conquistato l’Oscar sia come miglior film straniero che come miglior attore protagonista.

Nel corso del decennio si sono affermati a livello internazionale i talenti, entrambi premiati a Cannes, di Gianni Amelio (Porte aperte, Il ladro di bambini, Lamerica) e Nanni Moretti (Caro diario, Aprile), icona quest’ultimo di un’intera generazione.

Le nuove leve apparse sul finire degli anni ‘80 hanno confermato le proprie qualità: Francesca Archibugi (Verso sera, Il grande cocomero), Mario Martone (Morte di un matematico napoletano, L’amore molesto), Carlo Mazzacurati (Il toro, Vesna va veloce), Daniele Luchetti (Il portaborse, Arriva la bufera), il premio Oscar Gabriele Salvatores con Mediterraneo (Turné).

In generale, questi registi hanno realizzato molti buoni film, ma non in tutte le occasioni sono riusciti ad uscire da un ottica minimalista sulla realtà. Tuttavia hanno gettato uno sguardo che va al di là dell’apparente benessere che sembrava aver pervaso tutta la società italiana: si raffigurano drammi dell’infanzia, microcosmi locali di malaffare, scomode vedute di un’Italia che appare brutta nel paesaggio e popolata di squallidi individui. Infine si deve ricordare un film delicato e malinconico quale Il postino che vede l’ultima interpretazione di Massimo Troisi.

Il “produttificio” della letteratura

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/a6/G%C3%BCnter_Grass%2C_2004.jpg/623px-G%C3%BCnter_Grass%2C_2004.jpg" title=“Gunter Grass” >}}

Mai come negli ultimi anni sono stati pubblicati così tanti libri. E’ un fenomeno che riguarda in primo luogo i paesi occidentali, ma non solo essi: sono decine di migliaia le pubblicazioni annuali. Non sempre l’incremento della produzione libraria, però, ha determinato un aumento del numero dei lettori.

La letteratura è sempre stata un fenomeno internazionale, soprattutto quella popolare. Negli ultimi decenni si può affermare che il settore librario sia investito dal fenomeno della globalizzazione. Più che in passato le opere di successo (di critica o di pubblico) si rivolgono ad un mercato mondiale. Questo processo ha riguardato in primo luogo i best-seller, spesso proposti con strategie di marketing e di diffusione all’americana (stile “mordi e fuggi”). Così, anche le librerie europee sono ormai piene di libri rilucenti con copertine in rilievo dai colori vivaci e decisi. Il livello qualitativo di questo tipo di produzione è molto differenziato: dai dolciastri libri a carattere sentimentale di Barbara Cartland o dai polpettoni storici (Ramses), si va a opere con uno spessore ben diverso come i capolavori noir di un autore quale James Ellroy o ai romanzi gialli di John Le Carré. I libri di grande successo, inoltre, hanno un legame molto stretto con l’industria cinematografica (americana, in primo luogo) che ne ha tratto film: pensiamo ai romanzi di John Grisham (Il socio, Il cliente, Il rapporto Pelikan), a quelli di Michael Crichton (Jurassic Park, Sol Levante), a quelli di Stephen King (che si è anche impegnato in prima persona nella regia di Brivido).

La mondializzazione delle cultura, d’altro canto, ha permesso anche una maggiore circolazione della produzione letteraria dei diversi continenti, permettendo di conoscere letterature di Paesi fino ad oggi ignote al pubblico. Particolarmente vivace è stato il mondo latinoamericano, con vecchi e nuovi autori quali, ad esempio, Gabriel Garcìa Marquez, Jorge Amado, Mario Vargas Llosa, Manuel Puig, Octavio Paz, Osvaldo Soriano, Isabelle Allende, Carlos Fuentes. Altrettanto vivace è stato quello africano con Tahar Ben Jelloul, Nadine Gordimer; il nigeriano Wole Soyinka e l’egiziano Najib Mahfuz hanno ricevuto il premio Nobel rispettivamente nel 1986 e nel 1988. Senza dimenticare gli americani come, Saul Bellow, David Lewitt, Norman Mailer, Bernard Malamud, Toni Morrison, Philip Roth, Sam Shepard, Susan Sontag (e il filone postmoderno di Thomas Pynchon, Gilbert Sorrentino, Robert Coover, William Gass), o gli scrittori asiatici come Kenzaburo Oe, Yasunari Kawabata, Kazuo Ishiguro, Abraham Yehoshua, Benjamin Tammuz, solo per citarne alcuni. Infine, anche l’Europa presenta un panorama letterario vivace con autori come Thomas Bernhard, Heinrich Boll, Joseph Brodskij, Martin Amis, Camilo José Cela, Milan Kundera, Gunther Grass, Peter Handke, Ernst Junger, Daniel Pennac, Georges Perec, Alain Robbe Grillet, James Wolf.

Panorama letterario italiano

{{ < figure src=“https://siciliaospitalitadiffusa.it/sites/default/files/wp-content/uploads/2015/10/andreacamilleri.jpg)

Andrea Camilleri

Passando alla situazione italiana, risaltano in particolare alcuni casi che assurgono a veri e propri fenomeni di costume: il riferimento corre ai nomi di Susanna Tamaro, Andrea Camilleri e Alessandro Baricco.

Va dove ti porta il cuore è il successo più eclatante del decennio: tradotto in 38 lingue, ha venduto letteralmente centinaia di migliaia di copie e dal quale è stato tratto anche un film. È il racconto intimo di tre donne (nonna, madre e figlia), descritto attraverso la lettura che la nipote compie del diario della nonna, scoprendo il melodramma della vita sentimentale di quest’ultima. Pochi anni dopo Susanna Tamaro pubblicherà il romanzo Anima mundi.

Andrea Camilleri occupa uno spazio del tutto particolare nel panorama letterario italiano: siciliano, nato a Porto Empedocle nel 1925, ha fatto il regista teatrale e televisivo, continuando tuttavia a scrivere nel corso degli anni. Pur avendo scritto fin dagli anni ‘70, Camilleri raggiunge il successo nel 1992 con La stagione della caccia: da allora vende in media 60.000 copie di ogni opera.

La sua produzione letteraria si può suddividere in due grossi filoni: da una parte lo stile è sciasciano, letterario, come nei romanzi d’ambientazione storica (La concessione del telefono, La bolla di componenda) e l’autore ne ricava un substrato storico e sociale: insomma un Camilleri engagé, non alle vette del maestro Sciascia, né a quelle di Capuana o Pirandello, al quale dedica una biografia.

Dall’altra, il secondo filone è più leggero, effimero, lieve come i romanzi gialli, quali sono quelli con il protagonista che torna più volte, il palindromo commissario Montalbano. Nell’impianto narrativo sono presenti gli elementi tipici dei libri gialli, scritti alternando il dialetto siciliano alla lingua italiana; tuttavia l’intreccio poliziesco, seppur fondamentale, è alla fine solo un pretesto per dare vita a personaggi fortemente caratterizzati, divertenti, ironici ma anche malinconici. Fra questo genere di opere si ricordano Il cane di terracotta e Il ladro di merendine.

Alessandro Baricco, nato a Torino, riflette nel suo percorso formativo la successiva attività professionale. Dopo aver compiuto studi di filosofia e musicali, dirige una scuola di scrittura creativa, collabora a numerosi quotidiani e riviste, fa programmi televisivi. Le opere che lo hanno reso conosciuto presso il grande pubblico sono Castelli di Rabbia, Oceano Mare e Seta. Ha inoltre pubblicato un monologo teatrale, Novecento da cui è stato tratto il film La leggenda del pianista sull’oceano.

Dario Fo

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/fb/Dario_Fo_in_Venice_Film_Festival_02.jpg/800px-Dario_Fo_in_Venice_Film_Festival_02.jpg" title=“Dario Fo” >}}

Al culmine di una lunga, quanto varia, carriera artistica, l’Accademia di Stoccolma ha assegnato il premio Nobel per la letteratura nel 1997 a Dario Fo. Il grande giullare del teatro italiano, autore, inventore di una lingua (il grammelot, un mix dei dialetti del Nord Italia), attore di cabaret, figura impegnata politicamente fin dagli esordi negli anni ‘60 (e per un’edizione televisiva di Canzonissima ebbe dei problemi con la censura italiana), è riuscito a diventare famoso anche all’estero grazie a uno straordinario talento comunicativo fatto di gesti, di smorfie, di mimica del corpo, che l’ha portato ad essere apprezzato ovunque: il senso del grottesco e l’umorismo paradossale uniti ad una graffiante satira politica sono i temi ricorrenti delle sue produzioni. Fra le più importanti si ricordano Ruzante, Mistero buffo, Morte accidentale di un anarchico, Il diavolo con le zinne, Fabulazzo.

L’attività di Fo ha fatto scuola: si deve almeno ricordare Enrico Paolini e il suo ‘spettacolo’, definito dall’autore un’orazione civile, La tragedia del Vajont che, dopo esser stata rappresentata nei teatri della penisola raccogliendo critiche positive, ha raggiunto uno straordinario successo in seguito alla rappresentazione televisiva condotta da Paolini proprio sui luoghi della tragedia. Da questa esperienza l’autore ha tratto anche un libro.

Scienza e Tecnologia

L’osservazione del cosmo

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/e4/Milky_Way_infrared.jpg/800px-Milky_Way_infrared.jpg" title=“La Via Lattea agli infrarossi” >}}

Telescopi ottici sempre più potenti, radio-osservatori, satelliti dotati di sofisticate apparecchiature, hanno, in questo secolo, dilatato, modificato e ridisegnato il cosmo, che all’inizio sembrava limitarsi alla sola Via Lattea; oggi sappiamo che la nostra galassia, con la sua forma a spirale e con tutte le sue stelle distribuite in modo un po’ disordinato, è solo una tra le tante esistenti nell’Universo. Ed ancora sappiamo che lo spazio siderale si sta allargando, ma non sappiamo esattamente da dove sia iniziata questa dilatazione, né se e quando essa finirà. Hubble, Lemaitre, Slipher, Gamow, Penzias, Wilson, Guth: sono solo alcuni tra gli scienziati divenuti celebri per aver contribuito a ridisegnare la mappatura di questo Universo. Per primo Edwin Hubble, alla fine degli anni Venti, riuscì a dimostrare che tutte le galassie si allontanavano dalla Via Lattea dimostrando così che l’universo era in espansione. Penzias e Wilson nel ‘65 scoprirono nel cosmo la presenza di una radiazione. la “radiazione cosmica di fondo” che proviene direttamente dal big bang e che ci permette di avere informazioni su come era l’universo quando aveva appena 300.000 anni (mentre ora ne ha circa 13 miliardi!), cioè come osservare un uomo che ha 70 anni e riuscire a capire esattamente come era a poche ore dalla nascita.

Gli astri più “vicini”: i telescopi spaziali

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/c3/Paranal_Platform_After_Sunset_%28ESO%29.jpg/800px-Paranal_Platform_After_Sunset_%28ESO%29.jpg" title=“I quattro telescopi del VLT (Very Large Telescope)” >}}

Solo in questi ultimi anni, attraverso le osservazioni dallo spazio, siamo stati in grado di correggere la “miopia” che affliggeva l’osservazione astronomica, inizialmente penalizzata dal fatto di essere vincolata a Terra e di subire quindi gli effetti dovuti all’assorbimento e alla turbolenza dell’atmosfera terrestre. Grazie all’invio di telescopi nello spazio e, più recentemente, alla messa in opera del Very Large Telescope (VLT) sulla catena delle Ande cilene, sono avvenuti enormi progressi nell’osservazione del cosmo.

Nel 1990 cinque astronauti a bordo della Discovery mettono in orbita il telescopio spaziale Hubble. Nel 1993, Hubble è entrato in funzione efficientemente ed ha, da allora, osservato migliaia e migliaia di galassie con una precisione mai raggiunta prima, il cosiddetto “Hubble deep field”, cioè un’immagine ottica a grandissima risoluzione, permettendo di testare le più moderne teorie di formazione ed evoluzione galattica e stellare. Il telescopio Cosmic Background Explorer (COBE) è invece uno strumento che osserva la radiazione di fondo cosmica nella banda di lunghezza d’onda che va da qualche millimetro a qualche decina di centimetri. COBE ha determinato in modo molto preciso la temperatura di questa radiazione, confermando la teoria cosmologica del Big Bang. Sempre grazie alle osservazioni effettuate da COBE, sono stati scoperti i GRB (gamma-ray bursts), le sorgenti di energia più potenti attualmente note, che quindi permettono di osservare molto lontano. I GRB, come dice la parola stessa, emettono inizialmente raggi gamma, poi l’energia dell’emissione decresce rapidamente ed essi sono quindi osservabili nella banda dei raggi X fino a lunghezze d’onda dell’ordine del centimetro. Soltanto di recente, si è capito con certezza che si tratta di sorgenti che si trovano anche al di fuori della nostra galassia, benché la loro natura sia ancora sconosciuta.

Il VLT è costituito da 4 telescopi ottici, ognuno con uno specchio di diametro di 8 metri, ed è nel suo insieme il più grande del mondo. E’ stato costruito da un consorzio di stati europei, ESO, a cui l’Italia partecipa a livello finanziario e a livello scientifico in modo sostanziale.

Le esplosioni delle stelle e la materia oscura

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/00/Crab_Nebula.jpg/768px-Crab_Nebula.jpg" title=“La Nebulosa Granchio è la nebulosa associata alla supernova SN 1054” >}}

Talune stelle, ad un certo punto della loro evoluzione, possono esplodere, manifestando un aumento enorme della loro luminosità, che in un tempo di poche ore o di pochi giorni aumenta di 100.000 volte. Questo bagliore di eccezionali proporzioni fece pensare che si trattasse di stelle di nuova formazione, dette dal latino novae. Nel periodo che precede l’esplosione, la superficie della stella si espande con una velocità radiale di 1.000-2.000 km/sec; giunta al culmine dell’espansione e della luminosità, la stella esplode lanciando la sua fotosfera e tutti gli strati esterni nello spazio. In seguito la luminosità decresce tornando allo stato normale; dopo un certo periodo il fenomeno si può innescare di nuovo. Esso si verifica piuttosto di frequente, almeno una ventina di volte all’anno. Si deve distinguere fra i diversi tipi di stelle: infatti, dopo l’esplosione di una supernovae rimane o un buco nero o una stella di neutroni o una nana bianca, non una stella normale e non può esplodere di nuovo. Si è anche osservato che le stelle non sono distribuite in maniera disordinata, ma di solito seguono una certa legge. È opportuno sottolineare che tutto ciò è solo un’interpretazione di quanto può avvenire in una stella. In realtà vi sono ancora molti problemi irrisolti. Per fare solo un esempio si consideri il problema della produzione di neutrini: negli esperimenti effettuati per conteggiare il numero di neutrini prodotti ad esempio dal Sole, tale numero è molto inferiore rispetto a quello previsto dalla fisica nucleare in relazione ai processi che avverrebbero nel nucleo solare. Questo fenomeno, o altri simili, introducono la cosiddetta “materia oscura”. Ci si è chiesto se essa esista veramente, magari distribuita solo in alcune zone della galassia, e di che cosa sia fatta. La materia oscura si definisce oscura perché è la parte principale dell’universo. Attraverso gli studi effettuati e i calcoli matematici e fisici conseguenti, è stato appurato che il rapporto tra la materia visibile e luminosa e quella che ci si aspettava dai modelli teorici cosmologici non torna. Si è dedotto che ci fosse qualcosa di non visibile ma comunque presente: infatti, gli effetti della materia oscura non sono visibili in termini di radiazione (cioè non emettono radiazione e non la assorbono), ma solo gravitazionalmente (cioè fanno sentire il loro effetto attraverso la forza di gravità che esercitano). In breve, l’esplorazione del nostro universo può celare ancora numerose sorprese.

I buchi neri

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a2/Black_hole.jpg" title=“Rappresentazione artistica di un buco nero” >}}

Nel 1795 Laplace aveva capito che la luce non poteva scappare da un oggetto con una massa sufficientemente grande e un raggio sufficientemente piccolo, ma nessuno sviluppò la sua idea. Nel dicembre 1915, un mese dopo la pubblicazione della teoria della relatività generale di Einstein, Schwarzschild trovò la soluzione per un campo gravitazionale che circonda una massa sferica e inviò i risultati delle sue ricerche allo stesso Einstein: entrambi, però, ancora non avevano associato questa soluzione alla descrizione di un buco nero. Nel 1935 Eddington, basandosi su un lavoro di Chandrasekhar del 1931, capì che i calcoli di quest’ultimo implicavano che lo stato finale nell’evoluzione di una stella molto massiva doveva per forza essere un buco nero, ma Eddington stesso non credeva al lavoro di Chandrasekhar e quindi al suo stesso lavoro. Nel 1939 Oppenheimer e Snyder fecero il primo calcolo rigoroso che dimostrava la formazione di un buco nero ma l’argomento fu ignorato fino agli anni ‘60. Nel ‘63, ad esempio, Kerr riprese in mano le equazioni della relatività generale di Einstein e le studiò in relazione ai buchi neri. Wheeler nel 1968 coniò il nome “buco nero”. Si cercava insomma di capire quale fenomeno astrofisico, osservabile, potesse nascondere un buco nero. La scoperta dei quasars nel ‘63, delle pulsar nel ‘68, contemporaneamente a quella delle sorgenti X compatte nel ‘62, rinvigorirono gli studi sui buchi neri; secondo le teorie, si ipotizzava che questi tipi di oggetti fossero in qualche modo collegati con i buchi neri. L’osservazione della sorgente di raggi X cygnus X-1 nei primi anni 70, è stata la prima possibile evidenza osservativa che confermava l’esistenza di un buco nero. Negli anni ‘90, con l’avvento dell’Hubble Space Telescope e del Keck non ci sono state conferme. Ora le osservazioni di raggi X si fanno con il telescopio Chandra (lanciato nel luglio del 1999), che ha dato grandi risultati e nel futuro gli astronomi sperano di rivelare onde gravitazionali associate a buchi neri.

Pathfinder e il viaggio dell’uomo verso Marte

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/75/Viking_spacecraft.jpg/764px-Viking_spacecraft.jpg" title=“Viking I” >}}

Gli abitanti di Marte, il pianeta più simile alla Terra, sono sempre stati descritti in modo fantasioso. Nel Novecento il “marziano” è diventato sinonimo tout court di extraterrestre. La curiosità attorno al “pianeta rosso” è quindi sempre stata grande. Inoltre, le informazioni riportate dalle sonde automatiche statunitensi hanno spinto gli scienziati ad approfondire la ricerca. Le sonde hanno mostrato la presenza di catene montuose, di crateri scavati da meteoriti, di strutture vulcaniche estinte particolarmente alte. Le prime mappe dettagliate di Marte sono state prodotte grazie alle immagini inviate a Terra dalle sonde statunitensi Mariner e da quelle sovietiche Mars, a partire dal 1965. Le prime fotografie ad alta risoluzione sono state trasmesse dal Mariner 9, che nel 1971 fu la prima sonda a entrare in orbita attorno al pianeta rosso. Due sonde statunitensi Viking sono scese sul suolo marziano nel 1976 e hanno analizzato il terreno, senza trovare segni della presenza di forme di vita. Lo studio delle rocce marziane effettuato grazie a queste sonde ha indicato che il colore rossastro è dovuto alla presenza di un sottile strato di ossido di ferro sui silicati che compongono la superficie. Sono state riscontrate poche differenze tra le aree chiare e quelle scure della superficie; non è quindi stata ancora compresa la ragione della diversa colorazione osservata per le diverse zone di Marte. Nel dicembre del 1996 è partita la sonda statunitense Mars Pathfinder che, nel 1997, atterra sul suolo di Marte dove scarica un modulo semovente, il robot Sojourner, che invia sulla terra immagini a colori del “pianeta rosso”. L’emozione è grande ed è vissuta in diretta televisiva e in tempo reale su Internet. Telecomandato da terra, il Sojourner si è spostato sulla superficie marziana e ha analizzato con uno spettrometro di massa la composizione chimica del suolo e di alcune rocce. Le ipotesi che avvaloravano la presenza di attività cellulare passata su Marte non hanno trovato conferma nelle informazioni inviate dal Pathfinder. Un anno prima di questa missione, aveva destato scalpore l’annuncio che un meteorite di origine marziana, trovato in Antartide, contenesse i fossili di antichi batteri.

Dal 1999 è attiva in orbita intorno al pianeta rosso la sonda Mars Global Surveyor, che fornisce nuovi dati sulla composizione dell’atmosfera e del suolo marziano. È invece fallita la missione Mars Polar Lander che si proponeva di far scendere un modulo sul ghiaccio di un polo marziano e di iniettare due piccole sonde nel sottosuolo marziano per analizzarne la composizione e verificare l’eventuale presenza di acqua sotterranea. Alcune misurazioni del Mars Global Surveyor sembrano suggerire la presenza di acqua nel sottosuolo della Valles Marineris. Mentre questa scoperta attende ulteriori conferme, due ipotesi alternative sono attualmente accreditate nella comunità scientifica per quanto riguarda la presenza di acqua superficiale su Marte in un remoto passato. C’è chi ritiene che il clima marziano sia stato molto più caldo e umido dell’attuale, grazie a un’atmosfera molto più densa, e che il pianeta rosso abbia avuto una conformazione della superficie simile a quella della terra, ricca di acque come oceani, laghi, fiumi e pioggia. La seconda teoria all’opposto, ritiene che Marte sia sempre stato freddo e che l’acqua, intrappolata sotto forma di ghiaccio sotterraneo sia liberata, di tanto in tanto, da periodici riscaldamenti del pianeta che la fanno emergere e scorrere in superficie. Anche per questi interrogativi, oggi l’uomo sta valutando il progetto di andare personalmente sulla superficie del pianeta rosso.

La medicina genetica

{{ < figure src=“https://static.fanpage.it/scienzefanpage/wp-content/uploads/2012/07/dolly-638x425.jpg" title=“Il professore Ian Wilmut con la pecora clonata Dolly, marzo 1997” >}}

La medicina scientifica ha compiuto, negli ultimi cinquant’anni, un progresso enorme fondato sull’introduzione di nuove tecnologie diagnostiche e terapeutiche, sull’affinamento della chimica applicata, e sull’accumulo di nuove conoscenze sul funzionamento del corpo umano. Tuttavia, le scoperte scientifiche e tecnologiche costituiscono solo un aspetto della rivoluzione medica del dopoguerra, che ha potuto verificarsi soprattutto grazie alla crescita del benessere economico nei paesi capitalisti, e all’adozione di estese politiche pubbliche di assistenza sanitaria. Tali condizioni hanno fornito l’impulso necessario allo sviluppo di un’industria medica e farmaceutica in continua espansione, che ha trovato, nell’esistenza di un mercato privato e pubblico assai esteso e redditizio, la prima ragione di crescita. Negli anni ‘90, nel campo della medicina e dell’ingegneria genetica, sono stati fatti passi da gigante: oggi l’uomo può intervenire sui meccanismi stessi della vita. Lo studio della genetica dell’uomo ha permesso di compiere grandi passi avanti nella conoscenza delle malattie di origine ereditaria. Una nuova branca della scienza, l’ingegneria genetica, permette oggi di intervenire sui meccanismi stessi della vita. Sono state approntate tecnologie che permettono di intervenire sul DNA allo scopo di determinare il patrimonio genetico. La bioingegneria ha sperimentato il procedimento attraverso il quale da una cellula capostipite è possibile creare una cultura di cellule assolutamente identiche tra di loro dal punto di vista genetico (i cosiddetti “cloni”). Nel 1997 presso un laboratorio scozzese, la manipolazione di una cellula di una pecora ha permesso di far nascere una pecora che è la copia dello stesso animale (la pecora Dolly). L’eco nel mondo è stata vastissima, soprattutto in campo religioso e in quello della morale. Particolarmente acceso è stato il dibattito sull’uso di embrioni umani e sulla possibilità, in futuro, di adottare criteri di manipolazione, che non corrispondono ad evidenti necessità curative, quanto piuttosto alla volontà di selezionare caratteristiche umane determinate, sulla base di convinzioni ideologiche o per specifici interessi economici o militari. Questi scenari pongono problemi nuovi non solo per gli scienziati ma per l’intera collettività. E’ nata una nuova branca della filosofia, la bioetica, che affronta queste questioni. Anche i governi e le organizzazioni internazionali si interrogano sulla necessità di varare una legislazione che disciplini questi settori.

Le biotecnologie

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f2/GloFish.jpg/450px-GloFish.jpg" title=“GloFish, pesci d’acquario resi fluorescenti tramite transgenesi. Sono i primi animali geneticamente modificati” >}}

L’applicazione delle biotecnologie in campo alimentare è stata uno degli effetti più importanti delle scoperte della ingegneria genetica. Le ricerche si sono sviluppate negli anni Settanta, utilizzando, inizialmente, un batterio Agrobacterium tumefaciens, agente patogeno abituale di molte specie vegetali, sulle foglie delle quali produce dei piccoli tumori. In realtà la formazione del tumore è dovuta ad una piccola molecola di DNA circolare, il plasmide Ti (tumor inducing), contenuta nel batterio. I genetisti hanno reso innocuo dal punto di vista patologico il plasmide, vi hanno inserito un gene capace di conferire determinate caratteristiche alla pianta, ed, infettando la pianta con il batterio contenente il plasmide, lo hanno utilizzato come trasportatore genico.

Attraverso la manipolazione degli organismi vegetali sono stati raggiunti obiettivi molto diversi: una maggiore resistenza a virus, insetti, malattie ed erbicidi, una maggiore tolleranza al freddo o all’elevata salinità, oppure esemplari in grado di non marcire per lunghi periodi dopo la raccolta. Numerose piante sono state trattate con i metodi dell’ingegneria genetica: tabacco, pomodoro, riso, soia, e molte altre specie. In futuro, lo sviluppo di queste tecnologie potrebbe aiutare a risolvere i problemi collegati all’alimentazione di un’accresciuta popolazione umana. Tuttavia, l’uomo attraverso le biotecnologie seleziona, in determinate specie, determinati caratteri senza sapere se l’organismo ottenuto è in equilibrio dinamico con l’ambiente in cui vive e senza considerare le implicazioni che la sua selezione ha sulla biodiversità. La diffidenza dell’opinione pubblica e di parte degli ambienti scientifici, perciò, ha recentemente portato l’Unione Europea a riconsiderare la regolamentazione della commercializzazione di prodotti transgenici. Negli Stati Uniti, invece, soia e mais modificati coprono già il 50% circa del mercato, e sono utilizzati nella preparazione di un’alta percentuale dei cibi preconfezionati.

I colossi dell’informatica

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/6/6a/Windows95.PNG/800px-Windows95.PNG" title=“Desktop di Windows 95, il sistema operativo che ha rivoluzionato l’informatica casalinga” >}}

La International Business Machines (IBM), nata come produttrice di macchine per ufficio, si occupava della progettazione e della costruzione di elaboratori elettronici già prima della seconda guerra mondiale. Il salto di qualità, che la porterà nel limbo dei colossi economici mondiali, arriva con la diffusione di massa negli anni ‘80 dei personal computer. Grazie ad azzeccate strategie imprenditoriali riesce a imporre l’architettura standard dei computer, cui i concorrenti devono adeguarsi se non vogliono rimanere tagliati fuori dal mercato. Esemplare è lo scontro che vede l’IBM contrapposta alla rivale Apple. Nel 1980 la IBM stringe un accordo con la Microsoft, l’azienda di progettazione di software del venticinquenne Bill Gates, per prendere in licenza e installare sui computer il sistema operativo MsDos. L’accordo IBM-Microsoft rafforza entrambe le aziende, che dettano così legge e mettono in difficoltà la Apple. Quest’ultima si difende specializzandosi nel settore della grafica. Negli ultimi anni però la Apple ha dovuto capitolare: con l’avvento di Windows, il sistema operativo ad interfaccia grafica, molte delle funzioni che erano proprie dei computer Apple vengono eguagliate e superate. L’accordo tra IBM e Microsoft segna anche l’inarrestabile ascesa di Bill Gates. Appassionato di informatica, lo studente Gates fonda all’età di quindici anni, insieme all’amico Paul Allen, la Traf-O-Data, che si occupa dello studio dei flussi di traffico. La ditta, che si specializzerà nell’elaborazione di sistemi operativi che semplificano l’uso del personal computer, prenderà poi il nome, appunto, di Microsoft. Alla fine degli anni ‘80, Microsoft elabora un nuovo sistema operativo ad interfaccia grafica che permette di dialogare con il computer attraverso immagini (“icone”), “cliccando” sulle quali si riesce ad accedere alle varie funzioni e ai diversi programmi. Il primo settembre del 1995 viene immessa sul mercato l’ultima versione, Windows 95 che, in un solo giorno vende un milione di copie. Bill Gates è oggi uno degli uomini più ricchi del mondo e anche il più potente; negli Stati Uniti è stato accusato di detenere una posizione monopolistica. Neanche l’avvento di Internet riesce a scalfire il primato della Microsoft. In un primo momento la multinazionale di Bill Gates aveva sottovalutato la rete. Sulla commercializzazione di programmi di navigazione si erano gettate aziende minori, come la Netscape, che per un breve periodo sale nell’empireo dei grandi progettisti di software. La partita si chiude quando Windows 95 invade il mercato: Microsoft abbina infatti al sistema operativo un suo programma di navigazione, Internet Explorer. L’acquisto di supporti per la circolazione in rete da altri produttori diventa inutile, e i rivali ancora una volta sono messi alle corde.

Un mondo “interconnesso”

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d1/First_Web_Server.jpg/800px-First_Web_Server.jpg" title=“Il computer utilizzato da Tim Berners-Lee per realizzare il primo server web, esposto nel Globo della Scienza e dell’Innovazione del CERN. Il foglietto sul case reca la scritta \“Non spegnere\” “ >}}

Lo sviluppo delle reti di telecomunicazione ha prodotto un mondo sempre più interconnesso. Il collegamento tra luoghi distanti in tempi immediati, ha cambiato la struttura del lavoro, e ha permesso di delocalizzare le strutture economiche. La necessità di lavorare fisicamente insieme, per produrre un determinato bene o servizio, ormai, non è più universale. Ciò permette costi più bassi e un funzionamento più efficiente del mercato. I cicli delle scorte che un tempo producevano crisi ricorrenti nel mondo della produzione, per esempio, sono stati in gran parte eliminati dalla interconnessione informatica su scala globale tra domanda e offerta. Allo stesso tempo, cambia il panorama culturale del mondo. La cultura di massa trasporta ovunque nuovi stili di vita, ma le sue connessioni mettono anche in contatto realtà distanti, in un circuito dove stimoli, provenienti da mondi diversi, trovano una nuova sintesi.

Lo sviluppo delle reti informatiche e la crescente integrazione tra le varie tecnologie di diffusione delle informazioni, hanno costituito una novità rilevante dell’ultimo decennio del secolo. Le prime reti telematiche risalgono agli anni Settanta, e utilizzavano le reti telefoniche esistenti per la fornitura commerciale di dati e servizi “in linea”. L’esempio più significativo di tali reti fu il Videotel adottato in Francia nel 1982, la cui diffusione fu fortemente appoggiata dallo Stato, con l’obiettivo di connettervi tutte le famiglie entro breve tempo. Negli anni successivi, questi primi esperimenti sono stati superati dalla diffusione su scala planetaria di Internet. La diffusione delle reti telematiche ha avuto, innanzitutto, un effetto quantitativo, consentendo una diffusione estremamente ampia di informazioni, precedentemente accessibili solo a una minoranza di soggetti. In secondo luogo, l’informatizzazione diffusa, collegata allo sviluppo delle reti, e la messa a punto di tecnologie di digitalizzazione sempre più complesse prefigurano una profonda ristrutturazione dell’industria dei mass media. Essa è destinata a evolversi nella direzione di un’integrazione sempre maggiore con il settore delle telecomunicazioni, a meno che tale gigantismo industriale non sia limitato da accordi internazionali di salvaguardia del pluralismo dell’informazione, e di smembramento dell’oligopolio industriale nel settore dei media e dell’informatica.

Il “pianeta” televisivo

{{ < figure src=“https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/c2/Rupert_Murdoch_-_WEF_Davos_2007.jpg/399px-Rupert_Murdoch_-_WEF_Davos_2007.jpg" title=“Rupert Murdoch” >}}

Con la televisione, il medium universale, il mondo diventa davvero il “villaggio globale” descritto dal sociologo statunitense Marshall McLuhan. Nell’era dei satelliti, attraverso un tubo catodico praticamente identico in ogni parte del pianeta, è possibile per chiunque aprire una finestra su quel che accade quotidianamente. L’evoluzione tecnologica amplia a dismisura queste potenzialità. La televisione inventa anche un nuovo linguaggio di comunicazione e determina un’unificazione culturale del pianeta. I grandi eventi sono vissuti contemporaneamente da tutti: il mondo è “in diretta”. La televisione via cavo riesce a far arrivare il segnale anche in luoghi lontani e isolati. Il suo boom negli Stati Uniti risale agli anni ‘70 (quando si accoppia con lo sviluppo della pay-tv). Oggi negli USA il business della TV via cavo è superiore a quello della televisione via etere. Il passo successivo è l’utilizzo del satellite che permette di far rimbalzare immagini da un continente all’altro: i palinsesti nazionali sono affiancati dalle programmazioni televisive estere a cui gli utenti possono liberamente accedere. Allo stesso tempo nascono emittenti che non hanno come target il grande pubblico internazionale.

La frontiera del medium televisivo si chiama I-tv. E’ la televisione interattiva che permette al telespettatore di personalizzare l’offerta televisiva. Il servizio di televideo, con cui si accede a dati e informazioni scegliendo tra diverse opzioni è l’esempio più semplice. Ma negli ultimi anni molto è cambiato. E’ arrivata la “pay per view” e il video “on demand”, nuove tecniche televisive che sfruttano la tecnologia digitale (le immagini vengono trasformate in codici numerici simili a quelli gestiti dai computer) e consentono di prelevare a piacimento i programmi preferiti (le partite della propria squadra, documentari o film da selezionare tra diverse opzioni). L’avvento di Internet potrebbe segnare una nuova rivoluzione. La televisione si integrerà con il computer e si andrà accentuando la sua flessibilità. Sempre più sarà il mezzo di comunicazione universale.

Di satelliti per le comunicazioni aveva parlato (erano gli anni ‘40) lo scrittore di fantascienza Arthur Clarke, autore del celeberrimo romanzo 2001 Odissea nello spazio. Pochi avrebbero allora potuto pensare che le fantasie di uno scrittore sarebbero diventate, nel giro di un ventennio, una realtà. Il primo satellite geostazionario (cioè sincronizzato con gli spostamenti della terra) utilizzato per la diffusione radiotelevisiva, risale al 1962. Negli anni ottanta la tecnologia subisce un’altra radicale innovazione: vengono messi in orbita i satelliti del tipo DBS (Direct Broadcast Satellite) che emettono segnali di potenza di gran lunga maggiore. Per riceverli è sufficiente un’antenna parabolica del diametro di soli ottanta centimetri. La generazione successiva è quella dei satelliti Astra, utilizzati dalla British Sky Tv di Rupert Murdoch, che riescono a trasmettere suoni e immagini a dischi non più lunghi di quaranta centimetri. Queste antenne hanno un costo relativamente basso, che comprende anche il ricevitore e il decodificatore di immagini. Possono essere cioè acquistate anche dalle famiglie, le quali sono ora in grado di ricevere a casa propria immagini trasmesse da ogni parte del mondo. Si apre una nuova era: la televisione non è più legata alle trasmissioni delle emittenti nazionali o locali; è un medium interplanetario.

Il Pensiero

La ripresa del dibattito sull’intelligenza artificiale

Alla fine del Ventesimo secolo si assiste, grazie alla diffusione di macchine sempre più efficienti ed “intelligenti”, ad una ripresa del dibattito sul concetto di intelligenza artificiale. L’idea che le macchine potessero compiere esperimenti al posto dell’intelligenza umana risale al Seicento quando Blaise Pascal inventò la prima macchina per il calcolo matematico. L’espressione “intelligenza artificiale” (“artificial intelligence”) è stata coniata nel 1956 da McCarthy quando si ritenne possibile che le macchine potessero imitare il comportamento umano, cioè che esse non si limitassero solo ai calcoli matematici ma fossero in grado di comporre della musica o di giocare a scacchi. L’erede di queste macchine pensanti è senza dubbio il computer odierno che può svolgere sia funzioni di semplice calcolatore, sia effettuare operazioni intelligenti cioè trovare soluzioni “intuitive” per risolvere qualsiasi problema. Tale atteggiamento è tipico della mente umana: giornalmente sottoposta a dover affrontare dei problemi complessi, essa non procede in maniera confusa ma seleziona la possibilità migliore per il raggiungimento dello scopo. Tuttavia, esistono dei limiti all’intelligenza artificiale, dimostrati dall’incapacità delle macchine di adeguarsi a situazioni che non sono state precedentemente previste. Dopo molti anni di ricerche è stato constatato che la definizione classica di intelligenza andava ridefinita: quella tradizionale di tipo logico-deduttivo è stata sostituita con quello che possiamo definire “il buon senso” o “il senso comune” che fino ad oggi era stato considerato un modello di intelligenza inferiore. La filosofia non poteva essere estranea a questa discussione sul problema delle macchine poiché essa è stata chiamata nel corso degli anni a ridefinire il concetto di intelligenza. Soprattutto in questi ultimi anni, fatta eccezione per Putnam, con la ripresa della discussione i filosofi sono stati critici contro le pretese dei teorici dell’intelligenza artificiale; essi, infatti, ritengono che le macchine non “vivono” nel mondo, cioè non hanno coscienza di loro stesse e della realtà e quindi non si possono definire intelligenti nel senso umano del termine.

Hilary Putnam

Nato a Chicago nel 1926 Putnam, discepolo di Carnap e professore ad Harvard, si occupò inizialmente di filosofia della matematica e di logica per poi passare a trattare della filosofia del linguaggio. I termini più frequenti nei libri di Putnam sono: realismo, etica e ragione, che stanno ad indicare l’attenzione dello studioso verso i problemi più generali e tradizionali della filosofia, temi di cui Putnam ha cominciato ad occuparsi intorno agli anni Settanta.

Sostenitore del funzionalismo e dell’analogia tra mente e computer, egli ritiene che le funzioni intelligenti non siano necessariamente legate da un rapporto materiale, per esempio dal cervello umano. Putnam crede che se certe funzioni sono svolte da un determinato apparato, questo non comporta l’identificazione di tali funzioni con l’apparato stesso. Recentemente, nel testo Rappresentazione e realtà (1987), Putnam ha accantonato il funzionalismo ritenendo che le credenze, e altri atteggiamenti, non potendo essere identificati con uno stato individuale del soggetto, non possono neanche essere ritenuti stati funzionali. Nel testo Un realismo dal volto umano, del 1990, volge le sue critiche al realismo metafisico e al relativismo, si fa fautore dell’empirismo radicale tentando una stretta associazione delle nozioni di realtà e comunità.

Gli ultimi “filosofi” francesi: Deleuze e Guattari

Nel testo Che cos’è la filosofia, uscito nel 1990, scritto a quattro mani da Guattari e Deleuze, vengono tracciati alcuni punti: il punto di partenza è la constatazione che c’è molta confusione nel pensiero, e scopo della filosofia è rimediare a questo caos concettuale. I concetti, infatti, poiché sono “viventi”, sono molteplici e si formano continuamente: questo perché ogni volta hanno bisogno di una struttura che li organizzi. Entrambi gli studiosi, infatti, concepiscono la filosofia come forza creatrice di concetti nuovi.

Gilles Deleuze è stato professore all’Università di Parigi VIII a Vincennes. Studioso del pensiero classico, da Lucrezio a Spinoza, Deleuze rilanciò nella filosofia francese l’interesse per Nietzsche, e sarà proprio al filosofo tedesco a cui Deleuze si inspirerà, più tardi, dopo l’incontro con il marxista Guattari. La filosofia di Deleuze si è contraddistinta per uno spiccato dualismo tra spirito e materia. Egli, tuttavia, cerca di risolverlo sostenendo che la realtà è una molteplicità non riducibile soltanto alla categoria di materia o spirito. Compito della filosofia è quindi la ricerca di nuovi modi di pensare, e di essere dato che la realtà non è omogenea ma una molteplicità di valori.

Felix Guattari incontrò Deleuze nel 1969, all’epoca in cui egli era impegnato nelle organizzazioni del partito comunista e poi nella sinistra dissidente. Allievo di Lacan, Guattari non ha una preparazione filosofica ma psichiatrica e psicoanalitica. Insieme a Deleuze, amico e collaboratore, scrisse molti testi: nel 1972 uscì il loro primo testo che riscosse un successo internazionale l’Anti-Edipo, oltre al saggio sopra citato.

Hans Jonas

Hans Jonas, filosofo e storico delle religioni, fu lo studioso contemporaneo che più si occupò di bioetica. Dal 1979, anno in cui uscì il suo primo saggio dedicato ai temi bioetici Principio di responsabilità, Jonas tentò di formulare un’etica adatta ai principi della tecnica. La natura, afferma Jonas, ha bisogno di essere tutelata dalle minacce dello sviluppo tecnologico, e quindi l’orizzonte dell’etica deve trovare un nuovo campo di ricerca; essa non si deve più occupare dei rapporti interumani ma dell’intera biosfera. Il concetto di responsabilità è modificato, non riguarda più il singolo ma l’umanità nel suo complesso. I fenomeni biologici sono a capo della sua “filosofia della vita” e il concetto chiave per comprenderla è lo sviluppo della libertà. La libertà è indipendente sia dalla materia che dalla forma, ma se nell’uomo la libertà è l’incontro con se stesso, nella filosofia della natura essa diventa una “biologia filosofica” che ci riporta all’esigenza di fondare un’etica. Nella filosofia di Jonas emerge la paura di un’imminente catastrofe tecnologica poiché l’uomo, soprattutto nell’ultimo ventennio del Novecento, ha realizzato il quasi completo dominio della natura, l’uomo è diventato più forte della natura stessa. Per il filosofo, il principio di responsabilità non riguarda solo la possibilità di un’imminente catastrofe, ma anche l’eredità che lasceremo alle generazioni future.

John Searle: la ripresa della filosofia del linguaggio

Nato nel 1932 e allievo di Austin, formatosi presso la scuola dei “filosofi del linguaggio ordinario” all’Università di Oxford, Searle ha elaborato una filosofia sugli atti linguistici da essere considerato il padre fondatore della pragmatica moderna. Searle, ora insegnante all’Università di Berkeley, molto vicino alle posizioni di Austin, ritiene che gli atti linguistici siano degli aspetti propri del linguaggio, di ciò che si fa quando si pronuncia una frase. Tuttavia, egli non accetta la distinzione, come fanno gli studiosi di pragmatica, tra la teoria del significato (la semantica) e la teoria dell’uso dei significati (la pragmatica), piuttosto crede che dire qualcosa con un significato sia un aspetto che rientra nella teoria degli atti linguistici. Egli critica aspramente, soprattutto negli ultimi scritti dagli anni Ottanta in poi, le ipotesi sull’intelligenza artificiale “forte”, cioè la corrente di pensiero che crede che il computer non sia solo uno strumento di studio e di lavoro in aiuto alla mente umana ma che esso stesso possa essere una mente capace di elaborazioni ben più complesse come, per esempio, la comprensione del linguaggio. Lo studioso ritiene che le macchine siano in grado di manipolare i simboli, ma tuttavia esse non sono in grado di interpretarli. L’importante è, nella discussione di Searle, l’intenzionalità di cui è capace il cervello umano, espressa mediante il famoso esempio chiamato la “camera cinese” a dimostrazione che la mente umana è un insieme di atti intenzionali di cui le macchine non possono essere capaci.

Alain Badiou

Nato nel 1932, formatosi alla scuola di Althusser, Badiou alla fine degli anni Ottanta si è dedicato ad un’accesa polemica contro coloro che avevano annunciato la “fine della filosofia” e il post-modernismo. Nel Manifesto della filosofia, del 1989, Badiou ha sottolineato come la filosofia sia, ancora oggi, uno strumento utile per la ricerca della verità. Grazie alla filosofia emergono delle singole verità in vari ambiti di pensiero: nel genere artistico (poesia), in quello scientifico (matematica), in quello amoroso (psicologia) e quello politico (emancipazione). La filosofia è possibile quando si verificano delle “verità” negli ambiti citati; essa le raccoglie e ne denuncia l’esistenza senza però identificarsi con l’una o l’altra verità; la filosofia, infatti, non è né scienza, né arte, né politica. Tuttavia, essa è quel luogo di pensiero dove le verità possono essere enunciate; la filosofia viene definita il “quinto pensiero”. La filosofia di Badiou vuole avere una continuità con la razionalità e la verità contro le ragioni del post-modernismo, anzi egli spera in un nuovo rilancio nella ricerca della “verità” attraverso la filosofia.

Vittorio Hostle e il dibattito sul cammino della filosofia

Ultimo erede tra coloro che si occupano di ermeneutica, Hösle, nato nel 1960, è stato l’autore di un importante saggio sul pragmatismo, ma è noto in Italia per un testo, uscito nel 1990 con il titolo Filosofia della crisi ecologica, dove sviluppa le tesi sull’ecologia, già espresse da Jonas. La filosofia di Hösle verte soprattutto su problemi di ordine pratico. In un saggio del 1995, non ancora tradotto in Italia, dal titolo Praktische Philosophie in dem Modernen Welt, egli affronta il problema dell’ermeneutica in relazione all’etica; essa infatti garantisce la differenza, cioè la comprensione dell’altro mediato dalla comunicazione. L’ermeneutica riesce a garantire il giusto equilibrio tra mezzi e fini, problema che la filosofia moderna si è trovata a dover risolvere. Per questo autore contemporaneo, che si domanda dove stia andando la filosofia, l’ermeneutica rappresenta, nonostante l’abbandono di questa disciplina da parte di molti studiosi, l’unica vera strada per comprendere la realtà e il mondo che ci circonda.

In questi ultimi anni, il dibattito sulla filosofia ha assunto, soprattutto in Italia, una radicale dicotomia: la Nietzsche-Renaissance, che ha visto la nascita dei “pensieri deboli” (la scuola di Vattimo e Cacciari), e l’affermarsi del nichilismo, portavoce dell’impossibilità di poter indicare un nuovo cammino della filosofia capace di arrivare alla verità. Dall’altro, invece, l’affermarsi di un neo-illuminismo (la scuola di Viano e Rossi) fiducioso nel riscoprire la filosofia, e la ragione, come unico mezzo per comprendere l’uomo moderno e le sue attuali contraddizioni.

La nascita di nuove pratiche religiose: le sette

Il proliferare delle sette è uno dei fenomeni caratteristici dell’ultimo ventennio di questo secolo. Molti sono i motivi che stanno alla base della fondazione, e soprattutto del desiderio di diventare adepti di una setta, così come numerose sono le tipologie delle sette che imperversano in buona parte del mondo, con una preferenza per l’Occidente capitalistico. In primo luogo, il proliferare delle sette nasce da un generale rifiuto della modernità, che si esprime, in particolare modo, attraverso una posizione antiscientista, e in opposizione alle Chiese tradizionali, che vengono considerate aride, burocratiche e incapaci di rinnovare la loro spiritualità. Le sette hanno buon gioco di fronte ad un panorama in cui vengono a mancare gerarchie organiche di valori. Di fronte ad un’identità culturale che è sempre più incerta e debole, la setta rappresenta una “realtà alternativa” cui abbandonarsi. Gli elementi principali su cui fanno leva le sette sono il ricorso all’idea di un’esperienza interiore, un messaggio di salvezza, il senso di appartenenza ad una comunità. Generalmente grande importanza riveste il cosiddetto “capo carismatico”, verso il quale è necessaria una completa sottomissione, sottomissione della quale spesso egli approfitta non solo per un puro desiderio di potere, ma anche per circuire economicamente gli adepti. L’uomo e le sue potenzialità sono al centro del messaggio di molte sette. Negli ultimissimi anni un fenomeno come la New Age ha esteso il messaggio “umanista” di alcune di esse oltre i loro limiti, invadendo un po’ tutti i campi della cultura: dalla letteratura (si tenga presente il successo di un libro come La profezia di Celestino, che offre facili ricette di pace e felicità interiore), alla musica, alle arti visive. A parte la New Age, le più importanti sette presenti attualmente nel mondo sono quelle degli “Arancioni”, dei “Bambini di Dio”, degli “Hari krishna”, dei seguaci di “Sai Baba”. Grande seguito continuano ad avere in America le sette sataniche (Church of Satan, Temple of Satan), ma negli ultimi tempi hanno preso il sopravvento alcune formazioni che uniscono una forma di religiosità spiritualista ad un interesse per le più moderne tecnologie informatiche. Uno dei casi più noti assurto alla ribalta della cronaca è quello dei trentanove adepti della setta denominata probabilmente “WWW. Higher Source”, che hanno perso la vita in un suicidio collettivo avvenuto a San Diego nel 1997. Tale setta era formata in buona parte da esperti di computer, che si vestivano tutti nello stesso modo, erano probabilmente castrati, e si consideravano angeli venuti sulla terra da altri pianeti. Non è questo l’unico caso di suicidio collettivo, caratteristico delle sette di stampo millenaristico. Ricordiamo ad esempio gli adepti di una setta avventista dell’ultimo giorno asserragliatisi in una fattoria del Wisconsin. “Scientology”, fondato negli anni cinquanta dallo scrittore di fantascienza Ron Hubbard, è uno dei movimenti più controversi e odiati, e uno dei più aggressivi verso chi gli si oppone. Ha assunto un ruolo rilevante negli ultimi anni e annovera fra i suoi adepti molti esponenti del mondo artistico e cinematografico, come John Travolta e Tom Cruise.

In Italia sono censite 336 sette, ma si calcola che in realtà siano più di 800. Alcuni anni fa ha fatto scalpore la storia della setta riunita intorno alla figura carismatica di Mamma Ebe, il cui caso è arrivato fino in tribunale in seguito alle accuse di circonvenzione rivolte da alcuni ex adepti alla santona.

La New Age

Nelle società occidentali, in questi ultimi anni, abbiamo assistito alla nascita di un insieme di movimenti e pratiche religiose che va sotto il nome di New Age.

La New Age non è un movimento unitario con una leadership definita. Si tratta di una galassia di gruppi, tendenze e forme artistiche che, secondo molti studiosi, rappresenta un’esemplificazione della spiritualità post-moderna. I seguaci della New Age sono chiamati anche Acquariani; essi vogliono instaurare un nuovo rapporto con la natura, anzi desiderano fondersi con la natura e il cosmo, fino a ritrovare in se stessi la scintilla della grande energia universale di Dio. Si tratta di un rapporto diretto con la divinità, che esclude la mediazione di qualsiasi gerarchia tradizionale. Il pensiero New Age riunifica elementi propri del buddismo, dell’induismo, del sufismo, della tradizione biblica e dello gnosticismo. Uno tra i principali centri New Age si trova a Esalen, tra San Francisco e Los Angeles, dove agli inizi degli anni Ottanta nasce il “Movimento per lo sviluppo del potenziale umano”. Un importante mezzo di propaganda è rappresentato dai libri di Redfield e in particolare da La profezia di Celestino, uscito nel 1993 e che ha venduto moltissime copie in tutto il mondo. La profonda articolazione dei movimenti che si richiamano al pensiero New Age ha comportato che si facesse ricorso a pratiche innocue e accettabili, ma ha generato anche fenomeni preoccupanti, come nel caso del suicidio collettivo degli appartenenti alla setta californiana “Heaven’s gate”, avvenuta nel marzo del 1997.

La nuova “koiné”

La globalizzazione non è solo un fenomeno dell’economia. Essa riguarda anche la cultura, producendo conflitti, ma anche incontri tra società profondamente diverse. Il processo della globalizzazione culturale non è a senso unico. Da una parte, essa produce indubbiamente una crescente universalizzazione dei simboli culturali e degli stili di vita. Questa è favorita dalla diffusione dell’economia del consumo individuale di massa, e dai messaggi trasportati dal medium globale per eccellenza, la televisione, tanto sotto il profilo della pubblicità commerciale quanto nel normale palinsesto. Ciò riflette anche la crescente concentrazione dell’informazione e dell’industria dell’intrattenimento nelle mani di pochi colossi, per lo più, negli Stati Uniti. Tuttavia, sia sotto il profilo economico sia culturale, la globalizzazione produce necessariamente nuovi “localismi”. Il decentramento dei processi produttivi e la penetrazione commerciale e culturale su scala globale, infatti, implicano un processo di radicamento nelle realtà locali. I grandi gruppi industriali che dominano il mercato mondiale, perciò, interpretano esplicitamente la transnazionalizzazione dell’economia come “localizzazione globale” più che come esportazione di un modello di comportamento dal centro alla periferia. Come lo stile di vita americano non ha prodotto un trasferimento della società statunitense nell’Europa degli anni Sessanta, quanto piuttosto una sintesi specifica tra stili di vita tradizionali e società di massa, così accade con la crescente penetrazione dell’industria del consumo su scala globale. La modernizzazione tecnologica e economica, che ha trasformato il mondo nella seconda metà del secolo, quindi, ha modificato le società industriali dell’occidente, dove pure essa ha avuto inizio, non meno che quelle di paesi che si trovavano in una diversa fase dello sviluppo economico. L’egemonia del mercato, per sua natura, agisce da agente di mediazione tra culture diverse, che si sussumono entro un unico modello di sviluppo economico. Ciò ha portato a elaborare il concetto di “glocalizzazione” (globalizzazione e localizzazione) quale forma descrittiva più corretta per la nuova koinè culturale mondiale.

Il “totem” televisivo

La televisione inventa un nuovo linguaggio di comunicazione. Immagini e parole intervengono sui processi di cognizione e di apprendimento e li uniformano fortemente. Le identità individuali e collettive ne vengono influenzate. Questo vale per la lingua: i bambini apprendono il modo di parlare dai programmi televisivi e non solo, come è sempre accaduto, dai genitori. I dialetti si imbastardiscono, gli slang si diffondono oltre le aree geografiche da cui provengono. Attraverso la TV, lo stile di vita occidentale viene reclamizzato in tutto il pianeta. I flussi migratori sono incoraggiati anche dalle immagini che la televisione spaccia nei paesi più poveri e sottosviluppati. Si tratta ovviamente di uno standard di vita che spesso non corrisponde alla realtà dei fatti, di cui è difficile attraverso la televisione cogliere gli aspetti negativi e problematici. La televisione indebolisce, infatti, il senso critico. Sulla sua presunta pericolosità, sul potere di omologazione che esercita si apre negli ultimi anni un dibattito tra gli intellettuali. Il tedesco Hans Magnus Enzensberger assolve la TV. In un saggio del 1988, Il medium zero ovvero perché tutte le lamentele sulla televisione sono inconsistenti, sostiene, appunto, che la TV costituisca un momento di pura evasione. Creando un mondo virtuale e artificioso azzererebbe appunto, neutralizzandolo, ogni messaggio: non farebbe, cioè, né bene né male, perché incapace di toccare la vita reale delle persone.

Di tutt’altro avviso è Karl Popper, che alla TV dedica uno dei suoi ultimi scritti, Cattiva maestra televisione, pubblicato nel 1994. Il filosofo della scienza austriaco sostiene che “una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto”. La televisione sarebbe, dunque, un’arma di cui non si conoscono ancora le potenzialità distruttive. Per questo, propone Popper, chiunque fa televisione dovrebbe conoscere al meglio lo strumento che ha tra le mani, ed essere munito di una sorta di patente che attesti la sua capacità di prevedere, almeno in parte, l’impatto sociale delle proprie scelte. La televisione riesce ad esprimere il meglio delle sue potenzialità comunicative con la trasmissione in diretta degli eventi. Ai primordi la diretta rappresentava un’esigenza tecnica che dipendeva dall’impossibilità di registrare immagini, da mandare in onda in un secondo momento. Sono soprattutto i grandi eventi di cronaca (quelli prevedibili) a esaltare la trasmissione in “tempo reale”. Entreranno nella storia le immagini dello sbarco di Neil Armstrong sulla luna il 21 luglio 1969, e quelle del bombardamento di Baghdad la notte del 17 gennaio 1991 all’apertura della guerra del Golfo. Il presidente dell’OLP Yasser Arafat e il premier israeliano Yitzhak Rabin si stringono la mano a Washington il 13 settembre 1993, dando avvio al processo di pace in Medio Oriente, davanti agli occhi compiaciuti di Bill Clinton e delle telecamere che portano quell’immagine storica nelle case di tutto il pianeta. Altri avvenimenti molto seguiti, che perderebbero la loro efficacia se fossero trasmessi in differita, sono le grandi competizioni sportive, dalle Olimpiadi ai Campionati mondiali di calcio, anch’essi trasmessi in diretta e in mondovisione. Negli ultimi anni la diretta diventa una scelta stilistica. Conferisce, infatti, spontaneità, e in un certo senso “verità”, ai programmi e alle trasmissioni, stemperando quell’idea di inautenticità che il tubo catodico comunica istintivamente al telespettatore.

Il revisionismo storico

Auschwitz, 50 anni dopo la liberazione

Parallelamente alla diffusione di organizzazioni politiche a sfondo razzista e neonazista, nella cultura europea ha progressivamente trovato un proprio spazio quel filone storico interpretativo definito revisionismo storico. Questo si configura come una complessiva e generale rilettura della storia dei regimi totalitari in base all’assunto fondamentale della sostanziale analogia, soprattutto dal punto di vista dell’analisi dei crimini e dei genocidi, del nazismo tedesco e del comunismo stalinista sovietico. Partendo da questa interpretazione i revisionisti, che hanno avuto il loro primo esponente nello storico tedesco Ernst Nolte (famoso l’articolo del giugno del 1986: Germania: un passato che non passa, pubblicato sul quotidiano “Frankfurter Allgemainer”), tendono ad analizzare l’esperienza del nazismo tedesco privandola di quel carattere di straordinarietà della dimensione della violenza e di unicità del genocidio hitleriano, che invece caratterizza lo studio del nazismo di altre correnti e filoni storiografici. Negli esiti più estremi della tesi revisionista si arriva in alcuni esponenti, in molti casi autori di best-seller ampiamente venduti e divulgati, alla completa negazione della Shoah, cioè dello sterminio del popolo ebraico da parte dei nazisti nel corso della seconda guerra mondiale, e a forme di autentica rivalutazione del regime nazista, come nel caso dell’inglese David Irving. Proprio l’insistenza e la diffusione delle teorie della negazione della Shoah hanno provocato reazioni durissime della comunità intellettuale internazionale e della comunità ebraica. Di fatto il progetto cultural-politico del revisionismo storico si propone di completare l’opera del nazismo il cui obiettivo (per fortuna non raggiunto) era sterminare completamente la popolazione ebraica europea, e cancellare inoltre le prove che un fatto del genere, e in proporzioni così inaudite, fosse mai avvenuto. Il revisionismo storico ha contribuito, direttamente o indirettamente, alla diffusione di quei nuovi messaggi culturali prossimi all’antisemitismo.